Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 214
dicembre 1994 - gennaio 1995


Rivista Anarchica Online

Tra gli "ismi"
di Giora Manor

Spiegare la vita del kibbutz a quelli che non la conoscono da vicino è abbastanza difficile; ma parlare di essa ai visitatori o ai nuovi immigrati dai vecchi Paesi socialisti è impresa quasi impossibile. Non è facile spiegare loro che la sola connessione esistente tra il kibbutz e il kolchoz è la k presente in entrambe le parole.
L'erronea nozione che il kibbutz sia un fenomeno socialista o comunista è largamente diffusa. Questo errore deriva dalla definizione di kibbutz come collettivo, quale indubbiamente è.
Ma la connessione con il marxismo, il socialismo e il comunismo finisce lì. Se si esaminano i principi fondamentali della vita del kibbutz, si giunge alla conclusione che le regole base e, cosa più importante, la realtà del kibbutz, sono legate al pensiero anarchico e ben lontane dal marxismo. Tale conclusione ha delle forti implicazioni sulla crisi che il kibbutz si trova ad affrontare ai nostri giorni.
Per dimostrare la validità del mio punto di vista, tornerò alle grandi discussioni che coinvolsero Marx, Engels e i loro seguaci da una parte, e Bakunin, Proudhon e gli altri anarchici dall'altra, più di un secolo fa.
La controversia si concentrava su quattro pomi della discordia:

1. Gli anarchici insistevano su una futura società volontaria, alla quale uno poteva unirsi secondo la propria volontà, senza mai perdere la possibilità di abbandonarla. I socialisti immaginavano uno Stato al quale, a parole, veniva affidato il compito di migliorare la vita dei suoi sudditi attraverso la coercizione, rendendoli uguali e di conseguenza, forse, più felici, anche contro la loro volontà.
Dalla data del suo concepimento, risalente a circa un secolo fa, sino ai nostri giorni, il kibbutz è sempre stato una società libera che qualunque membro può abbandonare - come molti hanno fatto e fanno - se trova le sue decisioni inaccettabili. Nella realtà della vita del kibbutz è prevalso il principio anarchico di libera volontà.
A questo punto dovrei forse chiarire un altro malinteso. Anarchia e anarchismo non sono sinonimi. Naturalmente, il kibbutz ha delle regole e i suoi membri sono tenuti a rispettarle. Non c'è anarchia - l'assenza totale di leggi e regolamenti nel kibbutz. La vera definizione di anarchismo non è quella di una società senza leggi, bensì di una società basata sull'accettazione volontaria delle decisioni e delle leggi della società da parte di ciascun membro, attraverso il consenso, senza coercizione e sanzioni imposte per statuto.
E questo è esattamente quello che succede nella vita del kibbutz.

2. I marxisti insistevano che lo Stato detenesse tutti i mezzi di produzione. Gli anarchici si opponevano a questa idea e pensavano che i mezzi di produzione dovessero essere consegnati nelle mani dei lavoratori che li usavano.
Di fatto, l'azienda agricola o fattoria kibbutz è di proprietà dei suoi membri, non dello Stato. Anche se nella Legge degli insediamenti collettivi esiste una formula statutaria che affida il 50 per cento delle quote e della proprietà a un corpo pubblico quasi mitico chiamato Nir Shitufit, al fine di prevenire la possibilità legale che un kibbutz venda le proprie attività e si metta in liquidazione, il singolo kibbutz e ogni suo membro sentono di essere i soli proprietari dei loro mezzi di produzione e si comportano di conseguenza.
Forse questo atteggiamento anarchico è la ragione per la quale il kibbutzim è stato per gran parte del tempo un'unità economica produttiva estremamente florida. Anche i disastri finanziari e, ahimè, negli anni recenti ce ne sono stati alcuni davvero spettacolari, sono visti dal rispettivo kibbutzim come di propria competenza e tutti sono consapevoli che tocca a loro assumere le decisioni più drastiche per tenere in vita il kibbutz. Sebbene la responsabilità federale dei movimenti dei kibbutz verso ogni kibbutz abbia in qualche modo alleviato la situazione economica negativa così che il kibbutzim non venga lasciato solo nelle difficoltà, la responsabilità ultima resta ancora affidata ai membri di ciascun kibbutz.
Questo ci conduce a un altro aspetto dell'anarchismo che si manifesta nella pratica del kibbutz, ovvero, quello di un'organizzazione federativa, opposta alla direzione centralizzata.

3. Il termine marxista «centralismo democratico» (un eufemismo per dittatura), utilizzato e abusato nei vecchi Stati socialisti, fu sempre del tutto assente nelle organizzazioni del movimento dei kibbutz, anche se, dal punto di vista storico, è stato talvolta invocato.
Per esempio, i primi Gdud HaAvoda (i Corpi del Lavoro) consideravano se stessi come un'unità centrale e i loro singoli kibbutzim come plugot, unità sullo stile dell'esercito, che dovevano prendere ordini dall'ufficio centrale. In teoria, i suoi membri potevano anche essere trasferiti da un'unità all'altra secondo le necessità e i piani dell'organismo centrale. In realtà questo non succedeva mai.
Proprio come chiedevano gli anarchici, i movimenti dei kibbutz sono federazioni di kibbutzim e il segretariato di Tel Aviv non ha nessun potere reale per imporre ordini. A meno che una decisione non venga accettata e ratificata da ciascun kibbutz, l'autorità centrale ha un potere di coercizione estremamente limitato.
La discrepanza tra l'articolo marxista di fede nel centralismo democratico e la realtà anarchica della periferia che possiede il potere reale è una delle vere ragioni della crisi profonda che attualmente attanaglia il kibbutz. Ma di questo parleremo più avanti.

4. Last but not least, mentre gli aderenti al marxismo incitavano il proletariato a guardare e attendere il momento storico propizio alla rivoluzione, gli anarchici predicavano il sindacalismo, che significa fare la rivoluzione nella propria casa, e condividere come singolo individuo all'interno di un gruppo un comune ideale di un modo di vita più giusto e senza sfruttamento.
Parlando da un punto di vista storico, i fondatori e i primi pensatori del movimento del kibbutz furono influenzati dall'anarchismo e riconobbero il debito con esso contratto.
Tuttavia presto le tendenze marxiste presenti nelle prime fasi dello sviluppo del kibbutzim negli anni Venti e il linguaggio paracomunista che le accompagnava rimpiazzarono le idee anarchiche. Ma questo non cambia la realtà della vita del kibbutz. Il risultato fu un vuoto sempre crescente tra l'ideologia espressa nelle parole d'ordine e nei manifesti e la realtà.
Credo che i primi a percepire in modo acuto questa discrepanza tra ideologia e vita del kibbutz furono gli educatori, il cui obiettivo era quello di spiegare ai giovani loro affidati la teoria del kibbutz in cui erano nati.
All'inizio degli anni Trenta - a dispetto di un periodo che registrava i macabri processi di Mosca e l'arresto e l'assassinio di milioni di cittadini dell'Unione Sovietica - la linea ufficiale era filocomunista. La principale difficoltà ideologica era la posizione totalmente antisionista dei comunisti di tutto il mondo. Alcuni capi del movimento del kibbutz parlavano anche della storia d'amore a senso unico, non richiesta, tra loro (noi) e lo Stato sovietico. Ma più tardi, nel corso della seconda guerra mondiale, quando l'URSS combatteva contro Hitler, la linea ufficiale fu più facile da spiegare e da accettare.
Ancor più lo fu dopo che il governo sovietico assunse la conveniente decisione di appoggiare con il proprio voto la proposta delle Nazioni Unite per la creazione dello Stato di Israele.
Fino agli anni Cinquanta, pochi erano in grado di notare l'assurdità di predicare il marxismo vivendo al tempo stesso secondo i principi dell'anarchismo. In effetti, non sono in grado di ricordare un singolo episodio nel quale qualcuno abbia affrontato tale questione nella letteratura sulla vita del kibbutz.
Come ho rammentato, gli educatori finirono per aderire formalmente al marxismo ma non cercarono di collegarlo alla teoria del kibbutz.
Il risultato finale fu una separazione quasi totale tra la vita del kibbutz e la teoria del kibbutz. Diventò assolutamente fuori moda formulare una qualunque teoria riguardante i principi base del kibbutz all'interno di una cornice ideologica più ampia.
L'attuale crisi del kibbutz trova il singolo kibbutznik - così come accadde ai capi del movimento del kibbutz - privo di qualunque tipo di sostegno teorico, dato che i vecchi e rifiutati principi socialisti non vennero applicati e i veri fondamenti del kibbutz - l'anarchismo - non furono mai nemmeno menzionati, o furono comunque scartati come obsoleti e irrilevanti.
Il collasso dell'impero sovietico non muta la situazione - a dispetto di coloro che sostengono il contrario - del movimento del kibbutz. Ogni kibbutznik comprende istintivamente che il comunismo ha ben poco a che vedere con la sua vita. Di conseguenza, tale decesso fu del tutto irrilevante rispetto ai problemi che si trova ad affrontare nella sua esistenza.
Ma la crisi del kibbutz di cui oggi siamo testimoni è resa più grave e pericolosa dalla mancanza di un supporto teorico di base, un vuoto creato dal disprezzo per i suoi principi anarchici, che vengono applicati nella vita del kibbutz ma non sono mai menzionati.
Forse oggi è più importante che mai riesaminare la teoria anarchica in rapporto al kibbutz.

Giora Manor giornalista (critico teatrale e di danza) e membro del Kibbutz Mishmar HaEmek.

(traduzione dall'inglese di Stefano Viviani dalla rivista israeliana Kibbutz Trends, estate 1993)