Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 214
dicembre 1994 - gennaio 1995


Rivista Anarchica Online

Il video spento
di Valerio Pignatta

Parlare oggi di televisione sembra ormai abbastanza scontato specie dopo il successo elettorale di chi fino a pochi mesi fa era un'entità inesistente. Infatti solo ora, come risvegliandocisi da un brutto sogno, si cerca di capire come sia potuto accadere e se per caso non ci stia sfuggendo qualcosa. Migliaia di libri sono stati scritti sulla televisione per criticarla, per evidenziarne gli aspetti positivi, per capirla, per svelarne i meccanismi, per tentare di riformarla, ecc. ecc .. Tutti questi libri, o la stragrande maggioranza di essi, non hanno però messo in dubbio l'esistenza della stessa o discusso l'ineluttabilità della sua necessità. E sì che di motivazioni ce ne sarebbero! Mi rifaccio qui all'unico autore che io conosca che sino ad ora ha affermato l'inevitabile scelta dell'eliminazione della televisione dalla società per poter innescare un vero processo rivoluzionario che porti ad una autentica democratizzazione del mondo in cui viviamo. Quest'autore è Jerry Mander che alla metà degli anni settanta (vent'anni fa!) diceva appunto nel suo Quattro argomenti per eliminare la televisione (Dedalo, 1982, pp. 342, L. 22.000, è ancora in catalogo e si trova abbastanza facilmente) che: « ... il nostro voto ... significa ben poco alla luce della nostra impotenza nei confronti delle invenzioni tecnologiche che esercitano sulla natura della nostra esistenza un condizionamento maggiore di quello che qualsiasi singolo leader sia mai riuscito ad esercitare. Se non acquistiamo il controllo sulla tecnologia, tutto ciò che passa per democrazia non è che una farsa». E per dimostrare come la televisione sia una cattiva tecnologia al pari di armi e centrali nucleari il nostro autore, in alcune centinaia di pagine, illustra un numero congruo di ricerche e studi dai risultati incontrovertibili. Che la televisione ci condizioni, tutti lo sanno, ma «quanto», nessuno se lo immagina. Tantomeno si riesce ad immaginare a che profondità della nostra psiche i messaggi teletrasmessi possano arrivare e ottenere di radicarsi anche contro la nostra vigile attenzione, riaffiorando poi nei nostri discorsi di tutti i giorni come parti inscindibili della nostra amata indipendente facoltà discernere e di volere. Non ci credete? Provate! Chi scrive ha rifiutato la televisione una decina d'anni fa e da allora, ogni anno che passa, non fa che rallegrarsi della sua scelta. I mutamenti che si scorgono nella popolazione televisiva (la quasi totalità di quella esistente) specie agli occhi di chi vive, voi direte snobisticamente, senza apparecchio tv sono evidenti ed interessanti. La «realtà» della televisione va sostituendosi all'unica vera e per quanto sofferta Realtà che è il mondo che ci circonda e nel quale siamo immersi. I giornali riportano le notizie date in tv, riprendono le polemiche nate sullo schermo, commentano i fatti televisivi perdendo sempre più spesso il contatto con gli accadimenti del mondo reale. Le pagine di televisione sulla carta stampata aumentano e si è arrivati a trasmissioni radiofoniche che trasmettono in diretta una carrellata sui canali tv (come ad esempio qualche mese addietro «Zapping» su RADIO 1 ore 20 dal titolo « Quello che succede in tv raccontato alla radio») o spettegolezzano su personaggi e show televisivi per delle ore. I teleutenti sono trasportati ogni giorno in quel paradiso fittizio o inferno rosa che dir si voglia che è il mondo teletrasmesso oggi. La prima cosa che ci si dimentica troppo spesso di dire quando si parla delle possibilità di riformare in senso culturale e positivo i palinsesti dei programmi è tutta la tecnologia e l'economia televisiva si reggono su di un fondamentale pilastro che è l'audience. Questa parola non è altro che il sinonimo del noto comandamento del Capitale: il guadagno. In parole povere i telepotenti sia principi che baroni di campagna, si preoccupano del numero di utenti che è possibile influenzare con una campagna pubblicitaria studiata ad hoc per tempi, soggetti e contenuti. È tutto il resto che gravita attorno a questo concetto e non viceversa! Qualche anticapitalista di vecchia data potrebbe qui intravedere il ricorso storico di alcune categorie ideologiche ormai fuori moda che collimano stranamente coi ricordi dei suoi trascorsi giovanili. ... Il «consumatore televisivo» va incollato allo schermo a qualunque costo, fossero anche dei cadaveri dissezionati della Bosnia centrale o un linciaggio di un nero americano in diretta a dover ricalcare le scene. Anzi, tanto meglio! Il nostro Mander ci tiene a dimostrare da buon conoscitore del mondo televisivo quale è (era infatti uno dei maggiori agenti pubblicitari USA negli anni '60) che proprio per la struttura tecnica del mezzo televisivo la violenza, la competizione, il conflitto di sentimenti e la loro incarnazione in azioni sono più rappresentabili che non la serenità, la spiritualità, la disponibilità. Rendono di più insomma, catturano il telespettatore con una serie infinita di accorgimenti tecnici studiati per non far cadere l'allarme dei suoi sensori che sarebbero terribilmente a riposo (per le imprese pubblicitarie!) nell'osservare rappresentazioni gaudenti di cooperazioni armoniose, sentimenti di concordia e di unità. Quelle vanno dipinte nei quadri fiabeschi del paradiso pubblicitario dei consumi (e adesso anche di quello politico) bombardando l'utente attonito al momento giusto con qualcosa di rassicurante e di distensivo cui egli possa poi ricollegare la propria serenità. Un altro aspetto misconosciuto ai più sul quale si sofferma il Mander è quello dell"elitismo che circonda il mezzo televisivo. Elitismo di gestione (sono pochi quelli che si possono permettere di fondare e mandare avanti una rete televisiva), elitismo di potere (sono pochi, anche in una tv di stato, coloro che tengono in mano le redini dei palinsesti delle onde tv, i migliori oratori della piazza che ci siano). La televisione in sostanza è il peggior mezzo democratico che esista ed anzi spinge verso il totalitarismo della società inducendo tra l'altro i suoi membri a credere il contrario. Il sogno di ogni dittatore del presente e del passato. Oggi quel dittatore ce l'abbiamo in casa. Qualcuno si ricorda di un certo Orwell? La televisione ci spinge alla passività dandoci l'illusione della partecipazione. Da quello dei grandi viaggi e avventure a quello politico e civile il nostro coinvolgimento televisivo è una grossa bolla di sapone come sa benissimo chi ha fatto un viaggio nella Turchia orientale e vede poi un documentario sulla stessa. La realtà che ci viene venduta è di plastica! E qui si parla di vendite in senso stretto e non figurato. Ricordiamo a tutti gli anti berlusconiani, e in special modo ai più incalliti, che il loro Nemico guadagna circa 80 lire per ogni minuto che una testa pensante si inebetisce davanti ai suoi schermi. Quindi la prima cosa da fare per non gettare ingiurie e minacciare pesti e carestie alla stessa persona cui si allungano poi sottobanco le diecimila lire è facilmente immaginabile. È dunque più che visibile quello che qui si va sostenendo con Mander e cioè la necessità dell'eliminazione del mezzo televisivo. Lo so, ai più questo può suonare come una bestemmia ma aspettate a urlare il vostro sdegno. Aspettate qualche anno. L'importante è che osserviate attentamente la «società televisiva» ora, i suoi confini, le sue influenze e la sua ragnatela in modo da poter fare dei raffronti sicuri domani. Vi accorgerete che certe tecnologie vanno in un'unica direzione che non è possibile cambiare. La televisione non è riformabile perché come dice Mander «i suoi problemi sono intrinseci alla stessa tecnologia nella stessa maniera in cui la violenza è intrinseca alle armi da fuoco». Sicuramente molti si stupiranno di fronte ad una proposta che suggerisce di rimettere in auge l'uso tribale ormai dimenticato del tabù, ma occorre ricordare che i sistemi tabuisti delle culture antiche non erano le organizzazioni oscuramente irrazionali che riteniamo che fossero. Il loro scopo era quello di preservare l'equilibrio naturale in una data area e fissavano una volta per sempre quando il troppo era troppo. Oggi, sfortunatamente, siamo stati allontanati dalla possibilità di sapere come mantenersi in buona salute, noi e l'ambiente circostante, e non siamo più in grado di riconoscere quando c'è qualcosa che mette in pericolo la nostra armonia ecologica e gli equilibri politico-sociali del mondo in cui viviamo. Questa conoscenza in passato era radicata nella stessa cultura. Ma proviamo ad immaginarci un mondo senza televisione! Lo «spettacolo» che non potremmo più ottenere premendo un pulsante comodamente sprofondati nella solitudine casalinga sarebbe più che bilanciato dal ripristinarsi dei contatti umani, dalla ricomparsa di menti individuali, dal gusto della ricerca e della partecipazione personale. La reale esperienza della vita e dell'ambiente che ci attornia sostituiranno i falsi drammi e le foreste tropicali pornoecologiche della fiaba televisiva. Non potendo più evadere dalle penose condizioni di vita cui i tre quarti del globo sono sottoposti (ricordiamoci che la televisione nel terzo mondo arriva prima della strada e di tanti altri strumenti essenziali al soddisfacimento dei bisogni primari) sarebbe possibile una concreta presa di coscienza che la vita è più penosa per qualcuno che non per altri seguita dal desiderio di fare qualcosa per cambiare questa situazione. Liberandoci della televisione l'insieme delle nostre informazioni si ingigantirebbe istantaneamente. I processi politici cambierebbero. L'enfasi sarebbe posta sugli eventi locali, significando di conseguenza il nostro spostamento più ai fatti sui quali potremmo esercitare una certa influenza diretta. Ma non solo. Si aprirebbero iniziative più intelligenti dove si vedrebbe il prevalere dei contenuti sullo stile. La cultura riemergerebbe per rimpiazzare il lavaggio del cervello e anche la possibilità del singolo di discettare di filosofia, di poesia e di politica, si riaffermerebbe di fronte al declinare della cultura istituzionale, granitica, incolore. E sognando di questo passo si potrebbe andare avanti per molto ancora pensando agli effetti che si avrebbero sui consumi una volta che la gente non fosse più nella condizione isterica di acquistare a tutti i costi e quindi sull'ambiente che certamente ne trarrebbe provvidi benefici. Per non dire delle classi di pingui approfittatori televisivi e avventurieri dello schermo, politici e non, che si troverebbero disoccupati e in più a dover fare i conti con una moltitudine pensante. Ma tant'è. Al presente ci si accontenta della propria disobbedienza individuale ben consci della comicità che essa può rappresentare. D'altronde qui si rispettano i punti di vista di fumatori e non fumatori consolandosi col fatto che per i non fumatori le possibilità una vita migliore potrebbero essere maggiori anche se ciò non è detto. È comunque vero che ogni anno trascorso senza fumare è indubbiamente un avvenimento positivo per il nostro corpo così come ogni minuto di autocoscienza e di emancipazione dal mezzo televisivo è manna per le nostre cellule cerebrali, per la nostra libertà e per la nostra indipendenza, nonché primo passo, a mio avviso, per la costruzione di una civiltà decentrata, autogestita e libertaria.