Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 213
novembre 1994


Rivista Anarchica Online

All'ombra delle tricoteuses
di Carlo Oliva

Non so se vi sia sfuggita, un mesetto fa (per la precisione: sabato 1° ottobre) la pubblicazione, nell'apposita rubrica della "Repubblica" di Eugenio Scalfari di una lunga lettera al direttore di Marcello Veneziani. Il Veneziani, per chi non lo sa, è un fascista di un certo spicco: direttore del periodico "L'Italia settimanale", che io non conosco, ma alcuni considerano una specie di organo ufficiale del revisionismo filorepubblichino, notista e commentatore su non so quale quotidiano filoberlusconi (sarà il "Giornale", ma non ci giuro), il tipo aspira da qualche tempo al ruolo di ideologo ufficiale della nuova destra. Se la sua lettera vi è sfuggita, naturalmente, poco male: i fascisti, nonostante tutto, sono pochissimo interessanti e forse ormai non lo è più neanche Scalfari. Ma c'era un passaggio, in quella missiva, che mi sembra rivestire un certo interesse ed invitare - perché no? - a una qualche riflessione. Dunque, la lettera in questione, formalmente, è una variazione sul tema "noi due saremo anche avversari, ma su molte cose potremmo andare d'accordo". E come sempre in quella serie, le molte cose in questione si riducono, stringi stringi, alla inettitudine e alla pochezza altrui: noi due saremo anche avversari, ma siamo comunque due ganzi in un mondo di pidocchi. Il mittente trova negli editoriali del destinatario "umori e malumori" che sente di condividere. Ha apprezzato il suo ultimo libro come "una perla rara nel nostro giornalismo arruffone e incapace di sollevarsi da un palmo da terra". Si è accorto che "molte sue apprensioni sulla caduta del gusto e del livello culturale, molti dei suoi disgusti" li andava raccontando anche lui "da tribune più piccole e forse un po' più scomode". Insomma, è una vera e propria richiesta di riconoscimento di statusda parte di chi, pur consapevole della propria statura, sa che nel mondo dei Grandi si entra solo per cooptazione. Lo Scalfari, com'è ovvio, non si pronuncia esplicitamente in merito, ma il semplice fatto che pubblichi la missiva con un certo rilievo, in due colonne a giustezza doppia e senza commenti, sotto il titolo Onore all'avversario, è abbastanza significativo.
Ovviamente chi, come noi, non considera la maggioranza dei propri simili una marmaglia vile capace soltanto di ammirare la Grandezza dei Sommi, con tutto questo ha ben poco a che fare. Ma c'è un passaggio di quella lettera che raccomando alla vostra attenzione: quando, prima degli ossequi finali, il Veneziani pone la sua unica condizione. "Le chiedo solo una cosa" scrive. "Quando lei difende gli ideali della Rivoluzione francese, io non mi sogno di rovesciarle addosso il Terrore e il Genocidio, l'assassinio di Andrea Chenier e di Maria Antonietta. Provi anche lei, se io difendo i cattolici della Vandea o i fascisti volontari di guerra alla Berto Ricci, a non rovesciarmi addosso i roghi, la caccia alle streghe, i campi di sterminio, Anna Frank. E distingua tra destra e destra, tra uomini e uomini".
Niente di più ragionevole, a prima vista. A destra come a sinistra, gli armadi non sono avari di scheletri che nessuno sente il particolare bisogno di rivendicare. Ci si schiera con la grande Rivoluzione perché si condividono gli ideali di Libertà, Eguaglianza e Fraternità e non per simpatia innata verso le tricoteuses; si è comunisti in nome del riscatto del proletariato e non in quello dei processi di Stalin; ci si dichiara anarchici perché si crede alla libertà come valore assoluto e non perché si ritenga di dover comunque abbattere capi di stato in visita e collocar bombe nei teatri di varietà. E così, chi si schiera a destra può ben affermare di credere in valori "rispettabili", come suppongo siano il senso dell'appartenenza a una tradizione, la fedeltà alle istituzioni e a chi le rappresenta, l'etica aristocratica dell'onore personale e simili, senza correre il rischio di finire, almeno a titolo onorario, tra gli imputati di Norimberga. Figuriamoci. Di fronte alle contrapposizioni manichee, che fanno, absit iniuria, di ogni erba un fascio, bisogna saper distinguere tra destra e destra e tra sinistra e sinistra. La responsabilità morale è personale, e riguarda solo quanto facciamo personalmente e le relative motivazioni.
Ma...Ma il fatto è che in politica il discorso è molto meno convincente. Io non rinfaccerò certo Auschwitz a Marcello Veneziani, anche perché il riferimento comporta una dimensione tragica che non mi sembra si addica al personaggio, ma penso comunque che il fascismo di Auschwitz sia corresponsabile e, anche per questo, per quanto la cosa sia un po' fuori moda, resto antifascista (e quindi ostile a tutti i fascisti, lui compreso). La politica, anche se ammette, con qualche ipocrisia, la figura dell'indipendente, è innanzitutto appartenenza. Ciascuno, naturalmente, è libero di definire la sua sfera di appartenenza, ma poi dev'essere conseguente. Insomma. Prendere dalla tradizione in cui, bene o male, ci si riconosce, solo quello che conviene e scartare come estraneo quello che non conviene, appropriarsi del positivo e lasciare il negativo agli altri, tutto sommato, è un po' troppo facile. Perché, invece, tutto si tiene e tra i "volontari di guerra alla Berto Ricci" e i campi di sterminio (e tra Robespierre e la ghigliottina, naturalmente, per non dire di altre più recenti forme di Terrore cui la sinistra non è stata estranea) esiste un rapporto - un legame - che posso affermare o negare, ma solo a mio rischio e pericolo. Il primo rischio e pericolo, ovviamente, è quello dell'isolamento. Quanto più sono schifiltoso nella selezione dei criteri, tanto più corro il rischio di trovarmi in una compagnia eletta, ma esigua. Sarò sincero: mi è venuto in mente che dell'argomento si sarebbe potuto discutere con profitto su "A" perché, in fondo, il discorso sembra fatto apposta per la sinistra libertaria; per chi nel grande patrimonio della tradizione rivoluzionaria ha sempre saputo scegliere quanto accettare e quanto rifiutare, a rischio appunto dell'isolamento e della messa in minoranza perpetua.
Ma quello, forse, non è il rischio maggiore. Il fatto è che operazioni di purificazione ideologica di questo tipo ("per favore, non rimproveratemi questo e quello: io non c'entro") si risolvono sempre in una rimozione. E rimuovere un problema, notoriamente, non significa risolverlo. Che la tradizione rivoluzionaria (la nostra, dico) sia percorsa dalle forme più sgradevoli di violenza e di autoritarismo è un dato, ahimè, incontestabile, ma il fatto che questo non ci piaccia non ci esonera dalle nostre responsabilità in merito. Anzi, solo riconoscendole, caricandoci sulle spalle anchequesto fardello, potremo sperare di far qualcosa che migliori la situazione. Se la violenza è qualcosa che riguarda gli altri, perché darcene pena? Ma se siamo convinti che riguarda anche noi, e non solo nel senso che potremmo esserne oggetti, ecco che il problema di che uso farne o non farne, di come limitarla e, possibilmente, sradicarla diventa molto, ma molto, importante. Non c'è scampo. Finché continueremo a credere a quella vecchia, ma utile, contrapposizione tra destra e sinistra, il Terrore giacobino (e anche quello di Stalin, naturalmente, ambiguità di Togliatti comprese) resterà un nostroproblema. Dovremo continuare a praticare la nonviolenza e ad aborrire l'autoritarismo all'ombra delle tricoteuses, più o meno in fiore. Se decideremo che quella contrapposizione non è più valida, naturalmente, dovremo farlo a braccetto con Marcello Veneziani e i suoi amici. Basta scegliere.