Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 212
ottobre 1994


Rivista Anarchica Online

La pelle dell'orso
di Maria Matteo

Un vecchio proverbio rivolto agli incauti suggerisce di evitare di vendere la pelle dell'orso se non si è ben certi di averlo ucciso. Mai come in questi ultimi mesi mi è capitato di pensare quanto opportuno sia l'invito alla prudenza in esso contenuto. La cultura di sinistra che era o quantomeno pretendeva di essere il più possibile laica e disincantata si è fatta cogliere completamente alla sprovvista dalle robuste zampate di un orso che lungi dall'essere morto si è risvegliato da un lungo letargo.
La grande vittoria elettorale delle destre che a molti può essere sembrata come mero fenomeno reattivo, niente di più che una rivolta contro le miserie di tangentopoli, oggi palesemente appare come episodio importante d'un ben più vasto cambiamento. Un cambiamento che interessa non solo la sfera politica ma la cultura stessa della nostra società. Se i deliri teocratici di Irene Pivetti, i reiterati attacchi all'aborto di alcuni ministri e la crescente violenza delle invettive papali contro una sessualità libera e consapevole catalizzano il dibattito pubblico, significa che, al di là degli esiti più immediati dello scontro in corso, le destre sono già riuscite a segnare un paio di punti decisivi. Venti o fors'anche dieci anni fa Irene Pivetti sarebbe stata un personaggio patetico e ridicolo, degno al più di un articolo di costume nelle ultime pagine di qualche quotidiano a corto di notizie. Oggi, non solo occupa una delle maggiori cariche dello stato, ma riesce altresì a focalizzare l'attenzione dell'opinione pubblica riempiendo le prime pagine dei maggiori organi di informazione. La stampa progressista tenta di cavarsela tracciando qualche bozzetto satirico: «Irene la santa», «Irene la suora», «Irene novella Giovanna d'Arco» ma tuttavia non riesce a celare il proprio imbarazzo di fronte al riapparire inusitato e paradossale di concezioni che supponeva relegate nel ciarpame della storia. Nel secolo di Hitler, Stalin, Mao e Franco è indubbio segno di miopia e scarsa lungimiranza politica. D'altro canto una sinistra sostanzialmente incapace di fare i conti con il 1989 ha finito con lo spalancare le porte alle velleità della destra più retriva di regolare i conti con il 1789. L'implosione dei regimi comunisti dell'est europeo ha finito col trascinare con sé la tensione e la speranza in una società di liberi ed uguali. Poco importa che il cosiddetto «socialismo reale» fosse la quintessenza dell'autoritarismo e della gerarchia. Berlinguer qualche anno fa fece la «storica» dichiarazione sull'esaurimento della spinta propulsiva della rivoluzione di ottobre. Gli anarchici se ne erano accorti settant'anni prima, tuttavia la questione della primogeniture è qui del tutto irrilevante.
Ben più importante è stata l'egemonia delle correnti marxiste ed autoritarie all'interno del movimento socialista ed operaio conseguente la vittoria dei bolscevichi in Russia. Un'egemonia tanto forte che la crisi dell'89 anziché spalancare le porte alle istanze libertarie ed anarchiche ha decretato toutcourt la fine del socialismo e delle istanze di emancipazione che ad esso si erano accompagnate. Così il vecchio padreterno, in versione cristiana o musulmana, si sta prendendo una clamorosa rivincita sui propri sostituti laici e terreni. Con buona pace di coloro che considerano la polemica antireligiosa ed anticlericale ormai superata, mero terreno di cultura per vecchi massoni ed anarchici scemi.

La battaglia del Cairo
Il processo di secolarizzazione iniziato due secoli orsono rischia quindi di subire una brusca battuta d'arresto. Liberalismo e socialismo pur su versanti opposti erano animati d'una robusta spinta utopica, sostenuti dalla convinzione che l'emancipazione umana ed il benessere generalizzato fossero obbiettivi raggiungibili. Oggi sappiamo che uno sviluppo illimitato non è compatibile con la conservazione dell'ambiente, che le risorse disponibili non sono infinite, che i meravigliosi successi della tecnica comportano pesanti conseguenze negative. L'incapacità di dare risposte concrete all'emergenza ecologica, al crescente ed incolmabile divario tra nord e sud, al moltiplicarsi di sacche di povertà nel cuore stesso del ricco nord hanno aperto la strada a vecchi e nuovi integralismi, permesso il risorgere prepotente dell'intolleranza, del razzismo, dell'egoismo sociale diffuso. Le ultime vicende di casa nostra finiscono pertanto col riverberare una più generale situazione i cui contenuti sono assai preoccupanti. Ne abbiamo avuto evidente dimostrazione in occasione della conferenza su «Popolazione e sviluppo» tenutasi di recente al Cairo. Una conferenza il cui obiettivo doveva essere l'elaborazione di un piano atto a contenere lo spaventoso ritmo di crescita della popolazione mondiale, si è risolta in una guerra di religione, che ha visto significativamente uniti in una sorta di santa alleanza il vaticano e le tre maggiori organizzazioni panislamiche.
Sbaglierebbe tuttavia chi vedesse nella battaglia del Cairo una mera riedizione dello scontro tra istanze illuministiche e razionali ed oscurantismo religioso e clericale, una contrapposizione tra scienza e fede, tra tecnici e mistici. Oggi infatti la razionalità tecnica non è più in grado di fare promesse o prospettare soluzioni a problemi in buona parte provocati dalla sua stessa prepotente invadenza, dell'arrogante pretesa di controllare e dominare una pianeta che le si frantuma sotto i piedi.

Compromesso impossibile
La Banca mondiale, organismo non certo sospettabile di vene filantropiche o di simpatie di sinistra, già nel '90 nel suo annuale rapporto dedicato allo sviluppo, significativamente titolato «Povertà», suggeriva delle politiche di intervento nel sud del mondo che nel migliore dei casi avrebbero contribuito ad arginare la grave indigenza cui erano condannati un miliardo e duecento milioni di esseri umani. Assistenza sanitaria di base, pianificazione familiare, alimentazione ed istruzione elementare non avrebbero migliorato la situazione ma soltanto impedito che peggiorasse. Le sorti magnifiche e progressive paiono definitivamente cancellate dall'orizzonte dell'umanità: i tecnici si arrendono impotenti, limitandosi a suggerire di tamponare qua e là le falle più grosse. Al Cairo la croce e la mezzaluna hanno combattuto e sostanzialmente vinto contro un nemico le cui armi erano decisamente spuntate. Integralisti cristiani e musulmani hanno avuto buon gioco in una partita in cui lo spirito umanitario e la razionalità era appannaggio di un nord opulento e predatore la cui preoccupazione per l'eccessivo incremento demografico andava di pari passo con il timore di nuovi, potenti flussi migra tori.
Si calcola che oggi vi siano cinquecento milioni di persone in condizioni di fame che si triplicheranno nel giro dei prossimi anni: non è difficile immaginare la turba minacciosa e prolifica dei senza speranza bussare con prepotenza alle frontiere dell'Europa e dell'America. Non li fermeranno legislazioni più restrittive, la minaccia delle armi o la deportazione, poiché già oggi vediamo che chi non ha nulla da perdere può ben permettersi di perdere tutto.
Qualcuno potrebbe obbiettare che al Cairo per la prima volta si è tentato di evitare un approccio semplicemente tecnico, che è emerso il collegamento tra analfabetismo (soprattutto femminile) ed espansione demografica, che finalmente si è posto l'accento sull'importanza dell'emancipazione delle donne. Ma nei fatti la ricerca di un compromesso impossibile ha finito col depotenziare un documento che almeno sul piano dei principi poteva avere una qualche rilevanza. Non sarebbe comunque stato sensato aspettarsi altro da un'assise composta dai governanti della terra, da quegli stessi cui spetta la responsabilità del sottosviluppo, dell'ingiustizia, della predazione e della guerra. Tra i nemici della salute, dell'autonomia e della felicità della donne (e degli uomini) papa ed imam occupano un posto di rilievo: questa è una semplice verità che non poteva certo emergere al Cairo.
Naturalmente il pragmatico di turno potrebbe osservare che al di là dei principi v'è stato l'impegno concreto a realizzare investimenti per migliorare la salute e l'istruzione. Tutto ciò sarebbe indubbiamente positivo se non sapessimo quali enormi truffe siano spesso stati i programmi di cooperazione con il terzo mondo. Una cooperazione i cui frutti sono andati a regimi dittatoriali che li hanno destinati all'acquisto di armi per il mantenimento di ristrette caste di privilegiati il cui unico merito era «l'amicizia» verso questa o quella potenza del nord. Inoltre come più di un'analisi ha ormai sufficientemente evidenziato, nulla è stato fatto né si vuole fare per eliminare il debito che, tra i fattori di sottosviluppo, è forse il più grave. Quello del debito è un meccanismo perverso che fa sì che più del 60% del reddito dei paesi del terzomondo sia destinato a pagare interessi calcolati in dollari artificialmente sopravvalutati.

Tra l'incudine e il martello
La solidarietà tra nord e sud non può passare attraverso la mediazione degli stati, così come la libertà delle donne non si può negoziare con i preti. Gli «esperti» dell'O.N.U. annunciano il diluvio, mentre i due terzi dell'umanità ha già l'acqua alla gola.
Tutti o quasi, riconoscono la necessità di un'inversione di rotta ma poi per lo più si limitano a sgottare con secchiellini bucati. Il modello di sviluppo del nord è tale da compromettere l'esistenza dell'umanità e si regge sulla povertà ed il sottosviluppo del sud: è anche questa una semplice verità che certo non poteva essere enunciata al Cairo.
Il Vaticano quindi non può essere considerato l'unico campione nel negare l'autonomia delle donne, poiché alla fin fine il population estabilishment tenta di controllare le decisioni delle donne sul proprio corpo non meno del papa. Il quale peraltro risulta tutto sommato più credibile, poiché non si limita a tuonare contro l'aborto e la contraccezione ma stigmatizza anche lo scambio ineguale tra nazioni industrializzate e in via di sviluppo.
I divieti religiosi in materia d'aborto non sono meno devastanti per la salute e la libertà delle donne delle sterilizzazioni forzate. Le condizioni di una maternità consapevole e sicura non sono date dalla mera diffusione di pillole e preservativi ma dalla trasformazione profonda dello status etico, politico, sociale ed economico delle donne, specie nei paesi più poveri.
Al Cairo le donne si sono trovate tra l'incudine e il martello, strette tra il fuoco di fila degli integralisti e le bordate dei tecnici, spettatrici impotenti di una pantomima sui loro corpi che nella realtà di milioni di donne è tragedia quotidiana. Lo scontro tra integralismo ed occidente, tra religione e modernità non può vederle schierate per l'una o l'altra fazione ma le ritrova, ci ritrova impegnate a partire da noi, dai corpi mutilati delle donne infibulate, dagli uteri martoriati delle madri-bambine, dai ventri distrutti dalle troppe gravidanze o dagli aborti clandestini, dalla nostra soggettività negata ed infranta.

Pivetti da dimenticare
La fine delle grandi narrazioni laiche è disgrazia epocale per una sinistra timida e senza prospettiva non certo per la libertà delle donne, sempre «dimenticata» dalle grandi rivoluzioni, troppo occupate a realizzare la palingenesi dell'intera umanità per aver tempo per i singoli. Cittadino e proletario sono universali astratti che non rappresentano ma celano l'identità delle donne e la possibilità stessa di percorsi di liberazione in cui le differenze, tutte le differenze siano una grande ricchezza da salvaguardare.
Partire da sé, la pratica delle donne libere di questo secolo, è l'unica capace di impallinare definitivamente quel vecchio orso, l'unica atta a riportare Irene Pivetti nell'album dei ricordi da dimenticare.