Rivista Anarchica Online
La resistenza continua
Le pratiche di occupazione, o meglio di riappropriazione di spazi, tempi, identità
stanno dimostrando tutta la
loro valenza e potenzialità, essendo ormai l'elemento centrale della prassi rivoluzionaria e non una
semplice
componente tra le tante, come è avvenuto in passato. I centri sociali autogestiti, le case occupate,
occupazioni
più o meno recenti di scuole ed università, occupazioni di terre e casali (a quando le fabbriche?)
rispondono a
degli insopprimibili bisogni e diritti. Ma non si tratta solo di questo: l'autogestione, la pluralità, la
creatività,
il rispetto e la valorizzazione delle individualità e delle diversità, la autoorganizzazione
antiautoritaria, sono tra
i più importanti fattori che caratterizzano il successo nella conduzione di queste realtà. Ma non
è tutto neanche
questo: questi fattori, cui corrispondono degli ideali ferrei e ben definiti, anche se non se ne ha la piena
consapevolezza, costituiscono di per sé l'ALTERNATIVA. Alternativa a un modello di sviluppo
perverso, alla
repressione, all'ingiustizia sociale, all'egoismo, al nazionalismo, ad una dis-cultura vacua e artificiale, a dei
rapporti umani dis-umani, al consumismo ed alla mercificazione capitalistici, al lavoro salariato, insomma a
tutto quello contro cui lottiamo e sempre lotteremo. I nostri valori e la nostra prassi costituiscono un
MODELLO che come tale deve essere il punto di riferimento per lo sviluppo di altre, diverse e sempre
più
numerose realtà autoorganizzate. Nell'attuale periodo storico, alla fase istintuale di sfogo della rabbia
deve
essere accompagnato e succedere l'aspetto propositivo, che consiste esattamente in ciò che si sta
già facendo
e negli obiettivi che ci si propone di raggiungere. Il problema in molti casi è ancora la
automarginalizzazione
delle realtà antagoniste, che deriva dall'immagine che si riesce a proiettare all'esterno dell'universo
antagonista
stesso. Siamo in un periodo in cui il tempo stringe, dal momento che la controparte, gli altri, non sono tutti
uguali, ed attualmente ci sono "capitati" i peggiori (al di là delle analisi critiche sul ruolo della
cosiddetta
sinistra istituzionale, sul consociativismo ecc. ecc ... ). La vitalità ed il successo delle pratiche
autogestionarie,
o al contrario il grado di repressione della reazione suscitata, non devono farci autogratificare, anche se possono
ovviamente rappresentare motivi di entusiasmo o compiacimento. L'impegno deve essere rivolto al proporsi
all'esterno e rendersi visibili, a dimostrazione della possibilità di realizzazione di quelle che vengono
considerate
delle utopie, ma che sono realtà già pienamente compiute o quasi, anche se ancora relativamente
marginali e sconosciute. Da parte di noi stessi scaturisce una tendenza a sottovalutare la portata delle
esperienze antagoniste,
c'è la convinzione che esse siano e debbano rimanere un affare esclusivamente nostro, fortini da
difendere
strenuamente soltanto per la soddisfazione dei nostri diritti o bisogni vitali. In realtà le nostre
potenzialità vanno
molto al di là di questo: i valori libertari ed antiautoritari sono validi per tutti, sono l'unica prospettiva
possibile
per l'intera società ed a livello planetario. Credo che tutti noi vorremmo che tutto funzionasse come un
centro
sociale o una comune agricola: il nostro ruolo attuale è quello di dimostrare che le nostre realtà
sono non solo
possibili, ma necessarie. La vera valenza rivoluzionaria del nostro lavoro è in questo, non nel grado di
aggressività o di intemperanza con i quali ci esprimiamo. Lo sanno tutti che siamo sempre più
incazzati, non
è sempre opportuno urlarlo ad alta voce, esaurendo così il nostro impegno all'esterno nello
sfogo emotivo. La
forza della nostra trasgressività sta nella disobbedienza e nella ribellione ad un mondo di dis-valori che
qualsiasi
potere impone dall'alto alle "masse", e nella pratica di alternative universalmente valide, che necessariamente
devono essere proiettate all'esterno. Non dobbiamo essere contenti di essere diversi e minoranza elitaria, ma
dobbiamo proseguire con passione e divertimento, impegnandoci anche e soprattutto nella esteriorizzazione dei
contenitori antagonisti. Nel fare questo la radicalità dirompente e la conflittualità sono
già insite nei contenuti
da noi proposti. L'informazione è rivoluzionaria. Nel mostrarci all'esterno ci sentiamo ancora in dovere
di
manifestare aggressività, violenza ed intolleranza, le prime caratteristiche che noi stessi abbiamo
bandito nella
costruzione delle nostre realtà, di cui forniscono un immagine fondamentalmente distorta. Il rifiuto che
sentiamo
lo esprimiamo mediante le alternative con cui mettiamo in discussione ed attacchiamo lo schifo che ci circonda,
non facendo la faccia cattiva alla prima occasione che ci si presenta, o rispondendo puerilmente a delle patetiche
provocazioni. Determinati mezzi sono sicuramente necessari, ma anche a scopo difensivo risulterà
molto più
determinante la correttezza dell'informazione che fuori esce dalle nostre realtà e il livello di
coinvolgimento che
sappiamo dimostrare. La violenza è sintomo di debolezza nei confronti dell'avversario e del nemico,
ma non
per questo ne rifuggiamo o ne condanniamo l'uso: il punto è che dobbiamo prendere coscienza della
forza
invincibile ed inarrestabile di cui siamo in possesso, proprio in quanto portatori dell'unica alternativa razionale
e valida non solo alle discoteche e all'eroina, che sono ovviamente soltanto dei sintomi, ma alla malattia del
regime della violenza, della sopraffazione, della alienazione e dell'ignoranza: la nostra è la saggezza
dell'autodeterminazione, dell'autogestione, della giustizia, della cooperazione e della solidarietà, in una
parola
della LIBERTÀ.
Luca Todini (Torgiano)
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