Rivista Anarchica Online
Ieri come oggi
di Marc de Pasquali
«Vivrò fra i miei tormenti e le mie cure... Temerò me medesimo,
e, da me stesso Sempre fuggendo, avrò me sempre appresso». La Gerusalemme liberata
Nel 1520 con la morte di Raffaello viene sotterrata la sintesi del classico, la simulazione del bello e
dell'armonioso, si pone fine al Rinascimento cerebrale (si rammenti il trionfo della Cappella Brancacci di
Masolino e Masaccio, e di Lippi), sospeso in quel Medioevo sinistramente privo del concetto equivoco di
realtà, al centro del mondo, umiliato dal paradosso gerarchico della fede. Da Lutero a Calvino, da
Copernico
sino a Galileo, da Shakespeare a Cervantes, dall'Ariosto al Tasso, subentra l'anarchia della forma
espressionista, l'inquietudine della consapevolezza, una scioltezza individuale, l'intelligenza dell'esperienza.
Il sogno è finito, l'arte non è ingenua né imitazione ordinata, è interpretazione.
Sorge un raffinato ed
emotivo Manierismo, vituperato e osannato. Il genio, la sua solitudine, l'isolamento dell'ispirazione unica
autorevole voce, dà corso alla spiritualità del talento. Michelangelo è esemplare. E
così Pontormo (da
Michelangelo ammirato), il precario originale debole schivo miscredente e antimondano, rivoluzionario per
alcuni, epigono per altri, Jacopo Carrucci (nato cinquecento anni fa il 24 maggio a Pontormo - Empoli, non
festeggiato da quest'Italia cianciona e orbata). Figlio d'un pittore che lo lascia presto orfano, tredicenne
viene messo a bottega da Leonardo, poi dall'invidioso perché concorrente Andrea del Sarto (che
inizialmente emula soprattutto nei ritratti), accanto al coetaneo Rosso Fiorentino, caratterialmente opposto
perché estroverso, è la personificazione dell'angoscia depressiva, maniacale, dell'artista che non
riesce a
mascherare, travestire, sublimare il terrore della morte, patendone le nevrosi dell'agorafobia e della
nosofobia, dell'anoressia con crisi d'ipocondria, di malinconia - il nero della bile. Tutto ciò lo
apprendiamo
dalle Vite dell'erudito Vasari, negli scritti dell'affezionato allievo Bronzino che devoto gli batte
ripetutamente all'uscio onde farlo sortire (Pontormo entrava dalla finestra ritirando la scala e
isolandosi per
giorni), specialmente l'apprendiamo dai due anni del suo diario (iniziato nel 1554), un'ossessiva elencazione
di cibi consumati, di lavoro rifatto, disegni da ritoccare - agli Uffizi, ginocchi sbucciati da villani carretti
che passano rasenti i muri. Il tardo Medioevo, la capitolazione delle civiltà azteca e inca, l'avvento
d'lvan il Terribile, le invasioni di
Carlo V protettore della chiesa (il sacco di Roma), Pontormo li assorbe con nascente alienazione, e
l'accumulazione precapitalista che spinge il lavoro allo sfruttamento, la meccanizzazione, la quantità,
la
settorializzazione, nell'assillo della competizione, della precarietà politica, della spinta sessuale, nella
mortificazione della qualità. Il peggio diviene forte, organizzato, monetizzato. Col danaro si ha tutto,
ci si
sposta, si pagano eserciti, anelando un presunto successo che spersonalizza e svuota. L'apparenza impera
sebbene appaia rovinosa, così il sovraffollamento delle città sempre più vaste e
squadrate. A Firenze arriva la peste, e Pontormo (protetto dai Medici) si rifugia nella Certosa del Galluzzo
(Val d'Ema)
esternando negli affreschi delle Storie della Passione il dramma della deformazione, della
reazione, in stile
nordico, tedesco, riprendendo le xilografie di Dürer che sono impregnate del compromesso della Riforma,
della rivolta contadina (appoggiata da pochi coraggiosi: il pittore Ratgeb viene squartato in piazza a
Stoccarda). Ritenuto il risultato visionario di Dürer più la fisicità di Michelangelo
(che studiò nella Cappella Sistina
negli unici due viaggi della sua esistenza), classificato quarto dopo Andrea del Sarto da Stendhal, Pontormo
è invece sommo, unico nel Cinquecento per rare belle maniere, un fluire, precursore dei turbini di El
Greco
e di Caravaggio (si vedano per esempio la sua Cena di Emmaus agli Uffizi ed a Brera quella del
Caravaggio), senza dimenticare Ingres (o narrativamente Gadda che lo usa per dei paragoni nel
Pasticciaccio). Messaggero dei tormenti spirituali e antisociali dell'epoca placati nell'arte,
Pontormo resta
un angelo volante ed eclettico, autorecluso e autocritico esagerato perché veggente oltre l'orizzonte
terreno
(malgrado non riesca a parare il doloroso insediamento d'alcune schegge esterne che s'infilano nell'anima
oltre che nei denti), e differente a seconda di quel che guardandolo si pensa o si conosce o si vede o si sente,
in una ricezione molto personale, sempre intrigante, nuova. Siamo nel primo struggente Manierismo (titolo
del libro di Hauser ed. Einaudi da leggere: illuminante). II trasporto di Cristo al sepolcro del
Pontormo (1525-28) pala (restaurata nel '700) della Cappella Capponi
(disegnata dal Brunelleschi nella chiesa di santa Felicita a Firenze, è un capolavoro d'anticonformismo
sperimentale (Pasolini lo citerà nell'episodio de La ricotta), rappresentazione alta - anche
alla lettera, così
verticale e piramidale com'è - gugliata nella lagrimevole aleatorietà aerea: nessuno è
appoggiato se non con
la punta d'alcune dita dei piedi che sfiorano appena il suolo, come in un ballo sabbatico fermato
all'improvviso per meglio teatralizzarlo; le vesti vaporose cangiano per la luce, dall'indaco malva al rosato,
dall'oliva al canarino albicocca, e quel bluetto cilestrino ... ombre e colori scoloriti nei meriggi estivi della
Toscana; appaiono diafane (si vedano il petto e il ventre tesi per la circostanza dell'ambigua figura in alto a
destra - san Giovanni); gruppo di fantasmi corposi, sorpresi da lampi nucleari mentre fermentano con gli
occhi sbarrati, ubriachi di stupefazione (narici dilatate, labbra socchiuse), meduse che fissano Maria,
altrove, con gelatinosa apprensione - non vogliono contemplare l'evento di quel cadavere vitreo (il Cristo)
che aleggia nel loro languore danzante; l'incarnato di tutti è lisciato, gelato da sudori umani; sullo
sfondo il
cielo del mondo non ha spazio se non per una nuvolina più insignificante che lontana; il bell'uomo a
destra
della Madre (con turbante) barbuto quanto colui ch'è stato appeso, è un autoritratto di Pontormo
- san
Giuseppe. La croce, o le croci, non appaiono, non esistono se non dentro. L'enigmatico Alabardiere
(1529-30 a New York), vagamente strabico per non aderire completamente alla
realtà della propria milizia guerresca che lo rende però fiero e fallico, posa pieno di grazia
seduttiva in una
mostra d'ornamenti civettuoli (dalla collana; alla berretta medagliata e piumata - rossa come le braghe, al
nastrino scomposto del camiciotto), gioventù elegante più che possente in una tela stesa con
pennellate
gonfie nelle maniche, nel busto allungato, tagliato nella cubicità dello sfondo, un dipinto efebico,
l'apogeo
degli allievi figli adottivi in carne e ossa che gli bussano alla porta per portarlo a cena, fra un malumore e
l'altro. Marziana e sofisticata l'enfasi sensuale della Visitazione (1528-30 a Carmignano nella
Pieve di san
Michele), il contrario dell'asessuata Deposizione di cui s'è parlato. Anche questa
rappresentazione è sospesa,
in punta di piedi, uno dei più carnali abbracci sororali nella storia dell'arte. Le figure sono leggere,
gonfie di
gas, d'acqua, come i palloncini dei bambini che s'alzano malgrado le grida d'implorazione; paiono dei
cadaveri galleggianti (e davvero Pontormo li teneva a mollo all'epoca del Diluvio - impuzzettando
il
vicinato); ci sono due donne (cos'è la bellezza autunnale, da foglia rossastra, vissuta, dell'anziana di
destra!)
in primo piano che (forse) si scambiano i segreti della procreazione, si fissano con fatica e dolcezza in un
reciproco sguardo profondo - catena senza fine, senza posa di madri e figlie - il passato dell'una, il futuro
identico, drammatico, doloroso, dell'altra; in fondo a sinistra cercano d'esistere due formichine sgraziate con
fattezze umane mentre altre due figure, che compongono lo schizofrenico quadrato, guardano (interrogano
meste e vinte) noi - oggi, il prodotto d'altri cinquecento anni d'intorbimenti, d'alienazione aleggiante,e
proprietari incoscienti, frenetici con la morte spettacolarizzata, nelle chiese rimangiata. Qui, in Europa, e
altrove, senza più melancore.
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