Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 211
estate 1994


Rivista Anarchica Online

Ieri come oggi
di Marc de Pasquali

«Vivrò fra i miei tormenti e le mie cure...
Temerò me medesimo, e, da me stesso
Sempre fuggendo, avrò me sempre appresso».
La Gerusalemme liberata

Nel 1520 con la morte di Raffaello viene sotterrata la sintesi del classico, la simulazione del bello e dell'armonioso, si pone fine al Rinascimento cerebrale (si rammenti il trionfo della Cappella Brancacci di Masolino e Masaccio, e di Lippi), sospeso in quel Medioevo sinistramente privo del concetto equivoco di realtà, al centro del mondo, umiliato dal paradosso gerarchico della fede. Da Lutero a Calvino, da Copernico sino a Galileo, da Shakespeare a Cervantes, dall'Ariosto al Tasso, subentra l'anarchia della forma espressionista, l'inquietudine della consapevolezza, una scioltezza individuale, l'intelligenza dell'esperienza. Il sogno è finito, l'arte non è ingenua né imitazione ordinata, è interpretazione. Sorge un raffinato ed emotivo Manierismo, vituperato e osannato. Il genio, la sua solitudine, l'isolamento dell'ispirazione unica autorevole voce, dà corso alla spiritualità del talento. Michelangelo è esemplare. E così Pontormo (da Michelangelo ammirato), il precario originale debole schivo miscredente e antimondano, rivoluzionario per alcuni, epigono per altri, Jacopo Carrucci (nato cinquecento anni fa il 24 maggio a Pontormo - Empoli, non festeggiato da quest'Italia cianciona e orbata). Figlio d'un pittore che lo lascia presto orfano, tredicenne viene messo a bottega da Leonardo, poi dall'invidioso perché concorrente Andrea del Sarto (che inizialmente emula soprattutto nei ritratti), accanto al coetaneo Rosso Fiorentino, caratterialmente opposto perché estroverso, è la personificazione dell'angoscia depressiva, maniacale, dell'artista che non riesce a mascherare, travestire, sublimare il terrore della morte, patendone le nevrosi dell'agorafobia e della nosofobia, dell'anoressia con crisi d'ipocondria, di malinconia - il nero della bile. Tutto ciò lo apprendiamo dalle Vite dell'erudito Vasari, negli scritti dell'affezionato allievo Bronzino che devoto gli batte ripetutamente all'uscio onde farlo sortire (Pontormo entrava dalla finestra ritirando la scala e isolandosi per giorni), specialmente l'apprendiamo dai due anni del suo diario (iniziato nel 1554), un'ossessiva elencazione di cibi consumati, di lavoro rifatto, disegni da ritoccare - agli Uffizi, ginocchi sbucciati da villani carretti che passano rasenti i muri.
Il tardo Medioevo, la capitolazione delle civiltà azteca e inca, l'avvento d'lvan il Terribile, le invasioni di Carlo V protettore della chiesa (il sacco di Roma), Pontormo li assorbe con nascente alienazione, e l'accumulazione precapitalista che spinge il lavoro allo sfruttamento, la meccanizzazione, la quantità, la settorializzazione, nell'assillo della competizione, della precarietà politica, della spinta sessuale, nella mortificazione della qualità. Il peggio diviene forte, organizzato, monetizzato. Col danaro si ha tutto, ci si sposta, si pagano eserciti, anelando un presunto successo che spersonalizza e svuota. L'apparenza impera sebbene appaia rovinosa, così il sovraffollamento delle città sempre più vaste e squadrate.
A Firenze arriva la peste, e Pontormo (protetto dai Medici) si rifugia nella Certosa del Galluzzo (Val d'Ema) esternando negli affreschi delle Storie della Passione il dramma della deformazione, della reazione, in stile nordico, tedesco, riprendendo le xilografie di Dürer che sono impregnate del compromesso della Riforma, della rivolta contadina (appoggiata da pochi coraggiosi: il pittore Ratgeb viene squartato in piazza a Stoccarda).
Ritenuto il risultato visionario di Dürer più la fisicità di Michelangelo (che studiò nella Cappella Sistina negli unici due viaggi della sua esistenza), classificato quarto dopo Andrea del Sarto da Stendhal, Pontormo è invece sommo, unico nel Cinquecento per rare belle maniere, un fluire, precursore dei turbini di El Greco e di Caravaggio (si vedano per esempio la sua Cena di Emmaus agli Uffizi ed a Brera quella del Caravaggio), senza dimenticare Ingres (o narrativamente Gadda che lo usa per dei paragoni nel Pasticciaccio). Messaggero dei tormenti spirituali e antisociali dell'epoca placati nell'arte, Pontormo resta un angelo volante ed eclettico, autorecluso e autocritico esagerato perché veggente oltre l'orizzonte terreno (malgrado non riesca a parare il doloroso insediamento d'alcune schegge esterne che s'infilano nell'anima oltre che nei denti), e differente a seconda di quel che guardandolo si pensa o si conosce o si vede o si sente, in una ricezione molto personale, sempre intrigante, nuova. Siamo nel primo struggente Manierismo (titolo del libro di Hauser ed. Einaudi da leggere: illuminante).
II trasporto di Cristo al sepolcro del Pontormo (1525-28) pala (restaurata nel '700) della Cappella Capponi (disegnata dal Brunelleschi nella chiesa di santa Felicita a Firenze, è un capolavoro d'anticonformismo sperimentale (Pasolini lo citerà nell'episodio de La ricotta), rappresentazione alta - anche alla lettera, così verticale e piramidale com'è - gugliata nella lagrimevole aleatorietà aerea: nessuno è appoggiato se non con la punta d'alcune dita dei piedi che sfiorano appena il suolo, come in un ballo sabbatico fermato all'improvviso per meglio teatralizzarlo; le vesti vaporose cangiano per la luce, dall'indaco malva al rosato,
dall'oliva al canarino albicocca, e quel bluetto cilestrino ... ombre e colori scoloriti nei meriggi estivi della Toscana; appaiono diafane (si vedano il petto e il ventre tesi per la circostanza dell'ambigua figura in alto a destra - san Giovanni); gruppo di fantasmi corposi, sorpresi da lampi nucleari mentre fermentano con gli occhi sbarrati, ubriachi di stupefazione (narici dilatate, labbra socchiuse), meduse che fissano Maria, altrove, con gelatinosa apprensione - non vogliono contemplare l'evento di quel cadavere vitreo (il Cristo) che aleggia nel loro languore danzante; l'incarnato di tutti è lisciato, gelato da sudori umani; sullo sfondo il cielo del mondo non ha spazio se non per una nuvolina più insignificante che lontana; il bell'uomo a destra della Madre (con turbante) barbuto quanto colui ch'è stato appeso, è un autoritratto di Pontormo - san Giuseppe. La croce, o le croci, non appaiono, non esistono se non dentro.
L'enigmatico Alabardiere (1529-30 a New York), vagamente strabico per non aderire completamente alla realtà della propria milizia guerresca che lo rende però fiero e fallico, posa pieno di grazia seduttiva in una mostra d'ornamenti civettuoli (dalla collana; alla berretta medagliata e piumata - rossa come le braghe, al nastrino scomposto del camiciotto), gioventù elegante più che possente in una tela stesa con pennellate gonfie nelle maniche, nel busto allungato, tagliato nella cubicità dello sfondo, un dipinto efebico, l'apogeo degli allievi figli adottivi in carne e ossa che gli bussano alla porta per portarlo a cena, fra un malumore e l'altro.
Marziana e sofisticata l'enfasi sensuale della Visitazione (1528-30 a Carmignano nella Pieve di san Michele), il contrario dell'asessuata Deposizione di cui s'è parlato. Anche questa rappresentazione è sospesa, in punta di piedi, uno dei più carnali abbracci sororali nella storia dell'arte. Le figure sono leggere, gonfie di gas, d'acqua, come i palloncini dei bambini che s'alzano malgrado le grida d'implorazione; paiono dei cadaveri galleggianti (e davvero Pontormo li teneva a mollo all'epoca del Diluvio - impuzzettando il vicinato); ci sono due donne (cos'è la bellezza autunnale, da foglia rossastra, vissuta, dell'anziana di destra!) in primo piano che (forse) si scambiano i segreti della procreazione, si fissano con fatica e dolcezza in un reciproco sguardo profondo - catena senza fine, senza posa di madri e figlie - il passato dell'una, il futuro identico, drammatico, doloroso, dell'altra; in fondo a sinistra cercano d'esistere due formichine sgraziate con fattezze umane mentre altre due figure, che compongono lo schizofrenico quadrato, guardano (interrogano meste e vinte) noi - oggi, il prodotto d'altri cinquecento anni d'intorbimenti, d'alienazione aleggiante,e proprietari incoscienti, frenetici con la morte spettacolarizzata, nelle chiese rimangiata. Qui, in Europa, e altrove, senza più melancore.