Rivista Anarchica Online
Diversi da chi?
di Rino Ermini
È uscito Medicina Democratica n. 91. In questo numero appaiono, oltre
al sestante, interessanti articoli sulla
normativa inerente la cessazione dell'uso dell'amianto nelle lavorazioni, sul dopo Chernobyl (le ragioni
dell'«economia» e quelle della vita), sui congressi scientifici e gli interessi che vi stanno dietro, sulle difese
immunitarie, malattie infettive, vaccinazioni e trapianti d'organo, su un campo nomadi a Carrara che è
soprattutto una struttura di integrazione degli zingari e, infine, un articolato intervento arricchito da numerosi
dati sulla medicina veterinaria in Italia. Tuttavia, nucleo centrale di questo numero della rivista, sono
quattro approfonditi interventi sulla sordità, della
quale si dà una lettura su cui è opportuno riflettere. Concetto portante, altre volte espresso dalle
pagine di M.
D. a proposito delle diversità dovute all'handicap, è che non si deve continuare a ragionare della
diversità come
un qualcosa cui si deve semplice rispetto, ma un qualcosa che come ogni altra diversità produce
ricchezze e
quindi non va annullata; né va annullata per un'altra ragione: la diversità è specifica di
una personalità, di un
modo d'essere, pertanto annullarla significa annullare la personalità e un modo specifico d'essere. E
ancora: ciascuno di noi ha mille diversità rispetto agli altri, ma non per questo è considerato
handicappato;
perché allora non cominciare a sgretolare quel senso comune che classifica handicappato chi, ad
esempio, ha
una diversità riguardo alla vista, all'udito o altro? E per fare questo è necessario, appunto,
pensare la diversità
come un elemento che non è da eliminare per integrare bensì come un qualche cosa da cui viene
un altro modo
di vivere e vedere le cose, uno dei tanti modi, che deve essere accettato come eguale agli altri. Riporto,
dall'editoriale di Marcello Palagi, un passo significativo che bene introduce alla lettura degli altri tre
interventi: «I sordi oggi rivendicano la Lingua dei Segni, la loro lingua, dopo millenni di oppressione e violenze
e dopo un secolo e più di sistematica e intenzionale negazione di questo loro modo nativo di esprimersi,
sopravvissuto ed evolutosi nonostante persecuzioni e censure determinatissime da parte della cultura e della
pedagogia "udente", compresa quella progressista e di sinistra. E l'esistenza di una loro cultura, altra rispetto
a quella degli udenti, ma, antropologicamente, non inferiore, e di una loro storia. Affermano cioè non
solo il
diritto di restare sordi, di fronte soprattutto a una implantologia uditiva sostanzialmente pericolosa e devastante,
ma la positività di non essere come i "normali", di non udire. Si riconoscono come "etnia". Vogliono,
dopo che
per tanto tempo i democratici e le sinistre, hanno lottato per l'integrazione degli "handicappati" nella scuola dei
"normali", una loro scuola, separata, nella quale semmai siano i "normali" ad integrarsi».
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