Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 211
estate 1994


Rivista Anarchica Online

Paure d'estate
di Carlo Oliva

Strane cose succedono in Italia a mezza estate. Il governo decide, se non proprio di svuotare le carceri, di mandare a casa un numero rispettabile di detenuti e di rendere più difficile la carcerazione degli inquisiti, e i cittadini si mobilitano in massa in difesa della galera, come a dire a sostegno della magistratura inquirente e del suo diritto di continuare a mandare la gente in galera senza inciampi. Espressione politica di tale curiosa mobilitazione, peraltro, non sono le forze di opposizione, che a quanto pare hanno altro di cui occuparsi, ma il Ministro dell'Interno e i suoi colleghi di partito che, ci spiegano senza vergogna, avevano approvato il provvedimento in questione senza rilevarne, per leggerezza propria o malignità altrui, portata e significato. Il Presidente del Consiglio e i suoi fidi hanno chiaramente una gran voglia di mandare il Ministro dell'Interno a quel paese, ma, con tutta evidenza, non se lo possono permettere: per cui si difendono affermando che nel paese vige, in pratica, uno stato di polizia, una sorta di dittatura dei magistrati, che poco o nulla si curano dei diritti del cittadino, ma rinunciano comunque al progetto. Insomma, un casino immane, con un ministro che lascia ai cittadini l'unica alternativa di considerarlo un deficiente o un voltagabbana, un guardasigilli che attacca i suoi giudici, un capo del governo che di fronte a un problema di cui sottolinea la gravità non sa far altro che ammettere la propria incapacità di risolverlo e una sinistra che, a sua volta, non sa far altro che invocare un uso sempre più largo e diffuso delle manette.

Mostruosità ideologica
Poi, naturalmente, i magistrati, dopo aver assicurato di non avere la minima intenzione di contrapporsi all'esecutivo sul piano politico spiccano prontamente un ordine di arresto (pardon, di custodia cautelare) per il fratello del Presidente del Consiglio e un certo numero di collaboratori del medesimo (ex collaboratori, se davvero credete che il tipo, come dice lui, ormai faccia solo politica a tempo pieno) e tutti capiscono che l'accesso di garantismo del governo era quanto di meno disinteressato si potesse immaginare. Ma danni oramai ne sono stati fatti parecchi: metà delle inchieste in corso sui fatti di corruzione sono saltate, e, soprattutto, si è riconfermato il principio, non esattamente democratico, per cui la carcerazione preventiva a oltranza va considerato strumento principe di democrazia. E il bello è che di fronte a questa mostruosità ideologica i sedicenti progressisti e i democratici tutti si sentono confortati, perché gli sembra che finalmente di questo governo di destra, fino a ieri così minaccioso e potente, si possa avere un po' meno paura.
Bah. Personalmente continuo a credere che dalla difesa della galera non possa mai venire nulla di buono, anche se ormai sul problema si è alzata troppa polvere perché si possa cercare di trattarlo in termini ragionevoli. E in definitiva, sperando che nessuno se ne scandalizzi, di Berlusconi continuo ad avere paura.
Ma non confondiamoci le idee. Ci sono degli ottimi motivi per aver paura di Berlusconi e ce ne sono di pessimi. Non credo, per esempio, che si debba averne perché, stando al governo, l'ex televisionaro cerca di difendere i propri interessi. Resto convinto che la difesa degli interessi, come si dice, forti, quelli del capitale e dei grandi gruppi industriali e finanziari, è sempre stato compito primario dei governi, e il fatto che al governo oggi ci sia direttamente un padrone, e non uno di quelli che un tempo definivamo servi dei padroni, sia, in fondo, di importanza relativa: come si è visto questa estate, in politica la condizione di capitalista «in proprio» può essere persino un fattore di debolezza. Non lo temo neanche perché è un uomo di destra: abbiamo sempre avuto governanti, più o meno, di destra, anche se ogni tanto ci capitava di vederli appoggiati dalla sinistra (anzi, da questo punto di vista, un governo di destra appoggiato dalla destra mi sembra rappresentare un miglioramento piuttosto deciso). E non credo neanche che ci si debba preoccupare troppo del fatto che si tratti, con bella evidenza, di un bugiardo matricolato, di uno che assicura che non si occuperà di certe cose e rispetterà certe incompatibilità e poi sì che se ne occupa e no che non le rispetta. Se ricordate, i bugiardi non scarseggiavano nemmeno nei precedenti governi.

Come un Formentini qualsiasi
Insomma: non credo che l'uomo Berlusconi sia peggiore dei tanti leader democristiani o socialisti che ci siamo dovuti sorbire o che debba farci paura per le sue posizioni politiche o per un suo presunto strapotere politico. Le sue posizioni sono quelle classiche del moderatismo, e quanto alla sua forza reale, che si fonda, come si è visto, su un sistema piuttosto scivoloso di alleanze incrociate, è forse minore di quanto non sia parso all'inizio. Credo piuttosto che si debba temere, e parecchio, il tipo di lotta politica, la degenerazione del quadro politico, che il suo avvento sembra aver sanzionato.
Mi spiego. In quanto uomo di governo e leader di governo, di destra o no, Berlusconi fa solo il suo mestiere: se cerca di assicurarsi più consenso che può e di ridurre al minimo la voce dell'opposizione, se si mostra insofferente delle critiche e cerca di mettere le mani sul servizio televisivo pubblico, se protegge gli amici e attacca chi gli è ostile, non fa niente di diverso, con insignificanti variazioni di stile, di quanto facevano i suoi predecessori. Ma il fatto è che i suoi predecessori, in un modo o nell'altro, governavano. Con maggiore o minore capacità e dignità, con un senso più o meno elevato delle finalità e dei programmi, tenendo d'occhio chi il bene della sua parte, chi quello che onestamente considerava il bene pubblico e chi quello suo personale, impostavano delle politiche e cercavano di portarle avanti. Che è, ovviamente, il compito di chiunque decida d'insediarsi al governo (o, quanto a questo, all'opposizione) e che è appunto quanto in Italia, da quando è sceso in campo Berlusconi, nessuno sembra più interessato a fare.
Berlusconi non governa: conduce delle campagne pubbliche. Sceglie un obiettivo, non importa con quali finalità dichiarate o reali, e vi ci si dedica con la massima ostentazione, sotto gli occhi del paese tutto. Come un Formentini qualsiasi, che in un anno di amministrazione non ha saputo far altro che scontrarsi con i bravi giovani del Leoncavallo, si occupa solo di clamorose banalità: ha dedicato il primo mese del suo governo al problema dei vertici RAI e il secondo a quello del colpo di spugna, che sono problemi importanti, specie dal suo punto di vista, ma di discutibile centralità, vista la situazione in cui ci troviamo. Eppure su queste tematiche ha schierato tutti i suoi pezzi migliori e non ha lesinato interventi e sforzi personali. Del resto si è occupato pochissimo e con evidente disinteresse. Persino in un'occasione propagandisticamente feconda come quella del vertice napoletano del G7 è apparso chiaramente spaesato, a disagio.

Politica spettacolo
Il fatto è che Berlusconi non sa governare perché l'arte del governare, nel senso classico della teoria e della prassi politica, non gli interessa. Da bravo imprenditore lombardo, esponente, cioè, di una cultura che non ha mai avuto grandi interessi politici, è «sceso in campo» senza preoccuparsi di assemblare un'ideologia o un programma decenti, in nome di valori manifestamente pretestuosi o comunque risibili (la difesa dell'Italia dal comunismo: sì, figuriamoci ... ) e su obiettivi la cui genericità è dichiarata dalla loro stessa contraddittorietà e non falsificabilità (diminuire le tasse, aumentare le spese, ridurre il deficit...). Ma, come è ovvio per chi ha fatto fortuna vendendo immagini, concepisce la sua funzione essenzialmente come quella di un uomo di immagine: fare politica, per lui, significa proporre la propria immagine, legarla a un tema di conclamato interesse pubblico e, possibilmente, imporla sulle immagini concorrenti.
Niente di nuovo, naturalmente, in questi tempi di politica spettacolo. Niente di nuovo, ma qualcosa di cui è sempre meglio diffidare, vista la radicalità con cui l'uomo incarna e propone senza residui questo suo ruolo. Soprattutto se l'opposizione politica e sociale non riesce a tracciare le distinzioni necessarie e si fa regolarmente trascinare al seguito del Cavaliere e delle sue crociate d'immagine, dolendosi delle sue immaginose vittorie e gioendo per le sue immaginarie sconfitte, senza rendersi conto di dove tutto questo ci sta portando. Perché la politica spettacolo finisce con l'essere una specie di schermo, una pubblica telenovela la cui funzione, in definitiva, è quella di celare quanto più accuratamente lo svolgimento dei processi politici reali. Se chi afferma di governare in realtà non governa e si limita ad esibirsi di fronte all'opinione pubblica, qualcun altro governerà, no?
Ma il problema, allora, dovrebbe essere quello di scoprire chi.