Rivista Anarchica Online
Paure d'estate
di Carlo Oliva
Strane cose succedono in Italia a mezza estate. Il governo decide, se non proprio
di svuotare le carceri, di
mandare a casa un numero rispettabile di detenuti e di rendere più difficile la carcerazione degli
inquisiti, e i
cittadini si mobilitano in massa in difesa della galera, come a dire a sostegno della magistratura inquirente e del
suo diritto di continuare a mandare la gente in galera senza inciampi. Espressione politica di tale curiosa
mobilitazione, peraltro, non sono le forze di opposizione, che a quanto pare hanno altro di cui occuparsi, ma
il Ministro dell'Interno e i suoi colleghi di partito che, ci spiegano senza vergogna, avevano approvato il
provvedimento in questione senza rilevarne, per leggerezza propria o malignità altrui, portata e
significato. Il
Presidente del Consiglio e i suoi fidi hanno chiaramente una gran voglia di mandare il Ministro dell'Interno a
quel paese, ma, con tutta evidenza, non se lo possono permettere: per cui si difendono affermando che nel paese
vige, in pratica, uno stato di polizia, una sorta di dittatura dei magistrati, che poco o nulla si curano dei diritti
del cittadino, ma rinunciano comunque al progetto. Insomma, un casino immane, con un ministro che lascia ai
cittadini l'unica alternativa di considerarlo un deficiente o un voltagabbana, un guardasigilli che attacca i suoi
giudici, un capo del governo che di fronte a un problema di cui sottolinea la gravità non sa far altro che
ammettere la propria incapacità di risolverlo e una sinistra che, a sua volta, non sa far altro che invocare
un uso
sempre più largo e diffuso delle manette.
Mostruosità ideologica Poi, naturalmente, i magistrati, dopo aver
assicurato di non avere la minima intenzione di contrapporsi
all'esecutivo sul piano politico spiccano prontamente un ordine di arresto (pardon, di custodia cautelare) per il
fratello del Presidente del Consiglio e un certo numero di collaboratori del medesimo (ex collaboratori, se
davvero credete che il tipo, come dice lui, ormai faccia solo politica a tempo pieno) e tutti capiscono che
l'accesso di garantismo del governo era quanto di meno disinteressato si potesse immaginare. Ma danni oramai
ne sono stati fatti parecchi: metà delle inchieste in corso sui fatti di corruzione sono saltate, e,
soprattutto, si è
riconfermato il principio, non esattamente democratico, per cui la carcerazione preventiva a oltranza va
considerato strumento principe di democrazia. E il bello è che di fronte a questa mostruosità
ideologica i
sedicenti progressisti e i democratici tutti si sentono confortati, perché gli sembra che finalmente di
questo
governo di destra, fino a ieri così minaccioso e potente, si possa avere un po' meno paura. Bah.
Personalmente continuo a credere che dalla difesa della galera non possa mai venire nulla di buono, anche
se ormai sul problema si è alzata troppa polvere perché si possa cercare di trattarlo in termini
ragionevoli. E in
definitiva, sperando che nessuno se ne scandalizzi, di Berlusconi continuo ad avere paura. Ma non
confondiamoci le idee. Ci sono degli ottimi motivi per aver paura di Berlusconi e ce ne sono di pessimi.
Non credo, per esempio, che si debba averne perché, stando al governo, l'ex televisionaro cerca di
difendere i
propri interessi. Resto convinto che la difesa degli interessi, come si dice, forti, quelli del capitale e dei grandi
gruppi industriali e finanziari, è sempre stato compito primario dei governi, e il fatto che al governo
oggi ci sia
direttamente un padrone, e non uno di quelli che un tempo definivamo servi dei padroni, sia, in fondo, di
importanza relativa: come si è visto questa estate, in politica la condizione di capitalista «in proprio»
può essere
persino un fattore di debolezza. Non lo temo neanche perché è un uomo di destra: abbiamo
sempre avuto
governanti, più o meno, di destra, anche se ogni tanto ci capitava di vederli appoggiati dalla sinistra
(anzi, da
questo punto di vista, un governo di destra appoggiato dalla destra mi sembra rappresentare un miglioramento
piuttosto deciso). E non credo neanche che ci si debba preoccupare troppo del fatto che si tratti, con bella
evidenza, di un bugiardo matricolato, di uno che assicura che non si occuperà di certe cose e
rispetterà certe
incompatibilità e poi sì che se ne occupa e no che non le rispetta. Se ricordate, i bugiardi non
scarseggiavano
nemmeno nei precedenti governi.
Come un Formentini qualsiasi Insomma: non credo che l'uomo Berlusconi
sia peggiore dei tanti leader democristiani o socialisti che ci siamo
dovuti sorbire o che debba farci paura per le sue posizioni politiche o per un suo presunto strapotere politico.
Le sue posizioni sono quelle classiche del moderatismo, e quanto alla sua forza reale, che si fonda, come si
è
visto, su un sistema piuttosto scivoloso di alleanze incrociate, è forse minore di quanto non sia parso
all'inizio.
Credo piuttosto che si debba temere, e parecchio, il tipo di lotta politica, la degenerazione del quadro politico,
che il suo avvento sembra aver sanzionato. Mi spiego. In quanto uomo di governo e leader di governo, di
destra o no, Berlusconi fa solo il suo mestiere:
se cerca di assicurarsi più consenso che può e di ridurre al minimo la voce dell'opposizione,
se si mostra
insofferente delle critiche e cerca di mettere le mani sul servizio televisivo pubblico, se protegge gli amici e
attacca chi gli è ostile, non fa niente di diverso, con insignificanti variazioni di stile, di quanto facevano
i suoi
predecessori. Ma il fatto è che i suoi predecessori, in un modo o nell'altro, governavano. Con maggiore
o minore
capacità e dignità, con un senso più o meno elevato delle finalità e dei
programmi, tenendo d'occhio chi il bene
della sua parte, chi quello che onestamente considerava il bene pubblico e chi quello suo personale, impostavano
delle politiche e cercavano di portarle avanti. Che è, ovviamente, il compito di chiunque decida
d'insediarsi al
governo (o, quanto a questo, all'opposizione) e che è appunto quanto in Italia, da quando è sceso
in campo
Berlusconi, nessuno sembra più interessato a fare. Berlusconi non governa: conduce delle
campagne pubbliche. Sceglie un obiettivo, non importa con quali finalità
dichiarate o reali, e vi ci si dedica con la massima ostentazione, sotto gli occhi del paese tutto. Come un
Formentini qualsiasi, che in un anno di amministrazione non ha saputo far altro che scontrarsi con i bravi
giovani del Leoncavallo, si occupa solo di clamorose banalità: ha dedicato il primo mese del suo
governo al
problema dei vertici RAI e il secondo a quello del colpo di spugna, che sono problemi importanti, specie dal
suo punto di vista, ma di discutibile centralità, vista la situazione in cui ci troviamo. Eppure su queste
tematiche
ha schierato tutti i suoi pezzi migliori e non ha lesinato interventi e sforzi personali. Del resto si è
occupato
pochissimo e con evidente disinteresse. Persino in un'occasione propagandisticamente feconda come quella del
vertice napoletano del G7 è apparso chiaramente spaesato, a disagio.
Politica spettacolo Il fatto è che Berlusconi non sa governare
perché l'arte del governare, nel senso classico della teoria e della
prassi politica, non gli interessa. Da bravo imprenditore lombardo, esponente, cioè, di una cultura che
non ha
mai avuto grandi interessi politici, è «sceso in campo» senza preoccuparsi di assemblare un'ideologia
o un
programma decenti, in nome di valori manifestamente pretestuosi o comunque risibili (la difesa dell'Italia dal
comunismo: sì, figuriamoci ... ) e su obiettivi la cui genericità è dichiarata dalla loro
stessa contraddittorietà e
non falsificabilità (diminuire le tasse, aumentare le spese, ridurre il deficit...). Ma, come è ovvio
per chi ha fatto
fortuna vendendo immagini, concepisce la sua funzione essenzialmente come quella di un uomo di immagine:
fare politica, per lui, significa proporre la propria immagine, legarla a un tema di conclamato interesse pubblico
e, possibilmente, imporla sulle immagini concorrenti. Niente di nuovo, naturalmente, in questi tempi di
politica spettacolo. Niente di nuovo, ma qualcosa di cui è
sempre meglio diffidare, vista la radicalità con cui l'uomo incarna e propone senza residui questo suo
ruolo.
Soprattutto se l'opposizione politica e sociale non riesce a tracciare le distinzioni necessarie e si fa regolarmente
trascinare al seguito del Cavaliere e delle sue crociate d'immagine, dolendosi delle sue immaginose vittorie e
gioendo per le sue immaginarie sconfitte, senza rendersi conto di dove tutto questo ci sta portando.
Perché la
politica spettacolo finisce con l'essere una specie di schermo, una pubblica telenovela la cui funzione, in
definitiva, è quella di celare quanto più accuratamente lo svolgimento dei processi politici reali.
Se chi afferma
di governare in realtà non governa e si limita ad esibirsi di fronte all'opinione pubblica, qualcun altro
governerà,
no? Ma il problema, allora, dovrebbe essere quello di scoprire chi.
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