Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 206
febbraio 1994


Rivista Anarchica Online

Terrorismo di Stato
di Gianni Sartori

Ultimamente si sente parlare sempre più spesso della tragedia sudanese; anche la stampa italiana si è accorta che in questo stato africano è in atto da tempo una vera e propria operazione di «pulizia etnica» su larga scala. L'impressione però è che se ne parli anche in modo strumentale; un po' come della Somalia prima dell'intervento. Stiamo per assistere ad una nuova Restore hope in «salsa» sudanese? Forse è ancora presto per dirlo ma comunque va tenuto presente che si svolgerebbe in condizioni più favorevoli (schieramenti ben definiti: uno islamico e l'altro, per forza di cose, destinato a schierarsi con l'Occidente); almeno dal punto di vista degli Americani. Metto subito in chiaro una cosa: chi scrive non ha certo aspettato il viaggio del Papa per occuparsi del problema: su questo e altri giornali ho denunciato senza mezzi termini lo sterminio programmato cinicamente di più di mezzo milione di profughi deportati nel deserto e poi lasciati lì a crepare. E questo parecchi mesi prima che se ne accorgesse G.P. II°. Non nutro quindi simpatie di nessun genere per la politica genocida del governo sudanese. Devo dire però, per correttezza, che alcuni articoli (soprattutto inglesi e americani) mi sono apparsi «pilotati», quasi propedeutici a nuove avventure militari di carattere «imperiale», anche se sotto l'egida formale dell'ONU. Naturalmente le efferatezze di Kharthum gridano vendetta al cospetto di Dio e degli uomini: basti pensare a quelle denunciate recentemente dal SHRO (Sudan Human Rights Organization) che avvengono nelle famigerate «ghost houses» (torture, amputazioni ... ). Tuttavia non possono fornire l'alibi all'Occidente per l'ennesima operazione neocoloniale. Iraq e Somalia per ora bastano e avanzano... La liberazione del popolo sudanese (così come il diritto all'autodeterminazione delle popolazioni cristiane e animiste del sud) spetta al popolo stesso, senza interventi interessati di sedicenti «liberatori», a stelle e strisce o anche con il casco blu. Resta comunque degno di interesse analizzare (o meglio: tentare di farlo) quanto avviene nei misteriosi campi di addestramento di cui da più parti si denuncia l'esistenza (definiti «terrorist training camps»). Anche, o soprattutto, perché funzionali alla repressione interna. Sui media è stato periodicamente evocato lo spettro del terrorismo internazionale che in Sudan troverebbe asilo e addestramento. Si sostiene che qui verrebbero preparati, militarmente ed ideologicamente, terroristi di tutto il mondo, arabi in particolare, da inviare poi nelle aree strategiche del pianeta per compiere misfatti in nome dell'integralismo islamico antioccidentale. Al di là dell'uso strumentale che può esserne stato fatto le notizie sui campi di addestramento non sono prive di fondamento. I campi esistono, anche se soprattutto ad "uso interno", per preparare miliziani da inviare nel sud a fianco dell'esercito regolare. Questo vale anche per la presenza (tanto enfatizzata) di pasdaran iraniani e (purtroppo!) combattenti palestinesi che hanno preso parte ai combattimenti contro le popolazioni (cristiane e animiste) della parte meridionale del Sudan. Questa ormai è anche l'opinione di alcuni qualificati osservatori: «Terrorismo in Sudan? Più in casa che fuori (more at home than abroad)» ha risposto recentemente un alto funzionario delle Nazioni Unite. Qualche perplessità in proposito deve coltivarla anche la Casa Bianca. La decisione presa dagli Stati Uniti nell'agosto del '93 di aggiungere anche il Sudan alla lista degli stati che (secondo gli USA, naturalmente) sostengono il terrorismo internazionale (Cuba, Iran, Iraq, Libia, Corea del Nord, Siria) sembrava definitiva; ma poi non sono mancate dichiarazioni, anche di fonti ufficiali, che sostenevano come la decisione si fosse basata più su «indicazioni» (indications) che sull'«evidenza» (evidence). Dichiarazioni del genere confermano ulteriormente la confusione in tema di politica estera che attualmente regna a Washington, anche se naturalmente lo scopo è stato ugualmente raggiunto: ha rinforzato l'isolamento di Khartum dagli altri stati arabi e da quelli occidentali. Inoltre ha costretto il governo formato dal Fronte Nazionale Islamico a mobilitarsi per dare di sé un'immagine più decente all'estero e per rappresentarsi all'interno come autentica espressione della volontà popolare.
Non bisogna dimenticare che le posizioni via via assunte in proposito dagli USA riflettono in qualche modo (e permettono di interpretare) le posizioni di alcuni stati arabi moderati, in particolare dell'Egitto. Questo vale soprattutto per una certa dose di ambivalenza.
Il Cairo infatti ha periodicamente dichiarato di avere prove dettagliate dell'esistenza di campi di addestramento terroristico. Ma, quasi altrettanto periodicamente, ha dichiarato di non avere tali prove. Come è noto ha recentemente dichiarato che farà pressioni su Washington perché venga cambiata la decisione di inserire il Sudan nell'elenco degli stati che sostengono il terrorismo. Un po' meno noto è invece che in precedenza il Cairo aveva fatto pressione insistentemente in senso contrario. I campi esistono, si diceva. Secondo fonti d'agenzia solitamente ben informate «non c'è dubbio che in Sudan si addestrano persone che potrebbero essere usate in azioni del tipo di quelle comunemente definite terroristiche».
Quello che le stesse fonti ammettono è di non essere in grado di stabilire con assoluta certezza se il governo sudanese ha programmato queste attività anche in vista di un loro possibile impiego a livello internazionale. Prevale comunque l'impressione che l'addestramento di miliziani sia visto soprattutto come una garanzia per il mantenimento del regime che non ha certo intenzione di lasciare il potere senza combattere. I campi sono di vario genere: di pubblico dominio è da tempo l'esistenza di quelli per l'addestramento delle Forze di Difesa Popolare (People's Defence Forces; PDF). In questi campi l'addestramento dura dai tre ai sei mesi ed è obbligatorio per gli abitanti delle città, per gli studenti che hanno finito le superiori, per gli impiegati governativi di entrambi i sessi. Coloro che rifiutano di prestare questo "servizio" vengono licenziati e non trovano più lavoro. I partecipanti ricevono un rudimentale addestramento militare e soprattutto un indottrinamento politico e religioso, incentrato sul concetto di Jihad (Guerra Santa). Dei più importanti campi del PDF è nota anche la localizzazione. Si trovano a El Giteina (Nilo Bianco) e a Jebel Aulia (vicino a Khartum). Un altro campo più piccolo sarebbe dislocato a El Gereif (Khartum). In ognuno sarebbero sempre presenti migliaia di "coscritti". Un alone di mistero circonda invece i campi di El Mazraa (a nord di Khartum) e di Arous (vicino a Port Sudan) dove, a quanto pare, non si addestrano i semplici e ordinari miliziani del PDF. Molti altri, sconosciuti, sono stati allestiti nelle vaste aree poco abitate del Sudan. Qui si troverebbero i «consiglieri , stranieri» di cui ultimamente si è tanto sentito parlare. Negli ultimi tempi sono stati ripetutamente notati negli aeroporti ed in alcune località sudanesi misteriosi visitatori, piuttosto inusuali come «turisti». Alcuni erano sicuramente iraniani (di lingua «farsi» e con camicie senza collo), altri, presumibilmente arabi, con la barba ed il turbante, in genere tra i venti e i trenta anni.
Il governo li ha definiti «fratelli nell'lslam» senza meglio identificarli. «Certamente - ha osservato un funzionario d'ambasciata - non sembrano professori di teologia o "aid workers", come a volte sono stati descritti». Si calcola che gli iraniani presenti in Sudan siano almeno 2000 (duemila); per lo più si tratta di istruttori militari e svolgono la loro attività nei campi definiti «chiusi». Sarebbero presenti anche veterani dell'Afghanistan, militanti di Hamas, di Hezbollah, della «Jihad», del gruppo di Abu Nidal e anche dell'OLP. Il governo sudanese è stato per anni in buoni rapporti con tutte queste organizzazioni. Sebbene abbia dato la sua approvazione ai recenti accordi di pace (Yasser Arafat, tra l'altro, è amico personale del capo del FNI, Hassan el Turabi) le relazioni rimangono estremamente cordiali anche con Hamas. Per quanto riguarda la presenza dei pasdaran, va precisato che l'Iran non controlla il FNI; in parte lo ispira, di sicuro lo finanzia e rifornisce di armi ma comunque in maniera decrescente, molto meno di quanto alcuni recenti reportages giornalistici hanno sostenuto. Le stesse fonti ufficiali iraniane hanno invece ammesso la presenza dei cosiddetti «volontari». In proposito bisogna ricordare che i vari gruppi religiosi-militari non sono una pura e semplice emanazione del governo iraniano ma hanno una loro autonomia, soprattutto sul piano economico. Naturalmente godono in genere dell'approvazione governativa, ma questo non significa che tutte le loro iniziative derivino dal potere politico. Attualmente i pasdaran (Guardie della Rivoluzione) sono un modello per le milizie del FNI; invece i «Baseej» (Volontari della Rivoluzione) sono un riferimento per il PDF. A suo tempo i «Baseej» diventarono famosi (loro malgrado, presumibilmente) perché andavano in battaglia, durante la guerra Iran-Iraq portandosi appresso piccole chiavi di plastica «per poter entrare in Paradiso». Militarmente si dimostrarono un vero disastro ma bisogna riconoscere che con il loro sacrificio permisero all'Iran (aggredito e non aggressore, nonostante la propaganda occidentale) di resistere. Morirono a milioni. Oggi in Sudan probabilmente si cerca di fare altrettanto, se non di più. Sembra proprio che gli addestrati nei campi vengano sommersi dalla propaganda. D'altra parte, anche se in misura minore, lo stesso accade a tutta la popolazione in genere. E' accaduto, e non una sola volta, che uomini politici e perfino qualche noto accademico sudanese apparissero in televisione spiegando che «quando il PDF va in battaglia nel sud gli alberi sussurrano ALLAH AKBAR» (frase che notoriamente è l'inizio della chiamata alla preghiera e che gli integralisti islamici hanno adottato come slogan). La televisione sudanese ha inoltre ampiamente illustrato come, nelle stesse circostanze, «gli uccelli conducano il PDF nei luoghi dove si nascondono i ribelli» (Garang & C. ma spesso anche popolazioni inermi ndr).
Inoltre, sempre secondo la TV sudanese «le scimmie liberano i campi dalle mine e le nuvole discendono sui combattenti dell'SPLA (Sudan People's Liberation Army, il movimento di resistenza delle popolazioni meridionali ndr) per impedire loro di vedere i mujahidin che si avvicinano». Inoltre, se un militante del PDF viene ucciso «il corpo non si decompone ma emette il profumo del paradiso ...». Mi rendo conto che a questo punto l'articolo sembra una rozza esercitazione di propaganda antislamica ma la colpa non è di chi scrive. Esiste comunque la registrazione dei programmi televisivi sudanesi a conferma. D'altra parte non dimentichiamoci di quello che inculcava certa propaganda patriottica nostrana (magari coadiuvata dai cappellani militari) anche in tempi non propriamente remoti. Del resto questi eccessi della propaganda hanno finito con l'infastidire perfino numerosi esponenti dell'esercito, quelli cioè che avrebbero dovuto sentirsi coadiuvati dal PDF sul campo di battaglia. Anche sulla stampa locale qualche anziano ufficiale, di fede musulmana, ha fatto dichiarazioni perlomeno polemiche a riguardo: «Quando è il momento di combattere non ci sono nuvole che scendono dal cielo e nemmeno uccelli che sussurrano parole di incoraggiamento. Il PDF ha organizzato un gran lavoro propagandistico ma i suoi militanti si sono rivelati incapaci di combattere. Con i loro discorsi hanno finito con il demoralizzare le nostre truppe regolari. Inoltre quelli del PDF molte volte si danno alla fuga al momento di combattere». Ha inoltre aggiunto che sia lui che altri ufficiali quando c'era una battaglia importante preferiva mandarli altrove per non rischiare di comprometterne l'esito. «Molti di loro si ferivano da soli, sparandosi ad un arto, per essere rimandati a casa e comunque quando morivano non c'era nessun profumo di Paradiso». Parole che quantomeno mettono in dubbio l'efficacia dell'addestramento nei famosi campi.