Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 204
novembre 1993


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Una lacrima sul viso

Sliver («frammento») dovrebbe raccomandarsi ad un pubblico di cattolici e moralisti incalliti. Come film giallo è un disastro zeppo di incongruenze, ma, in compenso, come film moraleggiante, non è poi tanto male e dovrebbe soddisfare appieno quel tipo di cattolico contrito e titubante che continua ad interrogarsi sul perché Dio permetta - qua e là nella Storia, qua e là nella cronaca quotidiana - ogni genere di nefandezze.
Il nucleo dell'argomentazione, narrativamente, è costituito da un ragazzotto con uno sguardo ch'è tutto un programma (di nefandezze) e con intero condominio in dote - condominio ove lui, esperto di video, computer e software, ha sistemato una rete televisiva praticamente totale. Senza che nessuno si avveda di nulla, il condomino è spiato dal cesso all'ascensore, dal telefono al pisolino, mentre fa l'amore, o dà i numeri, o si lava i denti o muore. L'immagine, riversata in computer, può ingrandirsi a piacere e venire registrata per costituire la più grande Enciclopedia Casalinga Multimediale mai realizzata. Lui (il giovane Baldwin) è lì seduto, nella sala dei mille video, e sembra godersela un mondo. Ma, che fare quando ciò che vedi non ti garba, non se lo chiede come Adamo nell'Eden. Per porre le domande giuste ci vuole una Eva (la signorina Stone) che, per non essere da meno dei suoi personaggi precedenti (Basic Instint), non sapendosi contemplata, si masturberà nella vasca da bagno in modo tanto convincente che lui (poverina, quanto bisogno di affetto che ha) se ne innamora. Mal ne incoglie al suo stato di ebete naturale, perché lei, fra qualche morto certo e pochi dubbi su chi sia l'assassino, ricambierà prontamente e, fregandosene dello sguardo mica tanto per la quale, metterà a nudo (ehm) la dimensione etica del problema.
Violi la privatezza, sai tutto di tutti, ti tocca digerire l'ignominia che si cela dietro il sorriso delle convenienze, in una parola «sei Dio», ma che cavolo te ne fai? Quando ben hai esaurito la dose di morbosità che ti tocca, cosa ti rimane? L'angoscia di sapere (che quella si droga, che quello picchia la moglie, che il patrigno insidia la bambina, che quello l'ammazza, che quello ha un cancro...) e la consapevolezza di che peso ciò ti rappresenta. Con che diritto ti accingeresti mai a fare alcunché? Guardare, a certi livelli, è un veleno neppure tanto sottile: l'eccesso letale. Vedi tante vite fino a che ti sfugge la tua. Dio, dunque, ha perfettamente ragione a lasciar perdere ...
È, in altre parole e per altri versi, anche la vecchia metafora del «controllo», ridotta, però, dalla planetaria dimensione orwelliana alla dimensione domestica - con l'ulteriore differenza che il Grande Fratello, qui, è più che altro un Grande Sporcaccione.
Ai cattolici, questo film di Philip Noyce (di cui i thrillisti avranno amato Ore 10: calma piatta) dovrebbe piacere, non solo perché fra tanto rigore morale qualcuno alla fin fine una piccola deroga se la concede ed un interventino (inoino) lo fa (centrando addirittura la conversione del reo) - e così il ruolo della Provvidenza rimane assodato ma anche per un altro motivo. All'apice di una delle varie scene di sesso, all'orgasmo, a lei, che mantiene il reggiseno, sgorga una bellissima lacrima dall'occhio sinistro, bellissima lacrima che - vanto d'attrice - bada bene, peraltro, a non asciugarsi. Si dà il caso piuttosto dubbio, infatti, che lei viva la cosa con gusto non disgiunto da un inevitabile senso di colpa. Sarà il fatto che lui è più giovane di lei, sarà il fatto che lei vien fuori da un'esperienza amorosa fallimentare, sarà il fatto che ad ogni peccato che si rispetti deve seguire la giusta espiazione. Quanto basta, a mio avviso, per mandare a casa delusa e preoccupata per le sorti dell'umanità una persona normale, ma quanto basta, anche, per mandare in brodo di giuggiole il cattolico guardingo. Guardingo, non guardone.