Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 204
novembre 1993


Rivista Anarchica Online

L'avventura russa
di Antonio Cardella

Mi aveva venduto per pochi dollari un colbacco nuovo di zecca, dal pelo soffice e lungo, come piaceva a me. Nella piazza, mentre la sera scendeva ormai rapidamente, rimanevano pochi crocicchi per gli ultimi affari.
Il ragazzone, rosso di capelli e dalla pelle bianchissima chiazzata di lentiggini, concluso l'affare, non sapeva dove mettere quelle sue mani grandi e stranamente diafane, né riusciva a trovare qualcosa da dire.

Un approccio morbido
Considerata l'ora, gli chiesi se voleva venire con me a prender un boccone: accettò subito, con l'entusiasmo di un asmatico in crisi cui si offre un po' d'ossigeno. Lì vicino c'era un ristorantino dove si mangiava discretamente. Si chiamava «Praga». Entrammo e a stento trovammo un tavolo libero a metà. Era infatti già occupato da un marinaio e da un omaccione, massiccio come un armadio seicentesco e già visibilmente brillo. Ci sistemammo facendoci più piccoli possibile e ordinammo. Per la verità ordinò il mio ospite e lo fece con tanta concitazione e palesemente facendo fretta al compagno cameriere, che di lì a poco, costui ritornò con due piatti fumanti, colmi sino all'orlo di uno spezzatino affogato in una salsa scura e semiliquida. L'odore non era propriamente invitante ma avevo altro per la testa e mi disposi a mangiare.
Non sapevo da dove cominciare. Cercavo un approccio morbido per evitare che Georgj - così si chiamava il mio commensale - si chiudesse subito in quel suo mutismo imbarazzato dal quale era difficile rimuoverlo. Gli chiesi se si sentisse ancora comunista, nel caso lo fosse mai stato. Rimase un poco sovrappensiero, poi molto lentamente, rispose: «E' una domanda ricorrente e irritante. Sino all'avvento di Gorbaciov o si era comunista o non si era: semplicemente. Essere comunisti significava avere lavoro, essere assistiti e, in una certa misura, nutrire l'orgoglio di appartenere alla Grande Madre Russia, seconda potenza del mondo. Per i pochi che non gradivano e non erano coinvolti nei piccoli o grandi traffici di regime, significava anche sperare che - eliminate pian piano le incrostazioni di carattere autoritario di uomini e di idee, si sarebbe riusciti a costruire qui da noi un modello di vita umano, più umano di quello occidentale, secondo noi corroso dalla competizione esasperata e dall'avidità. Questa speranza - come tu stesso puoi vedere andando in questa valle di lacrime che è la Russia dei nostri giorni - è morta bambina. Del comunismo reale, travolto dagli eventi e dalla sua stessa inconsistenza, non rimane praticamente nulla, neppure la memoria di quell'istanza di base del comunismo internazionalista - di cui la Russia dei Soviet rappresentava se non il simbolo, almeno il punto di riferimento - per un mondo che esprimesse forme di aggregazioni il più possibile egualitarie, in prospettiva, senza privilegi né discriminazioni.
La gente adesso è disorientata. Il vecchio è alle spalle, definitivamente seppellito. Il nuovo è misterioso e inquietante: nessuno sa cosa sia. Poi, la gente, ha fame, fame di cibo intendo, e non è disposta ad investire in progetti politici né, meno che mai, in aspettative messianiche».
Aveva parlato lentamente, senza inflessioni né accentuazioni che tradissero particolari emozioni. E quello che diceva era sarcasmo. La Russia europea, lontana dai conflitti etnici o dalle spinte centrifughe appariva come un'immensa città vuota dei suoi abitanti. I moscoviti a Mosca, i sanpietroburghesi a San Pietroburgo escono raramente di casa e tentano di ricostruirsi dentro la normalità che, fuori dalle mura domestiche, non esiste più. I gravissimi problemi di natura strategica che gravano sull'era eltsiniana sembra non li sfiorino neppure, nel senso che si percepiscono talmente remoti rispetto all'esigenza primaria della sopravvivenza, che il loro impatto con il quotidiano è praticamente nullo.
Eppure quei problemi, sono a scadenza assai prossima e la loro natura è tale da contraddire ogni aspettativa di normalità.

L'opposizione al bando
Intanto il problema dell'assetto istituzionale.
Sfaldatasi l'Unione delle Repubbliche Sovietiche, ciò che resta della struttura statale sono un presidente contestato, un parlamento preso a cannonate e sciolto, 66 organismi locali e 20 repubbliche indipendenti... Vinta la resa dei conti con Rutzkoi e Khasbulatov, Eltsin è andato giù pesante anche con le regioni, invitando gli organi elettivi di queste ad auto-sciogliersi e trasferendo il loro potere ai capi delle amministrazioni, sorta di prefetti, che rappresentano il governo centrale. L'ingiunzione di Eltsin ha provocato, com'era naturale, considerata la diversità di impatto con le iniziative presidenziali, reazioni contrastanti. Alcuni soviet si sono decisamente opposti, ma sono stati sciolti d'autorità con l'intervento della polizia armata (Pem, Soci); altri continuano a difendere le loro prerogative, rischiando le cannonate (Carelia, Komi); altri ancora si sono adeguati. Il panorama comunque è quello di un sistema che si sgretola caoticamente ed è difficile prevedere un futuro prossimo con inversione di tendenza. Ci sono poi le spinte centrifughe, che si manifestano anche con cruente guerre civili, come in Georgia, tra le fazioni separatiste e le forze di Shevernadze, ormai prossime al tracollo; ci sono i comportamenti delle repubbliche indipendenti, con costituzioni autonome, che sarà difficile ridurre ad omologazione. A fronte di tutto ciò elezioni promesse, ancora non si sa per quando, dalle quali dovrebbero sorgere le nuove amministrazioni locali, la Duna (Camera bassa) e la Camera alta.
Per la verità si sa qualcosa solo dei due primi organismi. Si sa che le dune locali saranno costituite da un numero variabile di rappresentanti - da 15 a 50, a seconda della dimensione della regione - eletti col sistema proporzionale. Per la Camera bassa, gli eletti dovrebbero essere 450, metà eletti su base nazionale col sistema proporzionale e l'altra metà, su piano locale, con collegi uninominali. Tutto ciò dovrebbe avvenire il 12 dicembre prossimo, con elezioni chiamate anche a ratificare una nuova costituzione che gli esperti del presidente stanno preparando e di cui non si conosce assolutamente nulla.
Comunque il dato più inquietante di queste elezioni è costituito dalla messa al bando di tutti i partiti d'opposizione ed il ridimensionamento dei partiti «legali» ammessi alla campagna elettorale. Se persisteranno queste condizioni, se le elezioni ci saranno, saranno elezioni farsa e la ricetta di Eltsin potrà essere attuata solo con l'uso della forza. Assisteremo, così ad un'ulteriore normalizzazione violenta, non diversa da quella staliniana. Tutto ciò con la benedizione dell'occidente, che - a parte la comprensibile preoccupazione per l'arsenale nucleare, ormai non si sa quanto effettivamente controllato dal potere centrale - pretende un quadro di stabilità per i suoi interventi, sino ad adesso solo eventuali.
Con quest'ultima notazione passiamo ad un altro dei problemi «capitali», quello economico.

Dipendente dall'Occidente
Sinteticamente, lo stato dell'economia russa è il seguente: un apparato industriale finalizzato alle esigenze della guerra fredda difficilmente convertibile e comunque precluso alla competizione internazionale; una moneta incontrattabile; assoluta mancanza di capitale di rischio (o, se preferite, da investimento). All'interno di questo quadro, lo sfaldamento delle reti di distribuzione dei prodotti, utilizzate, quelle che ci sono, al mercato nero e l'impossibilità di assicurare l'approvvigionamento delle grandi città per la chiusura politico-ritorsiva da parte di regioni produttrici, in conflitto con Mosca. A tutto ciò si aggiungono la mancanza di indirizzi e la risibilità del dibattito teorico sul modello economico da seguire.
Eltsin appare il paladino del «mercato» di stampo capitalistico, seguito da una serie di esperti, che, però, quando si tratta di spiegare le modalità di transito che consentano alla Russia di attestarsi su un'economia di mercato, rimangono nel vago e rimandano a dibattiti che non si faranno mai. Il dato principale, comunque, resta quello della dipendenza assoluta della Russia dall'occidente industrializzato. Il quale, dal canto suo, da tempo ha privilegiato nelle sue aree il versante finanziario degli investimenti, dimostrando tiepidezza verso il settore propriamente produttivo, che ha tempi di realizzazione molto lenti e, per di più, attraversa una crisi strutturale, che ha già messo in ginocchio colossi considerati intramontabili.
Certo, se si fosse in un'epoca diversa dalla nostra, si potrebbe indulgere a logiche colonialistiche, trasferendo capitali marginali per investimenti industriali nell'area da colonizzare, sfruttando condizioni vantaggiose sia per quel che riguarda le spese d'impianto che il costo della manodopera. Ma una cosa è che si tratti di colonizzare uno statarello africano o amerindio, altra cosa è che si tratti di un paese immenso come la Russia, incontrollabile dal punto di vista militare, per sua natura instabile per le spinte centrifughe che vi si manifestano e per le molte etnie che vi insistono, spesso in contrasto tra loro: tutte comunità in ogni caso in vario modo - dal mugugno alla rivolta - avversi al potere centrale.
Ma il fatto vero è che si mostrano profondamente mutate le logiche di intervento del capitalismo contemporaneo e, nel nuovo panorama, le guerre sostenute per ristabilire o instaurare regimi coloniali si è scoperto non pagano più, neppure in termini d'immagine.

Cittadella fortificata
La mia opinione, per quel che vale, è che, con diverso grado di consapevolezza tra i suoi componenti, l'occidente ricco si prepari piuttosto a resistere alle pressioni che si eserciteranno sempre più consistenti alle sue frontiere da parte dei molti diseredati della terra e abbia, quindi, poca voglia di imbarcarsi in avventure rischiose. In questo senso partono segnali significativi. Ho già scritto di Maastricht come di un trattato che chiama a raccolta i più ricchi, per riunirli in una cittadella fortificata; altro segnale che va nella stessa direzione è che, nel caso specifico che trattiamo, di soldi a Mosca ne sono stati promessi molti e dati molto pochi. Con ciò non voglio dire che sia esplicito il disimpegno dell'occidente dalla Russia di Eltsin, che, tra l'altro - come già ricordato - possiede un arsenale nucleare enorme ed efficiente. Voglio solo dire che non esistono le condizioni perché l'America e il mondo industrializzato si lascino coinvolgere in quella che mi piace definire l'avventura russa.