Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 204
novembre 1993


Rivista Anarchica Online

Così fan tutti
di Carlo Oliva

Suppongo che i lettori di «A», tutti di austeri costumi e alieni dal pettegolezzo, non amino il giornalismo scandalistico, e si facciano vanto di trascurare, nella quotidiana lettura dei giornali, quegli articoli in cui l'interesse informativo appaia secondo ad altre e meno nobili finalità. Si saranno persi, così, giovedì 21 ottobre ultimo scorso, il resoconto, dal tono effettivamente un po' deplorevole, delle strane attività di una poliziotta torinese. In sostanza, la sventurata, addetta alla Squadra del Buoncostume della questura cittadina, era solita prostituirsi presso una locale casa di malaffare, come hanno scoperto, non senza stupore, i suoi stessi colleghi, non è chiaro se cogliendola sul fatto o nel corso di indagini più generali. E pur avendo addotto a propria discolpa la necessità di accudire con uno stipendio troppo esiguo a una madre gravemente malata, è stata denunciata per omessa denuncia, non avendo deferito all'autorità giudiziaria, come, in quanto poliziotta, avrebbe dovuto fare, chi aveva esercitato, a sue spese, il reato di sfruttamento.

In ottima compagnia
Povera ragazza, vien fatto di dire. Madre malata o no, non dev'essere particolarmente piacevole lavorare nella polizia, e non lo è certo prostituirsi: figuriamoci fare contemporaneamente entrambe le cose. E anche se dai giornali non si capisce se la reproba sia stata o meno allontanata dal Corpo (secondo alcuni sarebbe stata soltanto trasferita dalla Buoncostume a un Commissariato cittadino, mentre per altri il trasferimento era stato disposto prima che di quella insolita attività extra-curriculare si venisse a sapere) il lettore ha il triste sospetto che di quelle due carriere, ormai, gliene resti aperta soltanto una, e non quella che prevede, pur nei magri limiti concessi oggi all'amministrazione statale, l'assistenza sanitaria e la pensione. Aggiungiamoci la minaccia di un processo penale e vedrete che c'è poco da stare allegri.
Ma probabilmente, per l'interessata quella del processo non è la prospettiva più grave. Anzi, è probabile che in tribunale l'episodio non arrivi nemmeno. E se ci arrivasse il rischio di una condanna sarebbe minimo: prostituirsi, in sé, non è un reato, e per quanto grave possa essere l'accusa di omessa denuncia, non è tanto facile farla valere in un caso del genere. Entrerebbe in contraddizione, come minimo, con il principio del nemo se ipsum accusari debet. E se per qualche maledetta complicazione dovesse finire di fronte a uno o più giudici, alla poliziotta scostumata non mancherebbero gli argomenti giudiziali ed extragiudiziali con cui difendersi. Primo tra tutti quello di essere, da tutti i punti di vista, in ottima compagnia.
Già, perché se la «colpa» che le si potrebbe ragionevolmente imputare è quella, diciamo così, di essersi autocontraddetta, esercitando un'attività che aveva il compito espresso di non lasciar svolgere ad altri, beh, allora di colpevoli di questo tipo in Italia ne abbiamo una legione. Provate a dare una rapida scorsa ai giornali dell'ultima quindicina di ottobre. C'era quell'informatore dei servizi segreti che, per meglio informare della presenza di dinamite sui treni, ce la metteva lui. C'erano i responsabili di quegli stessi servizi, che avevano il compito di impedire che si consumassero intrighi e complotti contro la democrazia, e non sempre, a quanto si mormora, hanno agito in tal senso. C'erano quegli alti ufficiali delle forze armate, che avrebbero dovuto difenderci dai nostri nemici e pensavano, pare, a tutt'altro. C'erano i responsabili dell'informazione pubblica, che avendo avuto il mandato di por fine alla lottizzazione del settore, ne hanno fatto un unico lotto. E c'erano (ci sono ancora) troppi alti personaggi insediati alle somme cariche dello stato per assicurare uno svolgimento imparziale della dialettica istituzionale e che solo dell'interesse della propria parte si occupano: insomma, l'Italia è piena di potenti, piccoli e grandi, che fanno esattamente il contrario di quello che dovrebbero fare. Con l'aggravante che non pagano la contraddizione sulla propria pelle, come faceva, come tutte le prostitute, poverette loro, la poliziotta di Torino, ma preferiscono farla pagare a noi sulla nostra. Abbiamo molto parlato (almeno fino a qualche tempo fa: adesso cominciamo a stancarcene) di crisi del nostro sistema politico, legandola a certe strozzature istituzionali o ai fenomeni di corruzione che la magistratura ha portato alla luce. Ma appunto: ne abbiamo parlato con il sottinteso che bastassero gli opportuni interventi di ingegneria istituzionale, o l'intervento salvifico della stessa magistratura, per porvi rimedio, tanto è vero che sono sempre di più a sostenere che ormai, visto che le leggi che si dovevano cambiare sono state cambiate, e la magistratura è intervenuta fin troppo, sarebbe ora di darci un taglio. Forse non ci siamo ancora convinti che quella crisi è soprattutto una crisi di cultura del ceto dirigente, che ha perso, nel gran polverone degli anni '80, il senso del legame della propria funzione pubblica con i compiti di servizio che ad essa, in teoria, erano legati. Il potere, in questa prospettiva, non è tanto il potere di fare, quanto quello di trasgredire. Di non dover tener conto della correttezza e della legalità delle procedure, anche se (anzi, proprio perché) su quella correttezza e su quella legalità si è tenuti a vegliare. In sostanza, di poter fare quello che si impedisce di fare agli altri, come la poliziotta di Torino, appunto.

La divisa e il potere
La quale, stando almeno a uno dei giornali che ne ha riportato la storia, non si limitava a vivere la contraddizione tra le sue due figure sociali, ma le faceva interagire tra loro, nel senso che si prostituiva in divisa (all'inizio, suppongo) e sfoggiando quella divisa in quelle circostanze faceva salire il valore retributivo delle proprie prestazioni. Particolare da cui si può ricavare non solo la nozione che di maniaci ce ne sono tanti, e ci sono anche i maniaci delle divise, ma anche quella per cui il potere, anche a livello simbolico, serve sempre a qualcosa.