Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 203
ottobre 1993


Rivista Anarchica Online

Una storia incredibile

«C'è qualcosa di nuovo oggi» nel panorama libertario, «anzi d'antico»: l'Unione Sindacale Italiana. Lo affermo con un misto di incredulità e soddisfazione, avendo a lungo vissuto, come molti altri compagni approdati al movimento all'inizio degli anni settanta, il disagio di non poter disporre, a livello nazionale, di un'organizzazione capace di trasformare in pratica sociale alternativa i fermenti libertari presenti nel nostro paese.
Ricordo il clima di quegli anni. Nelle grandi città il formidabile movimento che aveva preso corpo a partire dal '68 cominciava a smembrarsi in una serie di gruppi e gruppetti caratterizzati, in maggiore o minor misura, dall'ideologia marxista-leninista; ed a coloro che, come me, da tale ideologia si sentivano distanti, non restava che avvicinarsi all'unico settore della sinistra che al marxismo-leninismo opponeva una critica ferma e radicale: il movimento libertario.
Ricordo anche che tale avvicinamento si risolveva spesso in una grossa delusione. Il movimento si trovava disgregato in tre organizzazioni principali (la Federazione Anarchica Italiana, i Gruppi Anarchici Federati ed i Gruppi di Iniziativa Anarchica), mentre la maggior parte dei gruppi impegnati sul sociale non aderiva né all'una né all'altra federazione. Ancora più deludente era la situazione in campo sindacale: qui il movimento libertario si trovava diviso dall'annosa questione se valesse o meno la pena di riattivare un'U.S.I., rifondata già nel 1950, che non aveva tuttavia mai veramente decollato.
Si sentiva dire che, per poter disporre di un forte movimento libertario, organizzato su scala nazionale, occorreva che i gruppi interessati uscissero dalle federazioni esistenti e si rifederassero su base regionale (aspetta e spera!); si sentiva dire che per la riattivazione dell'U.S.I. i tempi non erano maturi (ma, non eravamo volontaristi?), e via di questo passo. Alcuni militanti, esasperati, tentarono di forzare la situazione creando una nuova organizzazione: il Coordinamento Nazionale Lavoratori Anarchici. Riuscirono invece, nella pretesa di raggiungere una completa omogeneità al suo interno, a creare ulteriore frammentazione.
Si giunse così, in ordine sparso, alla metà degli anni '70, quando alcune belle teste, di scuola bolscevica, cominciarono ad affermare che era tempo che i gruppi della sinistra si «sciogliessero» nel «movimento» (inteso, da esse, come entità priva di qualsiasi forma di organizzazione), anzi, che era ora di mettere in crisi il concetto stesso di militanza. Forse pensavano che, di organizzazione, ne bastasse una sola: la loro. Agli altri meglio si addiceva il ruolo di massa da manovrare.
Fatto sta che, seguendo l'andazzo, anche le federazioni libertarie si sciolsero (alcune completamente e formalmente, altre quasi completamente, di fatto), e la speranza di veder nascere un'organizzazione capace di incidere sulla società attraverso una pratica libertaria si trasferì in campo sindacale.
Furono quelli gli anni della riattivazione dell'U.S.I. All'operazione era interessata non solo gran parte degli anarchici, ma anche ampi settori di lavoratori legati alla CGIL ed alla CISL e stanchi dei continui cedimenti di tali organizzazioni. Altra occasione perduta: si cominciò subito a litigare. Quasi tutti gli anarchici coinvolti rinunciarono all'ambizioso progetto e preferirono continuare a svolgere una preziosa funzione di stimolo all'interno dei movimenti che di volta in volta si sviluppavano nel sociale. I non anarchici, vedendo che neppure i promotori sembravano convinti, continuarono a contestare, dall'interno, i sindacati di regime.
Quando, nel 1984, al termine di un lungo processo, si tentò comunque di riattivare l'U.S.I., questa era composta da un esiguo numero di volonterosi, impegnati a ripetere a se stessi, come prete Liprando nella canzone di Fo e Jannacci, «ed io lo faccio lo stesso». Del resto, la scelta del momento non poteva essere più infelice: il movimento operaio perdeva terreno giorno dopo giorno e il capitalismo trionfava su scala mondiale. Chi, fino a pochi anni prima, aveva giurato e spergiurato sulla lotta di classe si abbandonava allo scetticismo (quando non si dedicava apertamente a scimmiottare gli yuppies). I pochi compagni che cercavano di rimanere coerenti venivano emarginati o, peggio, ridicolizzati sul posto di lavoro. Nella «quinta potenza industriale», a dar retta ai mass-media, sembrava non esistessero più neppure le classi subalterne.
Tuttavia, nonostante questo, l'U.S.I. è cresciuta. Se ad Ancona, al primo congresso (quinto dalla fondazione), la riattivata U.S.I. quasi si limitava a ribadire i suoi storici principi, a Torino, pochi anni dopo, cominciava ad interrogarsi sull'attualità delle proprie posizioni, ed a Roma, nel 1990, nel corso di un congresso a dir poco burrascoso, elaborava una strategia ancora confusa, ma non troppo, che la ha portata, in breve tempo, a diventare una delle più influenti organizzazioni sindacali tra quelle che si muovono alla sinistra della triplice confederale. Chi scrive non avrebbe mai creduto, solo tre anni fa, di avere l'occasione di partecipare a scioperi nazionali comunicando alla propria azienda, non senza una punta di orgoglio, che erano stati indetti dall'Unione Sindacale Italiana (la quale, si noti bene, proclamando nel 1991, insieme all'UNICOBAS, lo sciopero contro la guerra del Golfo, ha aperto la strada anche a tutti quelli oggi sbandierati con enfasi dalle varie CUB e SLA). Tanto meno avrei creduto che le nostre lotte avrebbero avuto risonanza sulla stampa, che avrebbero messo in crisi intere dirigenze (Roma) e consigli di amministrazione (Bari), che l'U.S.I. avrebbe ottenuto la riassunzione di compagni licenziati (Milano), che sarebbe diventata in numerose aziende e addirittura in un comparto (la ricerca) sindacato «maggiormente rappresentativo».
Scusate il trionfalismo, siamo sempre quattro gatti e per giunta litigiosi, ma non vorrei che al movimento libertario, propenso come sempre a un'autocritica spietata, sfuggisse la novità di queste cose.
Oggi, come ieri, «l'U.S.I. ha per scopo di sostituire alla presente società autoritaria e capitalista, l'organizzazione federalista e razionale della produzione e della ripartizione, alla lotta fra gli uomini la solidarietà umana. Mentre tende alla socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio, all'abolizione dello stato e dei dogmi, si adopera a realizzare per i lavoratori tutti quei miglioramenti materiali e morali immediati: diminuzione della giornata lavorativa, aumento del potere d'acquisto, rispetto ed igiene sul posto di lavoro, ecc. che il proprio rapporto di forza consente per tempo e per luogo». (Articoli 3 e 4 dei principi allegati allo statuto). In tale operare utilizza, quanto più possibile, mezzi coerenti con i fini che si prefigge, e si presenta come sindacato autogestito, che promuove lotte autogestite finalizzate a pervenire gradualmente all'autogestione dell'intera società.
Di fatto la sua attività consiste essenzialmente: nel diffondere le idee libertarie, egualitarie ed antimilitariste; promuovere le lotte autorganizzate dei lavoratori; aiutarli a confrontarsi attraverso la pratica della democrazia diretta ed a misurarsi con la controparte senza ricorrere ad intermediari; affiancarli, dove opportuno, nelle vertenze a carattere legale; sostenere, criticamente, iniziative quali cooperative, mutue e centri sociali, che possono favorire la crescita delle capacità necessarie all'autogestione della vita sociale; sviluppare una concreta solidarietà internazionalista.
Punti di forza dell'organizzazione sono alcune categorie del pubblico impiego: in particolare la ricerca e la sanità. Numerosi sono i compagni anche nella scuola, nell'università, nelle poste, nei beni culturali, tra i metalmeccanici e tra i braccianti.
Gli aderenti ai sindacati di categoria, insieme a tutti gli altri compagni, danno vita alle federazioni locali che coordinano l'attività sul territorio e sono presenti con proprie sedi a Milano, Bergamo, Trieste, Udine, Pistoia, Ancona, Roma, Bari e Palermo.
Organi statutari dei quali l'U.S.I. dispone per svolgere il proprio lavoro sono: la segreteria nazionale (c/o U.S.I. Trieste, via Cunicoli 11), che rappresenta l'organizzazione, soprattutto nei rapporti con le controparti istituzionali; il comitato esecutivo, che favorisce il coordinamento all'interno dell'organizzazione; la commissione internazionale (facente parte dell'esecutivo), che mantiene i collegamenti con le altre sezioni dell'A.I.T.; la cassa nazionale (facente parte dell'esecutivo), che cura gli aspetti amministrativi e contabili; la redazione di «Lotta di Classe» (anch'essa parte integrante dell'esecutivo), che si occupa del giornale; il comitato nazionale dei delegati, che delibera, a larga maggioranza, sulle questioni urgenti che insorgono tra un congresso e l'altro (l'ultimo, l'ottavo, si è tenuto quest'anno a Milano).
È dotata inoltre di numerosi altri strumenti: una rete di consulenti legali; un servizio di consulenza relativa alla verifica delle buste paga e al calcolo del trattamento di fine rapporto; diverse pubblicazioni periodiche che si occupano di problemi locali o di categoria. Svolge, infine, una, sia pur modesta, attività di ricerca e formazione, fino ad ora concretizzatasi nella realizzazione e diffusione del libro di Gianfranco Careri sulla storia del sindacalismo autogestionario in Italia e nell'organizzazione di seminari di approfondimento su tematiche di attualità relative al mondo del lavoro.
È poco? Mi pare di no. Spero che tutti quei libertari che, come i compagni dell'U.S.I., credono in una pratica sociale lontana dall'insurrezionalismo ottocentesco quanto dai saggi, un tantino esoterici, intorno all'idea di libertà, se ne rendano conto, e diano il loro contributo a trasformare in realtà quella che, fino a pochi anni fa, era soltanto una volontà.

Luciano Nicolini (Bologna)