Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 203
ottobre 1993


Rivista Anarchica Online

Bombe e marmellata
di Maria Matteo

Viviamo in tempi grami, inutile dirlo. Difficile cogliere nel panorama odierno segnali significativi d'una ripresa d'iniziativa, d'una qualche vivacità e creatività nell'encefalogramma piatto del corpo sociale. Negli ultimi anni la fiducia in uno sviluppo lineare, costantemente perfettibile ha subito duri colpi. La critica ecologica, la crescita del divario fra nord e sud del mondo, la consapevolezza che le risorse disponibili non sono illimitate hanno contribuito potentemente al declino dei miti di progresso e opulenza. Parimenti si è indebolita la speranza in un inarrestabile processo di cambiamento politico e sociale capace di eliminare lo sfruttamento e l'ingiustizia. Il venir meno d'un ottimismo acritico così come d'una filosofia della storia in cui tutto è già dato, per cui lo spazio della diversità e dell'invenzione non è che un residuo, un errore destinato a venir cancellato, non può che essere salutato positivamente. E' tuttavia innegabile che all'affievolirsi dell'illusione di poter controllare e dirigere lo sviluppo economico, sociale e politico non è seguito l'affermarsi di un umanesimo nuovo, più concreto, attento all'irriducibilità delle differenze, consapevole della necessità di un atteggiamento sperimentale, provvisorio, impegnato in una costante verifica progettuale sia in ambito sociale che politico.

L'acciaio duro dell'unità nazionale
Al contrario lo scenario politico, sociale e fors'anche esistenziale appare contrassegnato dall'apparente pragmatismo di un vivere alla giornata ossessivamente scandito da un bisogno di novità che finisce precipuamente con l'esprimersi a livello estetico. In questo senso il modello più appropriato della modernità è il supermercato in cui la mania della novità ad ogni costo arriva ad assumere dimensioni parossistiche. Al gusto per l'accostamento originale, al giovanilismo esasperato che permeano ormai il tessuto sociale italiano pareva immune la sfera politica specie quella istituzionale, alle cui procedure e rituali era affidato il compito di garantire che ogni mutamento avvenisse nel segno della continuità. Tutti i partiti aderivano formalmente a regole, che erano state forgiate nell'acciaio duro dell'unità nazionale, ricostituita e rifondata nella resistenza, il cui ruolo di mito fondante della repubblica sembrava difficile da scalfire. Gli schieramenti erano ben chiari e delineati, marcati da contrapposizioni nette, senza quasi possibilità di sovrapposizioni o trasversalismi. In Italia per decenni la lotta politica ha avuto un carattere decisamente più ideologico che negli altri paesi dell'area occidentale, perché contraddistinta dalla presenza altrove inusitata di un partito comunista molto forte. Poi i regimi comunisti sono crollati quasi ovunque e il partito comunista italiano si è scisso in due partiti incapaci di darsi un'identità precisa e credibile. La consistente e repentina affermazione elettorale della Lega Nord nelle regioni settentrionali del paese ha messo in discussione l'idea stessa di unità nazionale. Questi fattori, cui si aggiunge la difficile congiuntura economica hanno contribuito a rendere meno saldo il blocco politico ed economico che aveva ininterrottamente governato il paese per quasi cinquant'anni, ergendosi a paladino della democrazia contro i rischi del comunismo. In questo contesto non deve quindi sorprendere più di tanto che il fragoroso frantumarsi di tale blocco cui abbiamo assistito nell'ultimo anno e mezzo non sia dovuto né a tumulti di piazza né a uno scossone elettorale ma all'azione della magistratura. Così l'incapacità della politica ideologica di acquisire una dimensione progettuale dopo che la fine del comunismo aveva reso inattuali i vecchi schieramenti ha finito col passare in secondo piano, perché coperta dal prepotente emergere della questione morale. Le galere e le aule di tribunale si sono aperte per molti personaggi eccellenti e, sebbene l'intera faccenda assumesse vieppiù i contorni di un gigantesco regolamento di conti tra le varie ali del palazzo, non sono stati in pochi a ritenere di trovarsi di fronte a una sorta di rivoluzione. Vien da chiedersi se occorressero i crismi dell'ufficialità per dare verità e consistenza a quello che tutti sapevano.

Oliare i cardini
Non era certo un mistero per nessuno che per aprire una porta qualsiasi, foss'anche quella per un posto d'usciere comunale, occorresse oliarne accuratamente i cardini. La corruzione, il clientelismo sono diffusi al punto di pervadere completamente il tessuto sociale: non credo vi sia alcuno che non sia mai ricorso ad un amico per sveltire una pratica o non abbia passato una mazzetta sottobanco per il lavoro o per un letto all'ospedale. Quel che è certo è che nel gran polverone sollevato da tangentopoli i sopravvissuti alla bufera hanno potuto agevolmente dar luogo a un'operazione di riciclaggio in grande stile d'una classe politica che, priva di identità e credibilità, si è affrettata ad indossare i panni severi del moralizzatore per cancellare con un colpo di spugna il vecchio e corrotto regime ed inaugurare un'epoca nuova. L'operazione non è delle più facili e continue congiure di palazzo non contribuiscono certo a spianare la via ad alfieri del rinnovamento costretti a guardarsi costantemente le spalle per proteggersi dai proditori attacchi dei compagni di strada del giorno prima. La buona riuscita dello show referendario, il cui esito plebiscitario ha contribuito non poco a dare fiato ad un ceto politico ormai asfittico, è servita a dare una mano di bianco alle pareti del palazzo, ma non era certo sufficiente a celarne le crepe e a coprirne le macchie. Cambiare il sistema elettorale è stata una manovra abile, grazie alla quale non è stato difficile sviare l'attenzione dalle questioni di sostanza a quelle di forma. Molti hanno creduto che il segreto del buon governo dipendesse dalle procedure con cui veniva scelto e che la gestione mafiosa della cosa pubblica fosse un male inevitabile dovuto ad una legge elettorale che consentiva una rappresentanza estremamente frammentata. Nonostante ciò il maquillage non poteva bastare: occorreva un radicale intervento di chirurgia estetica. Ed ecco che all'improvviso per l'ultima consultazione amministrativa assistiamo alla scomparsa quasi totale delle vecchie sigle di partito, sostituite in un batter d'occhio da nuovi nomi, nuovi simboli, nuove aggregazioni. Tutto nuovo, lucente, impeccabile, tutto all'insegna dell'onestà e della pulizia, tutto sotto l'egida di una parola nuova, magica: il trasversalismo. Quel che un tempo si sarebbe chiamato trasformismo e non avrebbe certo mancato di suscitare dubbi e critiche è divenuto il vessillo degli onesti, la garanzia del rinnovamento, della rinascita. Post-comunisti, ex-democristiani, repubblicani senza l'edera e neo-liberali si uniscono ed intrecciano in liste d'uomini probi. Come in un giuoco di prestigio si mischiano le carte e combinano gli elementi per catturare l'attenzione di un'opinione pubblica sempre più apatica, attenta allo spettacolo della politica più per l'originalità della messa in scena che per l'interesse suscitato da proposte che nella loro vacuità appaiono del tutto interscambiabili. E' significativo a tal proposito il gran successo dei vari programmi televisivi in cui abili conduttori mettono in campo il circo della politica con uno stile che pareva prerogativa esclusiva dei commentatori delle partite di calcio. Assistiamo ad un continuo cambio delle parti, ad un intrecciarsi di alleanze destinate a sciogliersi tanto rapidamente quanto si erano costituite. Tutto si mescola e niente ha più rilevanza al di là del sensazionalismo del momento. In definitiva ha poca importanza quel che si propone e si fa, purché lo si proponga e faccia in nome del rinnovamento. Persino le bombe, le stragi, il sangue ed il dolore entrano a far parte dello spettacolo. A Torino solo poche centinaia di persone si sono adunate per le manifestazioni promosse dai sindacati dopo le bombe di Firenze, di Roma, di Milano: come un vecchio film andato in onda troppe volte attraeva l'attenzione di pochi e distratti affezionati, che sembrano assistervi più che altro per dovere. Migliaia e migliaia di persone si sono altresì scoperte un'improvvisa passione per l'arte in occasione della riapertura al pubblico del museo degli Uffizi, adeguatamente strombazzata dai mass-media. Viene il dubbio che persino gli autori degli attentati abbiano intuito che la solita strage di innocenti fosse troppo banale e noiosa e perciò abbiano scelto come obiettivi musei e chiese.

Vittoria del nuovo?
Il neo-sindaco di Torino Castellani, che gli avversari accusavano di essere sostenuto da una compagine dai connotati confusi simile ad una marmellata, alla festa per la sua elezione agitava di fronte alla folla plaudente un barattolo di confettura, proclamando orgoglioso la vittoria del nuovo sul vecchio. Segnava in tal modo il coronamento di una campagna elettorale giocata più sulle immagini che sui contenuti. Il sapore della sua marmellata deve avere addolcito molti palati per convincerli a digerire i venti miliardi che il comune di Torino con provincia e regione hanno speso per pubblicizzare in grande stile l'ultima auto della Fiat. In ogni caso lo spettacolo fornito a base di fuochi d'artificio, star televisive e fiera paesana pare sia piaciuto di più. Viviamo in tempi grami, inutile dirlo.