Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 202
estate 1993


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Contro la predicazione antropomorfica

C'è qualcosa di sottilmente urtante che accomuna la maggior parte dei prodotti cinematografici concernenti la cosiddetta «vita animale». Fra i vari classici - Deserto che vive, Sesto Continente, i primi che mi vengono in mente e le attualissime trasmissioni televisive (tipo Nel regno degli animali, dove pur è coinvolta una persona seria come Giorgio Celli) tutte inclini al rispetto etologico ed alla genuflessione ecologica.
Ne parlerei come della «predicazione antropomorfica» che, in parole povere, sarebbe quello schema ideologico secondo il quale l'uomo tende a descrivere i mondi altrui in termini del proprio. Facciamo un esempio: «il piccolo rinoceronte rincorre non senza perplessità l'incauta lucertola, mentre la damigella di Numidia osserva divertita la scena». È il tipico commento della voce fuori campo alla sequenza visiva, quando non sia anche accompagnato da un'«acconcia» colonna musicale che sottolinea l'incedere dell'uno e dell'altra. Orbene, che un animale «rincorra» od «osservi» già per un osservatore esterno - ed estraneo! - può esser dubbio, ma che un rinoceronte sia «perplesso» o che una lucertola sia «incauta», o che una gru sia «divertita», di certo, se non illegittima asserzione in linea di principio, è affar loro. A maggior ragione quando la sequenza sia palesemente falsificata, ovvero allorché soltanto in sede di montaggio si inserisce l'immagine di una gru immediatamente dopo l'immagine di un rinoceronte e di una lucertola nel medesimo spazio scenico. Affinché l'immagine e la parola si fondano e facciano la coerenza del racconto (e quando manca la parola viene chiamata a provvedere la musica, che, nel conferire tempi percettivi del movimento e della situazione in cui il movimento avviene, interpreta, cioé riconduce l'ignoto o gli «affari suoi» dell'animale al noto ed agli affari nostri). Allora questa frammentata sequenza di espressioni biologiche che, giustamente, fanno gli affari loro, assurge al compito di rappresentare il più solenne compendio che ci piace di chiamare «vita degli animali». Con il presupposto di averli «colti» nella loro libertà (così come certi registi hanno preteso di fare del «cinema verità» e certi illusi della «televisione verità»), si costruisce loro un contesto in cui spendere la propria quotidianità, li si immerge d'autorità in un racconto la cui logica deve rispettare canoni a loro del tutto estranei ed a noi fin troppo cari. Che qualcuno, in strada, osservi il litigio fra il panettiere e il salumaio e che non abbia difficoltà ad interpretarlo come tale - e dunque a divertirsene - è luogo comune obbligato delle nostre modalità narrative, così come al movimento accelerato di qualcuno siamo soliti attribuire il senso di una rincorsa (se gli presupponiamo qualcuno altro davanti), o di una fuga (se gli presupponiamo qualcuno altro di dietro). Contestualizzazione e surrettizie interpretazioni, insomma, fanno spettacolo di ciò che, di principio, spettacolo non è: rendono appassionante, divertente, sorprendente, commovente quel che documentalmente rimarrebbe asettico, spiegazione scientifica a volte plausibile, a volte implausibile ed a volte, ahimé, mistero irrisolto - tutti esiti che al «pubblico» non vanno mostrati. Come di una partita di calcio in tv - dove di uno sport si è fatto uno spettacolo -, così dell'etologia si fa scempio consolatorio, telenovelas, fiction sentimentaloide (e, non a caso, l'etologo, quando c'è, è relegato al ruolo di chi proferisce una frase trait d'union fra una sequenza e l'altra, di chi apre e chiude narrazioni autonome). Tutto ciò, oltre che ovvia condiscendenza verso il mercato della subcultura, costituisce anche un residuo ideologico più grave: l'uomo Signore del Creato, Sommo Interprete e Dispensatore di Menti e di Comportamenti agli Esseri Inferiori - Esseri Inferiori che vivono soltanto vicende riflesse in quelle del loro Padrone, come le famose stelle che «non brillano di luce propria».

P.S.: A rincarare la dose ed a precisare la tesi, mi sovviene un esempio di biologia marina. Quella sostanza tradizionalmente nota, e tanto ammirata, come «porpora» è sintetizzata da alcuni murici altrimenti definibili come molluschi. Chi si chiedesse cosa se ne fanno questi animali della porpora non troverebbe facilmente una risposta, ma si dovrebbe guardare comunque bene dal considerarla per la bellezza o per la vistosità del suo colore. Infatti, la porpora è tale solo a mollusco morto e stecchito; quando, invece, è ancora vivo e vegeto, questa stessa porpora è una secrezione della ghiandola ipobranchiale e non è affatto «porpora» bensì biancastra. Il che valga ad evitare di attribuire virtù estetiche ai fratelli a mollo.