Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 202
estate 1993


Rivista Anarchica Online

Senza legge né tempo
di Mauro Macario

Il 14 luglio, a Castellina in Chianti, è morto Leo Ferré: poeta, cantante, scrittore, artista poliedrico e anarchico. Al poeta e regista Mauro Macario, suo grande amico, abbiamo chiesto di ricordarlo in queste pagine

Ferré l'incodificabile che si depista sotto ogni latitudine tornando ogni volta integro ai suoi detrattori euclidei, Ferré, padre assoluto dell'immaginario utopico e come noi orfano di quel continente, Ferré ciclone devastante dell'anarchia catartica, anche se i compagni con i quali reinventare la vita «non sono l'uno per cento ma credetemi esistono», Ferré evocatore tellurico di moltitudini oppresse che riscatta con rappresaglie vendicative in faccia alla Storia, Ferré terrorista del sogno quando il sogno è amore e l'amore fa paura ai popoli allevati nell'odio e nella cecità costituzionalizzati dallo Stato come regola del profitto e arma virtuale di regressione e oscurantismo, Ferré, computer carnale che in sé raccoglie la memoria collettiva della cultura umanistica in via d'estinzione in un'epoca antropofaga che inghiotte i superstiti del mondo non avvenuto, i randagi collerici dell'altra riva, i profeti del mancato natale libertario, per creare al loro posto attraverso disumananti palinsesti sociali e genetici, i nuovi paggi del Sistema tecnologico, elettronico, scientifico, di esclusivo dominio del Grande Fratello di Orwelliano monito. Ferré, assaltatore anatemico contro ogni ordine costituito, ogni legge, ogni forma di autorità: dalla Chiesa ai papi, dai militari ai magistrati, dai regimi democratici a quelli totalitari, e infine duellante fantasma contro il supremo potere cui si rivolge in questi termini nel brano IL CANE, cassa di risonanza del Sessantotto: «E se Dio esistesse davvero/come diceva Bakunin/il nostro compagno vitaminico/ dovremmo sbarazzarcene». Allora Ferré non è scomparso, è in missione impossibile, l'ultima sfida con il nulla autoritario che dal nulla schiaccia l'uomo con la mediazione della forza mortale di altri uomini. O cavaliere dell'uragano libertario, maestro senza voler essere maestro, da qualche parte in qualche modo, continuerai le tue scorribande nella visionarietà pura, le tue acrobazie nel delirio organizzato dei versi, tu esploratore dell'altrove, tu fuggiasco in avanti, sei solo partito in ricognizione nell'anno diecimila quando - ci gridavi NOI AVREMO TUTTO, e poi bruscamente aggiungevi: o domani mattina, se tu vuoi!
Questo brindisi molotov che ti facciamo vuole inaugurare la fine della viltà e della sottomissione e il ripristino della dignità, ricordando non a caso il decalogo della paura da «La violenée et l'ennui».
Art.1 Ho paura. Art.2 Ho paura. Art.3 Ho paura. Art.4 Dove sono le toilettes?
Ferré, genio di molteplici discipline artistiche interconnesse e ritrattate secondo «l'estetica della solitudine» quando «l'anarchia è la formula politica della disperazione». La solitudine vissuta in esilio in mezzo agli uomini, dando a questi meno di un filantropo e più di un misantropo. Anima apolide e quindi sempre disormeggiata, ha trovato nella negazione la sua vera patria adottiva e nel rifiuto di tutto ciò che ci è stato insegnato, il suo nero vessillo d'attacco vivendo così una vita da scontro frontale perché «La rivoluzione prima di farla per strada, bisogna farla nella testa». I giornali demoniocratici e i giornalisti demoniocritici hanno scritto: è morto un cantante, uno chansonnier. No, non è questa la chiave interpretativa per entrare nella galassia Ferré, come giustamente viene definita in Francia. Ferré è poeta, romanziere, saggista, compositore, direttore d'orchestra. Ma il genio eclettico che scavalca i recinti espressivi sondandoli tutti con profondità seminando opere immortali, infastidisce l'Accademia, il mondo della cultura chic, conformista e bacchettone. E non è allora «anarchico» liberarsi dagli schemi, dalle convenzioni, scardinando i modelli culturali più sclerotizzati e bolsi? Con Ferré i «generi» non sono più «generi» ma un unico fiume lavico che distruggendo, crea un'arte nuova, personale, irripetibile. Tra cinquecento e più canzoni troverai la canzone della tradizione francese rinnovata dall'interno, la canzone-poesia che già procede in una direzione più alta, la poesia pura che più nulla ha della struttura canzonettistica, la prosa poetica che diventa monologo e requisitoria. Anche se dei giornali hanno parlato di «filippiche»! Uno stile letterario esaltante tra simbolismo, espressionismo e surrealismo, all'improvviso destabilizzato provocatoriamente da incursioni linguistiche durissime di «argot» popolare fino a creare ciò che inseguiva: lo stile della invettiva.
Avrebbe potuto scrivere solamente libri e oggi saremmo qui a parlare di un poeta letterario, ma il talento misterioso non si è fermato al mutismo della pagina bianca: è venuta la musica. Una musica che se non ci fosse stata la voce né le parole, sarebbe stata da sola la massima espressione di un grandissimo compositore, raffinato e complesso. Musiche da concerto, arrangiamenti magistrali che ancor più danno ai suoi brani cantati una dimensione stupefacente di tipo classico-sinfonico. Così si arriva all'oratorio lirico su testo di Apollinaire «La chanson du mal-aimé», alla «Symphonie Interrompue», all'opera «L'Opera du Pauvre» dove Ferré canta, recita, interpreta quindici personaggi. Poi, si spinse nel cuore del suo sogno: la direzione dei concerti. E sono in tanti a ricordare la direzione di Beethoven e Ravel. Ecco le risposte a chi pensa a Ferré soltanto come a uno «chansonnier» della canzone francese del dopoguerra, quella di Saint-Germain. Ferré è andato molto oltre. E chi conosce veramente l'opera immensa che Ferré ha fatto musicando i poeti maledetti, quei poeti che Ferré raggiungeva per «fraternità spontanea» divulgandoli fra milioni di persone in tutti questi quarant'anni? Léo ha musicato le poesie di Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, Apollinaire, Villon, Rutebeuf, Laforgue, Baer, Caussimon, Aragon, Cesare Pavese, Cecco Angiolieri. A proposito di questa operazione, il grande poeta Louis Aragon, scrisse: «Léo Ferré rende alla poesia un servizio di cui si calcola ancora male la portata, mettendo a disposizione del nuovo lettore, un lettore d'orecchio, la poesia doppiata dalla magia musicale. Egli dà la sua lettura ed è questo l'importante, il nuovo, il prezioso. Il poeta, il poema non sono che dei punti di partenza, al di là dei quali c'è il sogno... E quando lui interviene su ciò che ho scritto, può darsi che io manchi d'obbiettività, ma è un fatto che Léo Ferré mi fa sognare .. come Eluard diceva dei pittori che gli comunicavano lo stesso evento. Bisognerà riscrivere la storia della letteratura, differentemente a causa di Léo Ferré».
E Léo pare rispondere con il monologo «Préface» di cui prendiamo gli ultimi due versi:
ALLA SCUOLA DI POESIA NON SI IMPARA CI SI BATTE!

MEMORANDUM BIOGRAFICO
Léo Ferré nasce a Monaco (Francia) il 24 agosto 1916. Oggi rappresenta la massima espressione della poesia in musica lasciando un patrimonio artistico immenso tra canzoni, poesie, sinfonie, opere, saggi e romanzi. All'età di otto anni viene internato in un collegio di preti a Bordighera rimanendovi imprigionato fino all'adolescenza. Questa esperienza creerà l'anarchico adulto che racconterà questa storia lacerante nel romanzo «Benoit Misère» scritto nel '56 e pubblicato nel '70 da Laffont, nell'89 dalle Edizioni Gufo del tramonto e adesso da Gallimard. Nel 1946 si insedia a Parigi dove prende a cantare nei cabarets mitici di Saint-Germain e sarà l'epoca in cui nasce la nuova canzone francese del dopoguerra che in Ferré mostra timbri anarchici e afflati poetici mai espressi prima. Stringe amicizia con gli esiliati spagnoli cui dedica le canzoni: FLAMENCO DE PARIS / LE BATEAU ESPAGNOL / FRANCO LA MUERTE, per la quale non potrà più entrare in Spagna se non dopo la caduta del regime. Frequenta Maurice Joyeux e il gruppo libertario «Louise Michel». Ai libertari dedica la famosa canzone «GLI ANARCHICI». I temi di provocazione libertaria si susseguono incessantemente: MONSIEUR TOUT BLANC, contro Pio XII, MON GENERAL, contro De Gaulle, ALLENDE, contro Pinochet. La trilogia contro la pena di morte vede i seguenti titoli: LA MORT DE LOUP / MADAME LA MISERE / NI DIEU NI MAITRE. Nel frattempo mette in musica i poeti maledetti dell'ottocento francese. Nel '53 va in scena l'oratorio lirico su testo di Apollinaire: LA CHANSON DU MAL-AIMÉ. Nel '54 scrive e dirige la Symphonie interrompue. Nel '56 pubblica il libro di poesie «Poete, vos papiers!» e negli anni a seguire «Testament Phonographe» in diverse edizioni arricchite di nuovi testi. Accoglie con fraternità prima il movimento beatnik, poi il Sessantotto. Sulla copertina di "Le monde libertaire" proprio nel '68 appare una sua foto con la scritta autografa: VIVA L'ANARCHIA CON UNA GRANDE A COME AMORE! Nell'83 scrive l'opera L'OPERA DU PAUVRE, forse il vertice massimo della sua espressività. Da vent'anni viveva a Castellina in Chianti con la moglie Maria e i figli Matteo, Cecilia e Manuela. E' scomparso il 14 luglio 1993.

Né dio né padrone
La sigaretta di prammatica
Accesa all'alba democratrica
Con il rimorso del custode
Mentre il terrore vi corrode
Di questo prete il ministero
E la pietà che sta a balcone
E il cliente che non ha
Dio né padrone

Il nostro tragico fardello
Impacchettato per le stelle
Che cadon fredde sul selciato
Ed una rosa denudata
Questo avvocato e le sue carte
E un'alba di disperazione
Per questo pianto che non ha
Dio né padrone

Le travi dette di giustizia
Spuntate all'ombra del supplizio
Ammobiliando il sacrificio
Con una bara di servizio
La procedura che sorveglia
Chi viene messo in proscrizione
Con il pretesto che non ha
Dio né padrone

Questa parola del vangelo
Che agli imbecilli vende il cielo
E dà un blasone ed uno stile
Anche all'atrocità civile
Questa parola da profeta
Di augurio e rivendicazione
Che non riconosciate mai
Dio né padrone
NÉ DIO NÉ PADRONE

(traduzione di Enrico Medail)