Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 199
aprile 1993


Rivista Anarchica Online

La Storia, tra personale e politico
di Filippo Trasatti

Che cos'è la psicostoria? Un nuovo genere letterario, parente del romanzo psicologico? Una suggestiva tecnica psicologica? Niente di tutto questo: si tratta invece di una serissima disciplina insegnata all'università, soprattutto nell'area anglosassone, a cui sono dedicati convegni e testi più o meno specialistici. All'ingrosso si tratta di una storia che utilizza la psicoanalisi e altre teorie psicologiche per comprendere ad un livello più profondo i comportamenti e i moventi degli attori della storia, maggiori o minori che siano. Uno psicostorico americano, già noto in Italia per una biografia su Freud , Peter Gay, ha tentato di spiegare i fondamenti di questa nuova disciplina in un libro: Storia e psicoanalisi (Il Mulino, Bologna, 1989).
In sé il libro non è di quelli intriganti né tanto meno affascinanti, per cui a meno di qualcuno proprio interessato all'argomento non ne consiglierei la lettura. E da questo punto di vista la recensione potrebbe concludersi qui. Ci sono però alcuni spunti interessanti da sviluppare che a mio parere hanno una portata più ampia di quella che il libro sembra riservargli. In particolare due sono le tematiche su cui varrebbe la pena di riflettere, anche al di fuori degli steccati specialistici: il tema della "natura umana" alla luce della storia e quello del rapporto tra struttura sociale e meccanismi psicologici.
Peter Gay esordisce dicendo, non di molto esagerando, che lo storico di professione è da sempre uno psicologo dilettante, che voglia ammetterlo o no. Studiando la storia soprattutto dei grandi personaggi, quelli che emergono, che cambiano il mondo con le loro azioni e le loro decisioni, gli storici non possono non analizzare le ragioni, le motivazioni profonde di quei comportamenti, il rapporto tra la personalità di un certo personaggio e le sue azioni. E, cosa ancora più importante, facendo questo presuppongono una teoria della natura umana sulla quale fondare appunto quelle motivazioni. Nessuno dice che la storia si riduca a questo; come l'autore stesso segnala più volte nel corso del libro il riduzionismo è una tentazione e un pericolo frequente della psicostoria. Si vuol dire invece che nella ricostruzione storica, quando si narra di persone, e questo appare inevitabile, anche se sono state scritte, ad esempio, storie del clima, entra in gioco una certa visione della psicologia. Questo vale in particolare per il nostro secolo perché, a partire dall'affermazione della psicoanalisi, il lessico psicologico e psicoanalitico è entrato nella cultura comune, o si è elasticamente esteso (spesso impoverendosi e diventando vuoto e generico, buono a tutti gli usi) a molte altre aree disciplinari.
Forse il caso più impressionante è quello della parola "inconscio", i cui usi e abusi meriterebbero un libro intero. Ma torniamo all'aspetto più interessante, il discorso sulla natura umana. Una delle obiezioni più frequentemente rivolte alla psicoanalisi, e alle altre teorie psicologiche, è quella di essere astorica, di isolare alcune caratteristiche peculiari dell'uomo, rendendole eterne; in altre parole di postulare una "natura umana" essenzialmente identica a se stessa oggi e nel Medioevo. Ed è chiaro che proprio con questa pretesa gli storici soprattutto debbano trovarsi in disaccordo. Nel lavoro dello storico trovano posto però sia le categorie del mutamento che quelle della permanenza. Nella ricerca costante di ricostruire un fenomeno storico peculiare, di restituirgli una verità storica, rendendolo quindi differente da tutto ciò che è accaduto prima e sarebbe accaduto poi, essi non possono far a meno di stabilire analogie, di ancorarlo a punti di riferimento, di tracciare delle linee di tendenza. Giocano, si potrebbe dire, con le categorie dell'identità e della differenza, del mutamento e della permanenza, dell'individualità e della generalizzazione, dell'evento e delle strutture. Ed è su questo piano che si può osservare un'analogia con le teorie psicologiche (tra loro così radicalmente diverse che è impossibile fare generalizzazioni), o meglio con la psicologia del profondo correttamente intesa. Dico correttamente intesa perché l'immagine diffusa di questa teoria del profondo si riduce a un insieme di ricette e precetti, spesso banali e di cattivo gusto, secondo le quali "interpretare" comportamenti, sogni, desideri riconducendoli a delle invarianti dell'animo umano. Non c'è nulla di sbagliato, anzi è inevitabile, usare categorie per interpretare e spiegare: il problema è non restarne intrappolati, non rendere statico ciò che invece è vivo e in continuo mutamento, la psiche umana. Ora compito di un'analisi psicologica del profondo dovrebbe proprio essere quello di mostrare come una precisa e irripetibile individualità, il signor Giuseppe, si distacchi sullo sfondo di un insieme di moventi, interessi, desideri che sembrano essere comuni ai più, proprio a causa della sua storia, che non può non intrecciarsi con la Storia. Faccio solo un esempio. Gli psicologi dell'Ottocento che si occupavano di perversioni sessuali ritenevano per lo più che gli omosessuali fossero dei mentitori nati; oppure, senza andare troppo lontano, uno psicologo piuttosto noto, Eric Berne fondatore della teoria transazionale e autore di numerosi bestseller ancora diffusi diceva: "Gli omosessuali felici sono rari. L'omosessualità significa, quasi sempre, una natura contrastata e un super-ego turbato".
Entrambe queste affermazioni dimenticavano appunto un particolare pietoso: la repressione dell'omosessualità e cercano di far passare come qualcosa di inerente alla loro natura una situazione che invece deve trovare una spiegazione nella società e nella cultura del tempo. E proprio questo tipo di giudizi astorici quello che una seria psicologia del profondo dovrebbe evitare. E tuttavia una qualche immagine dell'uomo, sia pure dinamica, legata alla cultura e storicamente determinata, si ritrova sia nella storia che nella psicologia. Peter Gay dice generalizzando forse eccessivamente: "se per la psicoanalisi l'uomo è un animale desiderante, per lo storico è un animale egoista" (p. 105).
Talvolta avviene che questo presunto egoismo umano sia proiettato su interi gruppi e nazioni per spiegarne il comportamento. La storia ci offre effettivamente un elenco inquietante di orrori difficili da spiegare. Pensiamo allo sterminio degli ebrei in Germania: come spiegarlo? Facendo ricorso semplicemente agli "interessi economici" dei grandi industriali tedeschi? Cito da un manuale di storia: "Un popolo ritenuto dai nazisti inferiore, come l'ebraico, avrebbe dovuto quindi essere eliminato. I motivi razziali nascondevano però altre ragioni di tipo economico. La grande industria aveva bisogno di denaro e le banche erano in gran parte in mano agli ebrei; mentre molti proprietari terrieri che avevano ipotecato i loro beni, avevano creditori ebrei. L'eliminazione degli ebrei avrebbe dunque risolto i problemi di entrambe le categorie" (S.Guarracino , I tempi della storia, Bruno Mondadori,Milano, 1989).
E' davvero sufficiente e soddisfacente questa spiegazione? Oppure, per restare nell'attualità, gli orrori nella guerra della ex-Jugoslavia, vanno semplicemente spiegati come lotta per la supremazia su certi territori o come incompatibilità religiosa e culturale tra diversi gruppi etnici? Non si tratta di scegliere la spiegazione, ma di costruire una spiegazione a strati che tenga presente contemporaneamente più piani di analisi. E in questo caso le teorie psicologiche, come pure la sociologia delle religioni o l'antropologia, pur senza mescolarle in un insieme amorfo, offrono un aiuto indispensabile alla ricerca storica. Il che, evidentemente, complica le cose ma amplia anche l'angolo visuale. Anche sul piano della riflessione personale non possiamo sottrarci a una visione più complessa dei comportamenti umani anche in relazione all'azione politica. Due sole domande in relazione all'anarchismo.
Su cosa si fonda in realtà per ciascuno di noi la posizione anarchica: su un ragionamento, un sentimento, una fede, un assunto etico o quant'altro ancora?
Riteniamo che ci sia una base "naturale", qualcosa di istintivo nell'uomo, e dunque comune a tutti, che porta in direzione dei valori che noi riteniamo fondamentali o è tutto solo frutto di una costituzione razionale e di acquisizioni culturali?
L'altro tema, che dicevo all'inizio interessante e in qualche modo legato a una possibile psicostoria, è la ricerca dei rapporti tra individualità, gruppo micro, macro, collettivo e società. In particolare ci interessa sapere per esempio in che modo quelle astrazioni come "stato" o "nazione" giungano a imprimersi nelle menti individuali agganciandosi a particolari meccanismi psicologici. O ancora perché padri di famiglia cortesi e affettuosi si siano trasformati in assassini di massa semplicemente perché il Fuhrer lo ordinava.
Quel filone di studi intrapreso dai francofortesi da una parte e dal Reich dall'altra sulla personalità autoritaria in un determinato contesto sociale andrebbero ripresi oggi e adattati alla nostra situazione attuale. Qualcuno ha mosso passi interessanti in questa direzione, come Christopher Lasch che studia gli effetti delle società complesse sulla personalità. Ma io credo anche che, seppur in modo non specialistico, ciascuno di noi abbia la possibilità di usare se stesso e i suoi amici e conoscenti come laboratorio privilegiato per vedere come funziona la traduzione micro-macro e viceversa: o in altri termini come ci rappresentiamo individualmente o a livello di gruppo certi eventi della storia e come questi interagiscano con i nostri meccanismi psicologici. Un grande e tragico laboratorio di osservazione sulle nostre (per lo meno le mie e dei miei amici) reazioni ed ossessioni penso l'abbia offerto la guerra del Golfo. Materiali per questi esperimenti psico-sociologici non ne mancano certo. Sempre nello stesso ambito bisognerebbe tornare a riflettere, possibilmente in modo nuovo, su quel rapporto tra vita quotidiana e pratica politica (per dirlo con le parole di una femminista: tra esigenze del cuore ed esigenze della Storia) che, affiorato negli anni Sessanta, è stato poi sbrigativamente inscatolato in etichette di comodo. E su questo non c'è dubbio che il movimento delle donne abbia molto da insegnarci.