Rivista Anarchica Online
La Storia, tra personale e politico
di Filippo Trasatti
Che cos'è la psicostoria? Un nuovo genere letterario, parente del romanzo
psicologico? Una suggestiva tecnica psicologica? Niente di tutto questo: si tratta invece di una serissima
disciplina insegnata all'università,
soprattutto nell'area anglosassone, a cui sono dedicati convegni e testi più o meno specialistici.
All'ingrosso si
tratta di una storia che utilizza la psicoanalisi e altre teorie psicologiche per comprendere ad un livello
più
profondo i comportamenti e i moventi degli attori della storia, maggiori o minori che siano. Uno psicostorico
americano, già noto in Italia per una biografia su Freud , Peter Gay, ha tentato di spiegare i fondamenti
di questa
nuova disciplina in un libro: Storia e psicoanalisi (Il Mulino, Bologna,
1989). In sé il libro non è di quelli intriganti né tanto meno affascinanti, per cui
a meno di qualcuno proprio interessato
all'argomento non ne consiglierei la lettura. E da questo punto di vista la recensione potrebbe concludersi qui.
Ci sono però alcuni spunti interessanti da sviluppare che a mio parere hanno una portata più
ampia di quella che
il libro sembra riservargli. In particolare due sono le tematiche su cui varrebbe la pena di riflettere, anche al di
fuori degli steccati specialistici: il tema della "natura umana" alla luce della storia e quello del rapporto tra
struttura sociale e meccanismi psicologici. Peter Gay esordisce dicendo, non di molto esagerando, che lo
storico di professione è da sempre uno psicologo dilettante, che voglia ammetterlo o no. Studiando la
storia soprattutto dei grandi personaggi, quelli che
emergono, che cambiano il mondo con le loro azioni e le loro decisioni, gli storici non possono non analizzare
le ragioni, le motivazioni profonde di quei comportamenti, il rapporto tra la personalità di un certo
personaggio
e le sue azioni. E, cosa ancora più importante, facendo questo presuppongono una teoria della natura
umana
sulla quale fondare appunto quelle motivazioni. Nessuno dice che la storia si riduca a questo; come l'autore
stesso segnala più volte nel corso del libro il riduzionismo è una tentazione e un pericolo
frequente della
psicostoria. Si vuol dire invece che nella ricostruzione storica, quando si narra di persone, e questo appare
inevitabile, anche se sono state scritte, ad esempio, storie del clima, entra in gioco una certa visione della
psicologia. Questo vale in particolare per il nostro secolo perché, a partire dall'affermazione della
psicoanalisi,
il lessico psicologico e psicoanalitico è entrato nella cultura comune, o si è elasticamente esteso
(spesso
impoverendosi e diventando vuoto e generico, buono a tutti gli usi) a molte altre aree disciplinari. Forse
il caso più impressionante è quello della parola "inconscio", i cui usi e abusi meriterebbero un
libro intero.
Ma torniamo all'aspetto più interessante, il discorso sulla natura umana. Una delle obiezioni più
frequentemente
rivolte alla psicoanalisi, e alle altre teorie psicologiche, è quella di essere astorica, di isolare alcune
caratteristiche peculiari dell'uomo, rendendole eterne; in altre parole di postulare una "natura umana"
essenzialmente identica a se stessa oggi e nel Medioevo. Ed è chiaro che proprio con questa pretesa gli
storici soprattutto debbano trovarsi in disaccordo. Nel lavoro dello storico trovano posto però sia le
categorie del
mutamento che quelle della permanenza. Nella ricerca costante di ricostruire un fenomeno storico peculiare,
di restituirgli una verità storica, rendendolo quindi differente da tutto ciò che è accaduto
prima e sarebbe
accaduto poi, essi non possono far a meno di stabilire analogie, di ancorarlo a punti di riferimento, di tracciare
delle linee di tendenza. Giocano, si potrebbe dire, con le categorie dell'identità e della differenza, del
mutamento
e della permanenza, dell'individualità e della generalizzazione, dell'evento e delle strutture. Ed è
su questo piano
che si può osservare un'analogia con le teorie psicologiche (tra loro così radicalmente diverse
che è impossibile
fare generalizzazioni), o meglio con la psicologia del profondo correttamente intesa. Dico correttamente intesa
perché l'immagine diffusa di questa teoria del profondo si riduce a un insieme di ricette e precetti, spesso
banali
e di cattivo gusto, secondo le quali "interpretare" comportamenti, sogni, desideri riconducendoli a delle
invarianti dell'animo umano. Non c'è nulla di sbagliato, anzi è inevitabile, usare categorie per
interpretare e
spiegare: il problema è non restarne intrappolati, non rendere statico ciò che invece è
vivo e in continuo
mutamento, la psiche umana. Ora compito di un'analisi psicologica del profondo dovrebbe proprio essere quello
di mostrare come una precisa e irripetibile individualità, il signor Giuseppe, si distacchi sullo sfondo
di un
insieme di moventi, interessi, desideri che sembrano essere comuni ai più, proprio a causa della sua
storia, che
non può non intrecciarsi con la Storia. Faccio solo un esempio. Gli psicologi dell'Ottocento che si
occupavano
di perversioni sessuali ritenevano per lo più che gli omosessuali fossero dei mentitori nati; oppure, senza
andare troppo lontano, uno psicologo piuttosto noto, Eric Berne fondatore della teoria transazionale e autore
di
numerosi bestseller ancora diffusi diceva: "Gli omosessuali felici sono rari. L'omosessualità significa,
quasi
sempre, una natura contrastata e un super-ego turbato". Entrambe queste affermazioni dimenticavano
appunto un particolare pietoso: la repressione dell'omosessualità
e cercano di far passare come qualcosa di inerente alla loro natura una situazione che invece deve trovare una
spiegazione nella società e nella cultura del tempo. E proprio questo tipo di giudizi astorici quello che
una seria
psicologia del profondo dovrebbe evitare. E tuttavia una qualche immagine dell'uomo, sia pure dinamica, legata
alla cultura e storicamente determinata, si ritrova sia nella storia che nella psicologia. Peter Gay dice
generalizzando forse eccessivamente: "se per la psicoanalisi l'uomo è un animale desiderante, per lo
storico è
un animale egoista" (p. 105). Talvolta avviene che questo presunto egoismo umano sia proiettato su interi
gruppi e nazioni per spiegarne il comportamento. La storia ci offre effettivamente un elenco inquietante di orrori
difficili da spiegare. Pensiamo
allo sterminio degli ebrei in Germania: come spiegarlo? Facendo ricorso semplicemente agli "interessi
economici" dei grandi industriali tedeschi? Cito da un manuale di storia: "Un popolo ritenuto dai nazisti
inferiore, come l'ebraico, avrebbe dovuto quindi essere eliminato. I motivi razziali nascondevano però
altre
ragioni di tipo economico. La grande industria aveva bisogno di denaro e le banche erano in gran parte in mano
agli ebrei; mentre molti proprietari terrieri che avevano ipotecato i loro beni, avevano creditori ebrei.
L'eliminazione degli ebrei avrebbe dunque risolto i problemi di entrambe le categorie" (S.Guarracino ,
I tempi
della storia, Bruno Mondadori,Milano, 1989). E' davvero sufficiente e soddisfacente questa
spiegazione? Oppure, per restare nell'attualità, gli orrori nella
guerra della ex-Jugoslavia, vanno semplicemente spiegati come lotta per la supremazia su certi territori o come
incompatibilità religiosa e culturale tra diversi gruppi etnici? Non si tratta di scegliere la spiegazione,
ma di
costruire una spiegazione a strati che tenga presente contemporaneamente più piani di analisi. E in
questo caso
le teorie psicologiche, come pure la sociologia delle religioni o l'antropologia, pur senza mescolarle in un
insieme amorfo, offrono un aiuto indispensabile alla ricerca storica. Il che, evidentemente, complica le cose
ma amplia anche l'angolo visuale. Anche sul piano della riflessione personale non possiamo sottrarci a una
visione più complessa dei comportamenti umani anche in relazione all'azione politica. Due sole
domande in
relazione all'anarchismo. Su cosa si fonda in realtà per ciascuno di noi la posizione anarchica: su
un ragionamento, un sentimento, una
fede, un assunto etico o quant'altro ancora? Riteniamo che ci sia una base "naturale", qualcosa di istintivo
nell'uomo, e dunque comune a tutti, che porta
in direzione dei valori che noi riteniamo fondamentali o è tutto solo frutto di una costituzione razionale
e di
acquisizioni culturali? L'altro tema, che dicevo all'inizio interessante e in qualche modo legato a una
possibile psicostoria, è la ricerca
dei rapporti tra individualità, gruppo micro, macro, collettivo e società. In particolare ci
interessa sapere per
esempio in che modo quelle astrazioni come "stato" o "nazione" giungano a imprimersi nelle menti individuali
agganciandosi a particolari meccanismi psicologici. O ancora perché padri di famiglia cortesi e
affettuosi si
siano trasformati in assassini di massa semplicemente perché il Fuhrer lo ordinava. Quel filone di
studi intrapreso dai francofortesi da una parte e dal Reich dall'altra sulla personalità autoritaria
in un determinato contesto sociale andrebbero ripresi oggi e adattati alla nostra situazione attuale. Qualcuno ha
mosso passi interessanti in questa direzione, come Christopher Lasch che studia gli effetti delle società
complesse sulla personalità. Ma io credo anche che, seppur in modo non specialistico, ciascuno di noi
abbia la
possibilità di usare se stesso e i suoi amici e conoscenti come laboratorio privilegiato per vedere come
funziona
la traduzione micro-macro e viceversa: o in altri termini come ci rappresentiamo individualmente o a livello di
gruppo certi eventi della storia e come questi interagiscano con i nostri meccanismi psicologici. Un grande e
tragico laboratorio di osservazione sulle nostre (per lo meno le mie e dei miei amici) reazioni ed ossessioni
penso l'abbia offerto la guerra del Golfo. Materiali per questi esperimenti psico-sociologici non ne mancano
certo. Sempre nello stesso ambito bisognerebbe tornare a riflettere, possibilmente in modo nuovo, su quel
rapporto tra vita quotidiana e pratica politica (per dirlo con le parole di una femminista: tra esigenze del cuore
ed esigenze della Storia) che, affiorato negli anni Sessanta, è stato poi sbrigativamente inscatolato in
etichette di comodo. E su questo non c'è dubbio che il movimento delle donne abbia molto da
insegnarci.
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