Rivista Anarchica Online
La nuova mafia
a cura della Redazione
Dopo il dossier pubblicato su "A" 197 presentiamo nuovo materiale sulla questione mafiosa in un servizio
curato da Salvo Vaccaro. Antonio Cardella e Rino Cascio, corrispondente a Palermo de "Il Manifesto",
analizzano le nuove strategie mafiose di fronte alla crisi del sistema politico. Pubblichiamo inoltre ampi stralci
del dossier "Un amico a Palermo", sulla figura dell'esponente democristiano Salvo Lima, curato dal centro
"Impastato" di Palermo.
Oltre alla droga
Certo, a leggere oggi quel dossier "Un amico a Strasburgo" di Umberto Santino, edito dal Centro Impastato
e
reso pubblico nel 1989 (cinque anni dopo il primo, presentato al Parlamento Europeo e al Tribunale di Palermo)
c'è da rimanere irretiti in una sorta di vago rimpianto per un passato che, per quanto attraversato da
schegge
impazzite in alcune zone della penisola e dalla presenza massiccia - ma scontata e lontana - del potere mafioso
o paramafioso in Sicilia, Calabria e Campania, continuava a fornire un quadro tutto sommato rassicurante al
cittadino che non si poneva molte domande e tirava a campare con quello che passava il
governo. Perché a quel tempo, almeno formalmente, un governo esisteva, anche se, a giudizio di
molti, insopportabile espressione della borghesia più ottusa d'Europa e di un ceto industriale-finanziario
vorace e assolutamente privo
di spirito imprenditoriale. Qui da noi, in Sicilia, - è vero - l'arroganza del potere era più scoperta
e, quindi,
operando la tara della componente specificamente siciliana, consentiva in certo modo di intravedere il magma
lavico che montava all'interno del vulcano Italia. Alcune realtà che nel resto della penisola non erano
ancora
evidenti o che ancora riuscivano a occultare la loro reale entità, qui da noi erano già acquisite
e messe nel conto. Così, che Lima fosse un politico influente, organico al potere mafioso, era un
dato scontato sin dalla fine degli
anni Sessanta: mancava, è vero, il giudizio esplicito di un procedimento giudiziario, ma ciò era
da attribuire al
fatto che, in una certa misura, la magistratura stessa o la parte più influente di essa, era parte non
secondaria del
potere perverso che si esercitava. Inoltre, la presenza davvero emblematica dell'istituto regionale (vero e proprio
laboratorio per formule politiche da estendere poi in campo nazionale), all'interno del quale, quotidianamente,
la mafia, in tutta trasparenza, esercitava la sua influenza in virtù di uno stuolo di deputatini anche loro
a lei
organici, pur nella sua apparente inalterabilità, mostrava già, all'occhio esercitato, un contesto
in equilibrio
precario per lotte interne che corrodevano ambedue i poli della gestione della cosa pubblica: quello mafioso,
in piena, non indolore ristrutturazione e, quindi, in condizione di pericolosa instabilità, l'altro, politico,
quasi
interamente colluso, sommerso dal discredito, anch'esso scosso da feroci lotte intestine e costretto a mostrare
il suo vero volto sinistro. Senza alcun intento di enfatizzare il livello della trasmissione, mi pare di poter
ritenere in questo senso
emblematiche alcune puntate di "Samarcanda", nel corso delle quali emergeva un quadro sufficientemente
realistico della situazione siciliana (ricordate quel patetico, sconosciuto deputato Cuffaro, balbettante difensore
del latitante ministro Mannino, il sindaco di Palermo Lo Vasco, divorato palesemente da un livore punico, o
quel Bonsignore che, invocando un asettico, formale ripristino della (sua) legalità, tentava di rimettere
in sella
personaggi del regime ampiamente squalificati?); ma indicative anche della situazione italiana, ben
rappresentata dagli interventi "esterni" o "in studio" (dei Liguori, dei De Donato e persino del frastornato
Venditti, che sfogava a vanvera sue istanze vagamente umanitarie). Ebbene, tutto questo è ormai
fuori dalla cronaca. In pochi mesi il regime si è dissolto e il paese è piombato nel
caos più completo. La magistratura ha affondato il bisturi e ciò che continua a uscire dal
bubbone inciso è
indescrivibile. Il quadro che ne emerge è una nazione governata per decenni, al sud, dal potere mafioso
e da una
classe politica ad esso collusa; al nord, da un regime di corruzione generalizzato, messo a punto e puntualmente
gestito dai partiti di governo e dall'apparato industriale. Tutte cose note, ma non così generalizzate. Sul
momento politico che attraversiamo, sarà bene tornare in altra circostanza. Qui mi limiterò
ad alcune considerazioni sull'evoluzione che la situazione registra in ordine alla ristrutturazione
di Cosa Nostra. Con la cattura di Totò Riina si è conclusa l'operazione "pentiti", un'operazione
che ha sgombrato
il campo da tutti i principali personaggi (e dei rispettivi referenti politici) che hanno dominato la scena
internazionale del commercio della droga. Non sembra, infatti, che, tra coloro che sono ancora uccel di bosco,
vi sia una personalità che possa raccogliere l'eredità dei prestigiosi capifamiglia morti o
catturati. Intendiamoci,
ciò non vuol dire che le cosche non gestiranno più lo spaccio di droga: vuol dire soltanto che
questa attività nei
decenni primaria, servirà solo a finanziare la numerosa manovalanza presente nei vari territori
d'intervento, e
per reclutare altri "soldati": alcuni volontari, altri, disperati, espulsi dal mercato del lavoro. Ma ritorniamo
a quella che presumibilmente sarà la strategia "a breve" che la cupola attuerà. Intanto
l'inquinamento delle confessioni dei pentiti. Lo si deduce già dal primo interrogatorio di Totò
Riina nell'aula
bunker dell'Ucciardone, il quale Riina nega tutto, persino l'evidenza. L'obiettivo di una tale scelta di campo
è
duplice: il più immediato è quello di alleggerire, sin dove è possibile, la posizione di
quanti sono stati chiamati in causa dalle confessioni incrociate dei pentiti; il secondo è quello di lasciare
accesi il più a lungo possibile i
riflettori su queste vicende, peraltro assai pittoresche, e tenere in ombra gli scenari in cui la mafia conduce le
sue nuove attività: perché - lo diciamo da anni - gli organigrammi della struttura mafiosa sono
profondamente
mutati: in relazione ai nuovi problemi connessi con la gigantesca accumulazione di denaro che il commercio
della droga ha consentito; in relazione anche alla continentalizzazione delle scelte di politica economica che
una potenza finanziaria - quale è la mafia - deve essere in grado di compiere. In questa fase, ai
cittadini italiani toccherà assistere alle manovre che istituzioni dello stato, lobbies, servizi
segreti e via dicendo attueranno per utilizzare a propri fini presunte sconfitte della mafia.
Antonio Cardella
La nuova pelle
Palermo - La partita per il passaggio alla seconda Repubblica Cosa Nostra sembra averla aperta il 12 marzo
dell'anno scorso. Nessuna commissione bicamerale, nessun referendum istituzionale, nessun dibattito, ma
soltanto pochi colpi di pistola contro un uomo che corre impaurito. Non una vittima qualunque, non un ostacolo
alle attività criminali, tutt'altro che un personaggio che si era distinto per la lotta contro le cosche. A
cadere sotto
i colpi dei killer di mafia era Salvo Lima, eurodeputato democristiano, leader andreottiano in Sicilia, sindaco
di Palermo negli anni del sacco edilizio, l'uomo politico più discusso dell'isola, quello con più
ombre e sospetti
di collusioni e complicità con poteri criminali. Da quel giorno è stato un cammino spedito verso
un
cambiamento di regole e di struttura. Cosa Nostra si rinnova molto più rapidamente di ogni organismo
istituzionale , anzi anche all'interno di tutti quegli organismi istituzionali in cui ha trovato ospitalità.
Elimina
con ritmo cadenzato, senza ritardi o tentennamenti, vecchi amici e vecchi nemici, apre sarcofaghi che nessuno
aveva mai visto all'interno, accelera il processo di cambiamento anche dopo le sconfitte determinate dalle
rivelazioni dei nuovi pentiti, sempre in numero maggiore, e la cattura del proprio capo indiscusso, quel
Totò
Riina dipinto come la mente criminale più feroce esistente in libertà, latitante per 24 anni e poi
catturato come
un semplice ladro di galline, così come era stato annunciato da un anonimo, definito da più parti
autorevole, e reso noto nel giugno scorso, ben sette mesi prima della cattura del boss corleonese. È
un cambio di pelle. A leggere questi ultimi mesi di sangue si vede una mafia che sembra modificare
radicalmente il proprio volto. Dalla mafia del secondo dopoguerra, ancora legata alla campagna, ma soprattutto
legata con un rapporto di delega alla classe politica e dirigente del paese, ad una mafia imprenditrice,
finanziaria, capace di stare in borsa a Milano senza abbandonare mai la miseria ed il degrado di alcuni quartieri
palermitani, anzi, conquistando terreno anche nei quartieri analoghi di altri centri dell'isola, da Gera a San
Cataldo. Non c'è più il capo famiglia ancora con la lupara a tracolla e gli scarponi sporchi di
terra, che aveva
aiutato gli americani, gli "alleati" a sbarcare nel 1943, disposto ad offrire il consenso elettorale che gli deriva
dal controllo del territorio, ad un politico con giacca e cravatta, laureato, capace di "parlare bene", in cambio
di "favori". Lo stesso Michele Greco, detto il "papa", non è altro che un proprietario terriero che fa
fortuna
ottenendo contributi comunitari per portare al mercato agrumi che produceva e che, nonostante tutto, non
macerava mai. Erano sempre le solite arance, i soliti limoni ad ottenere quei contributi, grazie alle compiacenze
di una certa classe politica, oggi la situazione è diversa. Il figlio del boss ha studiato, anche lui veste
in giacca
e cravatta e "parla bene". E' in grado di stare in borsa a Milano, a Montecitorio a Roma, alla Kalsa a
Palermo, riuscendo ad adattarsi
sempre. La mafia non ha più intenzione di delegare. Partecipa direttamente al processo per la seconda
Repubblica. Siede al tavolo di questa riforma. E' il partito più forte, tutt'altro che in crisi di consenso
o investito
da tangentopoli. E' il sistema politico più completo, capace di parlare il linguaggio di tutti e di far
comprendere
a tutti il proprio linguaggio. L'impressione è che Salvo Lima prima, Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino dopo,
uccisi insieme ad altre 9 persone, l'ex esattore di Salemi Ignazio Salvo, il suicidio del giudice Domenico
Signorino, l'arresto del funzionario del Sisde Bruno Contrada e dello stesso boss Riina, siano tappe di questo
cammino. Lima è soltanto il primo, forse perché il più compromesso con il vecchio
sistema da cambiare, forse
perché l'esempio vivente più evidente del rapporto delega che legava Cosa Nostra alla classe
politica, forse
perché ormai il più esposto, il più incapace di offrire protezione ed impunità
come negli anni precedenti. Non
è un caso che proprio su quest'omicidio inizia la processione di nuovi pentiti pronti a raccontare gli
ultimi
segreti di Cosa Nostra. Pentimenti forzati, forse, di chi ha compreso che ormai è fallito un sistema e che
bisogna
saltare il fosso prima di finire sotto le macerie. Sono altri ora a reggere il gioco, altri a reggere i fili. Nessuno
garantisce più a nessuno. Parlare di Lima è anche il modo più facile di saltare quel
fosso, innanzitutto perché
si tratta di una persona morta, ma soprattutto perché non scalfisce affatto i nuovi rapporti tra Cosa
Nostra e la
politica, non intacca i nuovi referenti delle cosche tra i cosiddetti "colletti bianchi". Ma chi sono questi colletti
bianchi? Giovanni Falcone e Paolo Borsellino devono essere fermati, non soltanto perché
protagonisti della prima
Repubblica di Cosa Nostra, come avversari delle cosche, ma forse perché sono i due pericoli più
grandi per la
nuova stagione istituzionale dell'organizzazione criminale. Hanno messo le mani nei conti svizzeri, hanno
raccolto le confessioni dei primi pentiti degli anni '80, ma ora, soprattutto Borsellino, anche di quelli dei primi
anni '90. Loro sono il vero pericolo. Ignazio Salvo, invece, come Salvo Lima, è l'esponente finanziario
più
compromesso della prima Repubblica delle cosche. E' il colletto bianco condannato al maxiprocesso per
associazione mafiosa. Il primo di tutti. Prima ancora dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Non esistono
altri politici o finanzieri condannati per lo stesso reato, con l'accusa di aver fatto parte organica di Cosa Nostra.
La mafia con quest'omicidio lancia un segnale anche ai nuovi referenti nel mondo dell'economia e dell'alta
finanza, così come con l'omicidio Lima l'aveva lanciato ai nuovi partner politici. Il vecchio impero sta
crollando,
e non solo perché a Milano scoppia tangentopoli, ma anche perché gli ultimi collaboratori della
giustizia aprono
parte degli armadi che non erano mai stati intaccati da provvedimenti giudiziari. Domenico Signorino si suicida
per timore di affrontare quel passato e per lo stesso passato viene arrestato Bruno Contrada. Non a caso
Totò
Riina, nella sua prima uscita pubblica nell'aula bunker del penitenziario palermitano dell'Ucciardone, indica quel
suicidio e quell'arresto come elementi per screditare gli ultimi pentiti. Ed intanto procede la marcia verso la
nuova Repubblica, precede ogni decisione della commissione bicamerale e ogni referendum. Volete il sistema
elettorale maggioritario di Mario Segni? La mafia è pronta. Dove controlla il consenso, casa per casa,
ha pronti
i suoi candidati. Dove non lo controlla ha mezzi economici e di persuasione tali da uscire comunque vincente.
Questa volta le poltrone di governo le occuperà direttamente il figlio del boss.
Rino Cascio
Il ruolo di Lima
Sino a quando è caduto vittima di un "golpe" all'interno dell'intricato groviglio Cosa
Nostra-Politica, nel
marzo dello scorso anno, Salvo Lima, già deputato, sottosegretario, europarlamentare Dc, fedele
andreottiano,
era l'impersonificazione della Dc palermitana e siciliana. Sino al 1992, appunto. E dai lontani anni '60, quando
fu eletto, il più giovane nella storia del capoluogo siciliano, sindaco di Palermo con Ciancimino
assessore ai
Lavori pubblici (anni del sacco pubblico e dell'unico Piano Regolatore cittadino, ancora in vigore). Ora, morto,
si "scopre" la sua vicinanza alla mafia (notoria da sempre), addebitandogli tutte le nefandezze possibili e
immaginabili, oppure continuando a difendere l'indifendibile, a oltranza. Eppure tutta la Dc era unita intorno
a Lima (pur nelle differenziazioni di corrente), Orlando compreso, almeno sino alla sua uscita dal partito;
anche il PCI concordava con Lima strategie locali, come l'ingresso dei comunisti in giunta con Orlando nel
1990 in cambio dell'appoggio ad un andreottiano a Presidente della Provincia. Paradossalmente, bisogna
evitare che, morto Lima, diventi unico capro espiatorio della piovra politico-mafiosa. Lima
era caposcuola del "profilo basso": rarissime interviste, nessuna pubblicità alle difese dalle ricorrenti
accuse. Nel dicembre 1984, il Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato" (Via Villa Sperlinga
15, 90144 Palermo) presentò un circostanziato dossier a Strasburgo, in sede di Parlamento
Europeo. Presentiamo la replica difensiva di Lima e le contro-note di Umberto Santino,
Presidente del Centro. Il dossiervenne rinnovato e aggiornato nel maggio 1989, dato che in
precedenza la mozione di sfiducia contro Lima erastata respinta all'unanimità (compreso
il PCI, siciliano e non), tranne tre/quattro voti.
Salvo Vaccaro
Va preliminarmente ricordato come la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia in
Sicilia
abbia posto termine ai suoi lavori con una relazione conclusiva che - passato al vaglio il materiale acquisito e
le testimonianze rese - rappresentò la sintesi e il culmine dell'imponente lavoro di approfondimento e
di
indagine compiuto. Ebbene la relazione conclusiva contiene riferimenti a Salvo Lima soltanto sotto l'aspetto
storico, in rapporto alle cariche amministrative da lui ricoperte (consigliere e assessore comunale, sindaco),
senza mai esprimere su di lui sospetto alcuno, senza effettuare rilievi, senza ipotizzare connessioni o collusioni
di alcun genere, ritenendolo, quindi, del tutto estraneo al fenomeno analizzato. Se è stata questa la linea
seguita
dalla relazione conclusiva, dopo l'esame documentale e testimoniale condotto con tanta insistita perseveranza,
diverso atteggiamento fu tenuto dai redattori della relazione di minoranza, i quali su Salvo Lima in effetti si
soffermarono più volte. E sulle notazioni dei relatori di minoranza, o addirittura su allegati che furono
acclusi
senza alcun preventivo filtro di verità o almeno di veridicità, che viene oggi "costruito" il
dossier di Democrazia
Proletaria; ed è quindi anche questa la traccia che occorre seguire per puntualizzare quanto sembra
opportuno
e necessario. Il documento presentato a Strasburgo elenca, intanto, le iniziative giudiziarie cui Salvo Lima
sarebbe stato sottoposto durante il corso della sua assai lunga attività di pubblico amministratore. Lo
stesso
documento si chiede perché, al riguardo, non sussiste, presso il Parlamento Europeo, alcuna richiesta
di
autorizzazione a procedere. Un minimo di verifica, ove fosse stata svolta, avrebbe condotto gli estensori del
dossier ad accertare quanto è vero. Ossia che i procedimenti giudiziari in questione - peraltro risalenti
a circa
22 anni addietro - sono stati tutti chiusi, o per sentenze di proscioglimento passate in giudicato (la maggior
parte) o per la sopravvenuta prescrizione. L'on. Lima non ha quindi mai riportato condanne penali di alcun
genere, e non vi sono attualmente procedimenti pendenti a suo carico. Va comunque chiarito che le iniziative
giudiziarie in questione attengono tutte a fatti di natura meramente amministrativa, in nessun modo collegabili
alla mafia; e quindi - indipendentemente dall'esito - ogni loro richiamo alla mafia stessa, nell'ambito
dell'attività
e delle conclusioni della Commissione, appare assai pretestuoso. I richiami all'impegno, quale pubblico
amministratore, di Salvo Lima, suggeriscono, comunque, alcune precisazioni. Il Consiglio Comunale di Palermo
fu, negli anni in cui Lima ricoprì gli incarichi di assessore e di sindaco, sottoposto a numerose, attente
e
doverose ispezioni condotte da prefetti e da dirigenti dell'Amministrazione statale e regionale e ciò al
fine di effettuare la più rigorosa analisi dei comportamenti tenuti e delle decisioni assunte. L'imponente
materiale
raccolto fu sottoposto dal Presidente della Regione del tempo al vaglio del Consiglio di Stato (nella specie:
Consiglio di Giustizia Amministrativa della Sicilia), il quale concluse per la insussistenza dei motivi per lo
scioglimento del Consiglio comunale. In realtà fu possibile accertare in modo inoppugnabile che
Palermo -
prima città della Sicilia e una delle prime in Italia a essere dotata di un piano di ricostruzione e subito
dopo di
un piano regolatore generale, senza soluzione di continuità -, aveva avuto una notevole espansione
edilizia in
armonia con gli strumenti urbanistici regolarmente adottati. Palermo - sul cui "sacco" si è così
intensamente
intrattenuta una pubblicistica non documentata - è, cioè, una città nella quale non vi
è stato fenomeno di
abusivismo se non, forse, per episodi trascurabili, così come documentato in modo incontrastabile dalle
stesse
ispezioni tante volte verificatesi. Un elemento che ha molto colpito la fantasia di coloro che osservano i casi
di Palermo sotto una lente, se non deformante almeno approssimativa, è stato quello di un grande
numero di
licenze edilizie intestate a quattro-cinque persone. La Commissione antimafia poté accertare,
documentalmente e testimonialmente, che si trattava dei cosiddetti
"spicciafaccende" ossia di vecchi capimastri che si prestavano, per un piccolo compenso, a seguire le pratiche
amministrative. Essi in realtà, non soltanto non erano mafiosi, ma rappresentavano la continuità
di una
lunghissima e consolidata tradizione del tutto innocente. I medesimi, infatti presentavano e ritiravano i
documenti per conto dei costruttori, i quali risultavano però noti negli atti, erano diversissimi tra loro,
e
rappresentavano quindi, non la concentrazione, ma la molteplicità delle presenze nel settore
edilizio. Una notazione particolare merita altresì il fatto che il Piano Regolatore di Palermo fu
redatto in un periodo
antecedente la nomina di Salvo Lima ad assessore e sindaco; e che esso rappresentò il frutto di un
lavoro svolto
al massimo livello professionale, tanto da essere firmato da eminenti personalità di tutte le matrici
culturali e
politiche. Molti riferimenti contenuti nel dossier riguardano il costruttore Francesco Vassallo e i suoi pretesi
rapporti con Lima. I redattori del documento hanno preso evidentemente un abbaglio iniziale nel ritenere -
intanto - il Vassallo un mafioso, essendo escluso che il suddetto - oggi gravemente ammalato - lo sia stato o lo
sia. Non soltanto, infatti, egli subì il sequestro, per lunghi mesi, di uno dei suoi figli, ma fu sottoposto
ad
approfonditi accertamenti, e liberato da ogni sospetto con regolari sentenze. Quale che sia - comunque - il
giudizio su Francesco Vassallo, non vi è alcun elemento che possa collegarlo a Salvo Lima, all'infuori
della
normale - e dovuta - attività amministrativa. Non sussiste, infatti, né mai è sussistita,
sotto qualsiasi forma o
profilo, la favoleggiata società VaLiGio (Vassallo-Lima-Gioia), espressione della più sfrenata
volontà
mistificatoria. E' possibile sfidare chiunque a fornire anche la più pallida e lontana prova, o anche il
minimo
indizio, circa l'esistenza di detta società, sia pure in forme non codificate. Non essendo evidentemente
possibile
provare l'impossibile, non è certamente Lima che può dimostrare che non c'è stata
società dove essa non c'è
stata. Dovrebbero essere, al contrario, coloro che si spingono a certe incaute affermazioni a produrre i
riferimenti del caso. Al riguardo giova ricordare che con sentenza del Tribunale di Roma del 27-9-1980
è stato
testualmente affermato: "Non esiste alcuna prova circa la costituzione di una società VaLiGio
intercorrente tra
Gioia, Lima e tale Vassallo"... A parte il fatto che non è stato dimostrato che Gioia e Lima avessero
avuto alcun
tipo di rapporto di affari con Vassallo, non risulta nemmeno che quest'ultimo sia un personaggio della mafia:
lo esclude il Tribunale di Palermo nel respingere la richiesta di adozione nei suoi confronti di misura di
prevenzione. Non è altresì vero che Salvo Lima abbia acquistato da Vassallo una villa costruita
dalla società
"San Francesco" in località Villagrazia di Carini, o comunque altrove. Né è vero che
abbia mai avuto alcun
interesse o partecipazione anche a questa società, alla quale rimase sempre del tutto estraneo. L'acquisto
della
suddetta villa - si ripete: mai avvenuto - è accostato all'acquisto di altra villa bifamiliare, da parte
dell'on. Mario
D'Acquisto e dell'avv. Nicolò Maggio, i quali peraltro la comperarono regolarmente, come è
possibile
dimostrare in via documentale, non fosse altro che per la sussistenza di un regolare mutuo bancario, tuttora
permanente, pari a una parte assai notevole del valore dell'immobile. E' vero invece che Salvo Lima - come
avvenne per numerosissimi altri palermitani appartenenti a tutte le categorie sociali e a molte strutture
istituzionali - acquistò dal Vassallo una casa in Palermo, a uso di civile abitazione. Anche in questo caso
soccorre la presenza e l'entità del mutuo (8 milioni e mezzo, per una casa posta allora in vendita per
dodici
milioni) a testimoniare la correttezza e la normalità dell'operazione. Altro riferimento viene fatto
alla Banca Popolare di Palermo, affermando che Salvo Lima ne sarebbe stato
azionista. Anche questa circostanza, ancorché essa sarebbe - in sè e per sè -
assolutamente insignificante, e
destituita di qualsiasi fondamento, non essendo Lima possessore di alcuna azione della suddetta Banca Popolare,
con la quale non ha mai intrattenuto rapporti. Non ha alcuna rilevanza quindi indicare come mafiosi taluni degli
azionisti della Banca, azionista - si ribadisce - non essendo oggi, né essendo mai stato ieri, Salvo Lima.
Il richiamo alla assoluta invenzione del rapporto Lima-Banca Popolare, che non si capisce da che cosa
nasca,
suggerisce qualche riflessione sulla pervicace volontà con cui talvolta si determinano equivoci, che nel
corso
degli anni finiscono per divenire "luoghi comuni", e poi infine - secondo taluni commentatori politici -
"verità"
incontrovertibili. Può qui cadere un inciso riguardante le esattorie comunali di Palermo, in riferimento
alle quali
talora si sente affermare che esse vennero "concesse" da Salvo Lima "allora sindaco di Palermo". Ciò
si scrive
nella più completa ignoranza della legislazione, vigente allora come oggi; in particolare della
legislazione
regionale; e infine delle dichiarazioni rese da Salvo Lima in sede politica, dichiarazioni rese nella conferenza
stampa di cui si parla nel dossier presentato, dalle quali può trarsi la certezza che egli non condivideva
certamente le linee della suddetta normativa (...). Il documento presentato da Democrazia Proletaria
afferma, nella sua presentazione introduttiva, che "i legami
dei mafiosi con il potere ufficiale, con uomini politici e amministratori, sono stati sempre esibiti, visibili,
documentati e documentabili". Possiamo chiederci, alla luce delle considerazioni sviluppate nelle pagine
precedenti, cosa ci sia di "esibito", di "visibile", di "documentato o documentabile" che riguardi Salvo Lima.
La verità è che il documento di Democrazia Proletaria assomma in modo confuso, e sovente
ripetitivo, cose in
sé non assommabili, sempre a metà strada tra la prova e l'insinuazione, tra l'analisi oggettiva
e il commento
prevaricante. Alcune notazioni sono insistentemente ribadite e riprodotte, così da dare corpo a un
documento
dotato di un proprio spessore cartolare, ma in cui i richiami sono sovrapposti, incrociati, talvolta stancamente
duplicativi. Altre pagine contengono riferimenti generici e contraddittori che non riguardano affatto Salvo Lima
o non consentono comunque pretestuose illazioni nei suoi confronti. Resta la difficoltà di
interpretare un siffatto meccanismo, in cui gli articoli di alcuni organi di stampa spesso sostituiscono la
documentazione, e la documentazione viene presentata parzialmente, in una visione spesso
distorta della oggettività e verità. Salvo Lima è un parlamentare europeo dalla lunga
milizia politica sempre
sottoposto al vaglio popolare che lo ha costantemente confortato di rilevanti suffragi. Nei suoi confronti non
esiste alcun procedimento giudiziario aperto. La relazione conclusiva della Commissione antimafia non ha
ritenuto di dovergli muovere addebiti o di intravvedere nel suo comportamento di pubblico amministratore alcun
elemento di dubbio o di sospetto. La sua attività di bancario ha seguito, sino alla elezione a deputato,
la normale
prassi, senza alcuno speciale privilegio; susseguentemente è stata applicata la normativa per i
parlamentari, il
suo patrimonio immobiliare e quello dei suoi figli è costituito dalla casa dove la famiglia abita, e da
altro
appartamento di cooperativa fra dipendenti del Banco di Sicilia, dove abita la sorella. Le accuse contro di lui
- equivoche nella forma di "documento" e prive di contenuto sostanziale - si appalesano come un tentativo di
esercitare, fuori dalla sfera giudiziaria, ma anche etica, intenti persecutori e intimidatori, secondo collaudate
tecniche di utilizzazione del sospetto a fini di parte. A siffatto tentativo può opporsi soltanto la serena
coscienza
della verità dei fatti e la fiducia nel giudizio di quanti, con animo sereno si volgano a valutare le cose
come
stanno.
A proposito delle osservazioni del deputato Salvo Lima sul dossier "Un
amico a Strasburgo" Le "osservazioni" di Lima, in sostanza vogliono dire: il dossier
del Centro Impastato non dice niente di nuovo,
rimescola acqua passata, contiene riferimenti generici e contraddittori; le accuse contro di me "equivoche e
prive di contenuto sostanziale" sono soltanto "un tentativo di esercitare, fuori dalla sfera giudiziaria, ma anche
etica, intenti persecutori e intimidatori, secondo collaudate tecniche di utilizzazione del sospetto a fini di parte".
Contro un tentativo "siffatto" che altro può fare il "perseguitato" S.L. se non opporre, con
l'imperturbabilità di
chi non ha nulla da nascondere, "la serena coscienza della verità dei fatti e la fiducia nel giudizio di
quanti, con
animo sereno, si volgano a valutare le cose come stanno?". Se non vado errato, tutte le "osservazioni" di
S.L. sono racchiuse in cinque punti. Proviamo ad analizzarle punto
per punto. 1. La relazione conclusiva della Commissione Antimafia su Salvo
Lima I riferimenti con nome e cognome a Salvatore Lima della relazione conclusiva sono
contenuti nelle pagine
dedicate a Vito Ciancimino (pagine 221 e seguenti), nell'ambito della sezione seconda ("La mafia e il potere
pubblico") del capitolo terzo ("La mafia urbana"). I riferimenti sono i seguenti: - pagina 227: "inoltre, per
l'attività svolta, (Ciancimino) fu eletto consigliere comunale e quando venne eletto
sindaco Salvatore Lima, Ciancimino gli subentrò nella carica di assessore ai lavori pubblici, che
mantenne dal
luglio 1959 al giugno 1964"; - pagina 228: tre volte. La prima: si ripete quanto già detto nella
pagina precedente sulla successione di
Ciancimino a Lima nella carica di assessore ai lavori pubblici nel luglio 1959; la seconda volta si ricorda che
la Giunta di Palermo, nel periodo dal 27 maggio 1956 al novembre 1960, fu presieduta dai sindaci Luciano
Maugeri, deceduto - di morte naturale - il 13 maggio 1958, e da Salvatore Lima; la terza volta si ricordano i
sindaci di Palermo dal 6 novembre 1960 al 30 aprile 1964: Lima e Di Liberto; - pagina 229: si richiama
l'approvazione, in data 5 ottobre 1960, di un progetto presentato da Italo Bazan, da
parte della Commissione edilizia "di cui facevano parte Lima e Ciancimino". Il progetto riguardava la
costruzione di un fabbricato in piazza Politeama ed era stato precedentemente accantonato perché in
contrasto
con il piano regolatore. Successivamente, "con una decisione del 4 marzo 1963, il Consiglio di giustizia
amministrativa riconobbe la palese violazione del piano regolatore". Il progetto, dopo l'approvazione, viene
affidato dalla società SACI ai costruttori Matranga, soci di imprenditori vicini a mafiosi (per
comodità del
lettore, che non ha a portata di mano il volumone, si riportano le pagine richiamate). Tutto qui. Come dare
torto a Salvo Lima? Se si toglie l'ultimo riferimento, che non è proprio un peccatuccio, ma può
capitare a chiunque, e in particolare a chi in quegli anni luminosi sedeva al comune di Palermo, tutto sembra
essere andato liscio per il Nostro, stando alla relazione conclusiva dell'antimafia. Se però leggiamo,
anche distrattamente, la relazione, cominciamo ad avere qualche dubbio o a vedere fin troppo chiaro (e chi
scrive non si pente di avere intitolato quella introduzioncina di 2 paginette: "occulto a occhio nudo").
Cominciamo con le pagine dedicate a Ciancimino e dintorni. Gli estensori della relazione di maggioranza
cominciano con il dire: "Ma fu in particolare a Palermo che l'accennato fenomeno assunse dimensioni per
così
dire visive, di tale evidenza cioè da non lasciare dubbi sull'insidiosa penetrazione mafiosa all'interno
dell'apparato pubblico. La gestione amministrativa del Comune di Palermo raggiunse, negli anni intorno al
1960, vertici sconosciuti nell'inosservanza spregiudicata della legge, lasciandosi dietro irregolarità di
ogni
genere". Segue qualche "assaggino" di tali "irregolarità" (pagine 217-221, allegate sempre per
comodità del
lettore). E a conclusione dell'historia cianciminiana si legge: "il caso Ciancimino è stato
l'espressione
emblematica di un più vasto fenomeno che inquinò negli anni Sessanta la vita politica e
amministrativa
siciliana.. Il successo di Ciancimino non si spiega come un fatto casuale... ma si comprende solo se visto nel
quadro di una situazione ampiamente compromessa da pericolose collusioni o da cedimenti non sempre
comprensibili... Niente meglio di ciò che è accaduto negli anni di Ciancimino rivela inoltre
come la mafia sia
stata favorita dall'incapacità dei partiti politici di liberarsi in tempo di uomini discussi etc. etc" (cfr. p.
237
riportata in questo dossier). In questo genere di cose Salvo Lima, assessore e sindaco, ha recitato la parte
del "casto Giuseppe"? Sbaglio o
sono chiamati in causa gli uomini della giunta e del gruppo dirigente del partito di Ciancimino, oppure sono
affermazioni buttate lì tanto per riempire il volume? Certo, la relazione di maggioranza dice e non dice,
cioè,
in termini più propri, è omertosa: inchioda Ciancimino (ma senza nessun effetto concreto per
un bel po' di
tempo) e lascia in ombra tutto il resto, pur facendo una chiamata generica di correità. Non per caso, se
si ricorda
da quali compromessi nascono quella relazione e quella maggioranza, di cui per un certo tempo fece parte il
deputato democristiano Matta, eroe di quegli anni e messo apposta in Commissione per "fermare le bocce".
Però
non si può considerare come figlio legittimo della Commissione solo il testo, nudo e crudo, della
relazione di
maggioranza. Nella stessa relazione si legge che la Commissione approvò in via definitiva alcune
relazioni
conclusive di particolari indagini, tra cui quella sui mercati all'ingrosso, quella sulle vicende del Comune di
Palermo, quelle sui casi di singoli mafiosi e sulle strutture scolastiche. Tali relazioni fanno parte, a pieno titolo,
del pacchetto esitato dalla Commissione. Cosa si legge in tali relazioni sul conto di Lima
Salvatore? Cominciamo dalla Relazione sulle risultanze acquisite sul Comune di Palermo. Si riporta la nota
che fa da
cappello alla relazione. Salvo Lima non c'è ma c'è la "situazione amministrativa" della
città di Palermo
considerata in parallelo con "la particolare intensità del fenomeno delinquenziale" come dire due facce
della stessa medaglia, e come "terreno permeabile per lo sviluppo di attività extra legali e parassitarie".
Tutto questo
avveniva ad insaputa dell'assessore e del sindaco Lima, che il senatore Pafundi, quello delle "santabarbare" che
dovevano esplodere e non esplosero mai, si guarda bene dal nominare? Continuiamo con la Relazione sui
mercati all'ingrosso. Salvo Lima non c'è ma i mercati ortofrutticolo e ittico risultano in mano ai mafiosi
e i
relatori non possono esimersi da una constatazione al limite della banalità: "un vero e proprio legame
vi è stato,
e c'è ancora in parte, tra la situazione riscontrata nella pubblica amministrazione e la situazione ancora
prevalente nel settore del commercio all'ingrosso della città di Palermo e del suo entroterra" (p. 1814
del 2°
volume del Testo integrale della relazione della commissione, Cooperativa scrittori, Roma, 1973). Ma volete
che un sindaco che già sognava Strasburgo, si occupi di frutta e verdura? 2. Soci
& amici. Arriviamo alle Relazioni sui casi di singoli mafiosi (facendo un salto al punto
5 della scaletta precedente). Salvo
Lima c'è e figura in buoni rapporti con i fratelli La Barbera mentre non si e riusciti a chiarire "la reale
natura
dei rapporti" tra Buscetta (allora latitante), Lima, Gioia e Barbaccia (le pagine della relazione con tali riferimenti
erano riportate nel dossier "Un amico a Strasburgo"). Ma Salvo Lima "osserva": è vero, ho incontrato
Salvatore
La Barbera, ma a quei tempi era un pacifico costruttore. A quali tempi? I La Barbera risultano criminali
professionisti fin dagli anni '40, ma Lima "niente sapeva e niente vedeva".... Neppure una parola sul
rapporto con Buscetta, che peraltro da quando si è "pentito" non è neppure lui molto
loquace sui rapporti tra mafiosi e politici. Su Vassallo, Salvo Lima è chiarissimo: non è un
mafioso e riporta
sentenze che lo escludono. Diciamo, più esattamente, che a fronte di una documentazione vastissima
sulla
mafiosità del Vassallo, che riempie l'intero tomo 10 del volume IV degli Atti della Commissione, che
sono
parte integrante della relazione conclusiva, alcuni magistrati hanno ritenuto di non dovere accogliere la richiesta
di applicazione di misura di prevenzione, ma Vassallo rimane indiziato di mafiosità e parente di mafiosi,
di cui
due, i cognati Salvatore e Pietro Messina, uccisi nella guerra di mafia della borgata Tommaso Natale, che
contrappose i clan Cracolici e Riccobono. Portare come prova della non mafiosità di Vassallo il
sequestro del
figlio è decisamente ridicolo: i mafiosi, da bravi repubblicani, possono anche permettersi "sgarbi" del
genere...
La società "VaLiGio" non è esistita, sostiene Lima, e può anche aver ragione nel senso
che non si è trovata da
un notaio una società registrata con quel nome, ma quella sigla stava a significare un rapporto organico
tra i
politici democristiani Lima e Gioia e il costruttore Vassallo; tale rapporto è larghissimamente provato
dalla
documentazione che, con moltissimi omissis, fu pubblicata dalla Commissione, del citato tomo 10. Lima
afferma categoricamente che non era socio della Banca Popolare di Palermo, L'informazione è nella
scheda
inviata dall'allora colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa alla Commissione antimafia. Non ho miti, ma non
credo che Dalla Chiesa sia stato ucciso perché andava in giro a raccontare storielle, tra cui qualcuna sul
conto di S.L. Quanto al tema, non secondario, delle esattorie, nel vecchio dossier riportavo un "pezzo" del
giornale "L'ora" in cui Lima dice che i Salvo sono "amici d'infanzia e compartecipi delle sue idee politiche".
Ebbene i
Salvo, che prima erano considerati i re Mida della Sicilia, sono stati riconosciuti a pieno titolo mafiosi,
cioè
iscritti all'associazione "Cosa nostra" e l'Ignazio è stato condannato al maxiprocesso di 1° grado, ma
si potrà
dire: non è arrivato ancora Carnevale... 3. Le relazioni di
minoranza. Certo, a Salvo Lima, che è sempre stato uomo di maggioranza, non
piacciono, ma io le ho utilizzate nel dossier
perché son documenti pubblicati insieme alla relazione di maggioranza e qualche valore debbono averlo
e come
documentazione dell'"idea" che di S.L. hanno i singoli estensori, tra cui Cesare Terranova e Pio La Torre, e le
forze politiche che essi rappresentano, e pure per i materiali informativi che esse contengono e non sono "carta
straccia" come sembra suggerire il Nostro. Da questi materiali Salvo Lima esce, a tutto tondo, come politico
organicamente legato ai mafiosi, e se si mettono insieme materiali "di minoranza" e "di maggioranza" il quadro
si completa in ogni suo elemento. Ce n'era e ce n'è abbastanza per un partito che volesse scrollarsi di
dosso
complicità, contiguità etc. etc. per dire a S.L.: non puoi più fare parte delle nostre file.
Ma la D.C. si è ben
guardata dal farlo. 4. I "meriti pendenti" Salvo Lima dice: nessuno mi ha mai
condannato e le imputazioni erano solo per banali questioni amministrative.
E' vero che non è stato condannato, anche perché è intervenuta la prescrizione
(cioè il tempo che non
necessariamente è "galantuomo"), ma non è vero che si trattava di sciocchezze. Per la precisione
S.L. ha avuto
i seguenti procedimenti penali: 1) interesse privato in atti d'ufficio per aver favorito il costruttore Vassallo; 2)
attestazione falsa e interesse privato sempre per favorire Vassallo; 3) interesse privato per alcuni casi di
assunzione; 4) approvazione di delibera illegittima; 5) interesse privato per aver favorito concessionari di
posteggio di vendita al mercato ortofrutticolo di Palermo. Nell'ultimo caso è stato assolto
"perché il fatto non sussiste", in qualche altro caso è intervenuta la prescrizione.
Favorire Vassallo non è una sciocchezza, ma Lima continua a considerarlo un benefattore.
5. Il "sacco di Palermo" In breve: la faccia tosta può arrivare fino
a un certo punto, anche per uno che frequenta Andreotti. La Palermo
edificata consulibus Lima e soci è letteralmente un mostro e un reato continuato e il Piano
regolatore, elaborato
da urbanisti più o meno illustri ma totalmente stravolto, intervenne a legalizzare il misfatto
compiuto.
Umberto Santino
Stima delle dimensioni economiche dell'illecito in Italia
VOCI |
Importo attività illecite,
in miliardi |
Numero dei rispettivi
addetti |
Fabbricazione e smercio droga |
25.000 - 35.000 |
20.000 - 30.000 |
Fabbricazione e smercio clandestino di armi |
4.000 - 5.000 |
50.000 |
Fabbricazione e traffico clandestino di opere
d'arte |
1.000 - 2.000 |
5.000 - 10.000 |
Sfruttamento della prostituzione |
5.000 |
50.000 |
Gioco d'azzardo clandestino |
3.000 - 7.000 |
10.000 |
Estorsione e ricatto |
15.000 - 20.000 |
75.000 - 150.000 |
Furto, rapine e ricettazione (di cui furto a livello
spicciolo) |
20.000 (1.000 - 2.000) |
400.000 (250.000 - 300.000) |
Contrabbando |
2.000 - 3.000 |
25.000 - 50.000 |
Commercio valutario illecito |
5.000 - 10.000 |
- |
Tangenti illecite per servizi dovuti |
8.000 - 12.500 |
50.000 - 100.000 |
Altre attività illecite varie (falsi, truffe, frodi,
sfruttamento di incapaci, ecc.) |
12.500 - 17.500 |
100.000 - 150.000 |
(Censis 1985 - pag.29)
Stime relative al fatturato di alcune attività dell'illecito (1983)
Settore |
Elementi di stima economica |
Stima del valore
economico (fatturato
medio annuo) |
Droga |
- investimento medio annuo 1.700 miliardi di lire di cui:
- 30% sul mercato italiano
- 30% sul mercato europeo
- 40% su altri mercati
- indice di moltiplicazione degli impieghi (1)
- mercato italiano = 19
- mercato europeo = 10
- altri mercati = 10
|
22.000 miliardi |
(1) Tale indice si ricava dal rapporto tra
costo della droga al consumatore finale e costo al grossista/distributore: moltiplicando gli
investimenti per tale indice si ottiene il fatturato globale dell'attività |
Tangenti |
- Trasferimento dello Stato a vari (EE.LL., aziende, partiti, ecc.):
196.000 miliardi
- percento di intermediazione illecita: 10% |
20.000 miliardi |
Estorsione Racket |
- PIL relativo alle attività terziarie: 221.000 miliardi - Percentuale dell'attività soggetta all'estorsione: 40% -
valore dell'attività soggetta all'estorsione: 88.400 miliardi - % di
prelievo illecito: 15% |
5.000 miliardi |
Attività immobili |
- PIL relativo all'attività: 41.700 miliardi -
% dell'attività addebitabile ad investimenti di capitali ricavati
da attività illecite: 15% |
6.200 miliardi |
Furti e rapine |
- furti: circa 1.000.000 di casi all'anno segnalati dalla Polizia - rapine: circa 25.000 casi all'anno segnalati dalla Polizia - valori
medi:
- per un furto: 5 milioni
- per una rapina: 15 milioni
|
6.000 miliardi |
Truffe |
- circa 16.000 casi all'anno segnalati dalla Polizia
- valore medio di una truffa: 30 milioni |
5.000 miliardi |
Sequestri |
- circa 200 casi all'anno segnalati dalla Polizia -
valore medio di un sequestro: 500 milioni |
100 miliardi |
Intermediazione con l'estero |
valutazione della Finanza |
20.000 miliardi |
(Censis 1985 - pag.34)
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