Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 199
aprile 1993


Rivista Anarchica Online

La servitù diretta
di Salvo Vaccaro

L'ipotesi di riforma delle regole elettorali nel senso dell'uninominale e dell'elezione diretta dei governanti in Sicilia è già legge. Si esaspera la spettacolarità di una sfera politica ridotta a quiz, mentre l'effetto ottenuto è una maggiore opacità su scelte e decisioni pubbliche.

Il 26 agosto scorso, la Regione Siciliana ha promulgato una legge sull'elezione diretta del Sindaco (con eventuale ballottaggio al secondo turno), sulla divisione dei poteri tra Giunta e Consiglio Comunale, sul diverso metodo elettivo di sindaco e Consiglio (proporzionale corretto con premio di maggioranza), sul referendum anti-sindaco quale potere di ritorsione del Consiglio (le cui competenze di indirizzo generale e di approvazione o meno del bilancio sono compensate dalla totale autonomia del Sindaco che sceglie direttamente i propri assessori al di fuori del Consiglio e, si ritiene, senza condizionamenti dei partiti che esprimono su altra scheda le liste elettorali solo per l'elezione del Consiglio ma non per quella del Sindaco).
Tale legge ha avuto grande eco in campo nazionale giacché la si vuol prendere a modello per le riforme istituzionali in gestazione al Parlamento. Inoltre, già Catania sperimenterà questo metodo l'anno prossimo, mentre a Palermo (da dove passano da un po' di anni in qua parte dei destini del futuro dell'Italia) sono già in atto le grandi manovre per sciogliere l'attuale consiglio comunale e votare l'anno venturo.
L'agonia del regime ha, tra le varie concause, una spoliticizzazione indotta, non solo attraverso i meccanismi elettorali, sul corpo dei cittadini, invitati a disinteressarsi quotidianamente della cosa pubblica, delegata a professionisti e apparati specifici neo-feudali e autoperpetuantisi. Tale spoliticizzazione è compensata dalla costruzione di un mega-palcoscenico dove un simulacro di politica viene spettacolarizzata ad usum populi. Effetto Colosseo, insomma, con il calcio e la TV ad aggiornare i giochi circensi.

L'elezione come mega-concorso
L'effetto Stati Uniti, se si vuole, dove l'uomo politico più potente del globo, per alcuni mesi, si costringe simpaticamente e clawnescamente a servire hamburger dietro a un bancone da baretto di periferia, a suonare il sassofono, a scendere in miniera con tuta e casco giallo unti e bisunti, nel grossolano tentativo di simulare pateticamente una eguaglianza tra elettori e candidati palesemente irrisoria. Se non sfiorasse il ridicolo, ci sarebbe da compatire quei poveri candidati disposti a sopportare la richiesta più assurda pur di accaparrarsi il consenso elettorale per un po' di anni, non vedendo l'ora di isolarsi nei piani alti della politica senza rendere conto di nulla a nessuno. L'elezione non è più da tempo il luogo ove si produce la volontà sovrana dei cittadini, bensì è il mega-concorso dove viene selezionata l'élite politica, il ceto professionista deputato a governare che, per un fastidioso retaggio di ideologie liberal-democratiche dell'ottocento, è ancora vincolato al mandato ed alla legittimità popolare, non potendo auto-eleggersi e riprodursi senza ricorrere ai cittadini.
Una tale americanizzazione della politica viene formalmente sancita da questa legge regionale siciliana n.7/92, nella quale il sindaco riceve il consenso a governare per 4 anni direttamente dagli elettori. I rischi di rivoluzione autoritaria e carismatica non sono rievocati da fantasiosi e irriducibili critici della politica, da sinistra per di più (luogo vituperato, oggi: quando elimineranno persino i cartelli stradali di svolta facoltativa a sinistra dagli incroci presidiati da semafori intelligenti e vigili ottusi?).
Il peronismo di argentina memoria (per inciso, Gelli era grande amico di Peron e nel programma istituzionale e un po' golpista della P2 l'uninominale maggioritario era il metodo elettivo preferito per arrivare ad una situazione latino-americana) è un misto di politica spettacolarizzata e degradata a materia di quiz, di investitura carismatica del singolo di cui si esaltano virtù e onnipotenze a fin di bene (avete mai visto un candidato che si presenti affermando che non vuole perseguire il bene pubblico e arricchire se stesso e la propria cerchia di familiari e amici?).
L'effetto è l'inverso della trasparenza invocata: la politica reale viene resa opaca in modo differente da adesso. L'elettore, scarica tutta la tensione partecipativa nel mega-quiz dell'elezione diretta, alla quale un giorno potrà partecipare comodamente seduto in poltrona a casa via computer e telefono, si rassicurerà per quattro anni, fiducioso nell'investitura e nella legittimità popolare del sindaco (o del Presidente, ecc.). E se verrà male, verranno sociologi a dirgli che è stato lui e solo lui a sbagliare scelta, visto che non ci saranno più partiti cattivi irresponsabili, caso mai lobbies occulte di cui, a cose irrimediabilmente fatte, verrà a conoscenza nel corso di una faida clandestina. Bontà, virtù, programmi politici veramente seguiti dopo le elezioni saranno, come oggi, a rischio: quale potere avrà di scalzare chi è stato eletto a furor di popolo? nessuno, esattamente come oggi. Chi garantisce sugli assessori o ministri (competenze, onestà, ecc.) scelti direttamente dall'Eletto su criteri esclusivamente personali? legittimità indiretta e al buio anche per loro.
Lo striminzito referendum previsto nella legge in questione è più un'arma di ricatto di un consiglio formato da partiti ostili, prevedibilmente, al sindaco, il cui reale contraltare viene indicato nel corpo elettorale dei cittadini che lo potrà, eventualmente, punire dopo i primi quattro anni. (Per inciso, se l'unico referendum indetto dal consiglio contro il sindaco viene vinto da quest'ultimo, il consiglio è automaticamente sciolto). Ma anche nell'attuale sistema proporzionale e indiretto (cioè, mediato dai giochi e dai rapporti di forza dei partiti) vige la possibilità di revoca del mandato dopo la legislatura, eppure al governo sono andati solo sempre gli stessi (a parte il ricambio anagrafico per alcuni). Masochismo degli elettori? brogli elettorali? fedeltà comunque e sempre all'ideologia? trucco delle regole? oppure dislocazione delle reali motivazioni del voto sulla base di fattori clientelari (nel senso alto e basso del termine)?
La legge regionale siciliana dà poi per scontato che, a fronte di una sfera politica corrotta, ci sia una società civile vogliosa di pulizia che sappia esprimere senza condizionamenti un sindaco, il quale sia espressione migliore di sé. Come se negli anni '60, ad esempio, quella società civile non avesse acclamato Lima e Ciancimino padroni, pardon, padrini di Palermo a furor di popolo! E Andreotti, non è il massimo esponente del populismo dalle centinaia di migliaia di voti, col suo fare pretesco e sarcastico, dal gergo bonario e seducente da Domenica in? Roba da far impallidire il carisma popolare di Leoluca Orlando!

Cartello fittizio
Inoltre, l'obiezione più penetrante, a mio avviso, rivolta alla norma: il tentativo di spacciare illusionisticamente i temi delle grandi riforme, delle regole del gioco cioè, come unica panacea per riformare, imbellendolo, il gioco stesso. Fuor di metafora, a fronte della crisi palese di progetti sociali e di programmi politici (grosso modo, la sinistra, compreso noi, non sappiamo offrire una prospettiva vincente, la destra governa a vista d'occhio), di idee insomma sul futuro della società, si induce fideisticamente a far ritenere che cambiando regole elettorali spuntino per miracolo progetti, programmi e idee assolutamente assenti dagli orizzonti culturali del ceto politico in atto intento a riciclarsi alla bell'e meglio (e purtroppo assenti anche nella troppo esaltata società civile, da anni disabituata a pensare in proprio e non sull'onda emotiva degli eventi dettati da altri).
Oltre alla possibilità di controllo fittizio e non reale delle istituzioni da parte dei cittadini, tale illusione perpetua il gioco di esautorare i cittadini delle decisioni relative all'auto-organizzazione della società in tutti i suoi aspetti, dato che i referendum non sono propositivi e decisivi bensì solo abrogativi.
E' ovvio che la candidatura frontale "uomo contro uomo" (o donna, ma non cambia nulla) contiene elementi di spettacolarità che alimenta la volgarità funzionale al becero regime. Altrettanto è ovvio che i temi politici verranno sempre più spoliticizzati e gestiti "tecnicamente" (termine sempre più assimilato a "neutralmente" "obiettivamente") da esperti le cui decisioni sono sganciate da legittimità e consenso. Se passeranno tali modelli, saremo di fronte a un modo surrettizio e strisciante di dislocare i poteri effettivi delle strutture istituzionali dello stato ai vari livelli di apparati. Un simile schema di riforma istituzionale, forgiato sulla falsa riga della legge siciliana, modifica infatti sensibilmente, e dall'alto di un cambiamento delle regole, il gioco competitivo tra i partiti. La semplificazione del quadro partitico interviene parallelamente alla drastica operazione attivata in questi mesi dalla magistratura nelle varie tangentopoli lungo la penisola.
Uno degli effetti di rottura degli equilibri dell'attuale regime sarà quello di identificare sommariamente due grandi fonti contrapposti, gli "onesti" (anche se pessimi governanti) e "regimiani" grazie anche alla funzionale campagna "progressista" di certa stampa e televisione.
Di Pietro, insomma, corre il rischio di diventare l'ariete di un disegno di trasformazione del sistema politico senza un pronunciamento razionale e collettivo sul gioco stesso, bensì sulla scia emotiva degli scandali, delle stragi mafiose, dei poteri occulti e minacciosi. Difficile individuare chi disegna tali manovre e contromanovre sulla pelle dei cittadini (già rinsecchita dai provvedimenti economici e fiscali del governo Amato che, per parte sua, sta del resto trasformando gli assetti sociali del welfare state) e chi usa chi. Comunque l'importante è capirne gli effetti.

Disaffezione progressiva
Se il richiamo all'americanizzazione è corretto, si mette sin d'ora in conto una disaffezione progressiva per la politica nient'affatto contraddittoria con la spoliticizzazione della società civile, checché ne dicano sociologi antimafiosi, cretini gesuiti e in genere tutti i difensori di una mobilitazione borghese e coscienziale dell'opinione pubblica che, finché rimarrà tale, farà soltanto effetto coreografico agli equilibri materiali della nostra società (sempre meglio che nulla, ad ogni modo). La crescita dell'astensione in occasione di tornate elettorali è un trend presente in tutti i regimi democratici: in Italia, seppure su dimensioni ancora fortemente minoritarie, si registra un'analoga tendenza, che presumibilmente verrà accresciuta qualora i contendenti diretti contrapposti vis à vis non susciteranno entusiasmo, non avranno carisma, non riusciranno a reinventare il voto di scambio su basi nuove.
Vero è che a ciò si intende rimediare con le strategie vischiose dei referendum, che pur non mutando nulla se non in negativo, senza garanzie sul futuro in positivo di una data manovra o disciplina normativa di un fatto sociale (aborto, droghe, conflitti sociali, diritti) sicuramente illude maggiormente intorno al simulacro di partecipazione e codecisione del corpo elettorale.
Il tutto quadra, come quadra anche il fatto che il potenziale delegittimante dell'astensione viene preventivamente anestetizzato con l'incanalamento verso l'apatia e l'indifferenza già in atto suscitata da tutto ciò che sa di politica (che è, ricordiamolo, gestione della cosa pubblica e delle decisioni vincolanti collettivamente). Grazie anche alla corruzione diffusa che ha infettato ogni aspetto del vivere sociale. Con l'aggravante, tuttavia, che tale infezione scoraggia l'interessamento dal basso verso i destini collettivi (e anche della vita singola ormai, visto l'infiltrazione delle norme statali sin nei meandri della libertà individuale), ma non elimina la sfera della politica, che anzi si ripara dietro l'alibi dell'apatia, della tecnicizzazione dei problemi politici, della delega ad esperti e competenti ("onesti", questa volta... sino a prova contraria), come se scegliere fosse una questione di competenza tecnica e non di opzioni sociali, politiche, etiche, di futuro della società, di cui tutti, indistintamente siamo portatori responsabili.