Rivista Anarchica Online
La servitù diretta
di Salvo Vaccaro
L'ipotesi di riforma delle regole elettorali nel senso dell'uninominale e dell'elezione diretta dei governanti in
Sicilia è già legge. Si esaspera la spettacolarità di una sfera politica ridotta a quiz,
mentre l'effetto ottenuto è una
maggiore opacità su scelte e decisioni pubbliche.
Il 26 agosto scorso, la Regione Siciliana ha promulgato una legge sull'elezione
diretta del Sindaco (con
eventuale ballottaggio al secondo turno), sulla divisione dei poteri tra Giunta e Consiglio Comunale, sul diverso
metodo elettivo di sindaco e Consiglio (proporzionale corretto con premio di maggioranza), sul referendum
anti-sindaco quale potere di ritorsione del Consiglio (le cui competenze di indirizzo generale e di approvazione
o meno del bilancio sono compensate dalla totale autonomia del Sindaco che sceglie direttamente i propri
assessori al di fuori del Consiglio e, si ritiene, senza condizionamenti dei partiti che esprimono su altra scheda
le liste elettorali solo per l'elezione del Consiglio ma non per quella del Sindaco). Tale legge ha avuto
grande eco in campo nazionale giacché la si vuol prendere a modello per le riforme
istituzionali in gestazione al Parlamento. Inoltre, già Catania sperimenterà questo metodo l'anno
prossimo,
mentre a Palermo (da dove passano da un po' di anni in qua parte dei destini del futuro dell'Italia) sono
già in
atto le grandi manovre per sciogliere l'attuale consiglio comunale e votare l'anno venturo. L'agonia del
regime ha, tra le varie concause, una spoliticizzazione indotta, non solo attraverso i meccanismi
elettorali, sul corpo dei cittadini, invitati a disinteressarsi quotidianamente della cosa pubblica, delegata a
professionisti e apparati specifici neo-feudali e autoperpetuantisi. Tale spoliticizzazione è compensata
dalla
costruzione di un mega-palcoscenico dove un simulacro di politica viene spettacolarizzata ad usum
populi.
Effetto Colosseo, insomma, con il calcio e la TV ad aggiornare i giochi circensi.
L'elezione come mega-concorso L'effetto Stati Uniti, se si vuole, dove
l'uomo politico più potente del globo, per alcuni mesi, si costringe
simpaticamente e clawnescamente a servire hamburger dietro a un bancone da baretto di periferia, a suonare
il sassofono, a scendere in miniera con tuta e casco giallo unti e bisunti, nel grossolano tentativo di simulare
pateticamente una eguaglianza tra elettori e candidati palesemente irrisoria. Se non sfiorasse il ridicolo, ci
sarebbe da compatire quei poveri candidati disposti a sopportare la richiesta più assurda pur di
accaparrarsi il
consenso elettorale per un po' di anni, non vedendo l'ora di isolarsi nei piani alti della politica senza rendere
conto di nulla a nessuno. L'elezione non è più da tempo il luogo ove si produce la
volontà sovrana dei cittadini,
bensì è il mega-concorso dove viene selezionata l'élite politica, il ceto professionista
deputato a governare che,
per un fastidioso retaggio di ideologie liberal-democratiche dell'ottocento, è ancora vincolato al
mandato ed alla
legittimità popolare, non potendo auto-eleggersi e riprodursi senza ricorrere ai cittadini. Una tale
americanizzazione della politica viene formalmente sancita da questa legge regionale siciliana n.7/92,
nella quale il sindaco riceve il consenso a governare per 4 anni direttamente dagli elettori. I rischi di rivoluzione
autoritaria e carismatica non sono rievocati da fantasiosi e irriducibili critici della politica, da sinistra per di
più
(luogo vituperato, oggi: quando elimineranno persino i cartelli stradali di svolta facoltativa a sinistra dagli
incroci presidiati da semafori intelligenti e vigili ottusi?). Il peronismo di argentina memoria (per inciso,
Gelli era grande amico di Peron e nel programma istituzionale
e un po' golpista della P2 l'uninominale maggioritario era il metodo elettivo preferito per arrivare ad una
situazione latino-americana) è un misto di politica spettacolarizzata e degradata a materia di quiz, di
investitura
carismatica del singolo di cui si esaltano virtù e onnipotenze a fin di bene (avete mai visto un candidato
che si
presenti affermando che non vuole perseguire il bene pubblico e arricchire se stesso e la propria cerchia di
familiari e amici?). L'effetto è l'inverso della trasparenza invocata: la politica reale viene resa opaca
in modo differente da adesso.
L'elettore, scarica tutta la tensione partecipativa nel mega-quiz dell'elezione diretta, alla quale un giorno
potrà
partecipare comodamente seduto in poltrona a casa via computer e telefono, si rassicurerà per quattro
anni,
fiducioso nell'investitura e nella legittimità popolare del sindaco (o del Presidente, ecc.). E se
verrà male,
verranno sociologi a dirgli che è stato lui e solo lui a sbagliare scelta, visto che non ci saranno
più partiti cattivi
irresponsabili, caso mai lobbies occulte di cui, a cose irrimediabilmente fatte, verrà a conoscenza nel
corso di
una faida clandestina. Bontà, virtù, programmi politici veramente seguiti dopo le elezioni
saranno, come oggi,
a rischio: quale potere avrà di scalzare chi è stato eletto a furor di popolo? nessuno, esattamente
come oggi. Chi
garantisce sugli assessori o ministri (competenze, onestà, ecc.) scelti direttamente dall'Eletto su criteri
esclusivamente personali? legittimità indiretta e al buio anche per loro. Lo striminzito referendum
previsto nella legge in questione è più un'arma di ricatto di un consiglio formato da
partiti ostili, prevedibilmente, al sindaco, il cui reale contraltare viene indicato nel corpo elettorale dei cittadini
che lo potrà, eventualmente, punire dopo i primi quattro anni. (Per inciso, se l'unico referendum indetto
dal
consiglio contro il sindaco viene vinto da quest'ultimo, il consiglio è automaticamente sciolto). Ma
anche
nell'attuale sistema proporzionale e indiretto (cioè, mediato dai giochi e dai rapporti di forza dei partiti)
vige
la possibilità di revoca del mandato dopo la legislatura, eppure al governo sono andati solo sempre gli
stessi (a
parte il ricambio anagrafico per alcuni). Masochismo degli elettori? brogli elettorali? fedeltà comunque
e sempre
all'ideologia? trucco delle regole? oppure dislocazione delle reali motivazioni del voto sulla base di fattori
clientelari (nel senso alto e basso del termine)? La legge regionale siciliana dà poi per scontato che,
a fronte di una sfera politica corrotta, ci sia una società
civile vogliosa di pulizia che sappia esprimere senza condizionamenti un sindaco, il quale sia espressione
migliore di sé. Come se negli anni '60, ad esempio, quella società civile non avesse acclamato
Lima e
Ciancimino padroni, pardon, padrini di Palermo a furor di popolo! E Andreotti, non è il massimo
esponente del
populismo dalle centinaia di migliaia di voti, col suo fare pretesco e sarcastico, dal gergo bonario e seducente
da Domenica in? Roba da far impallidire il carisma popolare di Leoluca Orlando!
Cartello fittizio Inoltre, l'obiezione più penetrante, a mio avviso,
rivolta alla norma: il tentativo di spacciare illusionisticamente i temi delle grandi riforme, delle regole del gioco
cioè, come unica panacea per riformare, imbellendolo, il gioco
stesso. Fuor di metafora, a fronte della crisi palese di progetti sociali e di programmi politici (grosso modo, la
sinistra, compreso noi, non sappiamo offrire una prospettiva vincente, la destra governa a vista d'occhio), di idee
insomma sul futuro della società, si induce fideisticamente a far ritenere che cambiando regole elettorali
spuntino per miracolo progetti, programmi e idee assolutamente assenti dagli orizzonti culturali del ceto politico
in atto intento a riciclarsi alla bell'e meglio (e purtroppo assenti anche nella troppo esaltata società
civile, da anni
disabituata a pensare in proprio e non sull'onda emotiva degli eventi dettati da altri). Oltre alla
possibilità di controllo fittizio e non reale delle istituzioni da parte dei cittadini, tale illusione perpetua
il gioco di esautorare i cittadini delle decisioni relative all'auto-organizzazione della società in tutti i
suoi aspetti,
dato che i referendum non sono propositivi e decisivi bensì solo abrogativi. E' ovvio che la
candidatura frontale "uomo contro uomo" (o donna, ma non cambia nulla) contiene elementi
di spettacolarità che alimenta la volgarità funzionale al becero regime. Altrettanto è
ovvio che i temi politici
verranno sempre più spoliticizzati e gestiti "tecnicamente" (termine sempre più assimilato a
"neutralmente"
"obiettivamente") da esperti le cui decisioni sono sganciate da legittimità e consenso. Se passeranno
tali modelli,
saremo di fronte a un modo surrettizio e strisciante di dislocare i poteri effettivi delle strutture istituzionali dello
stato ai vari livelli di apparati. Un simile schema di riforma istituzionale, forgiato sulla falsa riga della legge
siciliana, modifica infatti sensibilmente, e dall'alto di un cambiamento delle regole, il gioco competitivo tra i
partiti. La semplificazione del quadro partitico interviene parallelamente alla drastica operazione attivata in
questi mesi dalla magistratura nelle varie tangentopoli lungo la penisola. Uno degli effetti di rottura degli
equilibri dell'attuale regime sarà quello di identificare sommariamente due
grandi fonti contrapposti, gli "onesti" (anche se pessimi governanti) e "regimiani" grazie anche alla funzionale
campagna "progressista" di certa stampa e televisione. Di Pietro, insomma, corre il rischio di diventare
l'ariete di un disegno di trasformazione del sistema politico
senza un pronunciamento razionale e collettivo sul gioco stesso, bensì sulla scia emotiva degli scandali,
delle
stragi mafiose, dei poteri occulti e minacciosi. Difficile individuare chi disegna tali manovre e
contromanovre
sulla pelle dei cittadini (già rinsecchita dai provvedimenti economici e fiscali del governo Amato che,
per parte
sua, sta del resto trasformando gli assetti sociali del welfare state) e chi usa chi.
Comunque l'importante è
capirne gli effetti.
Disaffezione progressiva Se il richiamo all'americanizzazione è
corretto, si mette sin d'ora in conto una disaffezione progressiva per la
politica nient'affatto contraddittoria con la spoliticizzazione della società civile, checché ne
dicano sociologi
antimafiosi, cretini gesuiti e in genere tutti i difensori di una mobilitazione borghese e coscienziale dell'opinione
pubblica che, finché rimarrà tale, farà soltanto effetto coreografico agli equilibri
materiali della nostra società (sempre meglio che nulla, ad ogni modo). La crescita dell'astensione in
occasione di tornate elettorali è un trend
presente in tutti i regimi democratici: in Italia, seppure su dimensioni ancora fortemente minoritarie, si registra
un'analoga tendenza, che presumibilmente verrà accresciuta qualora i contendenti diretti contrapposti
vis à vis
non susciteranno entusiasmo, non avranno carisma, non riusciranno a reinventare il voto di scambio su basi
nuove. Vero è che a ciò si intende rimediare con le strategie vischiose dei referendum, che
pur non mutando nulla se
non in negativo, senza garanzie sul futuro in positivo di una data manovra o disciplina normativa di un fatto
sociale (aborto, droghe, conflitti sociali, diritti) sicuramente illude maggiormente intorno al simulacro di
partecipazione e codecisione del corpo elettorale. Il tutto quadra, come quadra anche il fatto che il
potenziale delegittimante dell'astensione viene preventivamente
anestetizzato con l'incanalamento verso l'apatia e l'indifferenza già in atto suscitata da tutto ciò
che sa di politica
(che è, ricordiamolo, gestione della cosa pubblica e delle decisioni vincolanti collettivamente). Grazie
anche
alla corruzione diffusa che ha infettato ogni aspetto del vivere sociale. Con l'aggravante, tuttavia, che tale
infezione scoraggia l'interessamento dal basso verso i destini collettivi (e anche della vita singola ormai, visto
l'infiltrazione delle norme statali sin nei meandri della libertà individuale), ma non elimina la sfera della
politica,
che anzi si ripara dietro l'alibi dell'apatia, della tecnicizzazione dei problemi politici, della delega ad esperti e
competenti ("onesti", questa volta... sino a prova contraria), come se scegliere fosse una questione
di
competenza tecnica e non di opzioni sociali, politiche, etiche, di futuro della società, di cui tutti,
indistintamente siamo portatori responsabili.
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