Rivista Anarchica Online
Esorcismi vecchi e nuovi
di Carlo Oliva
Va be' che agli anarchici le scadenze elettorali non interessano, ma spero che
avrete notato anche voi come
attorno all'ormai prossimo referendum del 18 aprile si stia creando un clima molto strano: tanto più
strano se
si pensa che, a quanto assicurano unanimi gli esperti, si tratta di una consultazione dall'esito largamente
scontato. In effetti, attenendosi ai soli quesiti di modifica delle leggi elettorali (gli altri mi sembrano piuttosto
di contorno, salvo quelli relativi al finanziamento pubblico dei partiti e alla Jervolino-Vassalli, che presentano
problemi propri di cui qui non posso occuparmi) sembra che già al momento in cui scrivo il
cinquantasei per
cento dei cittadini sia ben deciso a votare sì, come d'altronde gli viene suggerito da tutti, dicesi
tutti, i grandi
mezzi d'informazione, dalla stragrande maggioranza dei partiti rappresentati in Parlamento e dalla
totalità dei
nuovi movimenti emergenti, quali che siano (per non dire di certi eminenti personaggi che, visto il ruolo
istituzionale che coprono, farebbero meglio a tenere la bocca chiusa). Eppure se ne parla come se fossimo, una
volta di più, all'ultima spiaggia, come se da questo voto dipendesse chissà che
cosa. Domenica 20 marzo, tanto per intenderci, il direttore del Corriere della Sera si è
disturbato a scrivere e a
firmare un fondo, "La vittoria non basta", in cui spiegava appunto che non a vincere bisognava mirare, ma a
stravincere, perché un'affermazione di stretta misura dei "sì", per le istituzioni democratiche,
sarebbe stata
altrettanto letale di una vittoria dei "no" se non forse peggio (come se una percentuale del 56% di favorevoli
a quattro settimane dal voto non configurasse già da sola una stravittoria di tutto rispetto, ma
evidentemente per
un'ultima spiaggia che conti ci vuole un po' di suspense). Quanto a Repubblica, nella stessa
domenica ha pubblicato in una delle sue prestigiose pagine economiche uno
strano articolo in cui, confondendosi un po' tra il 18 aprile del '93 e quello del '48 (quando, se non ricordate, i
democristiani ci salvarono dal comunismo), si riusciva a supporre che, oggi come allora, l'incertezza sull'esito
del confronto potesse spingere famiglie e imprenditori a imboscare i capitali all'estero, con grave nocumento
per l'economia nazionale. Avranno ragione loro (non quelli che imboscano i capitali, ma i fautori del
sì), figuriamoci. Sono in
maggioranza e le maggioranze in democrazia hanno sempre ragione, soprattutto quando sono sospinte dal vento
del cambiamento. Certo, però, che per costituire una maggioranza così travolgente e
così decisa a trasformare
il paese, gli esponenti di quel fronte sono straordinariamente riluttanti a motivare nel merito la loro proposta.
Ci assicurano che bisogna cambiare e che l'approvazione dei quesiti referendari segnerà un
cambiamento, che
è senz'altro vero, ma un poco ovvio, e anche irrilevante, visto che quel che conta è il tipo di
cambiamento cui
si va incontro, e ci garantiscono che i futuri parlamentari potranno esprimere dei governi stabili e nella pienezza
dei loro poteri, che anche questa non è poi quella gran garanzia, perché i governi deboli e
incapaci sono una
grave iattura, certo, ma questo non vuol dire che basti avere governi forti e capaci per dormire tutti sonni
tranquilli. Non vorrei sembrare inutilmente demagogico, ma è successo talvolta che sotto governi un
po' troppo forti i sonni dei cittadini siano stati turbati dal brusco bussare alla porta, in piena notte, dei
carabinieri, o di chi
per loro. Qualcuno, non ne dubito, avrà cercato di entrare nel merito, ma nella canea generale non
si è fatto troppo
sentire. In compenso si sono fatti sentire, e come, quelli che ricorrono all'antica tecnica dell'esorcismo. Mi
spiego: quelli che spiegano, tutti seri, che comunque per il no vota Craxi e che questo taglia la testa al toro,
perché "per la sua stessa presenza attiva nel fronte proporzionalista Craxi restituisce alla battaglia per
il no...
il suo autentico significato" come a dire che "comunque lo si agghindi.. si tratta puramente di una battaglia per
la conservazione di quanto è più possibile del vecchio regime politico e della logica dei vecchi
partiti" (sempre
sul Corriere della sera, venerdì, 19 marzo, ad opera di qualcuno che evidentemente pensa
che le dirigenze della
Dc, del Psi, dello Psdi, del Pli, del Pri e Pds, tutte schierate per il sì, con il vecchio regime e la logica
dei vecchi partiti non abbiano nulla a che fare). O quelli, come il senatore Boato, per cui (Corriere della
sera, sabato 20
marzo) i no sono il "frutto di veteroestremisti di sinistra", tra i quali il vecchio trasformista non annovera
evidentemente Craxi, anche se lo imporrebbe la proprietà transitiva, ma quei suoi colleghi verdi che
la pensano
diversamente da lui, e che rappresentano solo "una vecchia componente di estrema sinistra", che pecca,
oltretutto, di scarsa coerenza. Da che pulpito. Beninteso. Anch'io, che, personalmente, resto abbastanza
convinto che il sistema proporzionale sia comunque
una conquista democratica cui, se proprio si vuole votare, sarebbe stolto rinunciare, non posso fare a meno di
trovare che lo schieramento dei sostenitori del "no" si sta configurando come un'armata Brancaleone mica male.
Ma, ahimè, non è questo il punto. Anche nello schieramento del si c'è un mucchio di
gente con cui non mi
piacerebbe farmi vedere assieme nemmeno da morto, e non mi riferisco solo al senatore Boato, a fianco del
quale si notano, tra gli altri, il presidente Amato, l'onorevole Bossi, il senatore Agnelli, il dottor Abete e
quant'altro. Certo, un referendario democratico e riformista, un serio ammiratore del tenero Occhetto, potrebbe
ribattere che, nella lotta politica, può sempre capitare di trovarsi a fianco di strani compagni di giochi.
Ma
questo, naturalmente, dovrebbe valere per tutti. Il fatto è che il nostro ceto politico non vuole
entrare nel merito di questi problemi perché non ne è capace. I
politici italiani, protagonisti e commentatori, sono avvezzi da sempre a suscitare dei fantasmi da esorcizzare:
non chiamano mai le masse a raccolta attorno ai meriti propri, ma le aizzano sempre contro il pericolo
rappresentato dai demeriti altrui. Orbati dal servizievole spettro che una volta si aggirava per l'Europa, una volta
capito che ormai è difficile spaventare la gente con la prospettiva dei cosacchi abbeveranti i cavalli in
piazza
San Pietro, non hanno saputo trovare di meglio, come schema ideologico-culturale, dell'antitesi tra il vecchio
e il nuovo, e, come babau, del fantasma della partitocrazia, contro il quale, con sublime sprezzo del ridicolo,
stanno febbrilmente cercando di montare un nuovo 18 aprile che ormai si sta configurando come la loro vera
"soluzione politica". Buon pro gli faccia: noi, certamente, abbiamo cose più serie a cui pensare.
Ma ci resta un dubbio. Quando
avranno vinto anche questa battaglia, che cosa d'altro si inventeranno, 'sti deficienti?
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