Rivista Anarchica Online
Referendum / Mi astengo perché
di Paolo Finzi
A parte il referendum istituzionale del '46 - a quell'epoca non ero ancora nato -
avrei potuto partecipare a tutti
i referendum che si sono tenuti finora, a partire da quello "storico" sul divorzio nel '73. Non mi sono mai recato
alle urne e francamente, anche se su tante cose ho modificato la sensibilità e le mie opinioni, su questo
tema la
penso oggi come allora. Negli anni '70 - vuoi per la "novità" dello strumento referendario, vuoi per
la maggiore vivacità del contesto
politico-sociale - all'approssimarsi di ogni scadenza referendaria (e, prima ancora, quando i promotori
raccoglievano le 500.000 firme necessarie per proporre referendum), si scatenava anche in campo anarchico
un dibattito molto partecipato e spesso con toni accesi. Le ragioni pro e contro la partecipazione erano, in
parte, quelle riportate da Maria Matteo nel suo intervento
in queste pagine. La nostra rivista, fin dal referendum sul divorzio schierata decisamente per l'astensione,
ha sempre cercato di
evitare che tale scelta potesse apparire - per quanto ci riguarda - come una rigida ed acritica applicazione di
un più generale (ed astratto) "astensionismo", secondo il quale "gli anarchici non votano mai".
Personalmente,
non nego che vi sia anche una componente per così dire "affettiva", o meglio "tradizionale", nel non
voler
varcare la soglia di un seggio. Ma sono il ragionamento pacato, l'analisi senza paraocchi della realtà
politica, la coscienza dei nostri limiti ed
al contempo dei nostri compiti, della nostra stessa ragione d'essere in quanto anarchici, il motivo principale di
un'astensione che riguarda tutti i referendum statali. Più che in passato, sono pronto ad ascoltare
ed a rispettare chi - anarchico - decida di utilizzare la scheda per
impedire che vengano abrogate leggi che bene o male assicurano qualche spazio di libertà. Ma resto
profondamente convinto che quando il gioco è promosso, organizzato, pubblicizzato e soprattutto vinto
in
partenza dallo stato, la scelta più sensata e più coerente sia l'astensione.
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