Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 199
aprile 1993


Rivista Anarchica Online

Da tangentopoli alla seconda repubblica
di Maria Matteo

Anche a chi non ami indulgere a una cultura del sospetto, sorge il dubbio che i referendum istituzionali giungano per la classe politica come il cacio sui maccheroni. Posti come alternativa tra rinnovamento e conservazione ricordano una partita con carte segnate, in cui ogni mossa risulta perdente.

Rammento un film di qualche anno fa, interpretato da Paul Newman e Robert Redford allora giovani fascinosi dall'aria ribalda, che impersonavano due professionisti dell'imbroglio che, per vendicare la morte di un amico, organizzavano una gigantesca truffa ai danni del gangster assassino. Esile la trama, scarso lo spessore psicologico dei personaggi, la pellicola risultava nondimeno avvincente grazie al ritmo vivace ed incalzante con cui veniva descritto il complesso meccanismo del bidone (un finale a sorpresa ne era il degno coronamento).
Di fronte a questi geni della truffa in celluloide imprenditori e politici di tangentopoli ci fanno una ben magra figura. Il meschino tentativo di cavarsela a buon mercato con il decreto Conso non solo è miseramente fallito ma ha contribuito a gettare ulteriore discredito su una classe politica le cui odierne quotazioni battono persino quelle della lira nella tendenza al ribasso. Scandali piccoli e grandi non sono certo una novità in Italia ma mai prima d'ora il fenomeno era venuto alla luce del sole in proporzioni così vaste. Tra l'attuale situazione e altre analoghe storie di corruzione nel recente passato vi è lo stesso rapporto che intercorre tra un cancro maligno ormai diffuso in ogni parte del corpo politico e qualche foruncoletto facilmente eliminabile . La malattia è così grave che non manca di risvolti involontariamente comici, dacché è ormai chiaro che il più sano ha la rogna e più si gratta più si infiamma. In quello che ormai è il toto-tangenti non c'è giorno che un qualche campione di integrità assiso sullo scranno severo dei moralizzatori non finisca miseramente a terra travolto da un avviso di garanzia.

Arroganza incommensurabile
La precarietà del quadro politico è tale da non consentire alternative immediate: in fondo la forza del governo Amato è la debolezza estrema delle opposizioni. Non solo perché alla mensa di tangentopoli si sono serviti un po' tutti, ma anche e soprattutto perché buona parte delle opposizioni classiche sia di destra che di sinistra si rivelano incapaci d'una progettualità politica reale e prive d'ogni residua spinta ideale. L'unico strumento di cui tutti si servono con dovizia è l'attitudine spregiudicata al più becero trasformismo.
Ha iniziato Craxi, che da accorto camaleonte cinico ha aperto la strada agli altri, che uno dopo l'altro si sono accodati. Si suggerisce l'idea del complotto, dei giudici manovrati da questo e da quello. Si tira in ballo il solito Andreotti, nel ruolo invero a lui confacente di tessitore di trame più o meno oscure; si allude alla CIA la cui longa manus si protende per destabilizzare l'Europa. Insomma mi han preso con le mani nel sacco, ma chi mi accusa non è uno zelante funzionario ma un ben noto mariuolo. Nondimeno l'argomento del complotto, poco importa se reale o presunto, risulta un po' debole di fronte al livello della melma che sale in maniera direttamente proporzionale all'infittirsi di avvisi di garanzia, arresti e procedimenti penali a carico di pezzi da novanta della politica, della finanza e dell'imprenditoria.
A questo punto qualsiasi onesto delinquente getterebbe la spugna e si ritirerebbe in buon ordine, convinto che il gioco è stato bello finché è durato ma ormai non c'è più nulla da fare. Ma l'arroganza unita ad un'assoluta mancanza del comune senso del pudore dei politici nostrani è invece del tutto incommensurabile. Bastano un paio di postulati di valore ed un semplice sillogismo per dar vita ad un teorema elementare ma efficace. Il confronto tra i partiti è il cemento della democrazia,la sua linfa vitale, ma la vita dei partiti, il funzionamento della complessa macchina burocratica che ne è il nerbo, ha i suoi costi, costi ben più elevati dei 150 miliardi previsti dalla legge sul finanziamento pubblico dei partiti. Insomma se tanti han trasgredito le regole non è perché erano una manica di lestofanti ma perché le regole stesse erano sbagliate. I politici han rubato e taglieggiato per amore della democrazia.
All'indomani delle dimissioni di Craxi, Giuliano Ferrara, imbonitore televisivo al servizio di Bettino, abbandonate le abituali note del Don Giovanni ed intonato il "Così fan tutti", è stato il primo ma non l'ultimo a propagandare la "necessità di uscire da tangentopoli". Però, nonostante l'indubbia abilità di Ferrara e di altri sofisti di regime, il boccone era troppo grosso e troppo amaro perché la gente, pur usa a digerire tutto, potesse inghiottirlo tanto facilmente. Sarebbe tuttavia poco lungimirante chi ritenesse che il fallito tentativo di colpo di spugna esaurisca la questione, perché trappole ben più raffinate ed insidiose sono sul punto di scattare. Certo i più smaliziati una certa puzza di bruciato dovrebbero iniziare ad annusarla quando "l'impellente necessità di nuove regole" viene invocata ormai a gran voce da più parti. Se poi tangentisti e moralizzatori, governo e vasti strati d'opposizione si accaniscono a tenere in piedi un governo ed un parlamento pesantemente delegittimati pur di consentire lo svolgimento dei referendum del 18 aprile, il lezzo si fa letteralmente insopportabile.

Tomba della partitocrazia
Anche a chi non ami indulgere ad una cultura del sospetto sopravviene prepotente il dubbio che questi referendum giungano come il cacio sui maccheroni. Ci dicono che Amato deve restare in sella, il parlamento non deve sciogliersi, perché elezioni immediate con il vecchio sistema non consentirebbero quel radicale cambiamento ormai irrinunciabile dopo tangentopoli. La riforma istituzionale deve essere fatta al più presto ed il modo migliore di farla è lasciare la parola ai cittadini. E come se dopo aver condannato a morte qualcuno gli si chiedesse di insaponarsi la corda ed impiccarsi da solo. E una vicenda incredibile ma quel che è ancora più incredibile è che pare probabile che il condannato accetti cli buon grado l'idea e sia in procinto di infilarsi al collo il cappio. Infatti, se si da credito a certi sondaggi recentemente comparsi sulla stampa, pare certa la vittoria dei sì nei referendum sul sistema elettorale del senato e dei comuni. E noto lo scopo di questi referendum ossia il passaggio da una legge elettorale proporzionale ad una maggioritaria. Ancor più scontato pare il risultato del referendum sul finanziamento pubblico dei partiti che probabilmente darà luogo ad una valanga di sì. Quel che appare fuor di dubbio paradossale è che questi referendum, presentati dai vari Segni e Pannella come tomba della partitocrazia, finiranno con il divenirne l'ancora di salvezza.
Grazie a tangentopoli il passaggio dalla prima alla seconda repubblica sarà molto più facile di quanto fosse lecito aspettarsi qualche mese fa. Non è certo casuale che nelle ultime settimane si sia visto un certo rimescolamento di carte rispetto ai referendum istituzionali: la Dc le cui posizioni parevano ormai divergenti rispetto a quelle di Segni si è schierata per il sì, al contrario la Rete, che inizialmente aveva aderito al patto referendario, si è schierata per il no. Se i partiti di governo e parte di quelli d'opposizione dovessero affrontare oggi elezioni con il vecchio sistema proporzionale è assai probabile che subirebbero una sconfitta tanto netta da cancellare gli equilibri politici su cui s'è retta la repubblica negli ultimi cinquant'anni.
Al contrario, un voto effettuato con sistema maggioritario, che prevede l'assegnazione della maggioranza dei seggi al partito o alla coalizione di partiti che raggiunge la maggioranza relativa dei voti, spazzerebbe via buona parte delle opposizioni, garantendo il salvataggio all'attuale classe politica.
Posti come alternativa tra mantenimento dello status quo e rinnovamento delle regole della politica, questi referendum ricordano una partita con carte segnate, in cui qualunque mossa risulta perdente se si accetta di stare al gioco.
L'istituto del referendum diviene strumento efficace per rilegittimare una classe politica corrotta e liberticida. Già De Gaulle si servi a larghe mani del referendum per realizzare il passaggio dalla quarta alla quinta repubblica: la Francia di allora come l'Italia di oggi attraversava una grave crisi a causa della guerra sporca d'Algeria. De Gaulle, personaggio dal forte carisma, che pure gestì in modo ambiguo un conflitto che si concluse con la perdita del dominio coloniale sull'Algeria, riuscì ad imprimere una svolta autoritaria all'ordinamento della repubblica francese. Due plebisciti sancirono il passaggio da un sistema elettorale proporzionale ad uno maggioritario, nonché il trapasso da un modello parlamentare ad uno presidenziale. Certo Segni non è De Gaulle e più che i panni del capo carismatico gli si addicono quelli di un gattopardo sardo che si sforza di far sì che tutto cambi affinché tutto resti come prima. D'altra parte nemmeno lo scenario d'Europa è più quello del periodo a cavallo tra la fine degli anni '50 e il principio dei '60.

Svolta autoritaria
In Italia ha ormai esaurito la sua funzione quella che è stata definita democrazia bloccata, imperniata su di uno schieramento di centro reso inamovibile dal confronto con il partito comunista più forte dell'occidente. Finita la guerra fredda, finito il comunismo, il vecchio PCI si è frantumato in due spezzoni che ancora cercano un'identità; il blocco di centro che traeva la sua forza dall'anticomunismo, ha perso il suo collante e si va sfaldando. Se al cocktail si aggiunge un forte vento di destra e l'inasprirsi dello scontro sociale conseguente alla crisi economica, non pare pessimistica l'ipotesi d'una svolta autoritaria sia sul piano istituzionale che su quello delle scelte politiche di fondo. I referendum, giocati abilmente sulla voglia d'aria nuova della gente. non sono che il primo passo.
Non è certo la prima volta che il referendum viene adoperato per battaglie politiche che poco o nulla hanno a che fare con gli effettivi contenuti su cui i cittadini sono chiamati a rispondere. Troppo spesso negli ultimi anni i signori del palazzo sono riusciti a sconvolgere e mutare di senso i vari quesiti referendari sottoposti al vaglio dell'elettorato. Craxi ottenne il no nel referendum sul ripristino dei punti di contingenza, facendo agli italiani quella che con il linguaggio del padrino di Coppola è una proposta che non si può rifiutare. Come molti ricorderanno egli minacciò di colpire ancor più pesantemente gli interessi dei lavoratori nel caso d'una vittoria dei sì. Ancor più bieco fu il modo in cui riuscirono ad invalidare i referendum su caccia e pesticidi. In un paese in cui ad ogni scadenza elettorale i partiti insistono nel richiamare al dovere del voto non si è esitato a propagandare l'astensionismo. Quell'astensionismo che da sempre caratterizza la politica degli anarchici e che di fronte alla trappola dei referendum istituzionali non solo mantiene ma vede confermate le proprie ragioni.
Tuttavia non tutti i referendum sono uguali. E' vero che il carattere esclusivamente abrogativo dell'istituto referendario fa sì che il potere di decidere sulle norme resti nelle mani del parlamento e quindi paia inaccettabile a chi come gli anarchici rifiuta di dare in alcun modo avallo ad un sistema basato sulla delega. Negli ultimi tempi tuttavia mi è capitato di confrontarmi con compagni convinti che talora l'abrogazione di una legge possa avere effetti immediati tali da non consentire a nessuno di stare alla finestra, cullandosi nella quieta sicurezza della propria coerenza. Fu il caso dei referendum sull'abrogazione della legge 194 in materia di aborto, una legge brutta, criticatissima dal movimento delle donne ma la sua abrogazione avrebbe consentito all'oscurantismo clericale di ricacciare le donne nel buio dell'aborto clandestino, a rischio della vita e del carcere. Se il referendum sull'abrogazione della legge Reale fosse riuscito a cancellarla, quanti avrebbero evitato l'arbitrio di perquisizioni domiciliari senza mandato, eseguite a mero scopo intimidatorio? Se il 18 aprile verrà abrogata la Craxi-Jervolino che punisce con carcere, ammende e privazioni della patente chi fa uso di sostanze proibite, non vi sarà un piccolo spazio di libertà in più in questo nostro paese? Certo non è la libertà che molti auspicherebbero, certo non è la fine di quel proibizionismo che tanto conviene all'alleanza tra il gangsterismo della politica e le mafie e le camorre dello spaccio.

Etica della convinzione, etica della responsabilità
I compagni che sostengono l'opportunità di votare a questi referendum in cui sia direttamente in gioco l'aumentare e il restringersi di ambiti di libertà si rifanno ad un'etica della responsabilità. È nota la distinzione tra etica della convinzione ed etica della responsabilità: nel primo caso chi agisce persegue prioritariamente l'accordo tra comportamenti e valori; nel secondo assume valenza etica anche l'esame delle conseguenze dei propri atti. Sicuramente importante nell'agire quotidiano, la valutazione degli effetti del proprio comportamento appare addirittura imprescindibile in politica. Difficile tuttavia ridurre la questione ad un conflitto tra convinzione e responsabilità, poiché anche chi ritiene comunque inopportuno il voto mira a sottolinearne le conseguenze negative.
Come mi faceva notare un compagno l'effetto più rilevante dei referendum, al di là del mantenimento e della soppressione di questa e quella norma, è il rafforzarsi della fiducia nella capacità dello stato di autoriformarsi. Oltretutto, nel caso qui in esame ossia la Craxi-Jervolino, votare significa riconoscere allo stato il diritto di legiferare su di una questione, l'uso e l'abuso di sostanze stupefacenti che non inerisce in alcun modo la sfera collettiva ma solo quella individuale. L'approccio libertario si caratterizza per il rifiuto dell'espropriazione da parte dello stato di quella facoltà normativa che spetta unicamente alla società civile. La prefigurazione d'un assetto sociale anarchico non implica in alcun modo l'assenza di regole, quanto piuttosto un sistema decisionale basato sulla partecipazione e non sulla delega. Possiamo individuare due distinti ambiti normativi: uno più generale, una sorta di patto associativo, di "costituzione", il cui scopo è la definizione delle modalità decisionali e la salvaguardia del diritto alla sperimentazione sociale; un altro più "specifico", maggiormente soggetto a verifica e revisione, che inerisce tutte le questioni di portata generale, ossia quelle decisioni i cui effetti si riversano sulla società nel suo complesso. Ne deriva che, ad esempio, la scelta di costituire o meno una centrale nucleare, non può essere fatta unicamente dagli abitanti del posto in cui verrebbe edificata, poiché le conseguenze di tale scelta travalicherebbe di gran lunga l'ambito locale. Ne deriva altresì, che tutti i comportamenti individuali, così come le modalità di vita comune, purché liberamente assunti, i cui effetti non oltrepassino lo spazio sociale di chi li ha fatti propri, restano al di fuori dell'area normativa più generale, il cui compito è semmai di garantirne la salvaguardia. Un principio quest'ultimo non solo anarchico ma già liberale, che il parlamento si è ben guardato dal garantire quando ha preteso legiferare sull'uso di droghe.

Una scelta difficile
Come già in passato, abbiamo di fronte una scelta tra le più difficili, poiché dare una risposta univoca appare arduo e fors'anche semplicistico. Cos'è preferibile: tentare di cancellare, anche con il voto, una delle leggi più liberticide promulgate in tempi recenti dal parlamento, oppure rifiutare un gioco che non è il nostro, un gioco ingiusto, in cui non siamo che misere pedine su una scacchiera disposta da altri? Ho l'impressione che, in un caso o nell'altro, finiremo comunque con lo sporcarci le mani, finiremo comunque con il fare qualcosa di sbagliato. In dirittura d'arrivo rischiamo di scoprire che questo sistema politico e la sua classe dirigente non sono tanto stupidi quanto credevamo, e, come gli abili bidonari della "Stangata" ci riservano un finale a sorpresa.