Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 198
marzo 1993


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Primi piani acuminati

S. M. Ejzenstejn ha scritto una Teoria generale del montaggio (ed. Marsilio, 1985) ove sostiene che "definire la natura del montaggio equivale a risolvere il problema specifico del cinema". Io non so quale sia il problema specifico del cinema, ma so che il cinema, per tempi e modi della sua percezione, pone più di un problema che, psicologia e neuroscienze alla mano, resta a tutt'oggi irrisolto. Il celebre regista sovietico fa il caso dei processi di simbolizzazione. Dice, per esempio, che ne La corazzata Potemkin, il primo piano degli occhiali a pince-nez del medico di bordo rappresenta l'intero personaggio al quale quegli occhiali appartengono. Si tratterebbe di quel ben noto procedimento retorico che va rubricato come sineddoche. Tuttavia, mi permetto di aggiungere io, va anche detto che, di questo processo di simbolizzazione, non si può fare una regola generale. Siamo nel campo delle private operazioni mentali di ciascuno e, così come è plausibile che qualcuno categorizzando qualcosa come "occhiali" pensi direttamente al loro proprietario, è parimenti plausibile che qualcun'altro si fermi agli occhiali medesimi o venga indotto al ricordo di un suo lontano parente. Percepire, categorizzare e semantizzare qualcosa è sempre strettamente connesso con la storia precedente e il contesto sociale di chi percepisce, categorizza e, infine, semantizza.
Come ci ricorda Alberto Angelini (Psicologia del cinema; ed. Liguori, 1992) Ejzenstejn parte dal principio che, nel cinema, "si riservano i dettagli ed i primi piani a quelle parti del mondo reale che vengono percepite come più importanti, o cariche simbolicamente dei più ampi significati" ma, via via che il cinema si è sviluppato, come in ogni linguaggio che si rispetti, ho l'impressione che le cose si sian fatte piuttosto complesse.
Colgo un esempio da Luna di fiele del molto americano e poco polacco e niente francese Roman Polansky. E' la solita storia tutta letteraria del marito che racconta come, spinto da un innamoramento finito prima nel sesso e poi nella detestazione reciproca - prima in direzione da lui a lei, e poi viceversa - di una coppia che lo sa Dio perché sta assieme, è ora paralizzalo su di una carrozzella. Film trascurabile, noiosetto e scontato come tutti quei film in cui il letterario predomina - non banale solo in un paio di guizzi d'inventiva necessari a servire porzioni di sesso altrimenti indigeste. Orbene, bando alle tristezze e soffermiamoci sul particolare in primo piano.
Fra i giochini di sesso non può mancare - nell'anno di grazia 1993 - quello in cui il sado e il maso vengono equamente suddivisi fra i due protagonisti. Lui è legato e lei usa un affilato rasoio per buttargli via quel po' di guardaroba che indossa, intimo compreso. Lasciando perdere a cosa la fanciulla poi si disponga, fatto sta che il rasoio è buttato sul parquet ove si infilza perfettamente e lì - con la scrupolosa attenzione del regista - rimane eretto. A questo punto, una teoria del "primo piano" incontrerebbe le sue brave difficoltà. Il rasoio, di per sé, in quanto tale lì ed in quel momento: simbolo? sineddoche? E perché mai? Allora potremmo parlarne come di un vuoto estetismo? Nel caso di un Polansky non saremmo neppur tanto lontani da un'ipotesi sensata, ma, per l'esempio specifico, saremmo un po' miopi. Infatti, se dai tempo al tempo, a volte, nel cinema come nella vita, i conti tornano con calma.
Molto tempo dopo: non si amano più, lui, paralizzato com'è, paga il fio delle sue abiezioni e sembra sublimare le proprie rinunce nel piacere del coinvolgimento verbale - fa comizio dei congressi carnali consumati - e lei, trasformatasi in crocerossina aguzzina, gli fa, con minime precauzioni igieniche, le iniezioni di un dubbio toccasana. Sennonché vola la siringa e il medesimo, accogliente, parquet di prima è pronto a farsi infilzare dall'ago. Primo piano, allora, della siringa eretta. Di per sé, anche qui, come simbolo direbbe pochino, ma come negare che, rapportata al precedente del rasoio, non ne costituisca la complementarietà?
Parquet permettendo, dal rasoio alla siringa è sì, innanzitutto, uno scambio di strumenti, ma, proprio per i fini di cui nella narrazione sono investiti, questo scambio viene a rappresentarne un altro - quello di portata significativa maggiore, essenziale nella vicenda narrata, del rapporto psicologico che lega i due personaggi, l'evoluzione di un legame all'interno del legame stesso. Come sottolineare, nel nome del sesso, un passaggio dall'urlo di piacere a quello di dolore.
Tutto ciò per dire che, nel cinema come in altri linguaggi, tante sono le strade che portano alla costruzione di un simbolo e che, se molte di queste dipendono direttamente dal montaggio, altre possono godere di una loro autonomia. Ferma restando la libertà, per chi riceve la comunicazione, di rifiutarle tutte.