Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 197
febbraio 1993


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Fuori genere

Ogni tanto, allo spettatore cinematografico abituale, tocca d'incorrere in un imprevedibile microtrauma. Va al cinema e, per quanto vaghi con la mente, durante la proiezione, in cerca di un riferimento assodato, non trova quel che cerca. Il film, alla fine, si rifiuta di appartenere a questa o a quella categoria precostituita.
A volte si tratta di un caso di drammatica inettitudine (il caso del regista che palesemente avrebbe voluto ottenere un certo risultato, e non c'è riuscito), spesso, si tratta di un prezioso "pezzo unico". La storia del cinema, a ben pensarci, è poi fatta di questi ultimi, vere e proprie rarità che, volenti o nolenti, finiscono con il generare tutta una famiglia di esemplari - scopiazzati, ispirati, marchiati indelebilmente, variazioni sul tema... film, per l'appunto, detti di "genere". Da parte di un autore, la scelta del genere equivale all'adozione di una scorciatoia per la propria creatività: rispetto dei modelli, regole e vincoli vari - una panacea per i pigri e per gli accomodanti - s'impongono al racconto e ne determinano il senso complessivo - ragion per cui si potrebbe anche affermare che un film di genere può esser visto e giudicato solo all'interno dell'intero contesto di cui fa parte, come fosse un episodio di una e una sola vicenda. Ovvio, in un mondo in cui il ripetitivo consola e rasserena, che cotanta scelta venga premiata dal consenso popolare: il film di genere sposa bene le esigenze del mercato nonché l'ideologia sedativa di cui questo si serve per fagocitare il pianeta.
Alla luce di questa premessa sarà chiara l'origine dell'amore con cui mi ritrovo a guardare i film di Otar Iosseliani, un georgiano ben francesizzato che fa cinema distillandolo da un magico alambicco in cui poesia, intelligenza della vita e partecipazione dell'umano si miscelano in tempi e modi giusti. I suoi film (I beniamini della luna, per ricordarne un altro memorabile) non appartengono ad alcun genere, sono pezzi unici, discorsi personali. Un brano di sé. Caccia alle farfalle è l'ultimo gioiello uscito dal suo laboratorio.
Dall'architettura ardita senza darlo a parere, induce al sorriso come alla commozione, irride e accarezza, sferza e lenisce, il tutto, praticamente, nella medesima sequenza, perché è ricca la gamma dei punti di vista da cui allo spettatore partecipe è lecito guardare: come nei casi della vita quotidiana, in uno stesso evento va in scena chi ci trova da ridere e chi ci trova da piangere, secondo una logica irrimediabilmente sua e altrettanto irrimediabilmente impenetrabile. "Siamo come spaghetti in una pentola" credo dicesse Wittgenstein, per quanto si sia tutti lì non ci s'incontra mai, e via così lamentando.
Iosseliani guarda con scrupolo e registra le poche parole necessarie: rappresenta il sociale con sorniona ingegneria, riuscendo sempre a far sì che il destino dei protagonisti sia l'esito dei rapporti di forza nel collettivo di cui questi protagonisti sono, alla pari fra altri, parte costituente.
Nei suoi film non c'è Soggetto romantico che tenga, è il canovaccio auto-organizzantesi della balzachiana Commedia Umana a spadroneggiare. Per singolarità di stile e per acutezza di vista, Iosseliani sembrerebbe aver raccolto l'ardua e straordinaria eredità di un Tati o di un René Clair - gente che, nel cogliere le contraddizioni del mondo, ha saputo fare arte senza dimenticare di proporne le soluzioni. Non maestri pedanti, gente conseguenzialmente triste che ci sorride consapevole, senza compiacimenti.