Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 196
dicembre 1992 - gennaio 1993


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Coazione no

La lettera di Roberto Gimmi sulla droga ("A" 194) denota una pessima informazione. Le comunità che ritiene si debbano appoggiare stanno proliferando come funghi dopo la pioggia da quando il problema droga è diventato un "problema di moda", in particolare con i finanziamenti promessi dalla legge Vassalli-Jervolino. Le "cooperative di solidarietà" che gestiscono le comunità sono spesso delle ottime macchine per far soldi: finanziamenti da parte di enti locali, ministero dell'interno, rette corrisposte dalle U.S.S.L., manodopera gratis e la possibilità di far leva sulla pietà e lo snobismo di quelli che comprano magari il vino (17.000 morti per alcool accertate nel 1987) della comunità per tossici per fare la buona azione e scaricarsi la coscienza. Quanto al loro funzionamento spesso lasciano molto a desiderare. Vi sono anche realtà che lavorano seriamente perché il tossico cresca come persona, inizi ad assumersi le sue responsabilità e attraverso questa maturazione si liberi davvero della sua catena, non solo la tossicodipendenza, ma la non libertà che alla tossicodipendenza lo ha portato.
Esistono anche molte realtà "terapeutiche" dove nel migliore dei casi vi è indifferenza, nel peggiore plagio.
E' il caso dei reduci di Muccioli e Don Gelmini (non a caso massimi fautori del trattamento coatto), che seguono a mo' di claque i loro padreterni infallibili nelle tournée-comizi comportandosi come robot telecomandati.
Credo che la miglior definizione del modello terapeutico autoritario l'abbia data sul Corriere della Sera del 9/11/92 don Ulisse Frascali, responsabile della comunità "Villaggio del Fanciullo" di Ravenna, sotto inchiesta per favoreggiamento di evasione nei confronti di tossici agli arresti domiciliari presso la sua comunità: "...ecco perché non condivido il metodo di Muccioli, un uomo che vuole giovani addomesticati, che accettino questo sistema, io al contrario voglio farne dei sovversivi". Le comunità che considerano il tossico un adulto e non un bambino magari anche deficiente, gli richiedono un lavoro che nessuno potrà mai costringerlo a fare, un lavoro profondo su se stesso e sui suoi modi di vivere con gli altri, un lavoro che per la sua stessa natura richiede che la persona sia "pronta" e motivata per affrontarlo. Non a caso si sono opposte alle terapie coatte. La pratica clinica ha dimostrato che contro la volontà del paziente non è possibile guarire un banale raffreddore di stagione, figuriamoci una dipendenza psicologica!
E poi perché un trattamento coatto solo per i tossici? Perché non anche per gli alcolisti (socialmente non meno dannosi, anzi...), i fumatori, i depressi, gli anoressici, i bulimici, i nevrotici in genere? Molti fra costoro fanno male a se stessi e agli altri non meno di quanto ne faccia un tossico.
A proposito di alcolismo c'è un'esperienza ultra-quarantennale che si basa sulla presa di consapevolezza e l'autodeterminazione dell'alcolista e l'instaurazione di rapporti non gerarchici all'interno del gruppo. Sono gruppi di auto-aiuto fra persone accomunate dallo stesso problema, senza nessuna figura di operatore esterno e senza qualcuno che "diriga" il funzionamento dei gruppi stessi. Tutte le decisioni vengono prese durante le cosiddette "riunioni di servizio" in cui tutti sono stimolati a sentirsi responsabili dell'esistenza del gruppo stesso. L'esperienza di tanti anni e quelle più svariate dei singoli componenti di tutti i gruppi ha portato a ritenere che solo coloro che "toccano il loro fondo" e realizzano che il loro rapporto con l'alcool è diventato un problema e chiedono liberamente e volontariamente aiuto possono essere aiutati. L'unica forma di pressione ben vista è quella di non togliergli le castagne dal fuoco, di non risolvergli i problemi che provoca (ad esempio non pagargli assegni a vuoto e evitargli processi per guida in stato di ubriachezza e relativi incidenti). Si sconsiglia abitualmente qualsiasi altra forma di pressione. Accanto a gruppi di auto-aiuto degli alcolisti esistono anche quelli dei familiari, che hanno non meno degli alcolisti bisogno di aiuto per uscire da una spirale psicologica sfasata. Personalmente, come figlia di un alcolista ed ex-ragazza di un tossico non so dire se sia nato prima l'uovo o la gallina, se cioè certe sofferenze psicologiche siano state generate dalla lunga storia con un tossico o se la storia che c'è stata sia nata anche dal mio malessere e dal mio bisogno di dipendenza.

Eloisa Mirelli (Milano)

P.S. - Quando parlo di alcolismo o di tossicomania non mi riferisco al consumatore, ma a colui che di una sostanza ha bisogno come sostegno psicologico per affrontare la vita quotidiana. La tossicomania è un abito mentale. Il problema non nasce con l'uso di una sostanza, il problema è la mentalità con cui ci si avvicina ad essa. Il guaio è l'essere dipendenti, sempre. Da quale sostanza, abitudine o persona è secondario. Non si smette di essere liberi perché ci si fa, ci si fa perché non si è liberi. E non si può costringere qualcuno a liberarsi.