Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 196
dicembre 1992 - gennaio 1993


Rivista Anarchica Online

L'ultima estate di Bihac..
di Gianni Sartori

Una "banale" pace quotidiana a Bihac, in Bosnia, solo tre anni fa. Allora si potevano ancora osservare, magari annoiati, bambini in bicicletta, famigliole con il gelato, tavolini nei bar...

Rivedo queste foto di Bihac con perplessità, quasi incredulo al pensiero che risalgono a soli tre anni fa' all'ultima estate di pace prima delle sparatorie pasquali di Plitvice con cui ebbe ufficiosamente inizio l'attuale guerra civile nella ex-Jugoslavia. Scattate in un momento di "tregua" (una breve vacanza in Jugoslavia dopo uno stressante reportage a Belfast) lasciano forse trasparire una certa indifferenza, un "distacco", un atteggiamento da parte mia del tutto opposto a quello assunto in occasione dei servizi fotografici in Irlanda del Nord o in qualsiasi altro piccolo focolaio inquieto d'Europa... e penso che qui ora sono solo macerie e barbarie, cadaveri insepolti, arti troncati, corpi devastati... disperazione di madri e figli per i congiunti massacrati, dispersi, torturati... occhi sbarrati di bambini impotenti e attoniti di fronte all'orrore che incalza...
Bihac, estrema enclave a maggioranza musulmana nella Bosnia nordoccidentale, da giugno è sotto il tiro quotidiano dei cannoni, delle mitragliatrici e dei lanciarazzi serbi: si sono contati centinaia di morti, migliaia di feriti. Ogni speranza di normalità quotidiana è venuta meno; fame e isolamento si sono sostituiti alla precedente vita sociale. Le fabbriche sono chiuse, praticamente tutti sono senza stipendio, il commercio quasi inesistente (imperversa solo il mercato nero), cibo e medicinali stanno diventando irreperibili...
I bambini, quelli stessi bambini che solo un paio di anni fa giocavano per le strade, nei parchi, all'ombra delle chiese e delle moschee ora devono starsene chiusi in casa, terrorizzati, sperando che un proiettile vagante di mortaio o di RPG7 non si apra un varco fino al loro rifugio. Ai 70.000 (senza contare le migliaia di profughi delle campagne circostanti, sfuggiti alle operazioni di "pulizia etnica") musulmani della città non resterebbe altro scampo che la fuga ma ormai sono ostaggi dei vari "signori della guerra".
In giugno, prima che iniziassero i bombardamenti, i Serbi avevano proposto uno scambio: i musulmani della regione di Bihac si sarebbero potuti trasferire nella Bosnia centrale, mentre i Serbi di quella regione si sarebbero trasferiti a Bihac. Ma allora i capi della comunità musulmana si erano opposti. Ormai gran parte della popolazione vedrebbe lo "scambio" come il male minore, un modo per sfuggire all'orrore dell'assedio.
Strategicamente la regione di Bihac è fondamentale per tutti i vari contendenti della guerra in corso: qui si trovano piste per aerei, bunker sotterranei, basi militari... Ricordo bene come anche in passato, attraversando la regione che da Plitvice porta a Bihac, si scorgessero vaste distese incolte, delimitate da filo spinato interdette al passaggio; immense brughiere con pochi alberi, ricoperte di felci, dove di tanto in tanto si intravedeva la sagoma di un blindato o di un carro armato.
Si passava per paesi a netta prevalenza musulmana dove le donne indossavano gli ampi pantaloni alla turca e portavano il copricapo tradizionale. Frequenti le moschee ma interdette alla visita: segnali con divieto assoluto di sosta rendevano problematico anche solo scattare qualche foto... Ben diversa l'atmosfera di Bihac che ricordo come un esempio vivente di possibile convivenza: chiese e moschee ornavano la città, spesso con accanto il relativo cimitero (rivivo il senso di pace di un antico cimitero musulmano, visitato nell'imbrunire... ricoperto d'erba folta e steli caratteristiche, slanciate... un luogo dove fermarsi a meditare).
Immagini sfocate si sovrappongono: il mercato, con una sua dignitosa opulenza contadina che indirettamente suggeriva una alternativa al nostrano, indecente consumismo...; la gente che affollava in un pomeriggio domenicale i tavolini dei bar all'ombra di alberi vetusti... famigliole con passeggini, militari di leva e ragazze... tutti a godersi l'aria fresca proveniente dal fiume e a conversare attorno ad una bibita, una birra, un gelato...
E poi tutti quei bambini in riva al fiume, alcuni in mezzo all'acqua (limpida come ormai non ci si aspetta più da un fiume metropolitano) con le biciclette, i palloncini... in un clima da sagra paesana.
Ora sono i bambini le prime vittime innocenti dell'assedio e dei bombardamenti: l'ospedale si va riempiendo sia di bambini feriti che di loro coetanei denutriti "ammalati di fame"... Naturalmente i medicinali sono pressoché introvabili... altre situazioni tornano alla mente (inconciliabili con le notizie delle agenzie): ancora bambini lungo la riva, arrampicati sugli alberi; lungo le sponde i rami dei salici si incrociavano con quelli dei frutteti che si spingevano fino alle prime case... e ancora bambini per le strade, nei cortili, sulle scalinate... e sempre facevo il confronto con i quartieri di Belfast dove, a poche decine di metri, bambini cattolici e protestanti si ignoravano o si prendevano a sassate... un assolato campo da pallacanestro, sovrastato da un minareto, dove ragazzi cristiani e musulmani si allenavano...
Sembrava che nulla potesse venire a turbare quella pace e quella semplicità. Ora tutto è passato ultra-remoto. Ero poi rimasto colpito dal fatto che perfino le epigrafi venivano attaccate sui muri o ai tronchi dei platani lungo le strade cittadine, insieme, una a fianco dell'altra: quelle verdi con la mezzaluna., quelle con la croce reclinata e quelle con la croce ortodossa. E perfino quelle con la stella rossa.
Anche nel momento estremo, pur nelle diverse appartenenze e identità, sembrava prevalere la percezione di un medesimo destino. A conferma dell'importanza strategica che Bihac va assumendo ricordo che secondo alcuni osservatori gli stessi bombardamenti di Sarajevo, così drammatici e spettacolari, sarebbero almeno in parte "fumo negli occhi", una specie di diversivo per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica da quanto sta per avvenire a Bihac: infatti di qui passa il "corridoio naturale" tra la Serbia e la "repubblica indipendente serba" della Krajna.
A suo tempo queste foto mi erano sembrate sprecate, la quintessenza della banalità e invece ora mi appaiono come la testimonianza inconfutabile di una convivenza possibile; anche se sprofondata a ritroso nella più cupa barbarie, al punto da sembrare irreali...
Una convivenza che, vista con il senno di poi, appare quasi miracolosa... eppure allora appariva normale, ovvia, scontata. Un segno forse della precarietà e fragilità della condizione umana, dell'instabilità che impregna ogni organizzazione sociale; di come a volte l'odio sedimenti sotto l'apparente pacificazione, tramandandosi quasi geneticamente di generazione in generazione e, come un fiume carsico, riemerga inaspettato...
A me resta il ricordo di una "banale" ma quanto mai preziosa pace quotidiana, intravista, appena percepita... evanescente come le immagini riflesse di quei bambini che si spingevano nell'acqua bassa del fiume con le loro bici, i loro palloncini colorati... svaniti per sempre.