Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 196
dicembre 1992 - gennaio 1993


Rivista Anarchica Online

Non solo sindacato
di Maria Matteo

A colloquio con alcuni anarchici impegnati a vario titolo nel mondo del lavoro. Al centro del dibattito la crisi dei sindacati confederali, il ruolo del sindacalismo di base, la crisi ecologica e la questione del Terzo mondo

L'autunno è stato segnato dal nascere e dallo svilupparsi di un vasto movimento di lavoratori contro la manovra economica del governo Amato. Il dato sicuramente più significativo di questa vicenda è stato l'emergere prepotente di un'ampia opposizione alle politiche delle tre maggiori organizzazioni sindacali. Un'opposizione che si è espressa sia a colpi di ortaggi e bulloni contro vari dirigenti di CGIL, CISL e UIL sia nella discreta crescita d'influenza del sindacalismo alternativo.
All'ombra di questa generica insegna si collocano peraltro aggregazioni diverse sotto il profilo organizzativo e politico, che non sempre sanno dar luogo a più vaste convergenze. In quest'area convivono piccoli comitati di categoria ed organismi sindacali più allargati. Ci è parso importante capirne di più, tentando di individuare senso e prospettive del sindacalismo alternativo anche al di là degli eventi odierni.
Abbiamo perciò intervistato alcuni lavoratori anarchici, direttamente impegnati in questa esperienza, ed altri che a questa guardano con occhio più critico. In particolare abbiamo fatto una chiacchierata con Roberto Ambrosoli, assistente universitario a Torino e membro del circolo anarchico Berneri; Maurizio Barsella, manovratore delle ferrovie a Firenze, appartenente al COMAD - coordinamento lavoratori e deviatori; Stefano D'Errico, insegnante a Roma, coordinatore nazionale della Confederazione Italiana di Base - Unicobas; Andrea Ferrari, operaio metalmeccanico di Reggio Emilia, della Federazione Lavoratori metalmeccanici Uniti aderente alla Confederazione Unitaria di Base; Mauro Pappagallo, operaio della Michelin di Torino, aderente all'Unione Sindacale Italiana; Cosimo Scarinzi, insegnante a Torino, della Federazione Lavoratori della Scuola Uniti aderente alla CUB; Cosimo Valente, pensionato, del circolo Berneri di Torino.
Le aspre contestazioni di cui sono state oggetto CGIL, CISL e UIL hanno palesato la crisi di rappresentatività di queste organizzazioni. Quale ruolo può svolgere in questo contesto il sindacalismo alternativo?

La crisi di CGIL, CISL e UIL - esordisce Andrea Ferrari - è sicuramente irreversibile. Gli accordi di fine luglio sul blocco della contrattazione e della scala mobile hanno evidenziato che questi sono sindacati di stato, il cui rapporto con i lavoratori è ormai pregiudicato. Lo dimostrano le contestazioni di piazza ma anche il dato che la richiesta di sciopero generale sia stata di fatto disattesa. Mi pare che in questa situazione il sindacalismo alternativo esca da una dimensione minoritaria per assumere un ruolo decisamente più rilevante. Non solo in quei settori del pubblico impiego dove da anni si sono sviluppate esperienze di auto-organizzazione, ma anche nell'industria. Assistiamo al nascere di strutture di base che si fondano sulla partecipazione diretta e l'autogestione. Oggi il sindacalismo alternativo è una realtà con cui bisogna fare i conti: lo ha dimostrato lo sciopero da noi indetto autonomamente il 2 ottobre che ha visto l'adesione di 800.000 lavoratori e una manifestazione di 50.000 persone a Roma. Il movimento è in ascesa e sta costruendo nella pratica un'alternativa a CGIL, CISL e UIL, che certo non sono più riformabili

Sindacalismo alternativo è una definizione che mi lascia alquanto perplesso - asserisce Mauro Pappagallo - Sono convinto che i sindacati alternativi abbiano caratteristiche essenzialmente corporative, poiché si limitano a rivendicazioni di carattere meramente salariale. Mi pare che il destino dei sindacalisti alternativi sia quello di fare il mestiere che sino a poco prima era di CGIL, CISL e UIL. Altro dovrebbe essere il ruolo del sindacalismo libertario, il cui obiettivo è una più generale trasformazione sociale, che si innesti in un cambiamento culturale di ampio respiro .

A mio avviso - esordisce Stefano D'Errico - il sindacalismo tradizionale sia quello della triplice sia quello dei sindacati autonomi è in crisi. Tale crisi è indubbiamente strutturale: dal dopoguerra ad oggi questi sindacati sono stati l'espressione di partiti politici o, come spesso accade per i sindacati autonomi, di correnti di partiti politici. Per cui lo spazio che il sindacalismo tradizionale ha accettato di occupare è uno spazio meramente vertenziale, che implica altresì la rinuncia ad un ruolo progettuale rispetto alla società. Si tratta di sindacati autolimitati ed autolimitanti, sindacati delle compatibilità, la cui direzione vera è nelle sedi dei partiti, per i quali la pace sociale è merce di scambio per l'accesso al governo.
Sindacati il cui ruolo è il contenimento e non l'organizzazione delle istanze sociali. Gli accordi del 31 luglio così come quelli più recenti sulla privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti non sono che l'ultima tappa di un lungo processo. Oggi che, dopo la fine del socialismo cosiddetto reale, il socialismo di stato, il potere palesa la convinzione un po' euforica ed arrogante di avere vinto su tutti i fronti, anche il sindacato si cala sino in fondo in un ruolo che già era il suo. Si arrocca a difesa del corporativismo dei quadri, dei distaccati sindacali, dei privilegi del proprio apparato. Senza infingimenti CGIL, CISL e UIL ed autonomi aspirano ad avere sempre più voce in capitolo sia nel privato, sviluppando momenti di cogestione, sia soprattutto nella sfera statale. Per cui sono oggi sindacati di stato a tutti gli effetti. L'idea di sindacato che emerge dal dibattito interno all'Unicobas, cui aderisco io che sono anarchico ma anche altri che provengono da diverse esperienze, è completamente differente. Fare sindacato nella situazione odierna significa uscire da una logica esclusivamente vertenziale per tornare allo spirito che animava la prima internazionale o gli atenei libertari e gli atelier populaires della Spagna e della Francia degli anni '30. Il sindacato deve porsi come elemento di raccordo tra strutture di categoria e territorio, rimettendo in discussione la divisione del lavoro, la separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, la proprietà dei mezzi di produzione e la proprietà della cultura.

Io - dice Cosimo Scarinzi - non sono né ciecamente ottimista né eccessivamente pessimista. Le contestazioni di cui sono state oggetto CGIL, CISL e UIL non implicano necessariamente una volontà di rottura. Mi pare che vi si possa ravvisare un carattere ambiguo: in fondo si contesta e spesso con passione soprattutto coloro cui comunque si affida o si è affidato o ancora si intende affidare qualcosa.
La stessa richiesta di sciopero generale, che è stato l'obiettivo forte dei contestatori mi pare rifletta una concezione vecchia dell'azione sindacale, basata sulla convinzione che uno sciopero generale di otto ore bastasse a ribaltare la politica economica del governo o a far cadere il governo stesso. Chiarito che non esiste a mio parere alcun passaggio obbligato dalla contestazione a CGIL, CISL e UIL ad un'ipotesi alternativa, ritengo comunque che si apra uno spazio per aree già organizzate fuori dai sindacati tradizionali, che possono divenire punto di riferimento che eviti il ripiegamento qualunquista, l'andare a casa. E le possibilità ci sono: gruppi di compagni usciti dalla CGIL sono entrati nella CUB. In ogni caso la partita è ancora aperta e i suoi esiti sono incerti.

Certo - asserisce Ambrosoli - molta gente si è sentita tradita dai sindacati tradizionali ed uno spazio non so se grande o piccolo si è aperto. Credo però che un sindacalismo alternativo che si ponga come unico obbiettivo il raccogliere e canalizzare la delusione sia perdente. Sono convinto che elemento qualificante del sindacalismo alternativo dovrebbe essere l'assunzione di contenuti libertari. Ed è ipotesi tutta da verificare se tali contenuti sarebbero recepiti dalla gente che oggi contesta CGIL, CISL e UIL.

Le prospettive - dice Barsella - di sviluppo del sindacalismo alternativo sono oggi sicuramente buone, purché gli anarchici, i libertari siano consapevoli che non ci si muove sul terreno della grande trasformazione. Oggi l'obiettivo principale è sottrarre all'influenza politica e culturale di CGIL, CISL e UIL grandi masse di lavoratori. I risultati non sono assicurati: vi sono comunque delle chances che dipenderà da noi saper sfruttare.

L'area del sindacalismo alternativo è estremamente composita, magmatica, frammentata in mille rivoli, vi pare possibile la realizzazione di più ampie convergenze?

Il sindacalismo alternativo - afferma Ferrari - potrà essere grande se saprà tener fuori dai propri ambiti la politica tradizionale, favorendo la partecipazione diretta dei lavoratori, creando i presupposti per sempre maggiori spazi di solidarietà ed autogestione.

Il sindacalismo di base - dice D'Errico - è una realtà estremamente composita e non potrebbe essere altro, poiché i Cobas nascono e si sviluppano per l'esigenza di rompere la gabbia costruita intorno alla specificità di ogni professione. E' un fatto che io non giudico negativamente, poiché è il segno di una capacità dei lavoratori di riflettere sulla propria particolare condizione. Tuttavia è fondamentale evitare che su ciò si innesti la pratica di un microcorporativismo diffuso.
D'altro canto occorre salvaguardare il sindacalismo delle differenze da chi pretende di inglobarlo in una nuova super-struttura. L'importante è costruire un percorso in cui lavoratori provenienti da esperienze diverse possano riconoscersi. Fondamentale è quindi il metodo su cui si impronta il lavoro sindacale, un metodo che vede nella partecipazione diretta, nella democrazia di base e nella rotazione degli incarichi i propri cardini. Mi pare altresì che il radicalizzarsi dello scontro con il governo e con gli imprenditori possa favorire il confronto intercategoriale. Già da un anno e mezzo l'Unicobas ha fatto alle altre componenti del sindacalismo alternativo la proposta di costituire una consulta del lavoro. Oggi che esistono varie strutture intercategoriali - l'USI, la CUB e l'Unicobas - ed altre organizzazioni di categoria che non rientrano in un percorso confederale ci pare che l'ipotesi di consulta del lavoro torni di attualità. Quel che conta non è tanto giungere ad uno sbocco organizzativo generale immediato ma riuscire a realizzare momenti di raccordo e di lavoro comune rispetto alle grandi scadenze di lotta che ci attendono. Presupposto di ciò è il reciproco rispetto ed il reciproco riconoscimento delle diverse identità.

La categoria cui appartengo - afferma Barsella - i ferrovieri è divisa al proprio interno in organizzazioni che rappresentano le varie professioni che vi si esercitano. Sono organizzazioni che spesso sono state in concorrenza tra di loro, per cui ci è parso importante privilegiare un percorso di unità tra di noi rispetto al confronto intercategoriale. Il che non ci ha ovviamente impedito di lottare a fianco degli altri lavoratori. Le organizzazioni di base dei ferrovieri raccolgono ormai grandi masse di lavoratori. Oggi però vi sono delle novità, poiché, sotto la spinta delle mobilitazioni contro la manovra Amato, sta prendendo corpo l'ipotesi di costruire un unico sindacato dei ferrovieri che sappia raccordarsi con le altre categorie.

Ogni struttura - dice Scarinzi - dovrà mostrare nella pratica la propria capacità di organizzare i lavoratori ed in tal modo si separerà il grano dal loglio. Superare la logica dell'orticello non è questione di buona volontà ma necessità: nessuna organizzazione di categoria, per quanto localmente forte, può alla lunga tenere senza una più ampia solidarietà.

Mi pare - aggiunge Ambrosoli - che l'elemento che accomuna le varie componenti del sindacalismo alternativo sia la crisi del sindacalismo tradizionale. Il sindacalismo alternativo è una variabile del tutto dipendente dal sindacalismo tradizionale. Io credo che la gente si aspetti che questi sindacati facciano il mestiere che gli altri non fanno più, impegnandosi nella difesa degli interessi economici dei lavoratori.
Se, come è possibile, non sapranno farlo andranno incontro ad una crisi peggiore di quella che oggi attraversano CGIL, CISL e UIL. Il sindacalismo alternativo non è stato sinora capace di fare proposte realmente innovative sul piano dei contenuti, limitandosi ad asserire che la costruzione di organismi sindacali meno burocratici e libertari fosse sufficiente a garantire l'alternativa.

In questa situazione quale compito ritenete possa o debba svolgere l'area libertaria?

Io credo - sostiene Scarinzi - che gli anarchici siano portatori di una cultura dalle grandi possibilità. In particolare fondamentale è la critica dello statalismo, della stessa tradizione statalista nel movimento operaio, una critica che deve trovare spazio all'interno delle strutture del sindacalismo alternativo, facendo leva in modo forte sui concetti di autonomia e autogoverno. La democrazia diretta però non deve essere confusa, come purtroppo spesso accade nei nostri ambienti, con l'assemblearismo, poiché il casino non è indice di antiburocrazia.

Il contributo degli anarchici - dice Ferrari - è stato ed è decisivo per lo sviluppo del sindacalismo di azione diretta. Oggi gli anarchici devono riproporre i contenuti tipici della loro tradizione, che non a caso molti lavoratori han fatto propri.

Gli anarchici - dice Pappagallo - non dovrebbero disperdere energie in un'azione sindacale che appare senza sbocchi, se non si ha la capacità di elaborare un progetto politico complessivo efficace. Mi pare che molti di noi cerchino di fare del proprio meglio ma senza risultato, come chi va in bicicletta per guardare la ruota che gira. Gli anarchici dovrebbero porsi sul terreno della sperimentazione sociale, sottoponendo a verifica le loro ipotesi. Io concepisco l'azione sindacale come strumento di mediazione sociale libertario il cui terreno d'intervento è ben più vasto del conflitto nel mondo del lavoro poiché investe i più svariati ambiti della vita associata.

Io credo - interloquisce Cosimo Valente - che sia importante essere presenti nelle piazze e confrontarsi con i lavoratori. Io l'ho fatto e ho visto che la gente era incazzata e non accettava più CGIL, CISL e UIL.

Bisognerebbe elaborare - argomenta Ambrosoli - contenuti per l'azione sindacale che vadano al di là della mera indicazione di metodo. Il sindacalismo alternativo, non diversamente da quello tradizionale, non si muove nell'orizzonte della trasformazione sociale: tutti hanno nello stato l'interlocutore da cui si attendono risposta. Le proposte emerse in alcuni settori di costruire reti di mutuo appoggio mi trovano perfettamente concorde, poiché possono essere di valido ausilio all'azione sindacale, ma non bastano. Possibile che la richiesta di sottrarre alla tassazione statale i nostri salari debba farla Bossi?

Il nostro modello di sviluppo ci pone oggi di fronte a questioni nuove, sconosciute al movimento tradizionale, volto soprattutto alla lotta contro l'iniquità nella distribuzione delle ricchezze tipica di questo sistema. Il baricentro del mondo si è spostato: il più malpagato salariato di questa parte del pianeta appare un privilegiato in rapporto alla gran parte degli abitanti del terzo mondo, un terzo mondo che in virtù dell'immigrazione non è più cosi lontano da noi. Inoltre la critica ecologica ha mostrato in modo inequivocabile che il più diffuso concetto di benessere, socialmente riconosciuto ed accettato, implica una distribuzione e una rapina di risorse insostenibile sia sotto il profilo materiale che etico. Sono questioni che rischiano di divenire esplosive: già ci è capitato di vedere i lavoratori delle fabbriche nocive scontrarsi con gli abitanti delle loro zone che volevano chiuderle. Non è difficile immaginare uno scenario che veda lavoratori indigeni opporsi a lavoratori immigrati deboli, ricattabili e quindi disponibili ad accettare condizioni di lavoro più sfavorevoli. Non vi pare che il sindacalismo alternativo dovrebbe tenere in maggior considerazione questi problemi?

Il sindacalismo - afferma D'Errico - deve assumere una dimensione più globale, una capacità di andare al di là del mero rivendicazionismo salariale, altrimenti rischia di essere riassorbito in una logica di compatibilità. A tal fine occorre che il sindacato sappia moltiplicare i propri centri di ascolto, recuperando un rapporto con il territorio, con il quartiere metropolitano che è il luogo ove è possibile costruire un discorso più generale sulla qualità della vita. L'asse dell'interesse economico della società civile deve essere portato dalla produzione di benessere effimero alla produzione di benessere reale, imponendo un utilizzo delle risorse che, anche in chiave occupazionale e produttiva, consenta l'impiego dei lavoratori delle fabbriche nocive che devono essere chiuse, per una riqualificazione del territorio distrutto da queste fabbriche. Deve essere altresì chiaro che solo un progetto di società diversa dall'attuale può consentire di pensare il superamento degli egoismi presenti anche tra gli operai nei confronti del terzo mondo.

Io credo - dice Barsella - che si debba comunque privilegiare l'intervento all'interno del mondo del lavoro: altre tematiche, come quelle ecologiche o di solidarietà con gli immigrati possono essere meglio affrontate da gruppi che agiscono sul territorio, come i centri sociali.

Spesso - argomenta Scarinzi - i sindacati confederali si sono serviti dell'ecologia o del femminismo per negare le specificità dei lavoratori, per cui oggi molti guardano con diffidenza a chi solleva queste tematiche. In ogni caso è innegabile che il modello di sviluppo occidentale è insostenibile e quindi il problema di forme di associazione che permettano di produrre beni e servizi senza generare disastri è un problema reale. D'altro canto i lavoratori sono tanto più disposti ad accettare produzioni nocive per sé e per l'ambiente, quanto più sono deboli sul piano dell'occupazione e del salario, per cui la garanzia di condizioni di vita socialmente considerate decenti è un passaggio duro ma obbligato. In generale al di là delle dichiarazioni di principio, che ad esempio sono anche nello statuto della CUB, sulla questione degli immigrati o sulle produzioni nocive occorrerà misurarsi con esperienze concrete che al momento sono carenti.

Bisogna cominciare sin da ora - afferma Pappagallo - a vivere in modo diverso per sfuggire alle imposizioni dell'economia ed avere una società più ecologica.

Le rivendicazioni sindacali - sostiene Ambrosoli - anche rispetto a questi problemi devono essere inserite in una proposta organizzativa della società. Occorre insomma che ancor prima di porci certi obiettivi culturali - salvaguardia dell'ambiente, rapporti equi con il sud - ci si interroghi su qual è il modello di organizzazione politica e sociale compatibile con tali obiettivi. Il sindacato deve impostare le proprie rivendicazioni in riferimento a tale modello. Occorre chiedersi: vogliamo più stato o meno stato? Infatti se il nostro scopo è avere meno stato non possiamo chiedere il ripristino dello stato sociale, ma adoperarci per smantellarlo. Solo così potremo allargare la nostra autonomia aprendo la strada ad esperienze di autogestione.

L'internazionalismo - dice Ferrari - la creazione di reti di solidarietà tra i lavoratori e gli sfruttati è la chiave di volta per superare tante contraddizioni, per evitare che i poveri dei paesi ricchi facciano la solidarietà ai ricchi dei paesi poveri. Nel movimento operaio si deve affermare una cultura non comunistica, di rispetto del diverso, di valorizzazione delle differenze. Il sindacato deve saper unire la lotta economica, la lotta ecologica, la lotta politica, la lotta antimilitarista.

CIB-UNICOBAS che cos'è?
La Confederazione di Base - Unicobas, fondata nel gennaio '91, ha tenuto il proprio primo congresso nazionale il 7 e 8 novembre di quest'anno. L'Unicobas è una confederazione di strutture ad essa preesistenti che mantengono la loro autonomia sia sul piano vertenziale che su quello della rappresentanza. Ciascuna categoria elabora i propri obiettivi di lotta e si autorappresenta in sede di trattativa. Ogni sindacato aderente all'Unicobas nomina i propri rappresentanti nella segreteria nazionale e può esso stesso revocarli in qualsiasi momento. I rappresentanti sono sempre 3 per categoria, indipendentemente dal numero degli iscritti, allo scopo di evitare che settori strutturalmente più piccoli vengano compressi da altri più vasti. L'Unicobas mira a costruire un ombrello per la conquista dei diritti sindacali e si fonda su un progetto di solidarietà volto a superare il microcorporativismo diffuso. Vi è peraltro la possibilità di affiliazione diretta all'Unicobas per i lavoratori appartenenti a categorie che non vi sono rappresentate. Le scelte complessive della confederazione vengono operate dalla segreteria e dalle assemblee nazionali. Il coordinatore dell'Unicobas, scelto a rotazione dalle varie organizzazioni che ne fanno parte, è oggi Stefano D'Errico. Aderiscono all'Unicobas: l'Organizzazione Cobas Scuola, il Cobas Industria, il Coordinamento Sindacale di Base Assistenti di Volo, Associazione Nazionale Giudiziari Cobas Giustizia, il Condafi-Cobas Firenze, il Sicursind, il Sinderc-Cobas dipendenti Regione Campania, Cobas civili Difesa, Unicobas Ministero del Lavoro, Unicobas Sanità, Unicobas Vigili Urbani.
La CIB pubblica un proprio mensile, "Unicobas".

CUB che cos'è?
La Cub, Confederazione Unitaria di Base, nasce nel gennaio '92 in un'assemblea tenutasi al Liceo Carducci di Milano. La Cub non è un sindacato, ma un coordinamento di sindacati, che mantengono la loro autonomia organizzativa. Ogni sindacato della confederazione nomina due rappresentanti nel coordinamento nazionale, che è un organismo che svolge funzioni di raccordo, ma non ha potere decisionale. Le decisioni sulla vita e il funzionamento della Cub vengono prese dalle assemblee nazionali, che si riuniscono in occasione delle più importanti scadenze di lotta. Coordinatore nazionale della Cub è Piergiorgio Tiboni. Le principali strutture sindacali che aderiscono alla Cub sono: FLMU, federazione lavoratori metalmeccanici uniti, con un buon numero di aderenti a Milano, Varese; le RdB, Rappresentanze di Base, l'organizzazione più vecchia, presente soprattutto nel parastato ed uniformemente diffusa sul territorio nazionale; Sindacato '90, neonata organizzazione di bancari; FLSU, federazione lavoratori della scuola uniti, piccola struttura che organizza gli insegnanti, nata da una scissione dei Cobas torinesi è oggi presente oltre che a Torino anche a Pinerolo; il Fanga aeroportuali con aderenti a Roma e Milano; un sindacato edile in Puglia; un'organizzazione di chimici a Castellanza. Sono altresì federate alla Cub, l'Unione Inquilini, la Lega handicappati e l'Asia, associazione inquilini assegnatari.
Difficile valutare il numero effettivo di aderenti alla Cub, che comunque da fonti ad essa molto vicine vengono valutati in circa 40.000. La Cub non possiede un proprio organo di stampa, tuttavia alcune delle organizzazioni che vi aderiscono pubblicano dei bollettini. Ricordiamo: Noi, quindicinale delle RdB, via Silvio Negro 14, Roma; Collegamenti scuola dell'FLSU, via Reggio 14, Torino; una Rivista di diritto del lavoro, V.le Lombardia 27, Milano.

USI che cos'è?
Ricorre quest'anno l'ottantesimo anniversario della costituzione dell'USI, Unione Sindacale Italiana, che, fondata a Modena nel 1912, ebbe un ruolo di primo piano negli aspri scontri sociali degli anni '10. Nel secondo dopoguerra, dopo la lunga parentesi fascista che ne aveva interrotto l'attività, vi furono vari tentativi di riattivare l'USI, che furono coronati da successo solo alla fine degli anni '70. Il 1° congresso nazionale della rinata organizzazione si tenne ad Ancona nel dicembre '83. A questo sono seguiti il congresso di Torino dell''86 e quello di Roma del maggio '90. Il prossimo congresso si terrà a febbraio a Milano.
I congressi, cui partecipano tutti gli iscritti o loro delegati, sono l'organo decisionale dell'USI e nominano una Commissione Esecutiva che ha il compito di rendere operative le decisioni congressuali e gli orientamenti del comitato nazionale dei delegati, che ha funzione di raccordo tra un congresso e l'altro.
Tutti gli incarichi sono a rotazione. Ogni congresso designa un segretario nazionale che rappresenta l'unità dell'organizzazione, ma non ha altro potere che di firma. L'attuale segretaria è Claudia Santi dell'USI di Roma. I congressi nominano anche un gruppo responsabile della cassa, nonché una commissione di relazioni internazionali che ha il compito di tenere i rapporti con l'AIT, Associazione Internazionale dei Lavoratori, cui aderiscono la gran parte delle organizzazioni di tendenza anarcosindacalista.
Fedele alla propria tradizione di sindacato libertario e rivoluzionario, l'USI oggi si definisce come sindacato autogestionario, poiché nell'autogestione individua una modalità organizzativa e una più generale finalità politica, capace di attuare una radicale trasformazione sociale.
L'USI raccoglie alcune migliaia di iscritti, è presente in vari settori tra cui: sanità, ricerca, scuola, alcune fabbriche metalmeccaniche, commercio ed enti locali.
E' legata da patto federativo alla Libera Rappresentanza dei Beni Culturali. L'USI è inoltre punto di riferimento per varie realtà extra-sindacali, tra cui vari collettivi studenteschi. Organo dell'USI è "Lotta di Classe" la cui redazione è a Bari. Vi sono sedi USI a Milano, Roma, Trieste, Udine, Bergamo, Ancona, Pistoia, Bari, palermo, Firenze. L'USI è comunque presente in varie altre località in cui non ha sedi proprie.