Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 194
ottobre 1992


Rivista Anarchica Online

Antiproibizionista ma..

Recentemente la lotta alla mafia ha riaperto il dibattito sulla legalizzazione della droga.
L'antiproibizionismo per un numero crescente di personaggi che contano è diventata l'estrema soluzione contro lo strapotere mafioso.
Il 24 luglio ben 109 parlamentari (78 deputati e 31 senatori) hanno dato vita all'intergruppo antiproibizionista promosso da Marco Taradash che ha per obiettivo la legalizzazione e la riforma della discussa legge sulle tossicodipendenze, la 162/90 o Vassalli-Jervolino.
Si sono alleati perché convinti che la droga rappresenta ormai la voce più redditizia del mercato su cui prospera la criminalità organizzata. Da qui la necessita di togliere una potenziale fetta di questo mercato dalle mani delle cosche, attraverso la creazione di circuiti commerciali legalizzati, gestiti direttamente dallo stato.
Tra i primi impegni dell'intergruppo vi è l'appoggio al referendum promosso dal C.o.r.a. e dai radicali.
Il vento antiproibizionista è passato anche sulla copertina del settimanale del Sole 24 ore, "mondo economico", i profitti della droga vengono riciclati in attività economiche e finanziarie, quindi non è più possibile stabilire una linea di separazione tra il capitalismo di origine mafiosa e quello di origine pulita. I narcotrafficanti stanno per realizzare una forte concentrazione di potere economico in grado di influenzare la politica dei diversi stati, quindi legalizzare la droga offre l'opportunità di recare un danno enorme ai traffici e ai patrimoni mafiosi. Secondo i nuovi e i vecchi antiproibizionisti legalizzare la droga vendendola nelle farmacie, magari dietro presentazione di ricetta medica, sottrae alla mafia il controllo del mercato. Il commercio non essendo più clandestino farebbe crollare i prezzi e non essendoci più guadagno le organizzazioni criminali abbandonerebbero il campo, come è successo negli USA per l'alcool dopo l'abolizione del proibizionismo.
Lo stato garantirebbe la qualità del prodotto facendo diminuire il numero dei morti, così come diminuirebbe la catena che si riproduce all'infinito della microcriminalità (furti, scippi, rapine, prostituzione, violenza, spaccio) causata dalla necessità di trovare denaro (...).
Gli antiproibizionisti sostengono che in una società libera la legge deve proteggere i singoli dalla violenza degli altri, non certo da loro stessi. Combattono il proibizionismo perché intravedono in esso concezioni illiberali, paternalistiche e repressive che creano più mali che benefici. I divieti non hanno impedito l'aumento dei consumi di droga mentre hanno favorito le organizzazioni criminali internazionali. Gli stessi tossicodipendenti, spinti dalla necessità di comprare la dose, costituiscono la più determinata rete di propaganda e vendita delle sostanze stupefacenti.
Il proibizionismo è il modo migliore di aiutare i trafficanti perché aumenta il crimine con tutti i gravi problemi sociali che ne derivano fino a portare la gente a organizzare "comitati di difesa" gruppi di "vigilantes" o a trasformarsi in "giustizieri killer" . La droga ha trasformato la criminalità da devianza in potere. Lo stato non può intervenire sulla persona ma deve informare e dissuadere. L'obiettivo primario consiste nel limitare i danni (malattia, criminalità, overdose, aids), non esistono soluzioni miracolistiche, bisogna legalizzare per salvare chi è costretto all'illegalità per impedire che al consumatore oltre all'etichetta di "drogato" si aggiunga quella di "delinquente".
Gli antiproibizionisti non vogliono redimere il drogato, né pretendono di risolvere il problema alla radice ma si sforzano di arginare e circoscrivere un fenomeno con cui la società deve convivere. Tabacco, alcool, psicofarmaci ecc.. sono già "droghe legali", si provi a pensare alle migliaia di persone che ne fanno uso se si trovassero anche loro in regime di proibizionismo? Le tesi proibizionistiche hanno argomentazioni che pongono una serie di interrogativi alla proposta di legalizzazione di cui bisogna tenere conto. I proibizionisti sostengono che la legalizzazione non sconfigge la mafia né il mercato nero. Negli USA l'abolizione del proibizionismo sugli alcolici non ha cancellato a suo tempo "cosa nostra". La mafia pur colpita nei suoi guadagni si riciclerebbe in altri settori. Il mercato clandestino continuerebbe a vendere quelle escluse o creerebbe delle "nuove dipendenze". La legalizzazione potrà essere utile per evitare sofferenze e ridurre i reati agli "irrecuperabili", ma non avrà effetto su questa fascia di intossicati non ancora in possesso del certificato di irrecuperabilità. Il commercio clandestino continuerebbe a prosperare proprio come succede per le sigarette che, pure, si possono acquistare nei tabaccai. Il danno e il fastidio che fumare il tabacco produce ai terzi induce oggi a restrizioni sempre più severe. Per combattere le cosche bisognerebbe vendere sottocosto anzi gratuitamente, quindi più che legalizzare bisognerebbe parlare di liberalizzare. La liberalizzazione è l'unica proposta che permetterebbe di supporre annullati i profitti della mafia, ma basterebbe un piccolo controllo sulle condizioni dei destinatari o sulle sostanze distribuite per conservare alla mafia il mercato. Si pensi alla facilità con cui organizzazioni mafiose assoggettano attività come i mercati generali ortofrutticoli o l'edilizia che, pure, non sono affatto fuorilegge, inoltre sarebbe necessaria una legge internazionale perché la legalizzazione solo in Italia richiamerebbe drogati da tutto il mondo. La legalizzazione porterebbe senz'altro, all'inizio, ad un aumento probabile dei consumatori.
Un dato inconfutabile è quello costituito dal bisogno sempre crescente del tossicodipendente a causa dell'assuefazione che la droga comporta. Non si può, quindi, facilitarne l'uso perché sarebbe la condanna a morte per il drogato che non avrebbe più possibilità e stimoli per smettere. Il metadone è già una esperienza di legalizzazione fallimentare e prima di sperimentare nuove leggi bisognerebbe favorire e appoggiare le comunità e il volontariato. Come possono i servizi sanitari gestire la legalizzazione visto il loro stato disastrato?
Prima di decretare il fallimento del proibizionismo bisognerebbe realmente attuarlo. Quel che funziona è opera di privati. Lo stato è latitante e si limita a qualche ambulatorio fatiscente che regala metadone. L'opera di controinformazione è inesistente.
Pur riconoscendo la validità delle argomentazioni contrarie penso di dovermi schierare con le tesi antiproibizioniste, perché ritengo la proposta della legalizzazione come il minore dei mali, se non altro per le implicazioni sociali e politiche libertarie contrappone a possibili rigurgiti autoritari che l'atteggiamento proibizionista sottintende. Ritengo, infatti, che gli spazi di libertà vadano difesi, consolidati, propagandati, per acquisirne sempre di nuovi, per creare in un'ottica gradualista l'abitudine alla libertà necessaria per i cambiamenti sociali antiautoritari. Lo stesso Malatesta, nel 1922, si dichiarò favorevole a tesi antiproibizioniste: "..dichiarare libero uso ed il commercio della cocaina, ed aprire degli spacci in cui la cocaina fosse venduta a prezzo di costo, o anche sottocosto. E poi fare grande propaganda per spiegare al pubblico e far toccar con mano i danni della cocaina; nessuno farebbe propaganda contraria perché nessuno potrebbe guadagnare sul male dei cocainomani. Certo con questo non sparirebbe completamente l'uso dannoso della cocaina, perché persisterebbero le cause sociali che creano i disgraziati e li spingono all'uso degli stupefacenti. Ma in ogni modo il male diminuirebbe, perché nessuno potrebbe guadagnare sulla vendita della droga, e nessuno potrebbe speculare sulla caccia agli speculatori..".
Ora cercherò di motivare il mio stato di disagio o meglio il fatto di non riuscire a digerire completamente queste posizioni. Il problema nasce nei confronti del tossicodipendente su cui sembra di fatto prevalere la cultura dell'abbandono e della rassegnazione. Come sostenitore della libertà non posso condividere la libertà di drogarsi anche se ciò è "un vizio e non un crimine". La difesa della libertà del drogato diventa per lui la libertà di asservimento, anzi si è in uno stato peggiore della schiavitù. Penso, infatti, che chi cade nella droga smetta di essere una persona libera, il fisico e la mente sono preda dell'assuefazione. Il tossicomane è tutto occupato da questa esperienza, è inchiodato, è come paralizzato a questa situazione. Ritengo, pertanto, che nei confronti del tossicodipendente i nostri atteggiamenti libertari debbano essere messi in discussione, in quanto il drogato si trova in un "circolo vizioso" da cui non riesce ad uscire. Nei suoi confronti bisogna assumere atteggiamenti decisi ed autoritari, in quanto essi tentano in mille modi di trovare giustificazioni alle loro difficoltà di smettere. Dobbiamo intervenire come, ad esempio, nei riguardi di un bambino che tenta di mettere le dita in una presa di corrente, in nome della libertà lo lasciamo fare o interveniamo con la nostra autorità? L'esperienza cosciente del tossicomane è completamente dominata dall'idea del farmaco, ed è impossibile capire dall'esterno la violenza e l'importanza decisiva di questa condizione. Tentare di farlo smettere prendendo per buone le dichiarazioni che egli rilascia quando resta a secco significa impegnarsi in una lotta frontale contro un avversario più forte. Quante volte distratti o indulgenti si è chiesto all'"imputato" cosa si potesse fare per lui. E figuratevi, chiedeva soldi, libertà, autonomia, onestà. Quanti hanno vissuto e vivono in questa angoscia, con il tormento di non poter far niente e di non sapere cosa fare.
L'ipotesi, la speranza di venirne fuori, prende corpo nel drogato soltanto dopo che ha toccato il fondo. Fino a quando non conosce l'abisso, l'abiezione, lo sconvolgimento fisico e mentale non fa che raccontare bugie a se stesso e agli altri. Quante volte si è assistito alle sue ricadute proprio quando sembrava venirne fuori. La legalizzazione pur avendo lati positivi che condivido non ha effetti sul drogato, da qui il mio disagio e la messa in discussione degli atteggiamenti libertari nei confronti del tossicodipendente.
Il drogato ricorrerebbe al medico e al farmacista senza la minima intenzione o possibilità di guarire, la vita sua e di quelli che gli stanno vicino continuerebbe a essere un tormento (...). Non ha senso barare dicendo che l'overdose è un ecatombe, fanno più morti, molti di più, due droghe legali come il fumo e l'alcool. Il risultato della legalizzazione sarebbe pertanto illusorio ed apparente. Non bisogna essere necessariamente anarchici per capire che il tossicomane può essere curato solo se cambiano i suoi rapporti e l'ambiente; la droga è una malattia dell'anima delle società industrializzate e ricche, è la testimonianza di una mancanza di valori che colpisce sia i sotto-proletari che fuggono da un mondo che li emargina, sia i ricchi che vivono l'inconsistenza dell'abbondanza dei beni materiali.
La libertà, la giustizia, la pace, l'uguaglianza e la fratellanza in realtà corrispondono a fame, razzismo, profitto personale, guerra, violenza, discriminazione, pregiudizio, abbandono, strapotere della mafia e dei partiti. Nella fabbrica, nella scuola, nella politica predominano la prevaricazione, l'utilitarismo, la violenza, l'ingiustizia. Da questo punto di vista è, quindi, incurabile. A questo punto sarebbe troppo semplicistico e sloganistico porre la soluzione nella rivoluzione e nell'anarchia, perché sono molti coloro che hanno avuto e continuano ad avere un figlio, un parente, un amico, un compagno, la fidanzata che si buca. Le statistiche convincono solo chi è già convinto, e siccome la guerra non è ancora persa si possono vincere delle battaglie. Una volta chi si drogava veniva visto come un uomo in rivota, oggi è considerato solo uno stronzo.
Ecco, questa è già una battaglia vinta.

Roberto Gimmi (Milano)