Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 194
ottobre 1992


Rivista Anarchica Online

Lo scrigno della natura
di Maria Matteo

I temi ecologici paiono destinati a suscitare polemiche dilaceranti: colpisce poi che le partite più significative si giochino più sul piano delle scelte etiche e filosofiche che sul terreno delle opzioni tecniche

In un fine estate segnato dalle oscillazioni della lira e della stangata fiscale ha pur avuto un certo eco la pubblicazione su Anthrezoos di "La protezione degli animali e l'olocausto", saggio degli studiosi americani Arnold Arluke e Boria Sax. La ricerca, oltre a ricordare il già noto amore di Hitler per lupi ed uccelli, analizza a fondo la legislazione emanata dal terzo Reich per la protezione degli animali: dalla proibizione della macellazione rituale ebraica, che prevede la morte della bestia per dissanguamento, alla quasi totale abolizione della vivisezione. Arluke e Sax ritengono che l'animalismo si inserisca perfettamente nell'ideologia nazionalsocialista che, poggiando su d'una visione estremamente gerarchica della natura, accomuna il destino delle razze umane superiori a quello degli animali più forti nella lotta per la sopravvivenza e l'autoaffermazione. Per i nazisti l'uomo doveva reimparare dagli animali l'ordine naturale per modellare su di esso la società. Arluke e Sax finiscono con l'asserire che "causa dell'olocausto sarebbe stato il timore di contaminazione genetica del popolo tedesco la cui unicità derivava anche dal proprio particolare e simpatetico rapporto con gli animali".
Questi temi sono stati ripresi e discussi su La nuova ecologia da Fulvia Fazio (1) e da Anna Maria Bruzzone su La Stampa (2). Entrambi gli articoli paiono suggerire più o meno esplicitamente l'interrogativo: se il nazismo era animalista, l'odierno movimento animalista non sarà un po' nazista? Fulvia Fazio si affretta sia pure in modo estremamente sbrigativo a rispondere negativamente. Meno sfumata la posizione della Bruzzone per la quale "ce n'è abbastanza per gettare ombre e sospetti sugli animalisti di oggi, o almeno sulle loro frange più estreme". E' un neanche troppo larvato tentativo di liquidare le tematiche animaliste con l'infamante dubbio di connessioni ideali con il nazismo. Che tale impostazione non stia in piedi in parte lo si vede persino dai succitati articoli. Se il nazismo animalizzava gli uomini, mirando all'eliminazione delle specie più deboli e "malate", il movimento di liberazione animale umanizza le bestie, cercando di estendere loro i diritti e le prerogative umane. "...Ed è così - asserisce Viviana Ribezzo - che assume inevitabilmente connotazioni rivoluzionarie, perché mette in discussione dalle fondamenta tutto un modo consolidato ed interiorizzato di rapportarci agli altri, non solo agli altri animali ma agli altri in generale, perché ciò che implicitamente afferma è il diritto alla libertà di cui ognuno di noi uomo o animale che sia è portatore" (3). Sicuramente interessante e documentato il saggio di Arluke e Sax non pare però in grado di gettare né luci né ombre sull'oggi. La polemica che ha suscitato non è l'ennesima operazione anestetica nei confronti dell'ecologismo più radicale. I mezzi adoperati sono in questo caso vistosamente grossolani ma nondimeno efficaci. Il nazismo antimoderno, anticristiano e romantico viene indicato quale segreto punto d'approdo dell'ecologismo.
"Il legame tra antivivisezione e antisemitismo - argomenta Fulvia Fazio - non è nato con il nazismo ma con quel filone di pensiero medio e tardo ottocentesco il cui più noto esponente era Richard Wagner. L'autore di Parsifal, supporter anche finanziario di quei gruppi che già allora facevano irruzione nei laboratori, ha più volte rappresentato il vivisettore come malvagio ed ebreo". Come dire: a Gramsci non piaceva il jazz quindi coloro che non apprezzano questa musica sono comunisti. O magari fascisti, dal momento che anche Mussolini ne aveva un giudizio sprezzante. Con questa logica diventa facile l'equazione animalismo-nazionalsocialismo. Peraltro la perversione di una logica siffatta si esplicita nella capacità di trarre conclusioni anche opposte dalla medesima premessa. Quindi al di là della pochezza di queste argomentazioni la questione decisamente interessante che si impone all'attenzione è l'incredibile permeabilità dell'ecologia, cui senza difficoltà pare possibile coniugare i più diversi approcci etici, politici, esistenziali. Ed ecco che all'ecologia si affiancano marxisti e fascisti, razionalisti e mistici, libertari e conservatori, vantando ciascuno le più svariate patenti di legittimità.
Come una setta religiosa ogni tendenza si pretende la più vera, la più "naturale". Il riferimento ad un ordine naturale comunque inteso diviene la risposta forte all'anomia della modernità. In questa prospettiva il prepotente emergere della crisi ambientale è l'inevitabile conseguenza della rottura di un'armonia naturale, corrosa dal cancro della civilizzazione. Quello che prevale è un atteggiamento intrinsecamente antiumanistico. Persino l'ambientalismo più moderato ne è permeato, poiché il concetto stesso di sviluppo compatibile richiama alla natura quale canone di riferimento e di misura.
Tutti gli ecologisti insomma "sembrano condividere l'idea che la considerazione dell'ambiente naturale e dei suoi rapporti con il mondo umano non si limiti ad individuare un problema tra i tanti, o comunque un problema in più da tenere presente, quanto piuttosto un'istanza superiore da rispettare prioritariamente" (4).
Quando una corrente ecologista tenta di delegittimarne un'altra con l'accusa di fondamentalismo e di razionalismo o magari, come in questo caso, di contiguità culturale con il nazismo, effettua un'operazione destinata a ritorcergli contro. Né maggior fortuna possono avere coloro che, rispolverando il vecchio armamentario scientista, firmano appelli per ribadire la centralità della ragione scientifica e del progresso. Gli uni e gli altri costituiscono le proprie argomentazioni sull'illusione di poter attingere ad una qualche verità auto-fondata. Poco importa "lo stile" con cui ci si accosta a tale verità, che si vuole atta a servire senso ed orientamento politico ed esistenziale. Gli ecologisti profondi esortano a "diventare più veri, a coltivare l'intima intuizione della connessione del tutto, a danzare con le sensuali armonie scoperte attraverso il rapporto spontaneo e giocoso con i processi vitali della terra" (5).
Murray Bookchin, che dell'ecologia profonda è tra i critici più feroci (6), sostiene che "recuperare la natura umana significa rinaturarla, ripristinare la sua continuità rispetto al processo creativo dell'evoluzione naturale" (7). Lungi da me beninteso porre sullo stesso piano ecologia sociale e deep ecology, tuttavia al di là della radicale divaricazione delle concezioni, in entrambe con forza si palesa l'esigenza di riscoperta dell'autentico, "di diventare più veri", di "rinaturarsi"... Devall e Sessions non diversamente da Bookchin pensano la natura come un fatto. "L'ecologia non affronta il problema della cultura delle nostre rappresentazioni né viene sfiorata dal dubbio che l'idea stessa di un'oggettività della natura possa essere qualcosa di diverso dalla percezione diretta di una situazione di fatto" (8). Da ciò deriva la straordinaria capacità di assimilare dell'ecologia ai più disparati modelli interpretativi cui si poneva poc'anzi l'accento. Lo scrigno della natura è come il baule di un trovarobe: ciascuno vi pesca quello che cerca per realizzare lo scenario che ha deciso di rappresentare. Ne deriva che i libertari preferiranno forse l'ecologia sociale all'eco-fascismo o all'eco-marxismo ma né questa né quelli possono aspirare ad una maggiore legittimità. Il che dopotutto non è affatto un male, poiché l'approccio è essenzialmente etico non teoretico. Non è necessario "cogliere la dimensione latente della libertà nella natura" (9) per realizzarla nel sociale: è sufficiente volerla. La prospettiva libertaria non si limita a far propria la consapevolezza dell'inattingibilità di un fondamento ultimo così come l'inaffidabilità della conoscenza scientifica proprie della moderna epistemologia, poiché da tutto ciò può e deve prescindere. Le radici del male non affondano socraticamente nell'ignoranza ma nella pretesa di conoscere ed imporre la verità.
L'etica libertaria si propone come l'ambito che realizza la convivenza dei diversi. Nel corso di un dibattito sulla vivisezione ho visto scontrarsi due concezioni opposte ma specularmente simili. Gli uni si affannavano a mostrarne l'utilità scientifica, gli altri a negarla. Rammento l'intervento di un compagno anarchico: "Non ha nessuna importanza chi di voi abbia ragione. Io sono contro la vivisezione non perché inutile o dannosa, non perché antiscientifica ma perché ho scelto di non negare agli animali quel diritto alla vita che vorrei riconosciuto ad ogni essere umano".

1) Fulvia Fazio, "Olocausto per soli uomini, La nuova ecologia settembre '92.
2) Anna Maria Bruzzone, "Animalisti discolpatevi: Hitler la pensava come voi", La Stampa venerdì 4 settembre 1992.
3) Viviana Ribezzo, "I diritti degli animali", Zarabazà 2.
4) Roberto Ambrosoli, "Una nuova metafisica?", Volontà 2-3/'87.
5) Bill Devall e George Sessions, "Ecologia profonda" pag.24.
6) cfr. Murray Bookchin "Sociale non profonda", A rivista anarchica 153.
7) Murray Bookchin , "Libertà e necessità", Volontà 2-3/'87.
8) Roberto Ambrosoli, cit.
9) Murray Bookchin, cit.