Rivista Anarchica Online
Australia aborigena: il sogno infranto
di Tiziana Ferrero
Questo dossier, realizzato da Tiziana Ferrero in occasione di una sua lunga permanenza in Australia, offre una
panoramica del complesso problema della convivenza tra gli abitanti originari del paese e i discendenti dei
colonizzatori. È anche il tentativo di dare voce a una cultura sistematicamente calpestata nei secoli e
alle sue stesse contraddizioni interne nei contatti con il mondo moderno, tra le quali ad esempio, quella
fondamentale delle relazioni uomo-donna
L'identità
perduta
Australia, dove tempo e distanza sono sinonimi, perché la distanza
è misurata in ore o giorni
necessari per raggiungere una città, un villaggio, una stazione di benzina nell'outback e
non in
chilometri o miglia.
The Dreamtime, il Tempo del Sogno, si è infranto quando un giorno del 1769 il capitano Cook
entrò con la sua
nave nella baia di Sydney. Affascinato dalla sua bellezza, gettò l'ancora... il 1788 è l'anno
ufficiale dell'inizio
della colonizzazione dell'Australia da parte dell'impero britannico. Il primo governatore del New South Wales,
il capitano Phillip, così fu istruito dal governo britannico: "Con il consenso dei nativi, prendere
conveniente
possesso della situazione nel paese in nome del Re della Gran Bretagna, o, se il paese è disabitato,
prendere il
possesso per Sua Maestà collocando appropriati segnali e iscrizioni come primi scopritori e possessori".
Queste istruzioni riflettono ancora il punto di vista contemporaneo secondo il quale la sovranità
su un paese
viene ottenuta attraverso la sua occupazione, se disabitato, o con il consenso della popolazione preesistente.
Comunque, nonostante la presenza degli aborigeni, l'Australia fu trattata come terra disabitata e dichiarata
terra
nullius (terra di nessuno). Questo negò l'esistenza di fatto, sotto la legge britannica, del popolo
aborigeno. Non
ci furono accordi, negoziazioni o trattati. La dottrina della terra nullius prevalse al tempo
perché gli inglesi,
seguendo le teorie di Locke, non riconobbero nella società aborigena nessun sistema politico o
economico
organizzato paragonabile a quello fondato in Europa. Non c'era autorità centralizzata, nessuna legge
scritta, né
eserciti, né città. Gli inglesi conclusero che gli aborigeni non erano sufficientemente civilizzati
per essere
considerati come popolo sovrano e non riconobbero le sofisticate strutture politiche, sociali ed economiche e
le credenze religiose che esistevano nella società aborigena e che erano basate sulla relazione tra il
popolo e la
terra. Nella cultura occidentale la terra è considerata come personale proprietà, da
comprare, vendere e sfruttare. Per
gli aborigeni invece è la voce vivente di tutti gli eventi significativi del Tempo del Sogno, quando il
mondo fu
formato, quando gli antenati crearono valli, innalzarono montagne e fecero scorrere fiumi, semplicemente
cantandoli e tracciando sentieri. In teoria tutta l'Australia è attraversata dalle "vie dei canti" e
può essere letta
come uno spartito musicale. Non c'è roccia, montagna, fiume, collina che non sia stato cantato, e quindi
creato.
Un sentiero potrebbe passare proprio nel bel mezzo di una affollata e trafficata via del centro di Sydney, o lungo
la ferrovia fra Melbourne e Woodoong, o tra Adelaide e Alice Springs . La terra, per la cultura aborigena,
è la
sorgente della legge con la quale ogni popolo vive e determina la parentela e la propria identità.
Nel I971 il concetto di terra nullius fu riaffermato dalla Corte Suprema del Northern
Territory, uno dei sette
stati di cui la federazione australiana è costituita. Fu deciso che siccome non c'era un chiaro sistema di
legge
aborigena sulla terra al tempo dell'arrivo degli inglesi, la terra fu giustificabilmente annessa alla Corona
d'Inghilterra. Questa sentenza fa parte a tutt'oggi della legge australiana e rimane incontestata nei tribunali. Non
c'è da meravigliarsi dunque se il nodo fondamentale della diatriba tra gli aborigeni e il governo
australiano è
il riconoscimento da parte di quest'ultimo dei land rights, il diritto alla terra, dei possessori
tradizionali del
continente australiano. Per due secoli gli aborigeni furono rimossi dalle loro terre e costretti a vivere nelle
missioni cattoliche o anglicane, gli uomini separati dalle donne, i bambini prelevati dalle loro famiglie. Non fu
loro permesso di "cantare" i luoghi sacri degli spiriti degli antenati, che è il modo in cui la cultura
aborigena
si esprime e si tramanda di padre in figlio, di madre in figlia. Non fu loro permesso di usare la legge tradizionale
per risolvere i conflitti. Vennero costruite città e chiese sui loro luoghi sacri. Questo è successo
in Nordamerica,
in Sudamerica, in Africa e dovunque l'uomo bianco abbia posato i suoi occhi.
Due nazioni Il riconoscimento del diritto alla terra è dunque la
chiave per l'autodeterminazione degli aborigeni, la base per
un sicuro sviluppo sociale, culturale ed economico. Per questo essi chiedono che la costituzione reinstauri il loro
diritto sulla terra, garantisca loro l'accesso ai luoghi di significato magico e il pieno controllo su di essi e li
compensi per la terra che è stata alienata. Gli aborigeni non sono interessati al concetto di "affittanza",
vogliono
sia riconosciuta loro la piena sovranità. Tutto ciò emerge nell'intervista ad Allan Sambono,
aborigeno, direttore
dell'unità di studi aborigeni all'Università del Queensland di Brisbane. Ma emerge con ancora
più veemenza da
Bob Weatherall, coordinatore e mente del Faira, la Foundation for Aboriginal and Islander Research Action,
e di fatto l'organizzazione politica degli aborigeni del Queensland, e la voce internazionale dei "neri"
d'Australia. Negli ultimi anni in Australia si assiste a uno dei più straordinari movimenti visti tra
le minoranze indigene, che
è il ritorno alla terra. Mentre in molte aree del mondo la tendenza è quella di abbandonare le
terre tradizionali
e muovere verso le città, tra gli aborigeni del Northern Territory e di altre remote parti dell'Australia
avviene
esattamente il contrario. Gli aborigeni stanno spostandosi dagli insediamenti europei alle loro terre d'origine.
Questo movimento è accompagnato anche da una rinascita delle attività cerimoniali, dall'uso
della legge
tradizionale e dalla trasmissione della lingua. Nel 1967 la Costituzione australiana, attraverso un referendum,
ha riconosciuto l'esistenza del popolo indigeno. Da allora gli aborigeni si sono alzati in piedi, hanno ritrovato
l'antico orgoglio di essere neri, hanno cucito un pezzo di stoffa rossa, la terra, uno giallo, il sole che nutre la
terra, il nero, il colore della loro pelle, e ne hanno fatto una bandiera. E hanno dato voce al loro malessere, alla
loro rabbia, e vita al movimento del land rights. Ma ancora oggi, a vent'anni da questa presa di
coscienza,
l'Australia è ancora divisa in due nazioni. Una bianca, culturalmente occidentale, il cui standard di vita
è tra i
più alti al mondo, e una nera, che al contrario fa parte del quarto mondo. Tra gli aborigeni
d'Australia, ad esempio, c'è il più alto tasso nel mondo di malati di lebbra. La loro aspettativa
di vita è di circa vent'anni inferiore a quella dei bianchi. Il 77 per cento della popolazione nera del
Northern
Territory e di Western Australia soffre di tracoma agli occhi. Alcol, abuso di droghe, violenza domestica, abusi
sui bambini, disoccupazione, cultura della Coca Cola e dell'hamburger, pornografia, sono malattie dei bianchi
penetrate anche tra i neri. Eppure, paradossalmente, oggi vengono evidenziati e pubblicizzati solo i crimini
commessi dagli aborigeni. Così per la maggior parte dei bianchi australiani, per la polizia, per le
istituzioni, gli
aborigeni sono tutti potenziali criminali. La società australiana, per quanto sono riuscita a
comprendere dopo otto mesi di permanenza, è estremamente
contraddittoria. Da una parte resiste l'idea del legame ombelicale alla cultura anglosassone, alla Gran Bretagna,
vista ancora come madre che dovrebbe proteggere il suo figlio down under (giù sotto),
dall'altra c'è la lenta presa
di coscienza che l'Australia è un continente asiatico, vicino geograficamente (relativamente parlando,
perché
l'Australia è lontana da tutto) a paesi come l'Indonesia, il Vietnam, la Cina, il Giappone, la Corea, le
Filippine,
la Thailandia, e che quindi è a questa parte del mondo che deve guardare, soprattutto economicamente.
Da una parte i bianchi diretti discendenti dei galeotti o dei coloni anglosassoni conservano un senso di
supremazia non riconoscendo l'esistenza di abitanti originari o guardando con sufficienza gli immigrati
provenienti a ondate e in momenti diversi da 130 paesi differenti; dall'altra c'è il tentativo di
un'integrazione
multiculturale e multirazziale secondo me unica al mondo. Proprio dopo la celebrazione del Bicentenario
della colonizzazione australiana, nel 1989 l'allora ministro
laburista Bob Hawke ha varato una politica multiculturale che probabilmente non corrisponde ancora a un
sentimento della società reale, così permeata della tradizionale cultura anglosassone. Il bianco
medio
anglosassone è razzista e xenofobico, ma sta lentamente accettando il fatto di condividere questa terra
antica -
la più antica al mondo, e giovane allo stesso tempo - con persone portatrici di differenti culture, anche
se,
probabilmente, non è ancora del tutto pronto a riceverle nelle loro manifestazioni migliori. Molti
australiani con cui mi è capitato di parlare - dal conducente di autobus al professore di
università - sono
addirittura orgogliosi del fatto che questo paese è stato pronto a ricevere gente da tutto il mondo, a dare
loro
lavoro e casa e benessere. Per duecento anni questa terra è stata l'ultima chance per disperati, poveri,
spesso
analfabeti emigranti. Oggi le seconde o terze generazioni di questi newcomers - nuovi arrivati -
parlano inglese,
vanno all'università o hanno lavori qualificati e, insieme con gli australiani di discendenza anglosassone,
hanno
uno dei più alti standard di vita al mondo. Uno degli obiettivi della politica multiculturale varata
dal governo, ancora a un livello grezzo e sperimentale,
quindi soggetta ad aggiustamenti e modifiche, è quello di creare un paese dove culture così
diverse tra loro -
principalmente anglosassone, irlandese, mediterranea (italiana, greca ed ebraica) e asiatica - si fondino e creino
un senso di identità che l'australiano non ha. Parlando dell'Australia, della sua storia e del suo futuro
con
qualsiasi australiano si arriva sempre e immancabilmente alla domanda che egli stesso si pone "Cosa significa
essere australiano?". Durante i primi mesi della mia "vacanza" australiana ero assolutamente ipercritica,
trovavo questo paese
profondamente vuoto, noioso e superficiale. Poi lentamente ho cominciato a capire cosa rende l'australiano quasi
apatico. La distanza. La distanza da un capo all'altro del continente (se sovrapponete l'Australia all'Europa
noterete che Darwin sta un po' sopra Oslo, Adelaide più o meno in Pianura Padana, Brisbane nella parte
occidentale russa e Perth nei Pirenei) e la distanza del continente da qualsiasi altro continente. Il paese è
abitato
da circa diciassette milioni di persone - all'incirca la stessa popolazione di Tokyo, Nuova Delhi, Città
del
Messico - quasi tutti concentrati nella striscia di terra che va da Adelaide, a sud, e il nord del Queensland,
sull'oceano Pacifico, una striscia di terra lunga tremilaseicento chilometri, chilometro più, chilometro
meno.
E poi il nulla. Viaggiando in Australia c'è sempre un essere nel middle of nowhere, nel
bel mezzo del nulla, o
un never never, mai mai, che è tipicamente slang australiano.
Buco d'ozono Il colonizzatore anglosassone, rifiutando di riconoscere la
ricchezza della cultura aborigena, ha negato l'unico
modo per non sentirsi perso in questo immenso spazio. Cantare la terra, creare le vie dei canti significa, secondo
me, creare una rete percorribile non solo in senso proprio, ma anche e soprattutto con la mente, che unisce il
nord con il sud, l'est con l'ovest. Senza questo, l'Australia come dice un personaggio del libro di Bruce Chatwin,
"The Songlines" ("le vie dei canti"), "...Una spugna per di più. Tutto quello che ci rovesci sopra, viene
assorbito
senza distinzioni". Che può essere allo stesso tempo positivo e negativo. Ancora una contraddizione.
Positivo
perché sentire la distanza e l'immenso spazio australiano, percepire il vuoto, permette
all'europeo che arriva in
questo strano continente di liberarsi di sovrastrutture mentali e culturali che spesso gravano come pesanti
fardelli e che rendono complicate anche le cose più ovvie e semplici. Serve a svuotare la mente e a
renderla più
ricettiva. E' come un'operazione di pulizia. Questo è quello che io ho provato, con il lento passare dei
giorni,
con i lunghi viaggi durante i quali il paesaggio non cambia per centinaia e centinaia di chilometri, con la
sensazione di essere l'unica persona nel middle of nowhere. Negativo perché può
pericolosamente portare
all'apatia, all'individualismo, al disinteresse. Così è successo a tanti europei incontrati qui,
arrivati dieci anni
fa, disillusi dal post-sessantotto, da una rivoluzione mancata, dall'Europa sempre più piccola, inquinata
e
frenetica. Sono venuti a cercare spazio e aria pulita qui, e si sono persi. Sono stati risucchiati in un buco nero,
appagati dalla casa individuale con il giardino, strade senza traffico, spazio e mancanza di inquinamento. Senza
preoccuparsi del fatto che il buco di ozono che orbita sopra l'Australia è provocato dall'inquinamento
europeo,
che gli esperimenti atomici francesi in Polinesia hanno un fallout quasi immediato su questo paese. In tutta
questa complessa, contraddittoria realtà il problema aborigeno punge come una spina nel fianco. Gli
aborigeni vogliono terra, terra e ancora terra, dove nessun uomo bianco possa posare il suo piede senza il loro
permesso. Reclamano sovranità, autodeterminazione e una nazione aborigena, senza ancora sapere
esattamente
come questa dovrebbe configurarsi. Bob Weatherall, forse il leader più radicale aborigeno, nega la
costituzione
di uno stato all'interno dello stato australiano, che è ciò che spaventa maggiormente il bianco
anglosassone, ma
parla di un governo (ancora una contraddizione) totalmente nero che rappresenti i neri d'Australia. Il che
può
essere sacrosanto, ma a sua volta un'apartheid al contrario. Qualche antropologo imbecille o ambientalista
romantico pensa che i popoli indigeni debbano semplicemente
tornare a vivere nelle loro terre, felici e inseriti nell'ecosistema, seguendo le loro leggi e tradizioni. Ma il
problema è molto più complesso. Mi sono resa conto qui di quanto siano naif le immagini che
noi europei
abbiamo del "buon selvaggio" che caccia solo quello che serve a nutrirlo, che non danneggia foreste, laghi,
fiumi, mari, e vive secondo un'organizzazione sociale orizzontale ed egualitaria. Spesso qui in Australia
organizzazioni ambientaliste hanno criticato il "taglia e brucia" di parti di bush praticato dagli
aborigeni con
troppa "disinvoltura" e sono state accusate di nazismo. Fino a poco tempo fa tra gruppi ecologisti e
organizzazioni aborigene ci sono stati attriti e conflitti di competenze perché ogniqualvolta i primi
chiedevano
al governo di adibire particolari zone del territorio australiano a parco nazionale, per proteggere in questo modo
alcune specie di animali in pericolo di estinzione, entravano in conflitto con la politica dei land
rights di qualche
comunità aborigena che reclamava a sé lo stesso territorio come antico possessore. E
naturalmente il governo
federale di Canberra a era ben felice di aprire nuovi parchi nazionali piuttosto che riconoscere l'antico diritto
aborigeno a quella terra. Recentemente il movimento ecologico, soprattutto in Queensland, come dice
Kevin Guy nella sua intervista,
ha cominciato un dibattito al suo interno, riconoscendo la validità di un'azione politica comune con il
popolo
indigeno. Spesso alcuni leader aborigeni nei loro discorsi parzialmente intrisi di retorica, soprattutto quando
affrontano il problema dell'alcolismo o della violenza in famiglia, rifiutano di riconoscere la gravità di
alcune
situazioni estreme. La conferma di questo atteggiamento mi venne dall'Aboriginal and Torres Strait Islanders
Corporation for women di Brisbane, fondato nel 1984 proprio come supporto alle donne aborigene e ai loro figli
che soffrono per abusi e violenza. Il nostro è stato un breve e informale colloquio, non registrato,
durante il
quale mi è stato "gentilmente richiesto" di non riportare ciò che mi veniva detto e per una
intervista ufficiale
sono stata indirizzata al gruppo delle anziane, il quale non mi hai mai dato un appuntamento (c'è
una stretta
gerarchia tra i gruppi degli anziani e il resto della comunità, e specialmente le donne non
parlano se non con
il permesso di tutta la comunità, così come mi è capitato con il gruppo di sorelle
Pitjantjatjara venute a
Brisbane in ottobre alla Queensland University, di cui c'è un breve resoconto nell'intervista a Helen
Payne).
E' molto difficile dunque cooperare e lavorare con le organizzazioni o le comunità aborigene, e
soprattutto
esprimere critiche sulla loro chiusura verso la società e la cultura bianca, con la quale volenti o nolenti
oggi
devono fare i conti, o sul modo di risolvere i loro conflitti interni con l'uso dell'antica legge (di cui non
posso
parlare e il cui modo di operare sono riuscita a scoprire solo dopo alcuni incontri informali con Allan Sambono
durante i quali mi sono "guadagnata" fiducia e rispetto ) senza essere accusata di razzismo.
Dove tempo e distanza sono sinonimi Lascio ora a voi che mi avete seguita
fin qui la lettura delle quattro interviste, di cui (senza farlo apposta) due
sono con aborigeni e due con bianchi, fatte nell'arco di tre mesi, tra ottobre e dicembre 1997, compresa la
trascrizione e traduzione, in questo incredibile - fino a quando non l'ho sperimentato - pigro, indolente, caldo
umido di questo strano, contraddittorio e meraviglioso mondo rovesciato in cui se non si sta attenti ci si perde,
in cui l'uso di alcol, marijuana e amfetamine sembrano essere per molti australiani bianchi una delle risposte
alla distanza, all'immenso spazio che risucchia come un buco nero, e per molti australiani neri una
delle risposte
alla mancanza, a un vuoto creatosi con l'arrivo delle prime navi inglesi, alla perdita delle loro
antiche terre.
Australia, terra come ultima frontiera, terra come punizione per i ribelli radicali scozzesi e irlandesi, per i poveri
affamati di Londra deportati fin qui per aver rubato un tozzo di pane, per cui la condanna peggiore fu proprio
quei ventimila chilometri di lontananza dall'Europa, chilometro più, chilometro meno. Australia, dove
tempo
e distanza sono sinonimi, perché la distanza è misurata in ore o giorni necessari per raggiungere
una città, un
villaggio, una stazione di benzina nell'outback e non in chilometri o miglia.
Il compromesso necessario
A colloquio con Allan Sambono, direttore dell'Aboriginal & Torres
Strait Islander Unit
Incontro Allan Sambono - o meglio, Wanda-Gal-Kari - alla Queensland University di Brisbane, in uno dei
soliti
giorni assolati australiani. L'università è divisa in diversi edifici immersi in un magnifico parco
lungo il fiume
Brisbane. Allan Sambono, aborigeno, 39 anni, viso aperto e cordiale, una di quelle persone che ti mettono subito
a tuo agio, è il direttore dell'Aboriginal & Torres Strait Islander Unit. All'intervista prende parte
anche la sua
assistente Pauline, figlia di un italiano emigrato in Australia. Allan me la presenta come il suo braccio sinistro.
"Perché il suo braccio sinistro, Mr. Sambono? Non si usa dire "braccio destro"?". "No, noi diciamo
braccio
sinistro, perché il mio braccio destro è riservato al mio migliore amico".
Quanti aborigeni vivono oggi in Australia? Allan - Dipende
da chi compie il censimento. Poi dipende anche dal fatto che spesso più famiglie aborigene
vivono insieme perché non ci sono sufficienti abitazioni, ma durante i censimenti alcuni rifiutano di
dichiarare
quante persone abitano nella stessa casa, perché alcune usufruiscono dell'indennità di
disoccupazione o della
pensione e possono così aiutare gli altri a sopravvivere. Alcuni poi non hanno la pelle molto scura,
così in
passato dichiaravano di essere in parte italiani o filippini e dicevano "No, io non sono aborigeno". Altri
dichiaravano di essere indiani, perché essere indiani o qualsiasi altra cosa era meglio che essere
aborigeni,
perché se sei cento per cento nero, sei spazzatura. Ma nell'ultima decade gli aborigeni si sono alzati in
piedi e
si sono sentiti orgogliosi di dichiarare che sono neri. Possiamo dire che oggi gli aborigeni sono circa 250 mila,
mentre duecento anni fa erano stimati, secondo fonti diverse, tra 500 mila e un milione.
Sembra che da dieci anni a questa parte gli australiani si sentano colpevoli nei confronti degli
aborigeni,
e i governi degli stati federali stiano cambiando la loro politica. Ad esempio Ayers Rock è stata
restituita
agli aborigeni...
Uluru?
Sì , chiedo perdono, Uluru (Ayers Rock, in lingua aborigena,
ndr). Quello che devi capire è che il governo è molto intelligente. Questo non
è un esempio molto azzeccato, perché
quello che oggi mi dà il governo, alle nove, alle nove e cinque se lo riprende indietro con l'altra
mano.
In quale modo?
Loro mi ridanno indietro Uluru a condizione che io lo affitti al governo come parco nazionale per 85.000 dollari
all'anno. Tutto quello che io posso avere da milioni di turisti sono 85.000 dollari all'anno, quando alberghi e
motel hanno un introito di 75 milioni di dollari all'anno. E' un inganno, non c'è giustizia. L'unica
giustizia è che
oggi tu hai un pezzo di carta che dice che ne sei proprietario, ma ne sei proprietario perché io (governo)
ti
permetto di esserlo, e nel momento in cui ti dò questo permesso ti impongo ancora il modo in cui devi
usarlo.
Il proprietario di Uluru è il National Park Wildlife, che fa parte del Commonwealth Department, e
ancora detta
le condizioni su come usarne le risorse.
C'è un esempio migliore? Il primo di tutti, Wave Hill, il primo pezzo
di terra ridato agli aborigeni 25 anni fa - proprio quest'anno ricorre
il venticinquesimo anniversario - sul quale non ci sono condizioni. Questo è l'unico esempio. Anche
per Arnhem
Land, nel Northern Territory (uno dei sette stati federali australiani, ndr) il diritto sulla terra ha
una condizione,
lo sfruttamento minerario. Gli aborigeni possono avere la terra solo se acconsentono al suo sfruttamento
(legname, minerali, acqua). Wave Hill invece è stato semplicemente consegnato agli aborigeni
perché,
fortunatamente per noi, non c'è uranio, petrolio, oro o gas, solo acqua e prati. Questa rivendicazione
ha riscosso
successo perché Wave Hill apparteneva alla Corona, così è stato possibile per il governo
ridarlo direttamente
indietro agli aborigeni.
Ma la mia terra d'origine che appartiene a me e alla mia famiglia è esattamente nel mezzo di un
territorio
affittato e adibito a pascolo e noi non possiamo riaverlo indietro perché l'unico modo sarebbe quello di
effettuare
un'amputazione di circa due chilometri quadrati in un'area di duemila chilometri quadrati adibiti ad allevamento
bovino! Ma per questa "amputazione" dobbiamo ricorrere al tribunale, e sappiamo perfettamente come funziona
il sistema legale, possiamo andare avanti per secoli. Il diritto alla terra, specialmente nel Northern Territory,
deve essere provato da legami spirituali e culturali che hai con quella particolare terra e il problema è
che devi
anche provare che non puoi sopravvivere dove attualmente vivi, meglio del governo che invece cerca di
dimostrarti che tu non hai diritto di vivere in quella terra. Cosa che finisce per metterti in una situazione molto
difficile e imbarazzante. Ti faccio un esempio. Il mio vicino, un altro gruppo aborigeno, la gente di
Warramungu, in Tennant Creek, per avere la sua terra, ha dovuto far danzare e cantare le donne del gruppo
davanti ad almeno trenta uomini bianchi, giudici, avvocati e antropologi, quando queste rappresentazioni non
sono mai state viste per quarantamila anni da nessun uomo della tribù, perché noi abbiamo riti
cerimoniali
separati. Tutto ciò per provare i legami spirituali e culturali di queste donne con la loro terra, per la
quale esse
sono responsabili. Puoi immaginare la devastazione psicologica di questa gente? Ho visto il video di questa
cerimonia, e le lacrime scendevano copiose sui volti delle donne. Danzando e cantando per questi uomini
bianchi queste donne hanno perso, ma scegliendo di non farlo, avrebbero perso ugualmente, non avrebbero
avuto indietro la loro terra. Così hanno dovuto prendere una decisione.
Non c'è nessun rispetto per i vostri costumi e
tradizioni... Pauline - I bianchi pensano che gli aborigeni hanno già
avuto troppo e che l'Australia soffre a causa loro, perché
è stata restituita loro già troppa terra.
Ho sentito dei bianchi affermare anche che il governo sta spendendo troppi soldi per gli
aborigeni. E'
vero? (Torna a rispondere Allan) - Penso che la cifra sia di seimila milioni di
dollari del suo budget, esattamente come
per qualsiasi altra cosa. Fammi un esempio di un qualsiasi altro paese nel mondo che abbia un Department for
Aboriginals Affairs. Ce n'è uno in Francia? Ha la Spagna un particolare dipartimento per i baschi? Ne
ha uno
l'Unione Sovietica? Vedi, quando ti mettono in uno speciale dipartimento del governo, e cominciano a
stanziare
un bilancio per te, cominciano a controllarti, perché tu non puoi fare a meno di questi soldi e loro ti
dettano
come devi vivere la tua vita, e se tu rompi il cerchio, non hai i soldi.
Secondo me, questo è un altro modo per togliere agli aborigeni il loro senso dello stare
al mondo. Quando
puoi semplicemente sopravvivere senza dover lavorare perché c'è qualcuno che ti mantiene
perdi anche
il rispetto di te stesso. Significa anche che il governo, stabilendo un budget per gli aborigeni,
ti può fare le scuse quando poi ti uccide,
quando non provvede a un'assistenza medica appropriata...
Non capisco... È chiaro. Il governo decide come usare il denaro. Ti
faccio un esempio. In New South Wales (un altro dei sette
stati federali australiani, la cui capitale è Sydney, ndr) c'è un città che si chiama
Wilcannia con 1200 persone
di cui 800 sono aborigeni e non hanno un dottore. Gli aborigeni devono fare affidamento su un flying doctor
(servizio medico aereo, un'istituzione tipicamente australiana, data la vastità del paese,
ndr) che arriva da
Broken Hill, che è a circa duecento miglia di distanza. Una piccola città di trecento abitanti
bianchi ha
normalmente un solo poliziotto; ma se la stessa città fosse abitata da trecento neri, ci sarebbero fino a
dodici
poliziotti.
Il governo quindi censisce la popolazione aborigena, ma poi i numeri non rientrano nelle
statistiche
quando si tratta di provvedere ad attrezzature e servizi di assistenza adeguati, eccetto per la polizia. Quali
sono i problemi riguardo la salute e l'abitare? Prendiamo il problema della casa. Se io ho
cinque figli e mia sorella vuole venire in città, non posso certo
rifiutarmi di ospitarla! E magari anche lei ha cinque figli. Parlando in generale, in media, in ogni casa aborigena
vive una famiglia e mezza, almeno. In New South Wales ci sono casi anche di due, tre famiglie che vivono
insieme. Gli aborigeni dicono al governo "Lasciateci costruire case con otto stanze da letto, così
abbiamo più
spazio". E il primo ministro dello stato risponde "No, noi non costruiamo case con otto stanze da letto per i
bianchi, perché dovremmo farlo per gli aborigeni?". Così quando le case sono sovraffollate
iniziano anche i
problemi di salute. Il governo non prende in considerazione la cultura aborigena. Questo è ancora
razzismo. Noi
non viviamo seguendo lo stile di vita dei bianchi, in famiglie nucleari, madre, padre e un figlio e mezzo
(secondo le statistiche). Una coppia di amici miei ha dieci figli e così c'è gente che dorme in
cucina, nel
soggiorno, nella lavanderia, dovunque. Allora la cucina è stata spostata fuori. Loro cucinano fuori,
mangiano
sedendo sotto gli alberi. La casa è diventata un luogo dove si dorme solo per ripararsi dal freddo, o per
problemi
di sicurezza, ma tutta la vita sociale si svolge fuori.
Poi tu mi chiedevi della salute. Gli aborigeni hanno molte più infezioni agli occhi dei bianchi. Molti
dei paesi
sottosviluppati, paesi del terzo mondo, sono stati in grado di eliminare la lebbra. In Australia invece esiste
ancora la lebbra, ma siccome la lebbra in questo paese è "nera", non è stato fatto niente in
merito, nessuno se
ne preoccupa. Questo dovrebbe essere un paese sviluppato ma ha ancora la lebbra. E la tubercolosi. Molti
asiatici e aborigeni hanno la tubercolosi.
Sono stupefatta! Gli aborigeni muoiono principalmente per malattie
respiratorie - tra cui la tubercolosi - e di infarto, causato
soprattutto da una cattiva alimentazione. Gli aborigeni vivono in media venti anni in meno dei bianchi. Fino
a poco tempo fa, in New South Wales, l'aspettativa di vita per gli aborigeni era in media di quarant'anni, in
particolare per gli uomini. Quello che il governo non capisce è che quando un aborigeno è
costretto a lasciare
la sua terra, non solo perde il suo senso di identità, ma va incontro anche ad altri problemi, quali un
drastico
mutamento della sua dieta: pane, patatine fritte e coca-cola.
E per quanto riguarda il problema dell'alcolismo? Alcolismo? Guarda, l'alcol
non è un problema aborigeno, è un problema per tutta l'Australia. Se un uomo in un
paese mediterraneo non fuma, non è un uomo. In questo paese, se un uomo non beve, non è un
uomo. E questo
vale per tutti. E poi l'alcol è un rimedio, una medicina. Ti ubriachi e per un momento dimentichi i tuoi
problemi.
Così se sei represso, quotidianamente vengono commessi abusi nei tuoi confronti, non c'è niente
di meglio dell'alcol
per dimenticare per mezz'ora i tuoi problemi. Per molti degli aborigeni alcolizzati, l'alcol è una cosa
meravigliosa. Pauline - Bisogna dire anche che un aborigeno alcolizzato è più
visibile di un bianco. I bianchi bevono nelle
loro case e nessuno li vede. Gli aborigeni sono più sociali, vivono di più fuori delle loro case,
li vedi bere per
strada, e così dici "Guarda quell'aborigeno, è ubriaco". (Torna a parlare Allan)
- Se tu paragoni il numero delle persone che il venerdì sera bevono nelle loro case,
anche in un solo sobborgo, o nei pub, con il numero degli aborigeni che bevono in un parco, questi ultimi sono
un'estrema minoranza. Ma siccome sono neri, e lo fanno in un posto pubblico, all'aperto, sono più
visibili. E
questa minoranza che beve nei parchi lo fa per dimenticare dove vive, cioè in città. Il problema
è quindi ancora
una volta la terra. Perché con la terra viene anche la dignità, l'identità. Chi sei? Da dove
vieni? Ogni aborigeno
in questo paese deve conoscere da dove viene, dove sono le sue radici, dov'è il suo cuore, quali sono
le sue
tradizioni. Tutto è legato alla terra, la terra è la nostra madre, lei ha dato la vita a tutti. Se tu mi
togli la mia terra,
chi sono? Non sono nessuno, sono una persona vuota. Gli aborigeni sono molto spirituali, vivono in armonia
con tutta la natura, e anche quando sono morti, vivono ancora, sono lì , nella terra. Il mio nome, per
esempio,
Wanda-Gal-Kari, mi dice ogni giorno della mia vita chi sono, da dove vengo e quali sono le mie
responsabilità.
Sì , so che la cosa più importante per un aborigeno è la terra, il suo
luogo di provenienza. La prima cosa
che un aborigeno chiede a un altro aborigeno è "Da dove vieni?". Esatto, così
se gliela porti via, tu hai un essere umano che non è nient'altro che un guscio vuoto. Lui o lei non
ha niente per cui valga la pena vivere. Così l'alcol diventa un problema, perché questa gente
cerca qualcosa,
qualcosa che ti faccia sentire orgoglioso di essere aborigeno, ma non possono trovarla.
Quali sono i problemi maggiori per gli aborigeni che vivono nelle
città? Spogliazione, senso di espropriazione. Ti racconto qualcosa di veramente
drammatico. Nel 1997 l'ultimo
schiavo nero ufficiale di questo paese fu liberato dalla sua schiavitù, quando la schiavitù fu
abolita due secoli
fa? Un secolo fa?
Schiavo? non capisco... Ti spiego. C'è una legislazione
sull'assimilazione e l'integrazione il cui obiettivo è quello di trasformare gli
aborigeni in persone "civilizzate" attraverso un tirocinio come domestico o allevatore di bestiame. Ma molti di
loro non hanno mai ricevuto salari. Alcuni proprietari terrieri portavano via i bambini, li addestravano come
guardiani per il bestiame, per questo ricevevano soldi dal governo, ma invece di pagare salari adeguati
compensavano gli aborigeni con tè, zucchero, lenzuola, tabacco e talvolta con vestiti usati. Così
questi allevatori
si arricchivano doppiamente ricevendo soldi dal governo e usando il lavoro di questi aborigeni, senza
pagarli.
Molti di loro hanno dovuto lasciare gli allevamenti e cercare lavoro altrove. Succedeva anche che le donne,
guarda caso, tutto d'un tratto avevano figli con la pelle più chiara, così i bianchi portavano via
i bambini, e
iniziavano la loro "assimilazione" alla cultura bianca. Nel New South Wales e in Victoria (un altro dei
sette stati
federali australiani, ndr) qualcosa come il 75 per cento della popolazione aborigena è stata
portata via, spostata,
e questo ha un impatto su tutta la popolazione aborigena dello stato.
Ti faccio un altro esempio, prendiamo il problema della criminalità. Sul totale della popolazione
maschile
aborigena oltre i 25 anni, almeno l'85 per cento è stato in prigione. Perché? E' una cifra molto
alta. Significa che
l'85 per cento degli aborigeni oltre i 25 anni non può avere un lavoro, perché sono classificati
come criminali.
Non possono adottare legalmente un altro bambino, e vivranno il resto della loro vita bollati come criminali.
Ricordo un uomo in Victoria che soffriva del morbo di Parkinson ed era completamente astemio, fu portato in
prigione 40 volte sotto l'accusa di ubriachezza in un posto pubblico. Se un party in un pub in South Brisbane,
(uno dei quartieri di Brisbane, ndr) finisce alle 23,30 - e lo stesso capita a Redfern, in Sydney
(un quartiere
abitato prevalentemente da aborigeni, ndr) - puoi scommettere che cinque minuti prima della chiusura
ci sono
da mezza a una dozzina di furgoni della polizia che aspettano fuori l'uscita degli aborigeni. Come escono,
vengono caricati nel furgone, e se chiedi spiegazioni, vieni arrestato per resistenza alla forza pubblica, o insulto
a pubblico ufficiale.
Ma nessuno sa di questi abusi! Non c'è traccia su riviste, quotidiani. Ho visto articoli
di denuncia contro
il pericolo del razzismo verso le comunità di asiatici o di musulmani, ma non contro gli
aborigeni. Perché nessuno lo vuole sapere. Non c'è spazio per gli aborigeni
qui in Australia. La Gran Bretagna sta avendo
lo stesso problema. Nei buoni vecchi tempi dell'impero britannico, le colonie erano soggetti britannici, il che
significava che pakistani, giamaicani o neri del Sudafrica non potevano avere il passaporto britannico. Molti
emigrarono in Gran Bretagna perché volevano vivere lì e tutto d'un tratto gli inglesi si sono
trovati di fronte
questi neri che volevano essere come loro, non discriminati. Come per le persone che hanno handicap fisici, che
vengono trattati da "diversi", mentre sono i "normali" che devono cambiare attitudine nei loro confronti. Allo
stesso modo i bianchi dicono "Io devo cambiare? No, io non cambio, sei tu che sei diverso, il problema
è tuo".
Come pensi possa essere risolto questo problema di convivenza fisica e culturale con i
bianchi? Solo attraverso una mediazione da ambo le parti. In un matrimonio l'uomo e la donna
devono arrivare a un
accordo al 50 per cento. Così aborigeni e bianchi devono stabilire un compromesso. I bianchi devono
riconoscere la nostra cultura, il nostro stile di vita, che è completamente diverso dal loro, e i nostri
diritti.
Ma il popolo Gurindji
rimane
Kalkaringi, febbraio-marzo 1992 Prima del mio rientro in Italia passerò tre settimane a
Kalkaringi raggiunta dopo quaranta ore di viaggio
coperte in parte in autobus, in parte con una Land Cruiser, attraverso l'outback australiano, da
Brisbane nel
deserto del Northern Territory. Sono eccitata. E' praticamente impossibile per chiunque avere
l'opportunità
di vivere in una comunità aborigena se non si è impiegati nella comunità
stessa. Kalkaringi è il nome aborigeno di Wave Hill, teatro di un avvenimento centrale nella storia
e nella cultura
aborigena degli ultimi ventisei anni. Ricordo di averne sentito parlare per la prima volta da Allan Sambono,
durante la sua intervista. In questo luogo, nel bel mezzo del nulla, a circa nove ore di jeep da Darwin, a
nord, la capitale di Northern
Territory, o da Alice Springs, a sud, nel 1966 il popolo Gurindji ha fatto il primo sciopero aborigeno nella
storia del giovane stato bianco australiano. Ecco in breve gli avvenimenti principali di un secolo di soprusi,
lotte e riscatto della comunità Gurindji. Nel 1883 la famiglia Buchanan si insedia su questa terra
e comincia l'allevamento di bestiame. Nel 1888 viene aperta una stazione di polizia e le guardie a cavallo
cominciano la repressione contro il popolo
Gurindji con omicidi che continueranno fino al 1920. Nel 1914 la compagnia britannica Vesteys, allora il
più grosso proprietario terriero in Australia, compra
Wave Hill e continua l'allevamento di bovini sfruttando il lavoro aborigeno, che ripaga con magre razioni
di cibo. Il 23 agosto 1966 alcune centinaia di aborigeni lasciano l'allevamento e iniziano lo sciopero.
Vengono
sostenuti immediatamente dai sindacati di Darwin, seguiti da quelli di Adelaide, Melbourne e Sidney. Nel
1967 più del 90 per cento degli australiani vota sì al referendum che dà al Governo del
Commonwealth
di Camberra il potere di istituire un dipartimento per il problema aborigeno. E' di fatto il riconoscimento
dell'esistenza degli aborigeni come popolo. Nel 1972 il gruppo Gurindji riceve otto chilometri quadrati di
terra. Nel 1975 il primo ministro Gough Whitian visita Daguragu, un altro insediamento Gurindji a otto
chilometri
da Kalkaringi e, raccogliendo un pugno di terra che mette nelle mani del leader Gurindji, restituisce 3.236
chilometri quadratri di terra ai suoi antichi possessori. Ma sarà soltanto nell'aprile del 1986 che il
popolo Gurindji riceverà a pieno titolo la sua terra. Marzo 1992. Proprio in questi giorni il gigante
Vesteys lascia completamente l'allevamento perchè non è più
redditizio. Dopo 76 anni Vesteys se ne va, ma il popolo Gurindji rimane, come da quarantamila
anni. Milano, 28 marzo 1992. Il rientro in Italia, dopo un anno, da Kalkaringi via Darwin-Bangkok
è uno shock culturale. |
Questa terra è
la nostra terra
Intervista a Bob Weatherall coordinatore della Foundation for Aboriginal and
Islander Research.
Bob Weatherall - ho dimenticato di chiedergli il suo nome aborigeno - è il coordinatore del Faira,
la Foundation
for Aboriginal and Islander Research Action, l'"organizzazione politica" aborigena e di fatto il portavoce del
"governo provvisorio aborigeno". E' mattino presto, ma Bob è già al lavoro da un po' ed
è occupatissimo a
rispondere al telefono che suona ininterrottamente. E' stata una fortuna (o merito dei compagni di Brisbane, che
mi hanno presentata?) riuscire ad avere questa intervista, poiché Bob è sempre molto occupato.
E' appena
tornato da un viaggio di due settimane attraverso l'Europa, per far conoscere il problema aborigeno, così
distante
dal nostro eurocentrismo culturale quanto lo è l'Australia in migliaia di chilometri. Tra gli Aborigeni
non ci sono
terroristi né dirottatori di aerei e tutto quello che sono riusciti a ottenere negli ultimi vent'anni lo devono
in parte
alla loro ostinata determinazione e a un rinato forte senso di identità, e in parte forse a un sentimento
di colpa
che ha cominciato a farsi strada tra i bianchi. Mentre aspetto dò un'occhiata alla fornitissima libreria
e bevo uno
dei soliti annacquati caffè australiani ai quali ho ormai fatto l'abitudine. Finalmente dopo mezz'ora Bob
è pronto
a rispondere alle mie domande.
Prima di tutto, Bob, cos'è il Faira? È la Foundation for
Aboriginal and Islander Research Action, ha sede in Brisbane ed è indipendente dal
governo. Il suo scopo principale è quello di fare ricerche, ma si fa carico anche della voce del popolo
nero,
perché in questo stato (Queensland, ndr) gli aborigeni non hanno voce, non vengono
consultati per le scelte
politiche del governo, che continua a dividere la comunità nera . La nostra ricerca consiste nel
denunciare tutte
le violazioni dei diritti fondamentali umani e delle libertà contro gli aborigeni, per arrivare a un
cambiamento
nella giustizia sociale. Una volta fatta la ricerca e stabilito cosa vogliono gli aborigeni noi cominciamo ad agire,
coinvolgendo a volte la chiesa, parlamentari, sindacati e tutti quei gruppi interessati a sostenere le nostre
rivendicazioni come organizzazioni studentesche, per la conservazione dell'ambiente e le comunità
aborigene,
naturalmente, così possiamo avere la voce e la forza per costringere il governo a inserire nel suo
programma
le rivendicazioni aborigene. Il nostro principale lavoro è quindi fare campagne politiche per i diritti
degli
aborigeni, e non lo facciamo solo per l'Australia o per il Queensland, ma sosteniamo anche tutte quelle
popolazioni indigene che non godono dei diritti fondamentali di libertà, ovunque ci sia oppressione e
discriminazione. Non lavoriamo solo su una base nazionale, ma anche internazionale.
Quello che dici è molto interessante perché significa un coinvolgimento
politico per gli aborigeni anche
fuori dall'Australia, dove altrimenti sareste confinati in una ristretta visuale dei vostri problemi.
Fino a quindici, vent'anni fa non avevamo mai agito fuori dell'Australia. In questo grande
paese c'era un altro
mondo che era segreto, e al di fuori di questo paese nessuno è a conoscenza di quello che qui succedeva.
Attraverso quello che noi stiamo facendo, costruendo cioè una rete di contatti con l'America e l'Europa
e
portando a conoscenza il problema aborigeno sul diritto alla terra, cerchiamo di coinvolgere tutti i gruppi di
sostegno per i diritti degli indigeni e arrivare ad avere un gruppo di indigeni che ci rappresenti alle Nazioni
Unite. Vogliamo una legislazione approvata dal comitato delle Nazioni Unite che deve essere poi accettata dai
governi e ratificata. Ma le Nazioni Unite sono un apparato senza potere; tra tutti quei liberali non c'è
un gruppo
indigeno che ci rappresenti. Noi non abbiamo nessuna possibilità di rivalsa verso quei governi che
continuano
l'oppressione, la discriminazione e l'aggressione contro i popoli nativi, non possiamo dire "Dov'è quel
controllo
che le Nazioni Unite dovrebbero esercitare sui governi dell'Australia, Nicaragua, Salvador o Gran Bretagna per
indurli a ripristinare i diritti umani basilari e le libertà fondamentali per gli indigeni?". La questione
sulla
supremazia è anche molto importante. Quando parliamo del diritto degli aborigeni alla loro
autodeterminazione,
sovranità sul paese o alla loro assoluta autonomia, alzano le braccia al cielo e rispondono "No, no, non
possiamo
permettere uno stato-nazione del popolo indigeno entro i confini dell'Australia".
Arriviamo proprio al nocciolo del problema. Cosa intendete per sovranità sulla terra,
autodeterminazione, nazione aborigena? Intendete uno stato vostro? E come si
configurerebbe?
Facciamo un passo indietro nella storia australiana. Quando il capitano James Cook è arrivato qui aveva
precise
direttive, che erano quelle di parlare con il popolo nativo e negoziare la terra. Ma quello che lui disse era che
il paese era terra nullius, che significa non occupata, non posseduta. E questo divenne legge. Come
possiamo
non esistere quando il trenta per cento di noi si trova in prigione? Questo è il nodo politico centrale del
problema. Non ci è mai stata riconosciuta la nostra sovranità e la società bianca non
sa niente di tutto ciò. Per
quanto una dichiarazione di principio redatta dal gruppo di lavoro di indigeni delle Nazioni Unite dica che per
reclamare il diritto aborigeno alla terra è sufficiente aver avuto un piccolo insediamento, un
conglomerato. La
teoria della terra nullius non ha basi legittime e non può avanzare diritti sulla terra
aborigena.
Noi non siamo mai stati cittadini di questo paese fino al 1967, quando abbiamo acquisito il diritto di essere
contati, e quindi riconosciuti come esseri umani; per noi non è mai stato obbligatorio votare fino al
1983. Questa
è la giusta ed equa società australiana, molto democratica. Noi vogliamo l'assoluta autonomia,
vogliamo il
controllo completo sulle nostre faccende. E con questo intendiamo nessuna interferenza esterna del governo
federale o statale. E la prima cosa che il governo deve fare è ridarci indietro la terra che noi vogliamo,
la nostra
terra originaria. Noi non vogliamo tutta la terra. Qui c'è altra gente ormai, ci sono europei, britannici
e gente
da altre nazioni, che non può certo tornare a casa, come possiamo quindi cooperare? Noi crediamo che
sia
possibile, ma non pensiamo di affidarci a questo sistema, noi non abbiamo l'abitudine di affidarci all'oppressiva
legge australiana, perché è molto restrittiva e ci garantisce solo minimi diritti. Il minimo diritto
possibile alla
nostra terra. Il governo ci prende la terra, la dà alle compagnie minerarie che scavano in cerca di uranio.
La terra
è sacra, perché mio padre è in quella terra, mio nonno è sepolto là. Il
loro sangue e le loro ossa appartengono
a quella terra, così come per i nostri antenati. La terra è nostra madre e nostro padre, e noi
vogliamo solo la terra
alla quale apparteniamo. Noi abbiamo l'obbligo verso i nostri discendenti di proteggere la madre che ci
cresce.
Questa è la principale differenza con la cultura occidentale che considera la terra una
proprietà da
vendere, acquistare e sfruttare.
Sì, è esatto. Ma a un aborigeno non puoi vendere quella che è sua madre. Non siamo
mai stati ricompensati per
la perdita della nostra terra, la distruzione della nostra cultura, la rimozione dai nostri luoghi sacri. Sì,
perché
gli aborigeni furono rimossi dalle loro terre tradizionali e messi nelle riserve in condizione di segregazione, e
questo processo di invasione continua tutt'oggi. Quando reclamiamo per i nostri diritti ci viene risposto che noi
vogliamo creare uno stato separato, ma noi vogliamo solo che la nostra terra ci venga restituita, non vogliamo
vivere in una prigione. Vogliamo mantenere la nostra cultura, religione, le nostre cerimonie e danze e la nostra
legge.
Ma è con un atto legale che il governo australiano dovrebbe ridarvi indietro la
terra... Quando gli europei arrivarono, qui c'era una legge, ma non fu mai riconosciuta, non
fu mai riconosciuto il
popolo aborigeno.
Perché voi non eravate organizzati secondo i criteri occidentali, con uno stato, un
esercito, la polizia,
quindi non esistevate.
Esatto. Noi li abbiamo accettati perché all'inizio pensavamo che fossero gli spiriti che ritornavano alla
terra.
Fino a quando non cominciarono a prendere dalla terra cibo, piante, acqua, animali, senza dividere niente con
noi. Così hanno infranto la legge aborigena, anche perché hanno rotto l'equilibrio ecologico e
violato le regole
claniche, secondo le quali tutto ciò che si trova in un determinato territorio appartiene al clan cui
appartiene quel
territorio.
In che modo il governo australiano dovrebbe ridarvi indietro la terra?
L'unico modo è riaverla indietro a pieno titolo. Perché talvolta abbiamo sì indietro pezzi
di terra, ma dobbiamo
permettere ad esempio alle compagnie minerarie di scavare. Se protestiamo, con un altro atto legale il governo
ha il diritto di calpestarci e riprendersi indietro la terra. Noi non vogliamo essere soggetti alla legge europea,
britannica, che è poi quella australiana, perché questo non significa soltanto distruzione della
terra ma anche
distruzione di un popolo, assimilazione culturale forzata. Gli aborigeni sono spesso costretti a vivere nelle
città
e così diventano fantasmi di sé stessi, devastati.
Ricapitolando, noi vogliamo indietro la nostra terra, una ricompensa per essa, la possibilità di mantenere
le
nostre cerimonie segrete, maschili e femminili, l'assoluto controllo sul patrimonio culturale aborigeno, la
protezione delle nostre pratiche religiose e il controllo dell'accesso alle nostre terre, la possibilità per
esempio
di impedire alle compagnie minerarie di venire a scavare, e le terre ci devono essere ridate al loro primitivo stato
naturale. Anche se è impossibile avere una ricompensa per l'estinzione di molte specie animali.
E cosa succederebbe a tutti quegli allevatori e agricoltori che oggi vivono su queste terre? Non
li potete
cacciare...
Guarda, loro hanno enormi territori per una famiglia, centinaia di migliaia di ettari. Il governo australiano pensa
sia meglio dare questi chilometri quadrati alle pecore e ai buoi, piuttosto che agli aborigeni. Ma quello che fa
il bestiame è di rovinare la terra. Pecore, buoi, cavalli, maiali sono tutti animali con gli zoccoli e
calpestano la
terra. Quando gli inglesi arrivarono qui, in Australia non c'erano questi animali; canguri, emu, goanna
(slang
australiano per iguana, ndr) sono tutti animali "soffici" che non rovinano il suolo. Adesso abbiamo
pecore,
asini, cavalli, bufali che distruggono la terra, e di conseguenza provocano una pericolosa aridità. Molti
di questi
allevatori vengono dagli Stati Uniti, non sono residenti in Australia, ma il governo dà loro la terra e
concessioni
per allevamenti, mentre non dà a noi nessun compenso per la sua distruzione, per la distruzione della
nostra
cultura. Uno dei più grossi problemi che abbiamo sono le malattie importate dai bianchi e la
penetrazione della
cultura degli hamburger e della Coca-Cola tra gli aborigeni.
E quella dell'alcol...
Sì , e questo è il più grosso e stiamo cercando di combatterlo. Ma anche l'interferenza
della chiesa, della
religione cristiana distrugge la nostra cultura, perché la sua "legge" è quella di non permettere
le nostre
cerimonie, i nostri canti. E poi ci sono gli archeologi, antropologi, anatomisti che ci portano via tutti i nostri
sacri e segreti totem, li chiudono nei musei e mai ritorneranno a noi. È rimasto solo un piccolo numero
di
anziani che conosce tutte le canzoni, danze, cerimonie e le lingue. Se tutti i nostri oggetti non tornano indietro
affinché noi possiamo insegnare ai nostri figli, tutti i vecchi moriranno e in sessanta/ottant'anni la cultura
aborigena così come la conosciamo non esisterà più, grazie alla cultura dell'hamburger
e della Coca-Cola, alle
malattie, all'Aids, all'alcol, ai video, alla pornografia, alla violenza, che creano violenza specialmente all'interno
delle mura domestiche. Noi vogliamo usare la nostra legge per impedire a tutte queste cose di penetrare nella
nostra cultura e insegnare ai nostri figli quella aborigena. Ma vogliamo anche che ci sia data la
possibilità di
diventare medici o avvocati, così come l'hanno italiani, greci, vietnamiti, cinesi che tuttavia mantengono
la loro
cultura anche qui in Australia. Tutto questo è genocidio.
Molti aborigeni giudicano l'Australia uno stato di polizia. Quali sono le circostanze per questa
affermazione? Ho letto ad esempio di aborigeni morti in prigione, so che la polizia aspetta fuori dei pub
e arresta gli aborigeni, anche se non sono ubriachi, quando comunque non arresta i bianchi ubriachi, a
meno che non commettano gravi infrazioni alla legge.
Nell'ultimo anno c'è stata una commissione per investigare su queste morti in prigione. Gli aborigeni
muoiono
nelle prigioni, e non per suicidio, ovviamente, ma dalle mani della polizia, del personale di guardia. E non solo
muoiono nelle prigioni, ma anche fuori. Proprio qui, a Brisbane, un aborigeno è stato impiccato e gettato
in un
pozzo. Non è stato fatto niente, nessun aborigeno ha denunciato il fatto. Ma in questo paese il 30 per
cento della
popolazione aborigena è o è stata in prigione, che ha il tasso più alto nel mondo. La
polizia arresta gli aborigeni
che vivono nei parchi, o per offese minori, come parcheggio vietato, o vagabondaggio, se non hanno due dollari
in tasca, bighellonaggio o linguaggio osceno quando sono ubriachi. Quando un poliziotto insulta un aborigeno
con appellativi razzisti come "Nero bastardo"e questo si gira e lo colpisce con un pugno viene arrestato per
insulto a pubblico ufficiale. I poliziotti violentano le donne aborigene dentro e fuori dalle prigioni. In Australia
c'è una legislazione sui diritti umani, uguali opportunità e antidiscriminazione, ma non ha
nessun potere, non
ferma la gente che continua a discriminare. In città dell'interno gli aborigeni si siedono nella
metà sinistra dei
cinema e i bianchi in quella a destra. Nel nord del paese gli aborigeni devono passare dal retro o rimanere fuori
dei pub, mentre i bianchi entrano dalla porta principale. In una città del New South Wales ci sono
gabinetti
pubblici per i bianchi, piscine per i bianchi, taxi per i bianchi. Agli aborigeni non è dunque permesso
partecipare
all'economia e alla società dei bianchi.
Qui a Brisbane, nella Valley (un sobborgo di città, abitato da molti italiani, ndr) se vai
giovedì o venerdì o
sabato in un pub che si chiama Prince Consort, alla fine della sera vedi tutti i bianchi che vanno sani e salvi a
casa con il taxi, mentre la polizia con i cani aspetta gli aborigeni, li butta nelle macchine, li porta in prigione
e poi scopri che qualcuno di loro è morto in prigione. Noi abbiamo avanzato molte richieste, ma il
governo non
le ha mai considerate. Una di queste è che un aborigeno non dovrebbe essere arrestato per ubriachezza.
Il
sistema giuridico non riconosce la legge aborigena e i nostri diritti, sulla base di un trattato. L'Australia
è ancora
l'unica formale colonia britannica che non ha mai riconosciuto i diritti del popolo indigeno. Come ti ho
già detto,
solo nel 1967 il governo federale ci ha riconosciuto nella sua costituzione, il che ci dà il diritto di essere
contati
nei censimenti e quello di voto, ma non la cittadinanza.
La cittadinanza? vuoi dire che non siete cittadini australiani?
No, e non la vogliamo sotto una legge coloniale. La nostra gente soffre di lebbra, tubercolosi, non ha case,
vive nel bush senza acqua, assistenza sanitaria,
elettricità, dorme in vecchie macchine o sotto pezzi di lamiera, o semplicemente nel deserto coprendosi
con la
sabbia. Per quanto riguarda la nostra comunità, questo è un paese del quarto mondo. Il 75 per
cento degli
aborigeni è disoccupato, il nostro tasso di mortalità è cinque/sei volte maggiore di q
uello nazionale, l'aspettativa
di vita è di circa 46/50 anni. E pensa che il governo australiano sostiene i diritti di indipendenza dei
nativi della
Nuova Guinea e delle Fiji, applica sanzioni contro il Sudafrica! Quello che sta succedendo è che il
governo
cerca di rinchiuderci nei confini dell'Australia. Noi non saremo mai in grado di andare alle Nazioni Unite
perché
noi vogliamo andarci come governo aborigeno provvisorio, non vogliamo bianchi che ci rappresentino,
vogliamo i nostri rappresentanti. Qui, nel sud del Pacifico, c'è un continente che è indigeno,
non è parte della
Gran Bretagna. Quando noi parliamo dei nostri diritti, il governo dice che facciamo parte di un complotto
comunista.
Dopo il bicentenario dell'invasione dell'Australia (1988), il governo ha varato una politica
multiculturale,
attraverso la quale tende all'assimilazione di tutte le comunità di italiani, greci, vietnamiti, giapponesi,
cinesi, che dovrebbero aderire alla cultura australiana, una cultura in parte da inventare, in un paese
relativamente giovane, in cui la gente si chiede cosa significa essere australiano, qual è il suo senso di
identità. Ci sono spazi per gli aborigeni?
La prima cosa che ti dico è che noi non siamo un'etnia emigrata da un'altra nazione, noi siamo sempre
stati qui.
L'Australia è sempre stato un paese molto razzista. Anche gli italiani, nella primissima ondata di
immigrazione,
ne hanno fatto le spese, nelle piantagioni di canna da zucchero, nel nord del Queensland, dove lavoravano quasi
come schiavi. Chiunque appaia diverso da qualsiasi discendente degli inglesi è un wog, abo,
coon, dago (slang
con i quali gli australiani chiamano nell'ordine mediterranei e italiani, aborigeni - abo e coon -, e che sono
particolarmente offensivi, mentre altri appellativi come yanks - americani -, chinks - cinesi -, reffo - rifugiati
-, o slopes - asiatici - hanno un minore significato offensivo, ndr) per farti qualche esempio. Loro usano
tutti
questi termini diffamatori per continuare a proibirti psicologicamente di far parte del potere economicamente,
socialmente e culturalmente.
In ogni caso, italiani e greci sono stati in grado di entrare a far parte di questo potere, il che va bene. Solo negli
ultimi sei anni sono state create relazioni e gruppi di supporto tra greci, italiani, vietnamiti e aborigeni. Con la
politica multiculturale, il governo comunque non ci dà il diritto di usare ad esempio le nostre cerimonie
religiose. L'Australia cerca di fare bella figura a livello internazionale, ma di fatto forza l'integrazione di tutti
i gruppi etnici per sostenere un sistema molto oppressivo, del quale noi non siamo e non vogliamo far parte. Il
governo-fantasma del Queensland non ha stanziato nessun fondo per permetterci di continuare ad esistere, cerca
di tenerci fuori da ogni struttura. C'era ad esempio il Department of Ethnic Affairs and Community Services
in cui non c'era un indigeno!
Ma voi volete far parte di questa politica multiculturale?
No, perché è fatta per la gente che è emigrata in Australia. Noi non siamo emigrati,
siamo sempre stati qui. Gli
antropologi dicono che, seguendo la teoria evoluzionistica, noi siamo venuti dall'Africa. No, no, noi siamo
sempre stati qui, non abbiamo mai invaso nessuno.
Quanto si sa fuori dell'Australia della condizione degli aborigeni
oggi? L'Europa è molto più consapevole di questo problema, che dell'Africa,
l'America o i paesi dell'Est. Ma si tratta
sempre di piccoli pezzi di informazioni che arrivano dalle missioni d'oltremare, con fotografie molto romantiche
di aborigeni che abbracciano piccoli koala, canguri, e vivono felici e in buona salute nel bush, ma
queste sono
solo fotografie. Noi non abbiamo denaro, potere economico, non possiamo fornire informazioni, non abbiamo
i mezzi per farlo. Abbiamo cercato di costruire una rete internazionale, ma non sempre funziona. Noi vogliamo,
attraverso il governo aborigeno provvisorio, stabilire una strategia per rendere il paese più consapevole
sulla
situazione degli aborigeni.
Avete intenzione di lanciare una campagna politica?
Il problema principale è che tutte le organizzazioni aborigene come la nostra o il governo aborigeno
provvisorio
sono completamente dipendenti dai fondi economici stanziati dal governo e questo denaro non può
essere usato
per scopi politici. Quello che stiamo cercando di dire è che noi non vogliamo il denaro pubblico come
elemosina, vogliamo essere compensati, poter usare e investire il nostro denaro, che ci è dovuto, e
costruire la
nostra indipendenza economica, provvedere alla nostra assistenza medica, al nostro servizio legale, scolastico,
abitativo e alla nostra politica sociale e culturale. Fino a quando saremo totalmente dipendenti dal governo per
il denaro, non potremo mai avere autodeterminazione, quindi non potremo mai fare una campagna politica. Il
governo australiano ha dato cinque milioni di dollari (circa cinque miliardi di lire, ndr) all'African
National
Congress del Sudafrica per il loro partito politico, per permettergli di instaurare un governo paritario, ma niente
agli aborigeni.
Cosa mi dici della gestione di Uluru, Ayers Rock?
(Ride) La gestione di Uluru è affidata a un comitato misto di organizzazioni commerciali
- che si occupa della
gestione degli hotel e affitto di macchine a quattro ruote motrici, ad esempio - , commissioni del governo e
aborigeni. Pensa che è in atto una campagna contro gli aborigeni che afferma che il gruppo aborigeno
a cui è
stata ridata Uluru non è il gruppo giusto. Noi pensiamo venga dal governo Queensland, così
può avere una base
legale per non darci la possibilità di gestire direttamente i parchi aborigeni nazionali qui in
Queensland.
Eppure Uluru viene portato ad esempio come il primo riconoscimento dei diritti aborigeni alla
loro
terra...
Questo è quello che il governo australiano ama dire. Ma quando noi vogliamo fermare l'afflusso
turistico - si
tratta di centinaia di migliaia di persone ogni anno - perché il paese viene distrutto da tutta questa gente
che
cammina sulla roccia sacra, che è sempre stata un segreto nella nostra cultura, il luogo del sogno dei
nostri
antenati, il governo minaccia di togliercela. Quando noi lì facciamo le nostre cerimonie, ci sono
elicotteri di
turisti, gente che fotografa i nostri dipinti sulla roccia. Un bel giorno guardiamo una rivista e vediamo
pubblicati i nostri dipinti segreti...
Ahimè, anch'io ho fatto foto nel Kakadu National Park, posso essere perdonata?
(cerco di giustificarmi)
Ma manderò queste foto alla rivista...
Ma se gli scopi sono diversi... Quello che non vogliamo è che queste immagini ci vengano rubate per
stampare
poi manifesti, venderli e guadagnarci un sacco di soldi.
Quando ho deciso di venire per un anno in Australia, ho sognato di andare a Uluru, ma
adesso... ho un
po' di senso di colpa...
Forse è un bene che tu vada e veda in che condizione vive la nostra gente.
Un'ultima domanda. Quali sono i significati dei colori della vostra
bandiera?
Il nero è il colore della pelle, il rosso della terra e il giallo è il sole che ci protegge.
Il ruolo delle donne
A colloquio con Helen Payne,
antropologa.
Un'altra mattina di caldo torrido. Attraverso il fiume con il traghetto per raggiungere la Queensland
University
of Brisbane e penso alle domande che di lì a poco farò a Helen Payne, antropologa, studiosa
dei canti
cerimoniali delle donne aborigene. Helen traduceva per me quando ho incontrato il gruppo di donne
Pitjantjatiara, venute a Brisbane per festeggiare il decimo anniversario del ritorno alla loro terra originaria, nel
nord dello stato del South-Australia, vicino (relativamente parlando, considerate le distanze australiane) al luogo
più sacro dell'intero popolo aborigeno, Ayers Rock, o meglio, Uluru. Il gruppo Pitjantjatiara ha riavuto
la sua
terra dal governo australiano senza alcuna restrizione di sorta, il che significa il pieno riconoscimento del loro
diritto ancestrale su quella terra. Era stato praticamente impossibile sapere niente di più se non il
significato
delle danze e dei canti che avevano eseguito per noi, perché le sorelle Pitjantjatiara non potevano parlare
di
niente senza il consenso dell'intera comunità. Troppe volte questa gente è stata intervistata da
giornalisti,
antropologi, politici, che poi hanno pubblicato e quasi sempre travisato le loro dichiarazioni. Prima dell'incontro,
mi era stato chiesto di non fare fotografie, per cui avrei in ogni caso chiesto il permesso. Così spero
adesso di
sapere qualcosa di più da Helen Payne.
Helen, tu lavori con alcuni gruppi di donne aborigene.
Quali? Sì , ho lavorato con il popolo Pitjantjatiara che risiede in New South Wales
e South Australia, e più a nord nello
stato del Northern Territory e a ovest in quello di Western Australia. Io ho lavorato maggiormente con i gruppi
che abitano nell'area di Musgrove e Kidemorange e perlopiù nell'ambito della loro vita cerimoniale e
rituale.
Sono state pazienti insegnanti e mi hanno fatto capire cosa significa essere una di loro.
Mi puoi parlare brevemente della tua vita con loro e delle cerimonie
femminili? Quando dico che ho vissuto con questa gente voglio dire che ho mantenuto con
loro un legame molto stretto.
Ho iniziato seriamente questo lavoro nel 1974, anche se avevo cominciato ad avere contatti con questi gruppi
nel 1971, andando per brevi periodi nella loro area e ospitando a mia volta alcune donne, così
c'è stato una
specie di scambio tra noi. Sono stata coinvolta nella loro vita cerimoniale e in alcuni dei loro riti, di cui ho
scritto abbastanza ampiamente in alcune mie pubblicazioni. Ma la parte della vita cerimoniale aborigena che
mi ha maggiormente interessata è stata quella dei riti segreti delle donne (di cui non posso parlare, se
non per
dire che ho preso parte a questi riti) che giocano un ruolo molto importante nel mantenere l'equilibrio nella vita
del gruppo e che ogni gruppo riconosce importante nel normale svolgimento della vita di tutti. Le cerimonie
percorrono il cammino degli esseri ancestrali e sostengono il potere sovrannaturale della vita; sanciscono e
assicurano il benessere di tutta la vita quotidiana nella forma inanimata e animata in cui questa si presenta e
permettono di cambiare questi aspetti secondo i desideri della gente che deve richiamare gli esseri ancestrali
seguendo sentieri appropriati. Sia gli uomini che le donne hanno forme di cerimonie specializzate che
coinvolgono i loro antenati, i canti della terra e i canti del popolo. "Cantare la gente" e "Cantare la terra"
significa mantenere rapporti tra le persone in equilibrio e mantenere intatta la bilancia della natura, come
pioggia o siccità, vegetali da raccogliere o scarsità, abbondanza di animali da cacciare o
penuria. Ogni persona
è mantenuta in equilibrio, cosi come ogni fenomeno vivente o non vivente presente nell'ambiente,
attraverso
il potere della vita cerimoniale. Questa è quindi terribilmente importante per il futuro benessere di
tutti. Le donne che presenziano le cerimonie
non si aspettano risultati da queste, ma solo di dare un senso al loro essere al mondo attraverso "l'esserci" e ci
sono diversi livelli in questo.
Hai detto che non puoi parlare delle cerimonie segrete femminili e non ti chiederò
molto di più. Vorrei solo sapere se sono in qualche modo legate al parto
e alla magia. Le cerimonie segrete femminili sono molto simili alle cerimonie "aperte", ma
necessitano di un potere specifico
che richiama a sua volta un bagaglio culturale specifico e hanno a che fare con i rapporti tra uomini e donne,
bambini e donne e tra le diverse parti dei gruppi della comunità. Le cerimonie femminili attendono
anche alla
conservazione della terra e alla cura di malattie specifiche in atto o a particolari parti del corpo. Cosi le
cerimonie segrete non sono molto diverse da quelle "aperte" se non perché richiedono "sentieri" da
percorrere
molto più difficili. Perciò viene usata molta prudenza per arrestare il potere straordinario usato
per percorrere
questi sentieri e accertarsi che le donne, che diventano esse stesse esseri ancestrali durante la cerimonia, tornino
a uno stato terreno prima del loro rientro nella comunità in modo che non portino con sé il
potere, che può
essere usato contro altra gente. Una parte di questo potere può essere infatti usato sia per scopi malevoli
che
benevoli. La questione del parto è spesso vista in relazione a canzoni specifiche sulle quali ho fatto
molte domande alle
donne con cui ho lavorato, anche alle più anziane, che non hanno però nessun ricordo di
canzoni usate in quel
particolare frangente. Il parto è vissuto come parte della vita quotidiana, al contrario di quanto accade
nella
cultura occidentale. Le donne aborigene sono molto pragmatiche al riguardo, perché se una donna
incontra
difficoltà nel travaglio, non è di canzoni che ha bisogno né tanto meno di cerimonie,
quanto piuttosto di
assistenza pratica e lavoro manuale. Impacchi di sabbia calda o magari sostenere la donna inginocchiata accanto
al fuoco sono molto più importanti delle cerimonie, sebbene immagino che così come le donne
hanno aiutato
la madre con il loro lavoro pratico allo stesso modo avrebbero cantato. Ma il canto non sarebbe specificamente
dedicato al parto, quanto piuttosto al tenerle unite spiritualmente mentre stanno lavorando per la madre. Non
sono quindi a conoscenza di canzoni particolari per questo evento, anche se il dottor Katherine Ellis, che ha
lavorato in un'area adiacente alla mia, ha raccolto canzoni legate al parto, ma io non sono stata in grado di
identificarle sul campo. Può darsi che lei, avendo lavorato durante gli anni sessanta, sia riuscita
a parlare con le donne più anziane che
ricordavano ancora quelle canzoni. o può essere una sua interpretazione.
Il parto è un evento controllato solo da donne? Sì, il parto
è strettamente gestito da donne, nessun uomo prende mai parte all'evento. La partoriente viene
assistita dai membri più stretti della sua famiglia e il padre verrà informato solo del sesso del
nascituro da una
delle donne appositamente designata.
Mi puoi parlare brevemente del sistema giuridico aborigeno? La legge viene
chiamata in inglese "business" (affare, ndr.) ed è divisa in legge delle donne e legge degli
uomini
e fondamentalmente c'è molta partecipazione di un sesso nel sistema giuridico dell'altro, eccetto per le
sentenze
segrete. Ma se una donna prende parte a una cerimonia maschile, verrà giudicata secondo il sistema
maschile.
Essere giudicata secondo il sistema maschile è stato spesso visto come sottomissione all'uomo, che
è in parte
vero, ma questo è successo soprattutto perché etnologi e antropologi, uomini o donne, sono
influenzati nella
loro analisi dal modello culturale dominante, che è quello maschile. Questo punto di vista è
stato recentemente
corretto, osservando che quando sono le donne a officiare una cerimonia per un giudizio legale, la cerimonia
appartiene totalmente a loro; gli uomini vi prendono parte cantando o battendo il ritmo, ma non danzando, e
viceversa. Ma naturalmente, siccome è sempre stata osservata solo la metà maschile della
società aborigena,
alle donne è sempre stato attribuito un ruolo di secondo piano.
Se c'è una disputa tra un uomo e una donna, quale dei due sistemi giuridici
verrà seguito? Chi emetterà
il giudizio finale? Se succede qualcosa tra un uomo e una donna, marito e moglie, per
esempio, la donna consulterà un gruppo di
donne pronto a ricevere le sue lamentele e ad aiutarla e un uomo farà altrettanto, presumo,
perché essendo io
una donna, non mi è stato possibile accedere alle cerimonie maschili. La situazione viene quindi corretta
dalle
donne attraverso le cerimonie appropriate. Poniamo che l'uomo si apparta sempre con un'altra donna e la moglie
vuole invece correggere la situazione e riavere indietro il marito, il gruppo di donne rappresenterà una
cerimonia
a sua discrezione cantando il suo ritorno, così l'uomo starà con la moglie e smetterà di
andare con un'altra donna.
Nella letteratura aborigena questa è sempre stata infelicemente definita come "magia d'amore",
perché penso
che ad essa è sempre stata attribuita scarsa importanza. Ma quando le donne "cantano" il ritorno
dell'uomo, è
implicito il ritorno dell'uomo alla sua donna attraverso la sua terra, che come ben sai è il fulcro centrale
della
cultura aborigena.
Hai dati riguardo alla violenza tra le mura domestiche tra gli aborigeni? Non
ne so abbastanza da poter avere dati precisi.
Sono d'accordo con te che spesso il mondo femminile nelle popolazioni indigene è
stato giudicato
secondario o analizzato attraverso un modello culturale dominante maschile. Qual è invece il tuo punto
di vista? L'unica cosa che penso sia veramente importante è che il ruolo della donna
tra gli aborigeni è sempre stato
fondamentale nel mantenere in equilibrio la loro vita tradizionale e quotidiana, ma gli etnografi hanno sempre
trascurato questo aspetto. L'unico modo per correggere questo approccio sta nel rendere coscienti quegli
etnografi che possono avere
accesso alle informazioni del fatto che le cerimonie femminili sono tanto importanti quanto quelle maschili.
Anche se poi c'è un livello di informazioni che non può essere raccolto da un uomo nell'ambito
delle cerimonie
femminili e viceversa. Così è meglio che sia una donna a raccogliere informazione e a
correggere l'immagine della società femminile
aborigena, che non è la "continuazione" degli aspetti della vita maschile, né tanto meno
marginale. Io penso che
le donne non debbano essere trascurate. Per esempio, il diritto alla terra deve essere inscritto nel registro
demaniale e le donne vengono consultate per
questo, così come gli uomini. Io penso che è molto importante per le donne avere l'accesso al
potere decisionale
e non essere viste come cittadine di second'ordine.
Vuoi dire che le donne sono responsabili per la terra? Sì , le donne
come gli uomini, giocano un ruolo molto importante nel rapporto della società aborigena con la
terra. Sia le donne che gli uomini sono legati a luoghi particolari ed è importante che venga riconosciuto
loro
anche dal sistema giuridico bianco il diritto a quei particolari luoghi e venga trascritto il loro nome nel registro
demaniale. Il diritto di accesso alla terra significa il riconoscimento del luogo e dei fenomeni rituali legati a
quell'area. Significa così anche il riconoscimento del diritto d'accesso delle donne a particolare
aree.
Vivendo con loro
A colloquio con Kevin Guy, attivista della
Wilderness Society.
Quando l'idea di un servizio sulle condizioni attuali di vita degli
aborigeni australiani ha cominciato a frullarmi
in testa non sapevo a cosa andavo incontro. Sostanzialmente non ho trovato ostacoli a intervistare personaggi
pubblici come Allan Sambono e Bob Weatherall, mentre è stato difficile, se non impossibile, parlare
con le
donne. Ma man mano che le cose andavano avanti, raccoglievo informazioni, mi addentravo nella complessa
cultura aborigena e mi si schiarivano le idee sui delicati meccanismi di coesistenza tra i "neri" e i "bianchi"
d'Australia, mi rendevo conto che avrei potuto riempire tre numeri della rivista. Ho dovuto fare delle scelte e
così ho deciso di terminare il servizio con l'esperienza di lavoro di un bianco in una comunità
aborigena. Kevin
Guy, 28 anni, è un attivista del movimento ambientalista australiano e lavora nel gruppo Wilderness
Society,
una delle cinque organizzazioni australiane che agiscono a livello nazionale. In Australia ci sono circa duemila
gruppi ambientalisti e di conservazione dell'ambiente che operano in differenti aree. Kevin ha lavorato nella
penisola di Cape York, un'area di circa 200 mila chilometri quadrati, la parte più a nord dello stato del
Queensland.
Kevin, come sei arrivato a lavorare a Cape York
Peninsula?
Sono stato l'unico in Australia a lavorare a tempo pieno per la Wilderness Society in Cape York . La cosa
più
strana e che mi ha colpito veramente è stata realizzare che la parola wilderness (regione selvaggia
e deserta,
ndr) è un termine moderno e molto anglosassone. Il novanta per cento della popolazione che vive
in quell'area
è composto da aborigeni, che non ha un equivalente di wilderness nella sua lingua perché
qualsiasi cosa ha un
significato, un posto preciso. Così la prima cosa che ho dovuto fare è stata quella di spiegare
il significato di
wilderness. Ciò che mi ha cambiato lassù è stato il fatto di rendermi conto
dell'"umanizzazione" dell'ambiente.
E questo è un nuovo approccio che il movimento ecologico australiano ha con l'ambiente. Fino ad ora
ci si era
preoccupati degli alberi, degli animali, dell'inquinamento, senza prendere in considerazione le popolazioni che
vivono nell'ecosistema. Così proprio a partire dal 1991 c'è stato molto dibattito, qui in
Queensland soprattutto,
portato avanti da me e da un paio di altre persone, proprio su questo argomento. Prendere in considerazione
cioè
il fattore umano nell'ambiente. Questo interesse mi viene principalmente dalla mia storia personale,
guardandomi indietro e ripensando alla mia infanzia trascorsa in un'area dove la gente vive in armonia con la
natura, e passata ad osservare come interagisce con essa e la relazione che ha con la terra. Questo mi avvicina
molto dal punto di vista pratico alle comunità aborigene. Dal punto di vista teorico invece mi porta a
studiare
il rapporto di tutti i popoli indigeni nel mondo con il loro ecosistema.
Siamo solo noi che abbiamo ripudiato questo
legame con l'ambiente...
Sai, un giorno stavo seduto nel bush con un uomo, osservando un magnifico paesaggio e lui mi
chiese "Vuoi
salvare quell'albero?", e risposi di sì. Allora mi chiese "Vuoi salvare questa foresta?", e io dissi
"Sì, certo, vorrei
veramente salvare questa foresta". E allora lui mi rispose "Guarda, tu devi diventare quella foresta prima di fare
qualsiasi cosa. Devi sentire attraverso la terra il tuo senso di identità, capire da dove vieni. Ognuno ha
diritto
alla terra". E questa è stata una cosa che per la prima volta mi ha fatto pensare, perché io non
so da dove vengo.
Una volta che lo scopro, perché il mio spirito è in quella terra, potrò capire più
chiaramente dove voglio
dirigermi. Per avere un senso di identità adesso devo guardarmi indietro attraverso le generazioni
precedenti.
L'uomo nel bush allora cominciò a chiedermi da dove venivano i miei genitori, e i genitori
dei miei genitori,
e così via, e io a fatica ho tentato di spiegarglielo. Allora lui mi disse "Non mi stupisce che non sai chi
sei".
Quali sono le tue origini?
Mia madre viene da una regione a ovest di Mount Isa e mio padre da Cairns, a nord del Queensland (una
distanza di circa 800 chilometri l'uno dall'altro, ndr), ma i miei nonni vengono dall'America, da Israele,
dal
Galles e dall'Inghilterra.
Capisco cosa vuoi dire. Un problema comune
a molti australiani. Tu cosa ti senti? Un aborigeno ti
direbbe che devi tornare alla tua terra d'origine per avere il tuo senso d'identità. Ma
dove?
Hai ragione. Infatti sai che gli australiani viaggiano molto, e io credo che sia per questo. Noi vogliamo tornare
in uno dei posti dove possiamo scoprire chi siamo. Per quanto mi riguarda, ancora non lo so, lo scoprirò
in un
prossimo futuro. A nessun australiano non aborigeno, e quando dico "non aborigeno" intendo bianco di origine
anglosassone, greco, italiano, della mia generazione, cioè sotto i trent'anni, è mai stato insegnato
niente circa
la cultura aborigena. Chiunque voglia capire qualcosa al riguardo lo fa individualmente, se gli interessa, e
principalmente dopo la scuola dell'obbligo. Così tutti gli attivisti che oggi lavorano con le
comunità aborigene
lo fanno anche per imparare la storia di questo paese, e la cultura di questo paese, che è la più
antica sulla faccia
della Terra.
È interessante quello che dici, perché
mi sembra una delle strade che gli australiani dovrebbero
percorrere per scoprire il loro senso di identità, che è un problema molto sentito. I colonizzatori
non hanno
riconosciuto la cultura aborigena e hanno cercato di distruggerla. Oggi la maggior parte della
popolazione non aborigena, sebbene dopo molte generazioni, ancora non sa cosa la lega a questa
terra.
Vedi, il problema dell'Australia è che noi non siamo stati onesti circa quello che abbiamo fatto qui. E
oggi
ancora non facciamo niente. L'Australia è l'unico paese del Commonwealth che non ha trovato un
accordo con
la popolazione indigena, che non ha fatto uno sforzo per riconoscere i possessori tradizionali di questo
paese.
Torniamo a Cape York Peninsula... a questi
ultimi tre mesi..
In realtà lavoro a Cape York Peninsula da due anni, andando avanti e indietro. Sono appena tornato da
Kowanyama, che era una missione fondata dalla chiesa anglicana e si chiamava Mitchell River Mission; nel
1986 fu riconosciuto alla gente che viveva là il diritto ad avere il proprio Consiglio amministrativo di
comunità.
Così il nome venne cambiato. Quando all'inizio di questo secolo fu fondata questa missione, tutta la
gente
appartenente a diverse comunità fu messa insieme, incatenata. Quello che successe puoi immaginarlo:
prendi
persone che vengono da diversi gruppi tribali e che nelle loro terre erano nazioni indipendenti, mettile insieme
dicendo loro "voi dovete vivere qui". Donne, uomini e bambini sono stati separati e messi a vivere in diverse
aree con regole molto repressive.
Kowanyama è un posto molto interessante perché si trova nella parte sud della costa occidentale
di Cape York
Peninsula, un territorio piatto che si affaccia sul golfo di Carpentaria e che ospita la foce del Mitchell River, che
è il secondo fiume australiano per lunghezza. Il Consiglio della comunità, circa tre anni fa,
decise di gestire in
proprio le risorse del fiume. Fu aperto quindi un ufficio sotto il nome di Aboriginal Lands and Natural
Resources Management Offices. In Kowanyama ci sono quattro gruppi tribali diversi e questo ufficio è
gestito
dal gruppo degli anziani che prende tutte le decisioni.
Ma la cosa più interessante è che Kowanyama si ispirò per questa esperienza ad un altro
gruppo di indigeni,
indiani del nord-ovest degli Stati Uniti, nello stato di Washington, i Lami, che vollero a un certo punto
autogestire il loro fiume costruendo un'industria basata sul salmone come risorsa naturale.
Alcuni anziani di Kowanyama sono stati là, alcuni indiani Lami sono stati in Cape York e così
gli aborigeni di
Kowanyama hanno deciso di seguire l'esempio Lami perché Mitchell River è ricco di
barramundi (un pesce
molto pregiato, ndr) e hanno pensato di poter fare affari per molti milioni di dollari (miliardi di
lire, ndr). Ma
la prima cosa da fare era disinquinare il fiume, perché lungo il Mitchell River ci sono miniere d'oro,
pascoli e
piantagioni di tabacco. Così con gli aborigeni è stato deciso di formare un gruppo per questo
lavoro iniziale,
e questa è la prima esperienza in Australia. Tieni presente che stiamo parlando del secondo fiume
australiano
e di un lavoro di pulizia che va fatto dalle montagne alla foce, il che significa un'area più grande dello
stato della
Tasmania.
Che credo abbia un grosso valore per il governo federale
di Canberra...
Sì, certo. Le compagnie minerarie devono smettere di scavare, gli allevatori di allevare bestiame e le
società
legate all'industria del tabacco di usare pesticidi. Così tutta questa gente deve cominciare a cambiare.
E quello
che i Kowanyama faranno non sarà certo uno show ad uso e consumo dei bianchi, ma si alzeranno in
piedi e
diranno "Ehi, noi vogliamo gestire questa terra che è nostra, e vogliamo farlo con tutti voi, ma
rispettateci come
aborigeni e come imprenditori". Nella storia dell'Australia, e ancora oggi, non c'è mai stato il
riconoscimento
di nessuna iniziativa imprenditoriale indipendente aborigena. Fino al 1967 agli aborigeni che lavoravano negli
allevamenti di bestiame o nelle miniere non venivano pagati salari. Gli esploratori arrivati qui duecento anni
fa, e anche in questo secolo, non sarebbero andati da nessuna parte senza gli aborigeni a mostrare loro la via
per attraversare il paese, per trovare cibo e acqua. Noi non abbiamo ancora riconosciuto l'importanza che le
comunità aborigene in tutta l'Australia hanno avuto per lo sviluppo del paese. Abbiamo ancora questa
visuale
ristretta da esploratori bianchi che hanno costruito il paese, mentre è un fatto naturale che il paese
è degli
aborigeni. Oggi questa comunità sta cercando di costruire un'industria che gli dia occupazione, denaro,
professionalità. Il denaro darà loro la possibilità di tornare indietro alla terra che
tradizionalmente apparteneva
a loro, dove possono ricostruire di nuovo la loro comunità, far valere i loro diritti sulla loro terra, parlare
la loro
lingua, ridiventare indipendenti.
Sarebbe questa la prima volta che una
comunità aborigena si autogestisce ed è completamente padrona
del proprio denaro. Mi sembra che ci sia una differenza con quello che avviene a Uluru, dove tutto quello
che riceve la comunità sono 85.000 dollari l'anno, e ancora una volta dal
governo. Sì, a Uluru, Ayers Rock,
è diverso. Kowanyama vuole che gli sia riconosciuto il diritto a gestire un'impresa.
Fino al 1985 era una comunità dipendente dal governo, ma ancora oggi ricevono soldi dal governo, pur
avendo
una gestione propria della comunità. Questo loro progetto di autogestione economica soddisfa diversi
livelli:
quello sociale, culturale ed economico. Tornando a gestire in proprio la loro terra, la comunità
avrà il controllo
su ciò che accade, autodeterminazione e indipendenza economica.
Qual è stata la reazione delle
compagnie minerarie, degli allevatori, dei coltivatori di tabacco e delle
società commerciali di pesca?
I pescatori hanno visto tutti i benefici che da questa operazione deriverebbero loro, perché nel golfo di
Carpentaria c'è una delle maggiori produzioni di gamberi e barramundi e hanno quindi capito che la
degradazione del sistema fluviale di Mitchell River stava avendo un effetto negativo sulla loro pesca.
Hanno sostenuto la comunità Kowanyama, anzi, all'inizio avrebbero dovuto lavorare insieme.
Comunque la
situazione non è così brutta come per gli indiani Lami, in nord America, dove c'è stato
uno scontro aperto con
i pescatori commerciali di salmone. Qui non c'è stato niente del genere perché tutto sta
avvenendo a piccoli
passi. Il consiglio degli anziani ha compreso l'idea in generale, sanno cosa vogliono essere nel futuro, ma hanno
anche capito che devono cooperare con i pescatori. Questo richiederà del tempo, ma è l'unico
modo in cui si può
evitare un fallimento e fare sì che ognuno si senta parte dell'iniziativa, senza che nessuno si senta
minacciato
dagli aborigeni, o pensi che improvvisamente questa gente sia diventata come un grosso proprietario terriero,
perché per molti bianchi australiani questa è la paura paranoica.
Come sono stati i tuoi rapporti con la
comunità? Come sei stato accettato?
Lavorare con una comunità aborigena è un continuo apprendimento. Quando ho iniziato ho
creduto di
imboccare la strada giusta: ho scritto al consiglio della comunità, poi ho telefonato, dicendo che stavo
arrivando,
che avrei voluto parlare con certa gente di alcuni problemi che sapevo l'avrebbe interessata, ho spiegato chi ero.
Sono arrivato in questa comunità e nessuno era là, nessuno voleva parlarmi. Così mi
sono seduto per cinque
giorni aspettando e aspettando e alla fine quando si sono resi conto che non me ne sarei andato, sono venuti a
parlarmi. In altre comunità sono stato accolto con ostilità, ma fondamentalmente se dimostri
di essere onesto,
alla fine vieni accettato. Sai, molte comunità sono state visitate da bianchi, soprattutto del governo, che
arrivavano, promettevano e non mantenevano mai le promesse, o semplicemente non le mettevano al corrente
circa le decisioni prese per le loro terre, o addirittura decidevano prima di parlare con loro. Bisogna che tu parli
con loro prima di prendere qualsiasi decisione, metterli al corrente di quello che stai facendo, provare che ti
impegni in prima persona nel mantenere fede alle promesse, credo che in Cape York Peninsula si possano fare
due cose: una è migliorare l'ambiente, che sta piuttosto velocemente degradandosi e l'altra è
migliorare le
condizioni di vita degli aborigeni della comunità, fornendo loro la possibilità di migliorare
professionalmente,
creare occupazione. Mi sono veramente scocciato quando all'inizio gli aborigeni si aspettavano che io facessi
tutto per loro. Ma io sono stato chiaro, dicendo che ero incazzato. Se loro non volevano capire quello che stavo
cercando di fare e di insegnare loro, mentre io dovevo imparare continuamente da loro, non avrebbe
funzionato.
Ci deve essere uno scambio reciproco di
culture, sono d'accordo, un'apertura da ambo le parti.
Infatti. Vedi, io non sono un aborigeno, non lo sarò mai. Posso entrare solo fino a un certo punto nella
loro
cultura, poi cercare di aiutarli, ma la maggior parte del lavoro deve essere fatta da loro. Quello che mi piace di
Kowanyama è che anche loro vogliono imparare da me, mi chiedono di insegnare loro da dove vengo.
Sfortunatamente la maggior parte della gente interessata era formata dagli anziani ma spero nel futuro che anche
i giovani prendano parte attivamente al progetto.
La situazione della gente di Kowanyama mi
sembra migliore di altre comunità. Soprattutto se paragonata
a quella degli aborigeni che vivono in città, persi, lontani dalle loro terre, senza il senso della loro vita,
preda dell'alcol. Ci sono gli stessi problemi a Kowanyama? Per me è difficile parlare di queste cose, perché non so se dovrei farlo. Credo
questi siano problemi che
riguardano la comunità e dei quali dovrebbe parlare essa, se vuole. Ma non credo di poter essere io a
farlo. Sai,
posso solo dire che a Kowanyama ci sono quattro gruppi tribali diversi che erano stati portati via dalle loro
terre.
E oggi, dopo generazioni, ci sono difficoltà nelle relazioni sociali. Poi ogni comunità ha
problemi diversi.
Comunque sì , alcol, violenza domestica, abusi sui bambini, sono problemi reali, che non saranno risolti
a meno
che sia la comunità a volerlo, a fare qualcosa.
Non ci si può aspettare che i burocrati bianchi siano in grado di risolvere queste cose fino a quando non
è la
comunità a compiere uno sforzo. I poms (slang australiano per inglese, leggermente spregiativo,
ndr) hanno
fatto il bello e il cattivo tempo per oltre duecentosessant'anni ed è solo da cinque-sei anni che
Kowanyama ha
il suo consiglio di comunità.
Non puoi pensare che le cose cambino in una notte. Prendi l'esempio della comunità di Arakoon, nella
costa
occidentale di Cape York Peninsula. Le donne di quella comunità si erano stufate dei loro uomini
sempre
ubriachi e siccome sono proprio le donne che controllano il Consiglio (credo che una volta fosse una
comunità
matriarcale), una delle prime cose che hanno fatto è stata quella di chiudere il pub. Cosa è
successo? Nella
comunità ha cominciato a circolare grog (slang australiano per definire alcol diluito, in genere
rum e acqua,
ndr), e questo sta causando un altro problema. Non credo di poter dire di più.
Qual è la tua opinione sul
futuro?
Io credo che in questo paese la cultura aborigena avrà, e già sta avendo, una rinascita, che se
poi la vai a vedere
meglio nella loro storia orale, fa parte del loro concetto di tempo circolare, delle cose che ritornano. La cultura
aborigena diventerà quindi molto più dominante. Ma per i non aborigeni è più
difficile, perché non puoi
costringerli a imparare e capire l'"altra" cultura. Credo che la rinascita della cultura aborigena farà
diventare
l'Australia un paese molto più ricco. Io mi sento molto arricchito dalla mia esperienza, soprattutto dalla
cerimonia avvenuta due settimane fa, alla quale ho potuto partecipare, in cui il gruppo si è spostato in
aperta
campagna e ha cantato e chiamato gli antenati della loro terra tradizionale.
Io ho sentito che era un posto stupendo nel quale vivere, e vorrei che tutti avessero l'opportunità di
provare
queste emozioni. Ma sai, l'Australia è un paese fondamentalmente xenofobico. Sai che molti australiani
sono
terrorizzati dal fatto di essere invasi dall'Indonesia. Io mi chiedo perché, visto che siamo stati noi i primi
a
invadere un paese che non era nostro, e per il quale non abbiamo ancora riconosciuto i diritti alla popolazione
indigena, e nel quale ancora occupiamo terre non nostre.
Non è meglio dire "Sediamoci e vediamo di discutere come possiamo convivere"? Sai, il mondo diventa
sempre
più piccolo, non c'è abbastanza spazio per tutti, e questo è un problema ecologico e
sociale. Gli australiani
dicono "Questo è il nostro paese e nessuno può venire qui", dimenticando che sono stati i primi
invasori di
questo paese.
Ma dopo duecento anni, credo sia difficile
per tutti ammettere cosa è stato fatto allora e pagare ancora
per questo...
Io non mi sento legato a quello che è successo qui duecento anni fa, e non mi sento di pagare per questo.
Gli
aborigeni non mi sputano addosso per ciò che è successo due secoli fa, e nemmeno lo accetterei.
Cerco di essere
sempre molto chiaro su questo. Non voglio pagare per i poms, ma posso riconoscere il diritto
all'autodeterminazione degli indigeni. Loro vogliono solo che vengano riconosciuti i loro diritti sulle loro terre,
e per questo saranno felici.
(Grazie a Craig, di Kalkaningi, Allan, Bob, Helen, Kavin e ai compagni anarchici Fiona e Brian, di
Brisbane,
per la loro collaborazione)
Governo australiano: quale politica
multiculturale
Nel luglio 1988 il Commonwealth Government australiano, il
governo federale con sede a Camberra, varò
il programma multiculturale nell'ambito di una politica interetnica che si dovrebbe distinguere dalla politica
sull'immigrazione e che non dovrebbe avere parte nella selezione di nuovi immigrati. La definizione del governo della National Agenda for a Multicultural Australia
si basa su tre punti
fondamentali: - identità culturale: il diritto di tutti
gli australiani, entro limiti accuratamente definiti, di esprimere e
condividere il loro patrimonio culturale individuale, inclusa la loro lingua originaria e
religione; - giustizia sociale: il diritto di tutti gli australiani
a un equo trattamento e opportunità, inclusa la rimozione
di barriere razziali, etniche, culturali, religiose, di lingua, sesso o paese di provenienza; - efficienza economica: la necessità di mantenere, sviluppare e utilizzare
perizia e talenti di tutti gli
australiani, senza discriminazioni. I limiti della politica
multiculturale sono stati così esplicitati: "La
politica multiculturale è basata sulla premessa che ogni australiano deve avere un impegno
predominante
verso il paese, ai suoi interessi e al suo futuro; la politica
multiculturale richiede a tutti gli australiani di accettare la struttura e i principi base della società
australiana, quali la Costituzione, il sistema giuridico, tolleranza ed eguaglianza, democrazia parlamentare,
libertà di parola e di religione, l'inglese come lingua nazionale ed uguaglianza tra i
sessi; la politica multiculturale impone obblighi
così come conferisce diritti; il diritto di ognuno di esprimere la
propria cultura e credo coinvolge una reciproca responsabilità nell'accettare i diritti degli altri
nell'esprimere
i loro valori e punti di vista". Nel 1988, durante le
celebrazioni per il Bicentenario dell'arrivo degli inglesi in Australia, l'allora primo
ministro laburista Bob Hawke così si espresse nella risposta a cosa significa essere
australiano: "Cosa ci lega, nella nostra generazione, con
le generazioni che sono arrivate qui in passato? Non è solo il
fatto che da 200 anni a questa parte siamo stati una nazione di immigrati. Non è solo perché
dividiamo questo
vasto continente come la nostra casa. Non è solo perché condividiamo l'eredità di
ciò che è stato costruito
qui in questi 200 anni e non è solo per il comune legame alle istituzioni, lingua e cultura. Nell'Australia
di
oggi la nostra vera diversità è la crescente sorgente di ricchezza, vitalità e forza della
nostra comunità. Tutto
ciò che ho appena menzionato definisce la figura del carattere australiano e della sua identità.
Ma dietro a
questo rimane ancora la domanda: cosa significa essere australiano? E la risposta è: l'impegno
all'Australia
e al suo futuro. E' questo comune impegno che lega gli australiani nati qui da sette o otto generazioni e tutti
gli individui nati in qualsiasi dei 130 paesi di cui il nostro popolo è composto. In Australia non
c'è gerarchia
di stirpe: non ci deve essere privilegio di origine. L'impegno è tutto". |
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