Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 192
giugno 1992


Rivista Anarchica Online

Australia aborigena: il sogno infranto
di Tiziana Ferrero

Questo dossier, realizzato da Tiziana Ferrero in occasione di una sua lunga permanenza in Australia, offre una panoramica del complesso problema della convivenza tra gli abitanti originari del paese e i discendenti dei colonizzatori. È anche il tentativo di dare voce a una cultura sistematicamente calpestata nei secoli e alle sue stesse contraddizioni interne nei contatti con il mondo moderno, tra le quali ad esempio, quella fondamentale delle relazioni uomo-donna

L'identità perduta

Australia, dove tempo e distanza sono sinonimi, perché la distanza è misurata in ore o giorni necessari per raggiungere una città, un villaggio, una stazione di benzina nell'outback e non in chilometri o miglia.

The Dreamtime, il Tempo del Sogno, si è infranto quando un giorno del 1769 il capitano Cook entrò con la sua nave nella baia di Sydney. Affascinato dalla sua bellezza, gettò l'ancora... il 1788 è l'anno ufficiale dell'inizio della colonizzazione dell'Australia da parte dell'impero britannico. Il primo governatore del New South Wales, il capitano Phillip, così fu istruito dal governo britannico: "Con il consenso dei nativi, prendere conveniente possesso della situazione nel paese in nome del Re della Gran Bretagna, o, se il paese è disabitato, prendere il possesso per Sua Maestà collocando appropriati segnali e iscrizioni come primi scopritori e possessori".
Queste istruzioni riflettono ancora il punto di vista contemporaneo secondo il quale la sovranità su un paese viene ottenuta attraverso la sua occupazione, se disabitato, o con il consenso della popolazione preesistente. Comunque, nonostante la presenza degli aborigeni, l'Australia fu trattata come terra disabitata e dichiarata terra nullius (terra di nessuno). Questo negò l'esistenza di fatto, sotto la legge britannica, del popolo aborigeno. Non ci furono accordi, negoziazioni o trattati. La dottrina della terra nullius prevalse al tempo perché gli inglesi, seguendo le teorie di Locke, non riconobbero nella società aborigena nessun sistema politico o economico organizzato paragonabile a quello fondato in Europa. Non c'era autorità centralizzata, nessuna legge scritta, né eserciti, né città. Gli inglesi conclusero che gli aborigeni non erano sufficientemente civilizzati per essere considerati come popolo sovrano e non riconobbero le sofisticate strutture politiche, sociali ed economiche e le credenze religiose che esistevano nella società aborigena e che erano basate sulla relazione tra il popolo e la terra.
Nella cultura occidentale la terra è considerata come personale proprietà, da comprare, vendere e sfruttare. Per gli aborigeni invece è la voce vivente di tutti gli eventi significativi del Tempo del Sogno, quando il mondo fu formato, quando gli antenati crearono valli, innalzarono montagne e fecero scorrere fiumi, semplicemente cantandoli e tracciando sentieri. In teoria tutta l'Australia è attraversata dalle "vie dei canti" e può essere letta come uno spartito musicale. Non c'è roccia, montagna, fiume, collina che non sia stato cantato, e quindi creato. Un sentiero potrebbe passare proprio nel bel mezzo di una affollata e trafficata via del centro di Sydney, o lungo la ferrovia fra Melbourne e Woodoong, o tra Adelaide e Alice Springs . La terra, per la cultura aborigena, è la sorgente della legge con la quale ogni popolo vive e determina la parentela e la propria identità.
Nel I971 il concetto di terra nullius fu riaffermato dalla Corte Suprema del Northern Territory, uno dei sette stati di cui la federazione australiana è costituita. Fu deciso che siccome non c'era un chiaro sistema di legge aborigena sulla terra al tempo dell'arrivo degli inglesi, la terra fu giustificabilmente annessa alla Corona d'Inghilterra. Questa sentenza fa parte a tutt'oggi della legge australiana e rimane incontestata nei tribunali. Non c'è da meravigliarsi dunque se il nodo fondamentale della diatriba tra gli aborigeni e il governo australiano è il riconoscimento da parte di quest'ultimo dei land rights, il diritto alla terra, dei possessori tradizionali del continente australiano. Per due secoli gli aborigeni furono rimossi dalle loro terre e costretti a vivere nelle missioni cattoliche o anglicane, gli uomini separati dalle donne, i bambini prelevati dalle loro famiglie. Non fu loro permesso di "cantare" i luoghi sacri degli spiriti degli antenati, che è il modo in cui la cultura aborigena si esprime e si tramanda di padre in figlio, di madre in figlia. Non fu loro permesso di usare la legge tradizionale per risolvere i conflitti. Vennero costruite città e chiese sui loro luoghi sacri. Questo è successo in Nordamerica, in Sudamerica, in Africa e dovunque l'uomo bianco abbia posato i suoi occhi.

Due nazioni
Il riconoscimento del diritto alla terra è dunque la chiave per l'autodeterminazione degli aborigeni, la base per un sicuro sviluppo sociale, culturale ed economico. Per questo essi chiedono che la costituzione reinstauri il loro diritto sulla terra, garantisca loro l'accesso ai luoghi di significato magico e il pieno controllo su di essi e li compensi per la terra che è stata alienata. Gli aborigeni non sono interessati al concetto di "affittanza", vogliono sia riconosciuta loro la piena sovranità. Tutto ciò emerge nell'intervista ad Allan Sambono, aborigeno, direttore dell'unità di studi aborigeni all'Università del Queensland di Brisbane. Ma emerge con ancora più veemenza da Bob Weatherall, coordinatore e mente del Faira, la Foundation for Aboriginal and Islander Research Action, e di fatto l'organizzazione politica degli aborigeni del Queensland, e la voce internazionale dei "neri" d'Australia.
Negli ultimi anni in Australia si assiste a uno dei più straordinari movimenti visti tra le minoranze indigene, che è il ritorno alla terra. Mentre in molte aree del mondo la tendenza è quella di abbandonare le terre tradizionali e muovere verso le città, tra gli aborigeni del Northern Territory e di altre remote parti dell'Australia avviene esattamente il contrario. Gli aborigeni stanno spostandosi dagli insediamenti europei alle loro terre d'origine. Questo movimento è accompagnato anche da una rinascita delle attività cerimoniali, dall'uso della legge tradizionale e dalla trasmissione della lingua. Nel 1967 la Costituzione australiana, attraverso un referendum, ha riconosciuto l'esistenza del popolo indigeno. Da allora gli aborigeni si sono alzati in piedi, hanno ritrovato l'antico orgoglio di essere neri, hanno cucito un pezzo di stoffa rossa, la terra, uno giallo, il sole che nutre la terra, il nero, il colore della loro pelle, e ne hanno fatto una bandiera. E hanno dato voce al loro malessere, alla loro rabbia, e vita al movimento del land rights. Ma ancora oggi, a vent'anni da questa presa di coscienza, l'Australia è ancora divisa in due nazioni. Una bianca, culturalmente occidentale, il cui standard di vita è tra i più alti al mondo, e una nera, che al contrario fa parte del quarto mondo.
Tra gli aborigeni d'Australia, ad esempio, c'è il più alto tasso nel mondo di malati di lebbra. La loro aspettativa di vita è di circa vent'anni inferiore a quella dei bianchi. Il 77 per cento della popolazione nera del Northern Territory e di Western Australia soffre di tracoma agli occhi. Alcol, abuso di droghe, violenza domestica, abusi sui bambini, disoccupazione, cultura della Coca Cola e dell'hamburger, pornografia, sono malattie dei bianchi penetrate anche tra i neri. Eppure, paradossalmente, oggi vengono evidenziati e pubblicizzati solo i crimini commessi dagli aborigeni. Così per la maggior parte dei bianchi australiani, per la polizia, per le istituzioni, gli aborigeni sono tutti potenziali criminali.
La società australiana, per quanto sono riuscita a comprendere dopo otto mesi di permanenza, è estremamente contraddittoria. Da una parte resiste l'idea del legame ombelicale alla cultura anglosassone, alla Gran Bretagna, vista ancora come madre che dovrebbe proteggere il suo figlio down under (giù sotto), dall'altra c'è la lenta presa di coscienza che l'Australia è un continente asiatico, vicino geograficamente (relativamente parlando, perché l'Australia è lontana da tutto) a paesi come l'Indonesia, il Vietnam, la Cina, il Giappone, la Corea, le Filippine, la Thailandia, e che quindi è a questa parte del mondo che deve guardare, soprattutto economicamente.
Da una parte i bianchi diretti discendenti dei galeotti o dei coloni anglosassoni conservano un senso di supremazia non riconoscendo l'esistenza di abitanti originari o guardando con sufficienza gli immigrati provenienti a ondate e in momenti diversi da 130 paesi differenti; dall'altra c'è il tentativo di un'integrazione multiculturale e multirazziale secondo me unica al mondo.
Proprio dopo la celebrazione del Bicentenario della colonizzazione australiana, nel 1989 l'allora ministro laburista Bob Hawke ha varato una politica multiculturale che probabilmente non corrisponde ancora a un sentimento della società reale, così permeata della tradizionale cultura anglosassone. Il bianco medio anglosassone è razzista e xenofobico, ma sta lentamente accettando il fatto di condividere questa terra antica - la più antica al mondo, e giovane allo stesso tempo - con persone portatrici di differenti culture, anche se, probabilmente, non è ancora del tutto pronto a riceverle nelle loro manifestazioni migliori.
Molti australiani con cui mi è capitato di parlare - dal conducente di autobus al professore di università - sono addirittura orgogliosi del fatto che questo paese è stato pronto a ricevere gente da tutto il mondo, a dare loro lavoro e casa e benessere. Per duecento anni questa terra è stata l'ultima chance per disperati, poveri, spesso analfabeti emigranti. Oggi le seconde o terze generazioni di questi newcomers - nuovi arrivati - parlano inglese, vanno all'università o hanno lavori qualificati e, insieme con gli australiani di discendenza anglosassone, hanno uno dei più alti standard di vita al mondo.
Uno degli obiettivi della politica multiculturale varata dal governo, ancora a un livello grezzo e sperimentale, quindi soggetta ad aggiustamenti e modifiche, è quello di creare un paese dove culture così diverse tra loro - principalmente anglosassone, irlandese, mediterranea (italiana, greca ed ebraica) e asiatica - si fondino e creino un senso di identità che l'australiano non ha. Parlando dell'Australia, della sua storia e del suo futuro con qualsiasi australiano si arriva sempre e immancabilmente alla domanda che egli stesso si pone "Cosa significa essere australiano?".
Durante i primi mesi della mia "vacanza" australiana ero assolutamente ipercritica, trovavo questo paese profondamente vuoto, noioso e superficiale. Poi lentamente ho cominciato a capire cosa rende l'australiano quasi apatico. La distanza. La distanza da un capo all'altro del continente (se sovrapponete l'Australia all'Europa noterete che Darwin sta un po' sopra Oslo, Adelaide più o meno in Pianura Padana, Brisbane nella parte occidentale russa e Perth nei Pirenei) e la distanza del continente da qualsiasi altro continente. Il paese è abitato da circa diciassette milioni di persone - all'incirca la stessa popolazione di Tokyo, Nuova Delhi, Città del Messico - quasi tutti concentrati nella striscia di terra che va da Adelaide, a sud, e il nord del Queensland, sull'oceano Pacifico, una striscia di terra lunga tremilaseicento chilometri, chilometro più, chilometro meno. E poi il nulla. Viaggiando in Australia c'è sempre un essere nel middle of nowhere, nel bel mezzo del nulla, o un never never, mai mai, che è tipicamente slang australiano.

Buco d'ozono
Il colonizzatore anglosassone, rifiutando di riconoscere la ricchezza della cultura aborigena, ha negato l'unico modo per non sentirsi perso in questo immenso spazio. Cantare la terra, creare le vie dei canti significa, secondo me, creare una rete percorribile non solo in senso proprio, ma anche e soprattutto con la mente, che unisce il nord con il sud, l'est con l'ovest. Senza questo, l'Australia come dice un personaggio del libro di Bruce Chatwin, "The Songlines" ("le vie dei canti"), "...Una spugna per di più. Tutto quello che ci rovesci sopra, viene assorbito senza distinzioni". Che può essere allo stesso tempo positivo e negativo. Ancora una contraddizione. Positivo perché sentire la distanza e l'immenso spazio australiano, percepire il vuoto, permette all'europeo che arriva in questo strano continente di liberarsi di sovrastrutture mentali e culturali che spesso gravano come pesanti fardelli e che rendono complicate anche le cose più ovvie e semplici. Serve a svuotare la mente e a renderla più ricettiva. E' come un'operazione di pulizia. Questo è quello che io ho provato, con il lento passare dei giorni, con i lunghi viaggi durante i quali il paesaggio non cambia per centinaia e centinaia di chilometri, con la sensazione di essere l'unica persona nel middle of nowhere. Negativo perché può pericolosamente portare all'apatia, all'individualismo, al disinteresse. Così è successo a tanti europei incontrati qui, arrivati dieci anni fa, disillusi dal post-sessantotto, da una rivoluzione mancata, dall'Europa sempre più piccola, inquinata e frenetica. Sono venuti a cercare spazio e aria pulita qui, e si sono persi. Sono stati risucchiati in un buco nero, appagati dalla casa individuale con il giardino, strade senza traffico, spazio e mancanza di inquinamento. Senza preoccuparsi del fatto che il buco di ozono che orbita sopra l'Australia è provocato dall'inquinamento europeo, che gli esperimenti atomici francesi in Polinesia hanno un fallout quasi immediato su questo paese.
In tutta questa complessa, contraddittoria realtà il problema aborigeno punge come una spina nel fianco. Gli aborigeni vogliono terra, terra e ancora terra, dove nessun uomo bianco possa posare il suo piede senza il loro permesso. Reclamano sovranità, autodeterminazione e una nazione aborigena, senza ancora sapere esattamente come questa dovrebbe configurarsi. Bob Weatherall, forse il leader più radicale aborigeno, nega la costituzione di uno stato all'interno dello stato australiano, che è ciò che spaventa maggiormente il bianco anglosassone, ma parla di un governo (ancora una contraddizione) totalmente nero che rappresenti i neri d'Australia. Il che può essere sacrosanto, ma a sua volta un'apartheid al contrario.
Qualche antropologo imbecille o ambientalista romantico pensa che i popoli indigeni debbano semplicemente tornare a vivere nelle loro terre, felici e inseriti nell'ecosistema, seguendo le loro leggi e tradizioni. Ma il problema è molto più complesso. Mi sono resa conto qui di quanto siano naif le immagini che noi europei abbiamo del "buon selvaggio" che caccia solo quello che serve a nutrirlo, che non danneggia foreste, laghi, fiumi, mari, e vive secondo un'organizzazione sociale orizzontale ed egualitaria. Spesso qui in Australia organizzazioni ambientaliste hanno criticato il "taglia e brucia" di parti di bush praticato dagli aborigeni con troppa "disinvoltura" e sono state accusate di nazismo. Fino a poco tempo fa tra gruppi ecologisti e organizzazioni aborigene ci sono stati attriti e conflitti di competenze perché ogniqualvolta i primi chiedevano al governo di adibire particolari zone del territorio australiano a parco nazionale, per proteggere in questo modo alcune specie di animali in pericolo di estinzione, entravano in conflitto con la politica dei land rights di qualche comunità aborigena che reclamava a sé lo stesso territorio come antico possessore. E naturalmente il governo federale di Canberra a era ben felice di aprire nuovi parchi nazionali piuttosto che riconoscere l'antico diritto aborigeno a quella terra.
Recentemente il movimento ecologico, soprattutto in Queensland, come dice Kevin Guy nella sua intervista, ha cominciato un dibattito al suo interno, riconoscendo la validità di un'azione politica comune con il popolo indigeno. Spesso alcuni leader aborigeni nei loro discorsi parzialmente intrisi di retorica, soprattutto quando affrontano il problema dell'alcolismo o della violenza in famiglia, rifiutano di riconoscere la gravità di alcune situazioni estreme. La conferma di questo atteggiamento mi venne dall'Aboriginal and Torres Strait Islanders Corporation for women di Brisbane, fondato nel 1984 proprio come supporto alle donne aborigene e ai loro figli che soffrono per abusi e violenza. Il nostro è stato un breve e informale colloquio, non registrato, durante il quale mi è stato "gentilmente richiesto" di non riportare ciò che mi veniva detto e per una intervista ufficiale sono stata indirizzata al gruppo delle anziane, il quale non mi hai mai dato un appuntamento (c'è una stretta gerarchia tra i gruppi degli anziani e il resto della comunità, e specialmente le donne non parlano se non con il permesso di tutta la comunità, così come mi è capitato con il gruppo di sorelle Pitjantjatjara venute a Brisbane in ottobre alla Queensland University, di cui c'è un breve resoconto nell'intervista a Helen Payne). E' molto difficile dunque cooperare e lavorare con le organizzazioni o le comunità aborigene, e soprattutto esprimere critiche sulla loro chiusura verso la società e la cultura bianca, con la quale volenti o nolenti oggi devono fare i conti, o sul modo di risolvere i loro conflitti interni con l'uso dell'antica legge (di cui non posso parlare e il cui modo di operare sono riuscita a scoprire solo dopo alcuni incontri informali con Allan Sambono durante i quali mi sono "guadagnata" fiducia e rispetto ) senza essere accusata di razzismo.

Dove tempo e distanza sono sinonimi
Lascio ora a voi che mi avete seguita fin qui la lettura delle quattro interviste, di cui (senza farlo apposta) due sono con aborigeni e due con bianchi, fatte nell'arco di tre mesi, tra ottobre e dicembre 1997, compresa la trascrizione e traduzione, in questo incredibile - fino a quando non l'ho sperimentato - pigro, indolente, caldo umido di questo strano, contraddittorio e meraviglioso mondo rovesciato in cui se non si sta attenti ci si perde, in cui l'uso di alcol, marijuana e amfetamine sembrano essere per molti australiani bianchi una delle risposte alla distanza, all'immenso spazio che risucchia come un buco nero, e per molti australiani neri una delle risposte alla mancanza, a un vuoto creatosi con l'arrivo delle prime navi inglesi, alla perdita delle loro antiche terre. Australia, terra come ultima frontiera, terra come punizione per i ribelli radicali scozzesi e irlandesi, per i poveri affamati di Londra deportati fin qui per aver rubato un tozzo di pane, per cui la condanna peggiore fu proprio quei ventimila chilometri di lontananza dall'Europa, chilometro più, chilometro meno. Australia, dove tempo e distanza sono sinonimi, perché la distanza è misurata in ore o giorni necessari per raggiungere una città, un villaggio, una stazione di benzina nell'outback e non in chilometri o miglia.

Il compromesso necessario

A colloquio con Allan Sambono, direttore dell'Aboriginal & Torres Strait Islander Unit

Incontro Allan Sambono - o meglio, Wanda-Gal-Kari - alla Queensland University di Brisbane, in uno dei soliti giorni assolati australiani. L'università è divisa in diversi edifici immersi in un magnifico parco lungo il fiume Brisbane. Allan Sambono, aborigeno, 39 anni, viso aperto e cordiale, una di quelle persone che ti mettono subito a tuo agio, è il direttore dell'Aboriginal & Torres Strait Islander Unit. All'intervista prende parte anche la sua assistente Pauline, figlia di un italiano emigrato in Australia. Allan me la presenta come il suo braccio sinistro. "Perché il suo braccio sinistro, Mr. Sambono? Non si usa dire "braccio destro"?". "No, noi diciamo braccio sinistro, perché il mio braccio destro è riservato al mio migliore amico".

Quanti aborigeni vivono oggi in Australia?
Allan - Dipende da chi compie il censimento. Poi dipende anche dal fatto che spesso più famiglie aborigene vivono insieme perché non ci sono sufficienti abitazioni, ma durante i censimenti alcuni rifiutano di dichiarare quante persone abitano nella stessa casa, perché alcune usufruiscono dell'indennità di disoccupazione o della pensione e possono così aiutare gli altri a sopravvivere. Alcuni poi non hanno la pelle molto scura, così in passato dichiaravano di essere in parte italiani o filippini e dicevano "No, io non sono aborigeno". Altri dichiaravano di essere indiani, perché essere indiani o qualsiasi altra cosa era meglio che essere aborigeni, perché se sei cento per cento nero, sei spazzatura. Ma nell'ultima decade gli aborigeni si sono alzati in piedi e si sono sentiti orgogliosi di dichiarare che sono neri. Possiamo dire che oggi gli aborigeni sono circa 250 mila, mentre duecento anni fa erano stimati, secondo fonti diverse, tra 500 mila e un milione.

Sembra che da dieci anni a questa parte gli australiani si sentano colpevoli nei confronti degli aborigeni, e i governi degli stati federali stiano cambiando la loro politica. Ad esempio Ayers Rock è stata restituita agli aborigeni...
Uluru?

Sì , chiedo perdono, Uluru (Ayers Rock, in lingua aborigena, ndr).
Quello che devi capire è che il governo è molto intelligente. Questo non è un esempio molto azzeccato, perché quello che oggi mi dà il governo, alle nove, alle nove e cinque se lo riprende indietro con l'altra mano.

In quale modo?
Loro mi ridanno indietro Uluru a condizione che io lo affitti al governo come parco nazionale per 85.000 dollari all'anno. Tutto quello che io posso avere da milioni di turisti sono 85.000 dollari all'anno, quando alberghi e motel hanno un introito di 75 milioni di dollari all'anno. E' un inganno, non c'è giustizia. L'unica giustizia è che oggi tu hai un pezzo di carta che dice che ne sei proprietario, ma ne sei proprietario perché io (governo) ti permetto di esserlo, e nel momento in cui ti dò questo permesso ti impongo ancora il modo in cui devi usarlo. Il proprietario di Uluru è il National Park Wildlife, che fa parte del Commonwealth Department, e ancora detta le condizioni su come usarne le risorse.

C'è un esempio migliore?
Il primo di tutti, Wave Hill, il primo pezzo di terra ridato agli aborigeni 25 anni fa - proprio quest'anno ricorre il venticinquesimo anniversario - sul quale non ci sono condizioni. Questo è l'unico esempio. Anche per Arnhem Land, nel Northern Territory (uno dei sette stati federali australiani, ndr) il diritto sulla terra ha una condizione, lo sfruttamento minerario. Gli aborigeni possono avere la terra solo se acconsentono al suo sfruttamento (legname, minerali, acqua). Wave Hill invece è stato semplicemente consegnato agli aborigeni perché, fortunatamente per noi, non c'è uranio, petrolio, oro o gas, solo acqua e prati. Questa rivendicazione ha riscosso successo perché Wave Hill apparteneva alla Corona, così è stato possibile per il governo ridarlo direttamente
indietro agli aborigeni.
Ma la mia terra d'origine che appartiene a me e alla mia famiglia è esattamente nel mezzo di un territorio affittato e adibito a pascolo e noi non possiamo riaverlo indietro perché l'unico modo sarebbe quello di effettuare un'amputazione di circa due chilometri quadrati in un'area di duemila chilometri quadrati adibiti ad allevamento bovino! Ma per questa "amputazione" dobbiamo ricorrere al tribunale, e sappiamo perfettamente come funziona il sistema legale, possiamo andare avanti per secoli. Il diritto alla terra, specialmente nel Northern Territory, deve essere provato da legami spirituali e culturali che hai con quella particolare terra e il problema è che devi anche provare che non puoi sopravvivere dove attualmente vivi, meglio del governo che invece cerca di dimostrarti che tu non hai diritto di vivere in quella terra. Cosa che finisce per metterti in una situazione molto difficile e imbarazzante. Ti faccio un esempio. Il mio vicino, un altro gruppo aborigeno, la gente di Warramungu, in Tennant Creek, per avere la sua terra, ha dovuto far danzare e cantare le donne del gruppo davanti ad almeno trenta uomini bianchi, giudici, avvocati e antropologi, quando queste rappresentazioni non sono mai state viste per quarantamila anni da nessun uomo della tribù, perché noi abbiamo riti cerimoniali separati. Tutto ciò per provare i legami spirituali e culturali di queste donne con la loro terra, per la quale esse sono responsabili. Puoi immaginare la devastazione psicologica di questa gente? Ho visto il video di questa cerimonia, e le lacrime scendevano copiose sui volti delle donne. Danzando e cantando per questi uomini bianchi queste donne hanno perso, ma scegliendo di non farlo, avrebbero perso ugualmente, non avrebbero avuto indietro la loro terra. Così hanno dovuto prendere una decisione.

Non c'è nessun rispetto per i vostri costumi e tradizioni...
Pauline - I bianchi pensano che gli aborigeni hanno già avuto troppo e che l'Australia soffre a causa loro, perché è stata restituita loro già troppa terra.

Ho sentito dei bianchi affermare anche che il governo sta spendendo troppi soldi per gli aborigeni. E' vero?
(Torna a rispondere Allan) - Penso che la cifra sia di seimila milioni di dollari del suo budget, esattamente come per qualsiasi altra cosa. Fammi un esempio di un qualsiasi altro paese nel mondo che abbia un Department for Aboriginals Affairs. Ce n'è uno in Francia? Ha la Spagna un particolare dipartimento per i baschi? Ne ha uno l'Unione Sovietica? Vedi, quando ti mettono in uno speciale dipartimento del governo, e cominciano a stanziare
un bilancio per te, cominciano a controllarti, perché tu non puoi fare a meno di questi soldi e loro ti dettano come devi vivere la tua vita, e se tu rompi il cerchio, non hai i soldi.

Secondo me, questo è un altro modo per togliere agli aborigeni il loro senso dello stare al mondo. Quando puoi semplicemente sopravvivere senza dover lavorare perché c'è qualcuno che ti mantiene perdi anche il rispetto di te stesso.
Significa anche che il governo, stabilendo un budget per gli aborigeni, ti può fare le scuse quando poi ti uccide, quando non provvede a un'assistenza medica appropriata...

Non capisco...
È chiaro. Il governo decide come usare il denaro. Ti faccio un esempio. In New South Wales (un altro dei sette stati federali australiani, la cui capitale è Sydney, ndr) c'è un città che si chiama Wilcannia con 1200 persone di cui 800 sono aborigeni e non hanno un dottore. Gli aborigeni devono fare affidamento su un flying doctor (servizio medico aereo, un'istituzione tipicamente australiana, data la vastità del paese, ndr) che arriva da Broken Hill, che è a circa duecento miglia di distanza. Una piccola città di trecento abitanti bianchi ha normalmente un solo poliziotto; ma se la stessa città fosse abitata da trecento neri, ci sarebbero fino a dodici poliziotti.

Il governo quindi censisce la popolazione aborigena, ma poi i numeri non rientrano nelle statistiche quando si tratta di provvedere ad attrezzature e servizi di assistenza adeguati, eccetto per la polizia. Quali sono i problemi riguardo la salute e l'abitare?
Prendiamo il problema della casa. Se io ho cinque figli e mia sorella vuole venire in città, non posso certo rifiutarmi di ospitarla! E magari anche lei ha cinque figli. Parlando in generale, in media, in ogni casa aborigena vive una famiglia e mezza, almeno. In New South Wales ci sono casi anche di due, tre famiglie che vivono insieme. Gli aborigeni dicono al governo "Lasciateci costruire case con otto stanze da letto, così abbiamo più spazio". E il primo ministro dello stato risponde "No, noi non costruiamo case con otto stanze da letto per i bianchi, perché dovremmo farlo per gli aborigeni?". Così quando le case sono sovraffollate iniziano anche i problemi di salute. Il governo non prende in considerazione la cultura aborigena. Questo è ancora razzismo. Noi
non viviamo seguendo lo stile di vita dei bianchi, in famiglie nucleari, madre, padre e un figlio e mezzo (secondo le statistiche). Una coppia di amici miei ha dieci figli e così c'è gente che dorme in cucina, nel soggiorno, nella lavanderia, dovunque. Allora la cucina è stata spostata fuori. Loro cucinano fuori, mangiano sedendo sotto gli alberi. La casa è diventata un luogo dove si dorme solo per ripararsi dal freddo, o per problemi di sicurezza, ma tutta la vita sociale si svolge fuori.
Poi tu mi chiedevi della salute. Gli aborigeni hanno molte più infezioni agli occhi dei bianchi. Molti dei paesi sottosviluppati, paesi del terzo mondo, sono stati in grado di eliminare la lebbra. In Australia invece esiste ancora la lebbra, ma siccome la lebbra in questo paese è "nera", non è stato fatto niente in merito, nessuno se ne preoccupa. Questo dovrebbe essere un paese sviluppato ma ha ancora la lebbra. E la tubercolosi. Molti asiatici e aborigeni hanno la tubercolosi.

Sono stupefatta!
Gli aborigeni muoiono principalmente per malattie respiratorie - tra cui la tubercolosi - e di infarto, causato soprattutto da una cattiva alimentazione. Gli aborigeni vivono in media venti anni in meno dei bianchi. Fino a poco tempo fa, in New South Wales, l'aspettativa di vita per gli aborigeni era in media di quarant'anni, in particolare per gli uomini. Quello che il governo non capisce è che quando un aborigeno è costretto a lasciare la sua terra, non solo perde il suo senso di identità, ma va incontro anche ad altri problemi, quali un drastico mutamento della sua dieta: pane, patatine fritte e coca-cola.

E per quanto riguarda il problema dell'alcolismo?
Alcolismo? Guarda, l'alcol non è un problema aborigeno, è un problema per tutta l'Australia. Se un uomo in un paese mediterraneo non fuma, non è un uomo. In questo paese, se un uomo non beve, non è un uomo. E questo vale per tutti. E poi l'alcol è un rimedio, una medicina. Ti ubriachi e per un momento dimentichi i tuoi problemi. Così se sei represso, quotidianamente vengono commessi abusi nei tuoi confronti, non c'è niente di meglio dell'alcol per dimenticare per mezz'ora i tuoi problemi. Per molti degli aborigeni alcolizzati, l'alcol è una cosa meravigliosa.
Pauline - Bisogna dire anche che un aborigeno alcolizzato è più visibile di un bianco. I bianchi bevono nelle loro case e nessuno li vede. Gli aborigeni sono più sociali, vivono di più fuori delle loro case, li vedi bere per strada, e così dici "Guarda quell'aborigeno, è ubriaco".
(Torna a parlare Allan) - Se tu paragoni il numero delle persone che il venerdì sera bevono nelle loro case, anche in un solo sobborgo, o nei pub, con il numero degli aborigeni che bevono in un parco, questi ultimi sono un'estrema minoranza. Ma siccome sono neri, e lo fanno in un posto pubblico, all'aperto, sono più visibili. E questa minoranza che beve nei parchi lo fa per dimenticare dove vive, cioè in città. Il problema è quindi ancora una volta la terra. Perché con la terra viene anche la dignità, l'identità. Chi sei? Da dove vieni? Ogni aborigeno in questo paese deve conoscere da dove viene, dove sono le sue radici, dov'è il suo cuore, quali sono le sue tradizioni. Tutto è legato alla terra, la terra è la nostra madre, lei ha dato la vita a tutti. Se tu mi togli la mia terra, chi sono? Non sono nessuno, sono una persona vuota. Gli aborigeni sono molto spirituali, vivono in armonia con tutta la natura, e anche quando sono morti, vivono ancora, sono lì , nella terra. Il mio nome, per esempio, Wanda-Gal-Kari, mi dice ogni giorno della mia vita chi sono, da dove vengo e quali sono le mie responsabilità.

Sì , so che la cosa più importante per un aborigeno è la terra, il suo luogo di provenienza. La prima cosa che un aborigeno chiede a un altro aborigeno è "Da dove vieni?".
Esatto, così se gliela porti via, tu hai un essere umano che non è nient'altro che un guscio vuoto. Lui o lei non ha niente per cui valga la pena vivere. Così l'alcol diventa un problema, perché questa gente cerca qualcosa, qualcosa che ti faccia sentire orgoglioso di essere aborigeno, ma non possono trovarla.

Quali sono i problemi maggiori per gli aborigeni che vivono nelle città?
Spogliazione, senso di espropriazione. Ti racconto qualcosa di veramente drammatico. Nel 1997 l'ultimo schiavo nero ufficiale di questo paese fu liberato dalla sua schiavitù, quando la schiavitù fu abolita due secoli fa? Un secolo fa?

Schiavo? non capisco...
Ti spiego. C'è una legislazione sull'assimilazione e l'integrazione il cui obiettivo è quello di trasformare gli aborigeni in persone "civilizzate" attraverso un tirocinio come domestico o allevatore di bestiame. Ma molti di loro non hanno mai ricevuto salari. Alcuni proprietari terrieri portavano via i bambini, li addestravano come guardiani per il bestiame, per questo ricevevano soldi dal governo, ma invece di pagare salari adeguati compensavano gli aborigeni con tè, zucchero, lenzuola, tabacco e talvolta con vestiti usati. Così questi allevatori si arricchivano doppiamente ricevendo soldi dal governo e usando il lavoro di questi aborigeni, senza pagarli.
Molti di loro hanno dovuto lasciare gli allevamenti e cercare lavoro altrove. Succedeva anche che le donne, guarda caso, tutto d'un tratto avevano figli con la pelle più chiara, così i bianchi portavano via i bambini, e iniziavano la loro "assimilazione" alla cultura bianca. Nel New South Wales e in Victoria (un altro dei sette stati federali australiani, ndr) qualcosa come il 75 per cento della popolazione aborigena è stata portata via, spostata, e questo ha un impatto su tutta la popolazione aborigena dello stato.
Ti faccio un altro esempio, prendiamo il problema della criminalità. Sul totale della popolazione maschile aborigena oltre i 25 anni, almeno l'85 per cento è stato in prigione. Perché? E' una cifra molto alta. Significa che l'85 per cento degli aborigeni oltre i 25 anni non può avere un lavoro, perché sono classificati come criminali. Non possono adottare legalmente un altro bambino, e vivranno il resto della loro vita bollati come criminali. Ricordo un uomo in Victoria che soffriva del morbo di Parkinson ed era completamente astemio, fu portato in prigione 40 volte sotto l'accusa di ubriachezza in un posto pubblico. Se un party in un pub in South Brisbane, (uno dei quartieri di Brisbane, ndr) finisce alle 23,30 - e lo stesso capita a Redfern, in Sydney (un quartiere abitato prevalentemente da aborigeni, ndr) - puoi scommettere che cinque minuti prima della chiusura ci sono da mezza a una dozzina di furgoni della polizia che aspettano fuori l'uscita degli aborigeni. Come escono, vengono caricati nel furgone, e se chiedi spiegazioni, vieni arrestato per resistenza alla forza pubblica, o insulto a pubblico ufficiale.

Ma nessuno sa di questi abusi! Non c'è traccia su riviste, quotidiani. Ho visto articoli di denuncia contro il pericolo del razzismo verso le comunità di asiatici o di musulmani, ma non contro gli aborigeni.
Perché nessuno lo vuole sapere. Non c'è spazio per gli aborigeni qui in Australia. La Gran Bretagna sta avendo lo stesso problema. Nei buoni vecchi tempi dell'impero britannico, le colonie erano soggetti britannici, il che significava che pakistani, giamaicani o neri del Sudafrica non potevano avere il passaporto britannico. Molti emigrarono in Gran Bretagna perché volevano vivere lì e tutto d'un tratto gli inglesi si sono trovati di fronte questi neri che volevano essere come loro, non discriminati. Come per le persone che hanno handicap fisici, che vengono trattati da "diversi", mentre sono i "normali" che devono cambiare attitudine nei loro confronti. Allo stesso modo i bianchi dicono "Io devo cambiare? No, io non cambio, sei tu che sei diverso, il problema è tuo".

Come pensi possa essere risolto questo problema di convivenza fisica e culturale con i bianchi?
Solo attraverso una mediazione da ambo le parti. In un matrimonio l'uomo e la donna devono arrivare a un accordo al 50 per cento. Così aborigeni e bianchi devono stabilire un compromesso. I bianchi devono riconoscere la nostra cultura, il nostro stile di vita, che è completamente diverso dal loro, e i nostri diritti.

Ma il popolo Gurindji rimane

Kalkaringi, febbraio-marzo 1992
Prima del mio rientro in Italia passerò tre settimane a Kalkaringi raggiunta dopo quaranta ore di viaggio coperte in parte in autobus, in parte con una Land Cruiser, attraverso l'outback australiano, da Brisbane nel deserto del Northern Territory. Sono eccitata. E' praticamente impossibile per chiunque avere l'opportunità di vivere in una comunità aborigena se non si è impiegati nella comunità stessa.
Kalkaringi è il nome aborigeno di Wave Hill, teatro di un avvenimento centrale nella storia e nella cultura aborigena degli ultimi ventisei anni. Ricordo di averne sentito parlare per la prima volta da Allan Sambono, durante la sua intervista.
In questo luogo, nel bel mezzo del nulla, a circa nove ore di jeep da Darwin, a nord, la capitale di Northern Territory, o da Alice Springs, a sud, nel 1966 il popolo Gurindji ha fatto il primo sciopero aborigeno nella storia del giovane stato bianco australiano.
Ecco in breve gli avvenimenti principali di un secolo di soprusi, lotte e riscatto della comunità Gurindji.
Nel 1883 la famiglia Buchanan si insedia su questa terra e comincia l'allevamento di bestiame.
Nel 1888 viene aperta una stazione di polizia e le guardie a cavallo cominciano la repressione contro il popolo Gurindji con omicidi che continueranno fino al 1920.
Nel 1914 la compagnia britannica Vesteys, allora il più grosso proprietario terriero in Australia, compra Wave Hill e continua l'allevamento di bovini sfruttando il lavoro aborigeno, che ripaga con magre razioni di cibo.
Il 23 agosto 1966 alcune centinaia di aborigeni lasciano l'allevamento e iniziano lo sciopero. Vengono sostenuti immediatamente dai sindacati di Darwin, seguiti da quelli di Adelaide, Melbourne e Sidney.
Nel 1967 più del 90 per cento degli australiani vota sì al referendum che dà al Governo del Commonwealth di Camberra il potere di istituire un dipartimento per il problema aborigeno. E' di fatto il riconoscimento dell'esistenza degli aborigeni come popolo.
Nel 1972 il gruppo Gurindji riceve otto chilometri quadrati di terra.
Nel 1975 il primo ministro Gough Whitian visita Daguragu, un altro insediamento Gurindji a otto chilometri da Kalkaringi e, raccogliendo un pugno di terra che mette nelle mani del leader Gurindji, restituisce 3.236 chilometri quadratri di terra ai suoi antichi possessori.
Ma sarà soltanto nell'aprile del 1986 che il popolo Gurindji riceverà a pieno titolo la sua terra.
Marzo 1992. Proprio in questi giorni il gigante Vesteys lascia completamente l'allevamento perchè non è più redditizio. Dopo 76 anni Vesteys se ne va, ma il popolo Gurindji rimane, come da quarantamila anni.
Milano, 28 marzo 1992.
Il rientro in Italia, dopo un anno, da Kalkaringi via Darwin-Bangkok è uno shock culturale.

Questa terra è la nostra terra

Intervista a Bob Weatherall coordinatore della Foundation for Aboriginal and Islander Research.

Bob Weatherall - ho dimenticato di chiedergli il suo nome aborigeno - è il coordinatore del Faira, la Foundation for Aboriginal and Islander Research Action, l'"organizzazione politica" aborigena e di fatto il portavoce del "governo provvisorio aborigeno". E' mattino presto, ma Bob è già al lavoro da un po' ed è occupatissimo a rispondere al telefono che suona ininterrottamente. E' stata una fortuna (o merito dei compagni di Brisbane, che mi hanno presentata?) riuscire ad avere questa intervista, poiché Bob è sempre molto occupato. E' appena tornato da un viaggio di due settimane attraverso l'Europa, per far conoscere il problema aborigeno, così distante
dal nostro eurocentrismo culturale quanto lo è l'Australia in migliaia di chilometri. Tra gli Aborigeni non ci sono terroristi né dirottatori di aerei e tutto quello che sono riusciti a ottenere negli ultimi vent'anni lo devono in parte alla loro ostinata determinazione e a un rinato forte senso di identità, e in parte forse a un sentimento di colpa che ha cominciato a farsi strada tra i bianchi. Mentre aspetto dò un'occhiata alla fornitissima libreria e bevo uno dei soliti annacquati caffè australiani ai quali ho ormai fatto l'abitudine. Finalmente dopo mezz'ora Bob è pronto a rispondere alle mie domande.

Prima di tutto, Bob, cos'è il Faira?
È la Foundation for Aboriginal and Islander Research Action, ha sede in Brisbane ed è indipendente dal governo. Il suo scopo principale è quello di fare ricerche, ma si fa carico anche della voce del popolo nero, perché in questo stato (Queensland, ndr) gli aborigeni non hanno voce, non vengono consultati per le scelte politiche del governo, che continua a dividere la comunità nera . La nostra ricerca consiste nel denunciare tutte le violazioni dei diritti fondamentali umani e delle libertà contro gli aborigeni, per arrivare a un cambiamento nella giustizia sociale. Una volta fatta la ricerca e stabilito cosa vogliono gli aborigeni noi cominciamo ad agire, coinvolgendo a volte la chiesa, parlamentari, sindacati e tutti quei gruppi interessati a sostenere le nostre rivendicazioni come organizzazioni studentesche, per la conservazione dell'ambiente e le comunità aborigene, naturalmente, così possiamo avere la voce e la forza per costringere il governo a inserire nel suo programma le rivendicazioni aborigene. Il nostro principale lavoro è quindi fare campagne politiche per i diritti degli aborigeni, e non lo facciamo solo per l'Australia o per il Queensland, ma sosteniamo anche tutte quelle popolazioni indigene che non godono dei diritti fondamentali di libertà, ovunque ci sia oppressione e discriminazione. Non lavoriamo solo su una base nazionale, ma anche internazionale.

Quello che dici è molto interessante perché significa un coinvolgimento politico per gli aborigeni anche fuori dall'Australia, dove altrimenti sareste confinati in una ristretta visuale dei vostri problemi.
Fino a quindici, vent'anni fa non avevamo mai agito fuori dell'Australia. In questo grande paese c'era un altro mondo che era segreto, e al di fuori di questo paese nessuno è a conoscenza di quello che qui succedeva. Attraverso quello che noi stiamo facendo, costruendo cioè una rete di contatti con l'America e l'Europa e portando a conoscenza il problema aborigeno sul diritto alla terra, cerchiamo di coinvolgere tutti i gruppi di sostegno per i diritti degli indigeni e arrivare ad avere un gruppo di indigeni che ci rappresenti alle Nazioni Unite. Vogliamo una legislazione approvata dal comitato delle Nazioni Unite che deve essere poi accettata dai governi e ratificata. Ma le Nazioni Unite sono un apparato senza potere; tra tutti quei liberali non c'è un gruppo indigeno che ci rappresenti. Noi non abbiamo nessuna possibilità di rivalsa verso quei governi che continuano l'oppressione, la discriminazione e l'aggressione contro i popoli nativi, non possiamo dire "Dov'è quel controllo che le Nazioni Unite dovrebbero esercitare sui governi dell'Australia, Nicaragua, Salvador o Gran Bretagna per indurli a ripristinare i diritti umani basilari e le libertà fondamentali per gli indigeni?". La questione sulla supremazia è anche molto importante. Quando parliamo del diritto degli aborigeni alla loro autodeterminazione, sovranità sul paese o alla loro assoluta autonomia, alzano le braccia al cielo e rispondono "No, no, non possiamo permettere uno stato-nazione del popolo indigeno entro i confini dell'Australia".

Arriviamo proprio al nocciolo del problema. Cosa intendete per sovranità sulla terra, autodeterminazione, nazione aborigena? Intendete uno stato vostro? E come si configurerebbe?
Facciamo un passo indietro nella storia australiana. Quando il capitano James Cook è arrivato qui aveva precise direttive, che erano quelle di parlare con il popolo nativo e negoziare la terra. Ma quello che lui disse era che il paese era terra nullius, che significa non occupata, non posseduta. E questo divenne legge. Come possiamo non esistere quando il trenta per cento di noi si trova in prigione? Questo è il nodo politico centrale del problema. Non ci è mai stata riconosciuta la nostra sovranità e la società bianca non sa niente di tutto ciò. Per quanto una dichiarazione di principio redatta dal gruppo di lavoro di indigeni delle Nazioni Unite dica che per reclamare il diritto aborigeno alla terra è sufficiente aver avuto un piccolo insediamento, un conglomerato. La teoria della terra nullius non ha basi legittime e non può avanzare diritti sulla terra aborigena.
Noi non siamo mai stati cittadini di questo paese fino al 1967, quando abbiamo acquisito il diritto di essere contati, e quindi riconosciuti come esseri umani; per noi non è mai stato obbligatorio votare fino al 1983. Questa è la giusta ed equa società australiana, molto democratica. Noi vogliamo l'assoluta autonomia, vogliamo il controllo completo sulle nostre faccende. E con questo intendiamo nessuna interferenza esterna del governo federale o statale. E la prima cosa che il governo deve fare è ridarci indietro la terra che noi vogliamo, la nostra
terra originaria. Noi non vogliamo tutta la terra. Qui c'è altra gente ormai, ci sono europei, britannici e gente da altre nazioni, che non può certo tornare a casa, come possiamo quindi cooperare? Noi crediamo che sia possibile, ma non pensiamo di affidarci a questo sistema, noi non abbiamo l'abitudine di affidarci all'oppressiva legge australiana, perché è molto restrittiva e ci garantisce solo minimi diritti. Il minimo diritto possibile alla nostra terra. Il governo ci prende la terra, la dà alle compagnie minerarie che scavano in cerca di uranio. La terra è sacra, perché mio padre è in quella terra, mio nonno è sepolto là. Il loro sangue e le loro ossa appartengono
a quella terra, così come per i nostri antenati. La terra è nostra madre e nostro padre, e noi vogliamo solo la terra alla quale apparteniamo. Noi abbiamo l'obbligo verso i nostri discendenti di proteggere la madre che ci cresce.

Questa è la principale differenza con la cultura occidentale che considera la terra una proprietà da vendere, acquistare e sfruttare.
Sì, è esatto. Ma a un aborigeno non puoi vendere quella che è sua madre. Non siamo mai stati ricompensati per la perdita della nostra terra, la distruzione della nostra cultura, la rimozione dai nostri luoghi sacri. Sì, perché gli aborigeni furono rimossi dalle loro terre tradizionali e messi nelle riserve in condizione di segregazione, e questo processo di invasione continua tutt'oggi. Quando reclamiamo per i nostri diritti ci viene risposto che noi vogliamo creare uno stato separato, ma noi vogliamo solo che la nostra terra ci venga restituita, non vogliamo vivere in una prigione. Vogliamo mantenere la nostra cultura, religione, le nostre cerimonie e danze e la nostra legge.

Ma è con un atto legale che il governo australiano dovrebbe ridarvi indietro la terra...
Quando gli europei arrivarono, qui c'era una legge, ma non fu mai riconosciuta, non fu mai riconosciuto il popolo aborigeno.

Perché voi non eravate organizzati secondo i criteri occidentali, con uno stato, un esercito, la polizia, quindi non esistevate.
Esatto. Noi li abbiamo accettati perché all'inizio pensavamo che fossero gli spiriti che ritornavano alla terra. Fino a quando non cominciarono a prendere dalla terra cibo, piante, acqua, animali, senza dividere niente con noi. Così hanno infranto la legge aborigena, anche perché hanno rotto l'equilibrio ecologico e violato le regole claniche, secondo le quali tutto ciò che si trova in un determinato territorio appartiene al clan cui appartiene quel territorio.

In che modo il governo australiano dovrebbe ridarvi indietro la terra?
L'unico modo è riaverla indietro a pieno titolo. Perché talvolta abbiamo sì indietro pezzi di terra, ma dobbiamo permettere ad esempio alle compagnie minerarie di scavare. Se protestiamo, con un altro atto legale il governo ha il diritto di calpestarci e riprendersi indietro la terra. Noi non vogliamo essere soggetti alla legge europea, britannica, che è poi quella australiana, perché questo non significa soltanto distruzione della terra ma anche distruzione di un popolo, assimilazione culturale forzata. Gli aborigeni sono spesso costretti a vivere nelle città e così diventano fantasmi di sé stessi, devastati.
Ricapitolando, noi vogliamo indietro la nostra terra, una ricompensa per essa, la possibilità di mantenere le nostre cerimonie segrete, maschili e femminili, l'assoluto controllo sul patrimonio culturale aborigeno, la protezione delle nostre pratiche religiose e il controllo dell'accesso alle nostre terre, la possibilità per esempio di impedire alle compagnie minerarie di venire a scavare, e le terre ci devono essere ridate al loro primitivo stato naturale. Anche se è impossibile avere una ricompensa per l'estinzione di molte specie animali.

E cosa succederebbe a tutti quegli allevatori e agricoltori che oggi vivono su queste terre? Non li potete cacciare...
Guarda, loro hanno enormi territori per una famiglia, centinaia di migliaia di ettari. Il governo australiano pensa sia meglio dare questi chilometri quadrati alle pecore e ai buoi, piuttosto che agli aborigeni. Ma quello che fa il bestiame è di rovinare la terra. Pecore, buoi, cavalli, maiali sono tutti animali con gli zoccoli e calpestano la terra. Quando gli inglesi arrivarono qui, in Australia non c'erano questi animali; canguri, emu, goanna (slang australiano per iguana, ndr) sono tutti animali "soffici" che non rovinano il suolo. Adesso abbiamo pecore, asini, cavalli, bufali che distruggono la terra, e di conseguenza provocano una pericolosa aridità. Molti di questi allevatori vengono dagli Stati Uniti, non sono residenti in Australia, ma il governo dà loro la terra e concessioni per allevamenti, mentre non dà a noi nessun compenso per la sua distruzione, per la distruzione della nostra cultura. Uno dei più grossi problemi che abbiamo sono le malattie importate dai bianchi e la penetrazione della cultura degli hamburger e della Coca-Cola tra gli aborigeni.

E quella dell'alcol...
Sì , e questo è il più grosso e stiamo cercando di combatterlo. Ma anche l'interferenza della chiesa, della religione cristiana distrugge la nostra cultura, perché la sua "legge" è quella di non permettere le nostre cerimonie, i nostri canti. E poi ci sono gli archeologi, antropologi, anatomisti che ci portano via tutti i nostri sacri e segreti totem, li chiudono nei musei e mai ritorneranno a noi. È rimasto solo un piccolo numero di anziani che conosce tutte le canzoni, danze, cerimonie e le lingue. Se tutti i nostri oggetti non tornano indietro affinché noi possiamo insegnare ai nostri figli, tutti i vecchi moriranno e in sessanta/ottant'anni la cultura aborigena così come la conosciamo non esisterà più, grazie alla cultura dell'hamburger e della Coca-Cola, alle malattie, all'Aids, all'alcol, ai video, alla pornografia, alla violenza, che creano violenza specialmente all'interno delle mura domestiche. Noi vogliamo usare la nostra legge per impedire a tutte queste cose di penetrare nella nostra cultura e insegnare ai nostri figli quella aborigena. Ma vogliamo anche che ci sia data la possibilità di diventare medici o avvocati, così come l'hanno italiani, greci, vietnamiti, cinesi che tuttavia mantengono la loro cultura anche qui in Australia. Tutto questo è genocidio.

Molti aborigeni giudicano l'Australia uno stato di polizia. Quali sono le circostanze per questa affermazione? Ho letto ad esempio di aborigeni morti in prigione, so che la polizia aspetta fuori dei pub e arresta gli aborigeni, anche se non sono ubriachi, quando comunque non arresta i bianchi ubriachi, a meno che non commettano gravi infrazioni alla legge.
Nell'ultimo anno c'è stata una commissione per investigare su queste morti in prigione. Gli aborigeni muoiono nelle prigioni, e non per suicidio, ovviamente, ma dalle mani della polizia, del personale di guardia. E non solo muoiono nelle prigioni, ma anche fuori. Proprio qui, a Brisbane, un aborigeno è stato impiccato e gettato in un pozzo. Non è stato fatto niente, nessun aborigeno ha denunciato il fatto. Ma in questo paese il 30 per cento della popolazione aborigena è o è stata in prigione, che ha il tasso più alto nel mondo. La polizia arresta gli aborigeni che vivono nei parchi, o per offese minori, come parcheggio vietato, o vagabondaggio, se non hanno due dollari in tasca, bighellonaggio o linguaggio osceno quando sono ubriachi. Quando un poliziotto insulta un aborigeno con appellativi razzisti come "Nero bastardo"e questo si gira e lo colpisce con un pugno viene arrestato per insulto a pubblico ufficiale. I poliziotti violentano le donne aborigene dentro e fuori dalle prigioni. In Australia c'è una legislazione sui diritti umani, uguali opportunità e antidiscriminazione, ma non ha nessun potere, non ferma la gente che continua a discriminare. In città dell'interno gli aborigeni si siedono nella metà sinistra dei cinema e i bianchi in quella a destra. Nel nord del paese gli aborigeni devono passare dal retro o rimanere fuori dei pub, mentre i bianchi entrano dalla porta principale. In una città del New South Wales ci sono gabinetti pubblici per i bianchi, piscine per i bianchi, taxi per i bianchi. Agli aborigeni non è dunque permesso partecipare all'economia e alla società dei bianchi.
Qui a Brisbane, nella Valley (un sobborgo di città, abitato da molti italiani, ndr) se vai giovedì o venerdì o sabato in un pub che si chiama Prince Consort, alla fine della sera vedi tutti i bianchi che vanno sani e salvi a casa con il taxi, mentre la polizia con i cani aspetta gli aborigeni, li butta nelle macchine, li porta in prigione e poi scopri che qualcuno di loro è morto in prigione. Noi abbiamo avanzato molte richieste, ma il governo non le ha mai considerate. Una di queste è che un aborigeno non dovrebbe essere arrestato per ubriachezza. Il sistema giuridico non riconosce la legge aborigena e i nostri diritti, sulla base di un trattato. L'Australia è ancora l'unica formale colonia britannica che non ha mai riconosciuto i diritti del popolo indigeno. Come ti ho già detto, solo nel 1967 il governo federale ci ha riconosciuto nella sua costituzione, il che ci dà il diritto di essere contati nei censimenti e quello di voto, ma non la cittadinanza.

La cittadinanza? vuoi dire che non siete cittadini australiani?
No, e non la vogliamo sotto una legge coloniale.
La nostra gente soffre di lebbra, tubercolosi, non ha case, vive nel bush senza acqua, assistenza sanitaria, elettricità, dorme in vecchie macchine o sotto pezzi di lamiera, o semplicemente nel deserto coprendosi con la sabbia. Per quanto riguarda la nostra comunità, questo è un paese del quarto mondo. Il 75 per cento degli aborigeni è disoccupato, il nostro tasso di mortalità è cinque/sei volte maggiore di q uello nazionale, l'aspettativa di vita è di circa 46/50 anni. E pensa che il governo australiano sostiene i diritti di indipendenza dei nativi della Nuova Guinea e delle Fiji, applica sanzioni contro il Sudafrica! Quello che sta succedendo è che il governo cerca di rinchiuderci nei confini dell'Australia. Noi non saremo mai in grado di andare alle Nazioni Unite perché noi vogliamo andarci come governo aborigeno provvisorio, non vogliamo bianchi che ci rappresentino, vogliamo i nostri rappresentanti. Qui, nel sud del Pacifico, c'è un continente che è indigeno, non è parte della Gran Bretagna. Quando noi parliamo dei nostri diritti, il governo dice che facciamo parte di un complotto comunista.

Dopo il bicentenario dell'invasione dell'Australia (1988), il governo ha varato una politica multiculturale, attraverso la quale tende all'assimilazione di tutte le comunità di italiani, greci, vietnamiti, giapponesi, cinesi, che dovrebbero aderire alla cultura australiana, una cultura in parte da inventare, in un paese relativamente giovane, in cui la gente si chiede cosa significa essere australiano, qual è il suo senso di identità. Ci sono spazi per gli aborigeni?
La prima cosa che ti dico è che noi non siamo un'etnia emigrata da un'altra nazione, noi siamo sempre stati qui. L'Australia è sempre stato un paese molto razzista. Anche gli italiani, nella primissima ondata di immigrazione, ne hanno fatto le spese, nelle piantagioni di canna da zucchero, nel nord del Queensland, dove lavoravano quasi come schiavi. Chiunque appaia diverso da qualsiasi discendente degli inglesi è un wog, abo, coon, dago (slang con i quali gli australiani chiamano nell'ordine mediterranei e italiani, aborigeni - abo e coon -, e che sono particolarmente offensivi, mentre altri appellativi come yanks - americani -, chinks - cinesi -, reffo - rifugiati -, o slopes - asiatici - hanno un minore significato offensivo, ndr) per farti qualche esempio. Loro usano tutti questi termini diffamatori per continuare a proibirti psicologicamente di far parte del potere economicamente, socialmente e culturalmente.
In ogni caso, italiani e greci sono stati in grado di entrare a far parte di questo potere, il che va bene. Solo negli ultimi sei anni sono state create relazioni e gruppi di supporto tra greci, italiani, vietnamiti e aborigeni. Con la politica multiculturale, il governo comunque non ci dà il diritto di usare ad esempio le nostre cerimonie religiose. L'Australia cerca di fare bella figura a livello internazionale, ma di fatto forza l'integrazione di tutti i gruppi etnici per sostenere un sistema molto oppressivo, del quale noi non siamo e non vogliamo far parte. Il governo-fantasma del Queensland non ha stanziato nessun fondo per permetterci di continuare ad esistere, cerca di tenerci fuori da ogni struttura. C'era ad esempio il Department of Ethnic Affairs and Community Services in cui non c'era un indigeno!

Ma voi volete far parte di questa politica multiculturale?
No, perché è fatta per la gente che è emigrata in Australia. Noi non siamo emigrati, siamo sempre stati qui. Gli antropologi dicono che, seguendo la teoria evoluzionistica, noi siamo venuti dall'Africa. No, no, noi siamo sempre stati qui, non abbiamo mai invaso nessuno.

Quanto si sa fuori dell'Australia della condizione degli aborigeni oggi?
L'Europa è molto più consapevole di questo problema, che dell'Africa, l'America o i paesi dell'Est. Ma si tratta sempre di piccoli pezzi di informazioni che arrivano dalle missioni d'oltremare, con fotografie molto romantiche di aborigeni che abbracciano piccoli koala, canguri, e vivono felici e in buona salute nel bush, ma queste sono solo fotografie. Noi non abbiamo denaro, potere economico, non possiamo fornire informazioni, non abbiamo i mezzi per farlo. Abbiamo cercato di costruire una rete internazionale, ma non sempre funziona. Noi vogliamo, attraverso il governo aborigeno provvisorio, stabilire una strategia per rendere il paese più consapevole sulla situazione degli aborigeni.

Avete intenzione di lanciare una campagna politica?
Il problema principale è che tutte le organizzazioni aborigene come la nostra o il governo aborigeno provvisorio sono completamente dipendenti dai fondi economici stanziati dal governo e questo denaro non può essere usato per scopi politici. Quello che stiamo cercando di dire è che noi non vogliamo il denaro pubblico come elemosina, vogliamo essere compensati, poter usare e investire il nostro denaro, che ci è dovuto, e costruire la nostra indipendenza economica, provvedere alla nostra assistenza medica, al nostro servizio legale, scolastico, abitativo e alla nostra politica sociale e culturale. Fino a quando saremo totalmente dipendenti dal governo per il denaro, non potremo mai avere autodeterminazione, quindi non potremo mai fare una campagna politica. Il governo australiano ha dato cinque milioni di dollari (circa cinque miliardi di lire, ndr) all'African National Congress del Sudafrica per il loro partito politico, per permettergli di instaurare un governo paritario, ma niente agli aborigeni.

Cosa mi dici della gestione di Uluru, Ayers Rock?
(Ride) La gestione di Uluru è affidata a un comitato misto di organizzazioni commerciali - che si occupa della gestione degli hotel e affitto di macchine a quattro ruote motrici, ad esempio - , commissioni del governo e aborigeni. Pensa che è in atto una campagna contro gli aborigeni che afferma che il gruppo aborigeno a cui è stata ridata Uluru non è il gruppo giusto. Noi pensiamo venga dal governo Queensland, così può avere una base legale per non darci la possibilità di gestire direttamente i parchi aborigeni nazionali qui in Queensland.

Eppure Uluru viene portato ad esempio come il primo riconoscimento dei diritti aborigeni alla loro terra...
Questo è quello che il governo australiano ama dire. Ma quando noi vogliamo fermare l'afflusso turistico - si tratta di centinaia di migliaia di persone ogni anno - perché il paese viene distrutto da tutta questa gente che cammina sulla roccia sacra, che è sempre stata un segreto nella nostra cultura, il luogo del sogno dei nostri antenati, il governo minaccia di togliercela. Quando noi lì facciamo le nostre cerimonie, ci sono elicotteri di turisti, gente che fotografa i nostri dipinti sulla roccia. Un bel giorno guardiamo una rivista e vediamo pubblicati i nostri dipinti segreti...

Ahimè, anch'io ho fatto foto nel Kakadu National Park, posso essere perdonata? (cerco di giustificarmi) Ma manderò queste foto alla rivista...
Ma se gli scopi sono diversi... Quello che non vogliamo è che queste immagini ci vengano rubate per stampare poi manifesti, venderli e guadagnarci un sacco di soldi.

Quando ho deciso di venire per un anno in Australia, ho sognato di andare a Uluru, ma adesso... ho un po' di senso di colpa...
Forse è un bene che tu vada e veda in che condizione vive la nostra gente.

Un'ultima domanda. Quali sono i significati dei colori della vostra bandiera?
Il nero è il colore della pelle, il rosso della terra e il giallo è il sole che ci protegge.

Il ruolo delle donne

A colloquio con Helen Payne, antropologa.

Un'altra mattina di caldo torrido. Attraverso il fiume con il traghetto per raggiungere la Queensland University of Brisbane e penso alle domande che di lì a poco farò a Helen Payne, antropologa, studiosa dei canti cerimoniali delle donne aborigene. Helen traduceva per me quando ho incontrato il gruppo di donne Pitjantjatiara, venute a Brisbane per festeggiare il decimo anniversario del ritorno alla loro terra originaria, nel nord dello stato del South-Australia, vicino (relativamente parlando, considerate le distanze australiane) al luogo più sacro dell'intero popolo aborigeno, Ayers Rock, o meglio, Uluru. Il gruppo Pitjantjatiara ha riavuto la sua terra dal governo australiano senza alcuna restrizione di sorta, il che significa il pieno riconoscimento del loro diritto ancestrale su quella terra. Era stato praticamente impossibile sapere niente di più se non il significato delle danze e dei canti che avevano eseguito per noi, perché le sorelle Pitjantjatiara non potevano parlare di niente senza il consenso dell'intera comunità. Troppe volte questa gente è stata intervistata da giornalisti, antropologi, politici, che poi hanno pubblicato e quasi sempre travisato le loro dichiarazioni. Prima dell'incontro, mi era stato chiesto di non fare fotografie, per cui avrei in ogni caso chiesto il permesso. Così spero adesso di sapere qualcosa di più da Helen Payne.

Helen, tu lavori con alcuni gruppi di donne aborigene. Quali?
Sì , ho lavorato con il popolo Pitjantjatiara che risiede in New South Wales e South Australia, e più a nord nello stato del Northern Territory e a ovest in quello di Western Australia. Io ho lavorato maggiormente con i gruppi che abitano nell'area di Musgrove e Kidemorange e perlopiù nell'ambito della loro vita cerimoniale e rituale. Sono state pazienti insegnanti e mi hanno fatto capire cosa significa essere una di loro.

Mi puoi parlare brevemente della tua vita con loro e delle cerimonie femminili?
Quando dico che ho vissuto con questa gente voglio dire che ho mantenuto con loro un legame molto stretto. Ho iniziato seriamente questo lavoro nel 1974, anche se avevo cominciato ad avere contatti con questi gruppi nel 1971, andando per brevi periodi nella loro area e ospitando a mia volta alcune donne, così c'è stato una specie di scambio tra noi. Sono stata coinvolta nella loro vita cerimoniale e in alcuni dei loro riti, di cui ho scritto abbastanza ampiamente in alcune mie pubblicazioni. Ma la parte della vita cerimoniale aborigena che mi ha maggiormente interessata è stata quella dei riti segreti delle donne (di cui non posso parlare, se non per dire che ho preso parte a questi riti) che giocano un ruolo molto importante nel mantenere l'equilibrio nella vita del gruppo e che ogni gruppo riconosce importante nel normale svolgimento della vita di tutti. Le cerimonie percorrono il cammino degli esseri ancestrali e sostengono il potere sovrannaturale della vita; sanciscono e assicurano il benessere di tutta la vita quotidiana nella forma inanimata e animata in cui questa si presenta e permettono di cambiare questi aspetti secondo i desideri della gente che deve richiamare gli esseri ancestrali seguendo sentieri appropriati. Sia gli uomini che le donne hanno forme di cerimonie specializzate che coinvolgono i loro antenati, i canti della terra e i canti del popolo. "Cantare la gente" e "Cantare la terra" significa mantenere rapporti tra le persone in equilibrio e mantenere intatta la bilancia della natura, come pioggia o siccità, vegetali da raccogliere o scarsità, abbondanza di animali da cacciare o penuria. Ogni persona è mantenuta in equilibrio, cosi come ogni fenomeno vivente o non vivente presente nell'ambiente, attraverso il potere della vita cerimoniale.
Questa è quindi terribilmente importante per il futuro benessere di tutti. Le donne che presenziano le cerimonie non si aspettano risultati da queste, ma solo di dare un senso al loro essere al mondo attraverso "l'esserci" e ci sono diversi livelli in questo.

Hai detto che non puoi parlare delle cerimonie segrete femminili e non ti chiederò molto di più.
Vorrei solo sapere se sono in qualche modo legate al parto e alla magia.
Le cerimonie segrete femminili sono molto simili alle cerimonie "aperte", ma necessitano di un potere specifico che richiama a sua volta un bagaglio culturale specifico e hanno a che fare con i rapporti tra uomini e donne, bambini e donne e tra le diverse parti dei gruppi della comunità. Le cerimonie femminili attendono anche alla conservazione della terra e alla cura di malattie specifiche in atto o a particolari parti del corpo. Cosi le cerimonie segrete non sono molto diverse da quelle "aperte" se non perché richiedono "sentieri" da percorrere molto più difficili. Perciò viene usata molta prudenza per arrestare il potere straordinario usato per percorrere questi sentieri e accertarsi che le donne, che diventano esse stesse esseri ancestrali durante la cerimonia, tornino a uno stato terreno prima del loro rientro nella comunità in modo che non portino con sé il potere, che può essere usato contro altra gente. Una parte di questo potere può essere infatti usato sia per scopi malevoli che benevoli.
La questione del parto è spesso vista in relazione a canzoni specifiche sulle quali ho fatto molte domande alle donne con cui ho lavorato, anche alle più anziane, che non hanno però nessun ricordo di canzoni usate in quel particolare frangente. Il parto è vissuto come parte della vita quotidiana, al contrario di quanto accade nella cultura occidentale. Le donne aborigene sono molto pragmatiche al riguardo, perché se una donna incontra difficoltà nel travaglio, non è di canzoni che ha bisogno né tanto meno di cerimonie, quanto piuttosto di assistenza pratica e lavoro manuale. Impacchi di sabbia calda o magari sostenere la donna inginocchiata accanto al fuoco sono molto più importanti delle cerimonie, sebbene immagino che così come le donne hanno aiutato la madre con il loro lavoro pratico allo stesso modo avrebbero cantato. Ma il canto non sarebbe specificamente dedicato al parto, quanto piuttosto al tenerle unite spiritualmente mentre stanno lavorando per la madre. Non sono quindi a conoscenza di canzoni particolari per questo evento, anche se il dottor Katherine Ellis, che ha lavorato in un'area adiacente alla mia, ha raccolto canzoni legate al parto, ma io non sono stata in grado di identificarle sul campo.
Può darsi che lei, avendo lavorato durante gli anni sessanta, sia riuscita a parlare con le donne più anziane che ricordavano ancora quelle canzoni. o può essere una sua interpretazione.

Il parto è un evento controllato solo da donne?
Sì, il parto è strettamente gestito da donne, nessun uomo prende mai parte all'evento. La partoriente viene assistita dai membri più stretti della sua famiglia e il padre verrà informato solo del sesso del nascituro da una delle donne appositamente designata.

Mi puoi parlare brevemente del sistema giuridico aborigeno?
La legge viene chiamata in inglese "business" (affare, ndr.) ed è divisa in legge delle donne e legge degli uomini e fondamentalmente c'è molta partecipazione di un sesso nel sistema giuridico dell'altro, eccetto per le sentenze segrete. Ma se una donna prende parte a una cerimonia maschile, verrà giudicata secondo il sistema maschile. Essere giudicata secondo il sistema maschile è stato spesso visto come sottomissione all'uomo, che è in parte vero, ma questo è successo soprattutto perché etnologi e antropologi, uomini o donne, sono influenzati nella loro analisi dal modello culturale dominante, che è quello maschile. Questo punto di vista è stato recentemente corretto, osservando che quando sono le donne a officiare una cerimonia per un giudizio legale, la cerimonia appartiene totalmente a loro; gli uomini vi prendono parte cantando o battendo il ritmo, ma non danzando, e viceversa. Ma naturalmente, siccome è sempre stata osservata solo la metà maschile della società aborigena, alle donne è sempre stato attribuito un ruolo di secondo piano.

Se c'è una disputa tra un uomo e una donna, quale dei due sistemi giuridici verrà seguito? Chi emetterà il giudizio finale?
Se succede qualcosa tra un uomo e una donna, marito e moglie, per esempio, la donna consulterà un gruppo di donne pronto a ricevere le sue lamentele e ad aiutarla e un uomo farà altrettanto, presumo, perché essendo io una donna, non mi è stato possibile accedere alle cerimonie maschili. La situazione viene quindi corretta dalle donne attraverso le cerimonie appropriate. Poniamo che l'uomo si apparta sempre con un'altra donna e la moglie vuole invece correggere la situazione e riavere indietro il marito, il gruppo di donne rappresenterà una cerimonia a sua discrezione cantando il suo ritorno, così l'uomo starà con la moglie e smetterà di andare con un'altra donna. Nella letteratura aborigena questa è sempre stata infelicemente definita come "magia d'amore", perché penso che ad essa è sempre stata attribuita scarsa importanza. Ma quando le donne "cantano" il ritorno dell'uomo, è implicito il ritorno dell'uomo alla sua donna attraverso la sua terra, che come ben sai è il fulcro centrale della cultura aborigena.

Hai dati riguardo alla violenza tra le mura domestiche tra gli aborigeni?
Non ne so abbastanza da poter avere dati precisi.

Sono d'accordo con te che spesso il mondo femminile nelle popolazioni indigene è stato giudicato secondario o analizzato attraverso un modello culturale dominante maschile. Qual è invece il tuo punto di vista?
L'unica cosa che penso sia veramente importante è che il ruolo della donna tra gli aborigeni è sempre stato fondamentale nel mantenere in equilibrio la loro vita tradizionale e quotidiana, ma gli etnografi hanno sempre trascurato questo aspetto.
L'unico modo per correggere questo approccio sta nel rendere coscienti quegli etnografi che possono avere accesso alle informazioni del fatto che le cerimonie femminili sono tanto importanti quanto quelle maschili. Anche se poi c'è un livello di informazioni che non può essere raccolto da un uomo nell'ambito delle cerimonie femminili e viceversa.
Così è meglio che sia una donna a raccogliere informazione e a correggere l'immagine della società femminile aborigena, che non è la "continuazione" degli aspetti della vita maschile, né tanto meno marginale. Io penso che le donne non debbano essere trascurate.
Per esempio, il diritto alla terra deve essere inscritto nel registro demaniale e le donne vengono consultate per questo, così come gli uomini. Io penso che è molto importante per le donne avere l'accesso al potere decisionale e non essere viste come cittadine di second'ordine.

Vuoi dire che le donne sono responsabili per la terra?
Sì , le donne come gli uomini, giocano un ruolo molto importante nel rapporto della società aborigena con la terra. Sia le donne che gli uomini sono legati a luoghi particolari ed è importante che venga riconosciuto loro anche dal sistema giuridico bianco il diritto a quei particolari luoghi e venga trascritto il loro nome nel registro demaniale. Il diritto di accesso alla terra significa il riconoscimento del luogo e dei fenomeni rituali legati a quell'area. Significa così anche il riconoscimento del diritto d'accesso delle donne a particolare aree.

Vivendo con loro

A colloquio con Kevin Guy, attivista della Wilderness Society.

Quando l'idea di un servizio sulle condizioni attuali di vita degli aborigeni australiani ha cominciato a frullarmi in testa non sapevo a cosa andavo incontro. Sostanzialmente non ho trovato ostacoli a intervistare personaggi pubblici come Allan Sambono e Bob Weatherall, mentre è stato difficile, se non impossibile, parlare con le donne. Ma man mano che le cose andavano avanti, raccoglievo informazioni, mi addentravo nella complessa cultura aborigena e mi si schiarivano le idee sui delicati meccanismi di coesistenza tra i "neri" e i "bianchi" d'Australia, mi rendevo conto che avrei potuto riempire tre numeri della rivista. Ho dovuto fare delle scelte e così ho deciso di terminare il servizio con l'esperienza di lavoro di un bianco in una comunità aborigena. Kevin Guy, 28 anni, è un attivista del movimento ambientalista australiano e lavora nel gruppo Wilderness Society, una delle cinque organizzazioni australiane che agiscono a livello nazionale. In Australia ci sono circa duemila gruppi ambientalisti e di conservazione dell'ambiente che operano in differenti aree. Kevin ha lavorato nella penisola di Cape York, un'area di circa 200 mila chilometri quadrati, la parte più a nord dello stato del Queensland.

Kevin, come sei arrivato a lavorare a Cape York Peninsula?
Sono stato l'unico in Australia a lavorare a tempo pieno per la Wilderness Society in Cape York . La cosa più strana e che mi ha colpito veramente è stata realizzare che la parola wilderness (regione selvaggia e deserta, ndr) è un termine moderno e molto anglosassone. Il novanta per cento della popolazione che vive in quell'area è composto da aborigeni, che non ha un equivalente di wilderness nella sua lingua perché qualsiasi cosa ha un significato, un posto preciso. Così la prima cosa che ho dovuto fare è stata quella di spiegare il significato di wilderness. Ciò che mi ha cambiato lassù è stato il fatto di rendermi conto dell'"umanizzazione" dell'ambiente. E questo è un nuovo approccio che il movimento ecologico australiano ha con l'ambiente. Fino ad ora ci si era preoccupati degli alberi, degli animali, dell'inquinamento, senza prendere in considerazione le popolazioni che vivono nell'ecosistema. Così proprio a partire dal 1991 c'è stato molto dibattito, qui in Queensland soprattutto, portato avanti da me e da un paio di altre persone, proprio su questo argomento. Prendere in considerazione cioè il fattore umano nell'ambiente. Questo interesse mi viene principalmente dalla mia storia personale, guardandomi indietro e ripensando alla mia infanzia trascorsa in un'area dove la gente vive in armonia con la natura, e passata ad osservare come interagisce con essa e la relazione che ha con la terra. Questo mi avvicina molto dal punto di vista pratico alle comunità aborigene. Dal punto di vista teorico invece mi porta a studiare il rapporto di tutti i popoli indigeni nel mondo con il loro ecosistema.

Siamo solo noi che abbiamo ripudiato questo legame con l'ambiente...
Sai, un giorno stavo seduto nel bush con un uomo, osservando un magnifico paesaggio e lui mi chiese "Vuoi salvare quell'albero?", e risposi di sì. Allora mi chiese "Vuoi salvare questa foresta?", e io dissi "Sì, certo, vorrei veramente salvare questa foresta". E allora lui mi rispose "Guarda, tu devi diventare quella foresta prima di fare qualsiasi cosa. Devi sentire attraverso la terra il tuo senso di identità, capire da dove vieni. Ognuno ha diritto alla terra". E questa è stata una cosa che per la prima volta mi ha fatto pensare, perché io non so da dove vengo. Una volta che lo scopro, perché il mio spirito è in quella terra, potrò capire più chiaramente dove voglio dirigermi. Per avere un senso di identità adesso devo guardarmi indietro attraverso le generazioni precedenti. L'uomo nel bush allora cominciò a chiedermi da dove venivano i miei genitori, e i genitori dei miei genitori, e così via, e io a fatica ho tentato di spiegarglielo. Allora lui mi disse "Non mi stupisce che non sai chi sei".

Quali sono le tue origini?
Mia madre viene da una regione a ovest di Mount Isa e mio padre da Cairns, a nord del Queensland (una distanza di circa 800 chilometri l'uno dall'altro, ndr), ma i miei nonni vengono dall'America, da Israele, dal Galles e dall'Inghilterra.

Capisco cosa vuoi dire. Un problema comune a molti australiani. Tu cosa ti senti? Un aborigeno ti direbbe che devi tornare alla tua terra d'origine per avere il tuo senso d'identità. Ma dove?
Hai ragione. Infatti sai che gli australiani viaggiano molto, e io credo che sia per questo. Noi vogliamo tornare in uno dei posti dove possiamo scoprire chi siamo. Per quanto mi riguarda, ancora non lo so, lo scoprirò in un prossimo futuro. A nessun australiano non aborigeno, e quando dico "non aborigeno" intendo bianco di origine anglosassone, greco, italiano, della mia generazione, cioè sotto i trent'anni, è mai stato insegnato niente circa la cultura aborigena. Chiunque voglia capire qualcosa al riguardo lo fa individualmente, se gli interessa, e principalmente dopo la scuola dell'obbligo. Così tutti gli attivisti che oggi lavorano con le comunità aborigene lo fanno anche per imparare la storia di questo paese, e la cultura di questo paese, che è la più antica sulla faccia della Terra.

È interessante quello che dici, perché mi sembra una delle strade che gli australiani dovrebbero percorrere per scoprire il loro senso di identità, che è un problema molto sentito. I colonizzatori non hanno
riconosciuto la cultura aborigena e hanno cercato di distruggerla. Oggi la maggior parte della popolazione non aborigena, sebbene dopo molte generazioni, ancora non sa cosa la lega a questa terra.

Vedi, il problema dell'Australia è che noi non siamo stati onesti circa quello che abbiamo fatto qui. E oggi ancora non facciamo niente. L'Australia è l'unico paese del Commonwealth che non ha trovato un accordo con la popolazione indigena, che non ha fatto uno sforzo per riconoscere i possessori tradizionali di questo paese.

Torniamo a Cape York Peninsula... a questi ultimi tre mesi..
In realtà lavoro a Cape York Peninsula da due anni, andando avanti e indietro. Sono appena tornato da Kowanyama, che era una missione fondata dalla chiesa anglicana e si chiamava Mitchell River Mission; nel 1986 fu riconosciuto alla gente che viveva là il diritto ad avere il proprio Consiglio amministrativo di comunità. Così il nome venne cambiato. Quando all'inizio di questo secolo fu fondata questa missione, tutta la gente appartenente a diverse comunità fu messa insieme, incatenata. Quello che successe puoi immaginarlo: prendi persone che vengono da diversi gruppi tribali e che nelle loro terre erano nazioni indipendenti, mettile insieme dicendo loro "voi dovete vivere qui". Donne, uomini e bambini sono stati separati e messi a vivere in diverse aree con regole molto repressive.
Kowanyama è un posto molto interessante perché si trova nella parte sud della costa occidentale di Cape York Peninsula, un territorio piatto che si affaccia sul golfo di Carpentaria e che ospita la foce del Mitchell River, che è il secondo fiume australiano per lunghezza. Il Consiglio della comunità, circa tre anni fa, decise di gestire in proprio le risorse del fiume. Fu aperto quindi un ufficio sotto il nome di Aboriginal Lands and Natural Resources Management Offices. In Kowanyama ci sono quattro gruppi tribali diversi e questo ufficio è gestito dal gruppo degli anziani che prende tutte le decisioni.
Ma la cosa più interessante è che Kowanyama si ispirò per questa esperienza ad un altro gruppo di indigeni, indiani del nord-ovest degli Stati Uniti, nello stato di Washington, i Lami, che vollero a un certo punto autogestire il loro fiume costruendo un'industria basata sul salmone come risorsa naturale.
Alcuni anziani di Kowanyama sono stati là, alcuni indiani Lami sono stati in Cape York e così gli aborigeni di Kowanyama hanno deciso di seguire l'esempio Lami perché Mitchell River è ricco di barramundi (un pesce molto pregiato, ndr) e hanno pensato di poter fare affari per molti milioni di dollari (miliardi di lire, ndr). Ma la prima cosa da fare era disinquinare il fiume, perché lungo il Mitchell River ci sono miniere d'oro, pascoli e piantagioni di tabacco. Così con gli aborigeni è stato deciso di formare un gruppo per questo lavoro iniziale, e questa è la prima esperienza in Australia. Tieni presente che stiamo parlando del secondo fiume australiano e di un lavoro di pulizia che va fatto dalle montagne alla foce, il che significa un'area più grande dello stato della Tasmania.

Che credo abbia un grosso valore per il governo federale di Canberra...
Sì, certo. Le compagnie minerarie devono smettere di scavare, gli allevatori di allevare bestiame e le società legate all'industria del tabacco di usare pesticidi. Così tutta questa gente deve cominciare a cambiare. E quello che i Kowanyama faranno non sarà certo uno show ad uso e consumo dei bianchi, ma si alzeranno in piedi e diranno "Ehi, noi vogliamo gestire questa terra che è nostra, e vogliamo farlo con tutti voi, ma rispettateci come aborigeni e come imprenditori". Nella storia dell'Australia, e ancora oggi, non c'è mai stato il riconoscimento di nessuna iniziativa imprenditoriale indipendente aborigena. Fino al 1967 agli aborigeni che lavoravano negli allevamenti di bestiame o nelle miniere non venivano pagati salari. Gli esploratori arrivati qui duecento anni fa, e anche in questo secolo, non sarebbero andati da nessuna parte senza gli aborigeni a mostrare loro la via per attraversare il paese, per trovare cibo e acqua. Noi non abbiamo ancora riconosciuto l'importanza che le comunità aborigene in tutta l'Australia hanno avuto per lo sviluppo del paese. Abbiamo ancora questa visuale ristretta da esploratori bianchi che hanno costruito il paese, mentre è un fatto naturale che il paese è degli aborigeni. Oggi questa comunità sta cercando di costruire un'industria che gli dia occupazione, denaro, professionalità. Il denaro darà loro la possibilità di tornare indietro alla terra che tradizionalmente apparteneva a loro, dove possono ricostruire di nuovo la loro comunità, far valere i loro diritti sulla loro terra, parlare la loro lingua, ridiventare indipendenti.

Sarebbe questa la prima volta che una comunità aborigena si autogestisce ed è completamente padrona del proprio denaro. Mi sembra che ci sia una differenza con quello che avviene a Uluru, dove tutto quello che riceve la comunità sono 85.000 dollari l'anno, e ancora una volta dal governo.
Sì, a Uluru, Ayers Rock, è diverso. Kowanyama vuole che gli sia riconosciuto il diritto a gestire un'impresa. Fino al 1985 era una comunità dipendente dal governo, ma ancora oggi ricevono soldi dal governo, pur avendo una gestione propria della comunità. Questo loro progetto di autogestione economica soddisfa diversi livelli: quello sociale, culturale ed economico. Tornando a gestire in proprio la loro terra, la comunità avrà il controllo su ciò che accade, autodeterminazione e indipendenza economica.

Qual è stata la reazione delle compagnie minerarie, degli allevatori, dei coltivatori di tabacco e delle società commerciali di pesca?
I pescatori hanno visto tutti i benefici che da questa operazione deriverebbero loro, perché nel golfo di Carpentaria c'è una delle maggiori produzioni di gamberi e barramundi e hanno quindi capito che la degradazione del sistema fluviale di Mitchell River stava avendo un effetto negativo sulla loro pesca.
Hanno sostenuto la comunità Kowanyama, anzi, all'inizio avrebbero dovuto lavorare insieme. Comunque la situazione non è così brutta come per gli indiani Lami, in nord America, dove c'è stato uno scontro aperto con i pescatori commerciali di salmone. Qui non c'è stato niente del genere perché tutto sta avvenendo a piccoli passi. Il consiglio degli anziani ha compreso l'idea in generale, sanno cosa vogliono essere nel futuro, ma hanno anche capito che devono cooperare con i pescatori. Questo richiederà del tempo, ma è l'unico modo in cui si può
evitare un fallimento e fare sì che ognuno si senta parte dell'iniziativa, senza che nessuno si senta minacciato dagli aborigeni, o pensi che improvvisamente questa gente sia diventata come un grosso proprietario terriero, perché per molti bianchi australiani questa è la paura paranoica.

Come sono stati i tuoi rapporti con la comunità? Come sei stato accettato?
Lavorare con una comunità aborigena è un continuo apprendimento. Quando ho iniziato ho creduto di imboccare la strada giusta: ho scritto al consiglio della comunità, poi ho telefonato, dicendo che stavo arrivando, che avrei voluto parlare con certa gente di alcuni problemi che sapevo l'avrebbe interessata, ho spiegato chi ero. Sono arrivato in questa comunità e nessuno era là, nessuno voleva parlarmi. Così mi sono seduto per cinque giorni aspettando e aspettando e alla fine quando si sono resi conto che non me ne sarei andato, sono venuti a parlarmi. In altre comunità sono stato accolto con ostilità, ma fondamentalmente se dimostri di essere onesto, alla fine vieni accettato. Sai, molte comunità sono state visitate da bianchi, soprattutto del governo, che arrivavano, promettevano e non mantenevano mai le promesse, o semplicemente non le mettevano al corrente circa le decisioni prese per le loro terre, o addirittura decidevano prima di parlare con loro. Bisogna che tu parli con loro prima di prendere qualsiasi decisione, metterli al corrente di quello che stai facendo, provare che ti impegni in prima persona nel mantenere fede alle promesse, credo che in Cape York Peninsula si possano fare due cose: una è migliorare l'ambiente, che sta piuttosto velocemente degradandosi e l'altra è migliorare le condizioni di vita degli aborigeni della comunità, fornendo loro la possibilità di migliorare professionalmente, creare occupazione. Mi sono veramente scocciato quando all'inizio gli aborigeni si aspettavano che io facessi tutto per loro. Ma io sono stato chiaro, dicendo che ero incazzato. Se loro non volevano capire quello che stavo cercando di fare e di insegnare loro, mentre io dovevo imparare continuamente da loro, non avrebbe funzionato.

Ci deve essere uno scambio reciproco di culture, sono d'accordo, un'apertura da ambo le parti.
Infatti. Vedi, io non sono un aborigeno, non lo sarò mai. Posso entrare solo fino a un certo punto nella loro cultura, poi cercare di aiutarli, ma la maggior parte del lavoro deve essere fatta da loro. Quello che mi piace di Kowanyama è che anche loro vogliono imparare da me, mi chiedono di insegnare loro da dove vengo. Sfortunatamente la maggior parte della gente interessata era formata dagli anziani ma spero nel futuro che anche i giovani prendano parte attivamente al progetto.

La situazione della gente di Kowanyama mi sembra migliore di altre comunità. Soprattutto se paragonata a quella degli aborigeni che vivono in città, persi, lontani dalle loro terre, senza il senso della loro vita, preda dell'alcol. Ci sono gli stessi problemi a Kowanyama?
Per me è difficile parlare di queste cose, perché non so se dovrei farlo. Credo questi siano problemi che riguardano la comunità e dei quali dovrebbe parlare essa, se vuole. Ma non credo di poter essere io a farlo. Sai, posso solo dire che a Kowanyama ci sono quattro gruppi tribali diversi che erano stati portati via dalle loro terre.
E oggi, dopo generazioni, ci sono difficoltà nelle relazioni sociali. Poi ogni comunità ha problemi diversi. Comunque sì , alcol, violenza domestica, abusi sui bambini, sono problemi reali, che non saranno risolti a meno che sia la comunità a volerlo, a fare qualcosa.
Non ci si può aspettare che i burocrati bianchi siano in grado di risolvere queste cose fino a quando non è la comunità a compiere uno sforzo. I poms (slang australiano per inglese, leggermente spregiativo, ndr) hanno fatto il bello e il cattivo tempo per oltre duecentosessant'anni ed è solo da cinque-sei anni che Kowanyama ha il suo consiglio di comunità.
Non puoi pensare che le cose cambino in una notte. Prendi l'esempio della comunità di Arakoon, nella costa occidentale di Cape York Peninsula. Le donne di quella comunità si erano stufate dei loro uomini sempre ubriachi e siccome sono proprio le donne che controllano il Consiglio (credo che una volta fosse una comunità matriarcale), una delle prime cose che hanno fatto è stata quella di chiudere il pub. Cosa è successo? Nella comunità ha cominciato a circolare grog (slang australiano per definire alcol diluito, in genere rum e acqua, ndr), e questo sta causando un altro problema. Non credo di poter dire di più.

Qual è la tua opinione sul futuro?
Io credo che in questo paese la cultura aborigena avrà, e già sta avendo, una rinascita, che se poi la vai a vedere meglio nella loro storia orale, fa parte del loro concetto di tempo circolare, delle cose che ritornano. La cultura aborigena diventerà quindi molto più dominante. Ma per i non aborigeni è più difficile, perché non puoi costringerli a imparare e capire l'"altra" cultura. Credo che la rinascita della cultura aborigena farà diventare l'Australia un paese molto più ricco. Io mi sento molto arricchito dalla mia esperienza, soprattutto dalla cerimonia avvenuta due settimane fa, alla quale ho potuto partecipare, in cui il gruppo si è spostato in aperta campagna e ha cantato e chiamato gli antenati della loro terra tradizionale.
Io ho sentito che era un posto stupendo nel quale vivere, e vorrei che tutti avessero l'opportunità di provare queste emozioni. Ma sai, l'Australia è un paese fondamentalmente xenofobico. Sai che molti australiani sono terrorizzati dal fatto di essere invasi dall'Indonesia. Io mi chiedo perché, visto che siamo stati noi i primi a invadere un paese che non era nostro, e per il quale non abbiamo ancora riconosciuto i diritti alla popolazione indigena, e nel quale ancora occupiamo terre non nostre.
Non è meglio dire "Sediamoci e vediamo di discutere come possiamo convivere"? Sai, il mondo diventa sempre più piccolo, non c'è abbastanza spazio per tutti, e questo è un problema ecologico e sociale. Gli australiani dicono "Questo è il nostro paese e nessuno può venire qui", dimenticando che sono stati i primi invasori di questo paese.

Ma dopo duecento anni, credo sia difficile per tutti ammettere cosa è stato fatto allora e pagare ancora per questo...
Io non mi sento legato a quello che è successo qui duecento anni fa, e non mi sento di pagare per questo. Gli aborigeni non mi sputano addosso per ciò che è successo due secoli fa, e nemmeno lo accetterei. Cerco di essere sempre molto chiaro su questo. Non voglio pagare per i poms, ma posso riconoscere il diritto all'autodeterminazione degli indigeni. Loro vogliono solo che vengano riconosciuti i loro diritti sulle loro terre, e per questo saranno felici.

(Grazie a Craig, di Kalkaningi, Allan, Bob, Helen, Kavin e ai compagni anarchici Fiona e Brian, di Brisbane, per la loro collaborazione)

Governo australiano: quale politica multiculturale

Nel luglio 1988 il Commonwealth Government australiano, il governo federale con sede a Camberra, varò il programma multiculturale nell'ambito di una politica interetnica che si dovrebbe distinguere dalla politica sull'immigrazione e che non dovrebbe avere parte nella selezione di nuovi immigrati.
La definizione del governo della National Agenda for a Multicultural Australia si basa su tre punti fondamentali:
- identità culturale: il diritto di tutti gli australiani, entro limiti accuratamente definiti, di esprimere e condividere il loro patrimonio culturale individuale, inclusa la loro lingua originaria e religione;
- giustizia sociale: il diritto di tutti gli australiani a un equo trattamento e opportunità, inclusa la rimozione di barriere razziali, etniche, culturali, religiose, di lingua, sesso o paese di provenienza;
- efficienza economica: la necessità di mantenere, sviluppare e utilizzare perizia e talenti di tutti gli australiani, senza discriminazioni.
I limiti della politica multiculturale sono stati così esplicitati:
"La politica multiculturale è basata sulla premessa che ogni australiano deve avere un impegno predominante verso il paese, ai suoi interessi e al suo futuro;
la politica multiculturale richiede a tutti gli australiani di accettare la struttura e i principi base della società australiana, quali la Costituzione, il sistema giuridico, tolleranza ed eguaglianza, democrazia parlamentare, libertà di parola e di religione, l'inglese come lingua nazionale ed uguaglianza tra i sessi;
la politica multiculturale impone obblighi così come conferisce diritti; il diritto di ognuno di esprimere la propria cultura e credo coinvolge una reciproca responsabilità nell'accettare i diritti degli altri nell'esprimere i loro valori e punti di vista".
Nel 1988, durante le celebrazioni per il Bicentenario dell'arrivo degli inglesi in Australia, l'allora primo ministro laburista Bob Hawke così si espresse nella risposta a cosa significa essere australiano:
"Cosa ci lega, nella nostra generazione, con le generazioni che sono arrivate qui in passato? Non è solo il fatto che da 200 anni a questa parte siamo stati una nazione di immigrati. Non è solo perché dividiamo questo vasto continente come la nostra casa. Non è solo perché condividiamo l'eredità di ciò che è stato costruito qui in questi 200 anni e non è solo per il comune legame alle istituzioni, lingua e cultura. Nell'Australia di oggi la nostra vera diversità è la crescente sorgente di ricchezza, vitalità e forza della nostra comunità. Tutto ciò che ho appena menzionato definisce la figura del carattere australiano e della sua identità. Ma dietro a questo rimane ancora la domanda: cosa significa essere australiano? E la risposta è: l'impegno all'Australia e al suo futuro. E' questo comune impegno che lega gli australiani nati qui da sette o otto generazioni e tutti gli individui nati in qualsiasi dei 130 paesi di cui il nostro popolo è composto. In Australia non c'è gerarchia di stirpe: non ci deve essere privilegio di origine. L'impegno è tutto".