Rivista Anarchica Online
Diamanti, profughi, golpe
di Gianni Sartori
Il recentissimo colpo di stato (fine di aprile) in Sierra Leone sembra essersi
concluso in breve tempo (quasi
senza spargimento di sangue) con la fuga del presidente Joseph Momoh in Guinea. Il potere è stato
preso in
mano da un Consiglio Nazionale provvisorio composto da 18 militari e da 4 civili, presieduto dal capitano
Valentine Strasser. Come era prevedibile, la repressione si è inasprita e le recenti aperture verso il
multipartitismo nuovamente rinviate sine die. Anche recentemente si era tornati a parlare con insistenza di un
referendum popolare per decidere in proposito e si era giunti a votare nel Parlamento (in mano al partito unico
APC) per un rinnovo della Costituzione per ammettere l'esistenza di più partiti. I saccheggi e i
disordini verificatisi in alcune città (soprattutto a Freetown) in coincidenza con il golpe hanno
mostrato un diffuso e finora latente sentimento di ostilità nei riguardi del gran numero di profughi dal
sud.
Ovviamente i rifugiati diventano anche il comodo capro espiatorio per i ben più gravi disagi, che le
truppe
provocano alla popolazione. Gli abusi di ogni genere da parte dell'esercito ormai non si contano più.
E' comunque rilevante che a scatenare il golpe siano state le richieste di un aumento delle paghe da parte
delle
truppe impegnate contro i "ribelli". Proprio da questa lunga "guerra dimenticata" che insanguina da tempo il
sud del paese derivano i maggiori problemi della Sierra Leone. Una guerra che, al di là della propaganda
delle
diverse fazioni, ha per posta soprattutto i ricchi giacimenti di diamanti. A pagarne il prezzo è, come
al solito, la popolazione civile. Almeno dall'anno scorso, da quando è stata resa nota
l'attività di "ribelli" nel sud della Sierra Leone (sostenuti dalle forze del Fronte Nazionale Patriottico
della
Liberia) non c'è stato un attimo di tregua per le popolazioni inermi di Kenema, Bo e Pujehun. Le
offensive dei
"ribelli" si sono susseguite per impadronirsi dei ricchi distretti minerari della zona. Secondo quanto riportano
i fuggiaschi (sempre più numerosi) dalle zone occupate dai "ribelli" è intenzione di questi ultimi
tagliare in due
la Sierra Leone, impadronendosi delle zone economicamente più ricche, sia quelle che producono i
"raccolti
commerciali" che quelle minerarie. Fin dall'inizio era loro intenzione impadronirsi innanzitutto delle importanti
miniere di Kono e Tongo Field, centri economici fondamentali delle provincie orientali e meridionali della
Sierra Leone. A loro non sembrano interessare altre zone del paese. Se fossero riusciti ad occupare Daru
completamente, con le sue caserme e i suoi armamenti, probabilmente
sarebbero già riusciti nel loro intento. Charles Taylor può sentirsi soddisfatto: già
controllava praticamente il
90% delle aree economicamente vitali della Liberia e ora ha saputo condurre i "ribelli" da lui sostenuti ad
impadronirsi di buona parte di quella che viene considerata la "stanza economica dei bottoni" della
Sierra
Leone. L'ingente ricchezza che ne deriva favorirà certamente le ulteriori fortune del capo militare.
Già era presente nella
proficua rete di contrabbando che si diramava da Tongo Field; ora con la presenza dei "ribelli" nell'area
beneficerà ulteriormente dei notevoli traffici di diamanti, legname e "raccolti commerciali" (cash crops)
attraverso la Liberia verso il Burkina Faso e la Costa d'Avorio. Già prima dell'attuale guerra civile
in Sierra Leone, il contrabbando dei diamanti in Liberia rendeva (secondo
le stime ufficiali) almeno 100 milioni di dollari all'anno. Se i ribelli saranno in grado di trasportare regolarmente
il loro bottino (e questo dipenderà dal grado di controllo militare che saranno in grado di esercitare sul
territorio)
le entrate per il NPFL (National Patriotic Front of Liberia) saranno ancora maggiori. A Freetown le
autorità
della Sierra Leone temono il peggio: l'offensiva dei "ribelli" mette in seria discussione la stabilità
economica
e politica dell'intero paese. Infatti, nonostante il contrabbando, il settore minerario della Sierra Leone gioca un
ruolo vitale nel tenere insieme la fragile economia del paese (nel Rapporto Mondiale sullo Sviluppo del 1991
la Sierra Leone risulta uno dei paesi più poveri del mondo). Tra l'altro fornisce lavoro (più di
25.000 posti) alla
scarsamente qualificata manodopera locale. L'unica speranza per il governo di Momoh è l'aiuto di alcuni
paesi
stranieri (Nigeria, Stati Uniti, Gran Bretagna, Arabia Saudita...). Questi aiuti potrebbero garantire una vittoria
militare "sul campo" contro i "ribelli" o almeno il mantenimento delle posizioni. L'arrivo di contingenti di
truppe nigeriane (condotte dal Col. David Ndifor) è stato accolto calorosamente l'anno scorso. Non
si può escludere che l'azione congiunta delle truppe della Sierra Leone, della Nigeria e della Guinea
possano realizzare l'obiettivo primario del governo: riprendersi i territori perduti. Continuano inoltre gli aiuti
americani: i C-141 scaricano aiuti di varia natura (non esclusivamente "umanitari"). Si tratta soprattutto di
apparecchiature militari (definite "non letali"), di forniture mediche, di apparecchiature per comunicazioni
radio... Ufficialmente si tratta di un'azione degli USA per "migliorare la mobilità delle forze armate
della Sierra Leone"
contro quella che l'ambasciatore USA in Sierra Leone definisce "un'aggressione dei contendenti della guerra
civile in Liberia contro la Sierra". In questi termini almeno si esprime Mr Gary Maybarduk. Naturalmente il
traffico d'armi, più o meno clandestino, è quantomai florido. Anche la "lslamic Relief
Organisation of Saudi
Arabia" ha donato cibo per milioni di dollari ai profughi rifugiatisi nella vicina Guinea per sfuggire ai
combattimenti. Secondo la relazione dei Vescovi della Sierra Leone sulla situazione post-invasione dei
"ribelli" liberiani,
attualmente ci sarebbero più di 200.000 profughi raccolti nei campi alla periferia di Freetown; circa
60.000 a
Kenama e Bo (sfollati dai villaggi della zona); 200.000 profughi a Kailhaun (dove parte si ferma e parte
prosegue verso la Guinea); più di 200.000 profughi infine si sono rifugiati in Guinea. Comunque,
nonostante gli aiuti stranieri, la tattica guerrigliera dei ribelli sembra dare buoni risultati. I costi
umani sono naturalmente altissimi: in un solo recente attacco durato poche ore ad uno sperduto villaggio si sono
contati decine di caduti e parecchi dispersi. E questo avviene quasi quotidianamente. D'altra parte è
risaputo
che una parte della popolazione collabora con i "ribelli" nelle province occupate. Anche recentemente alcuni
insegnanti sono stati arrestati per aver fornito ai "ribelli" precise indicazioni (carte geografiche con dettagli
aggiunti a mano) sulle possibili vie di fuga dalle zone strategicamente più importanti. Attualmente la
situazione
non è chiara: per esempio i ribelli dichiarano di tenere la città, strategicamente di primaria
importanza, di Daru;
altrettanto dichiara l'esercito. Probabilmente entrambi dicono una parte di verità: i "ribelli" tengono
Daru Town,
le truppe Daru Barracks. A dividerli sarebbe soltanto il fiume Moa. Secondo quanto riportato da alcune
agenzie, il capo dei "ribelli", Foday Sankoh, si sarebbe vantato di controllare
vaste aree dei distretti minerari. L'intera zona di Pujehun e le città e i villaggi lungo il fiume Moa sono
state per
lungo tempo interamente sotto il controllo del NPFL. I combattenti di Sankoh, sostenuto dal NPFL, avrebbero
ancora il controllo di Fairo e Sulima, sempre nel distretto di Pujehun. I portavoce dell'esercito invece
smentiscono le dichiarazioni dei "ribelli", e sostengono che tutte queste aree, inclusi Tongo Fields e Wei Town
sono state riprese dalle truppe governative. Anche da parte loro si cerca l'appoggio della popolazione. Per es.
in molte località vengono distribuite munizioni ai cacciatori locali (oltre ad un sostegno finanziario)
affinché
collaborino con le truppe nel respingere i "ribelli". Sempre secondo alcune agenzie, peraltro solitamente ben
informate, le truppe alleate (della Nigeria, della Guinea e della Sierra Leone) in molte zone starebbero per avere
il sopravvento. Dopo aver respinto i gruppi ribelli si lascerebbero alle spalle consistenti retroguardie per
addestrare unità civili (definite di "autodifesa") in vista di futuri attacchi. Inevitabile riconoscere in
queste
operazioni lo stile nordamericano di contro-guerriglia. Scontri particolarmente sanguinosi si sono avuti
ultimamente nel distretto di Seindumai. Sembra che
precedentemente i ribelli avessero fatto uso di "armi finte" per terrorizzare gli abitanti di alcuni villaggi, poi
saccheggiati. Questo almeno è quanto dichiara il ministro della difesa. Sempre stando alle sue
dichiarazioni tutto
il territorio compreso tra Bandajuma e Futa Gbejeh sarebbe stato "disinfestato dai ribelli". Tra tanta incertezza
l'unico dato sicuro è quello delle sofferenze indicibili cui sono
sottoposte le popolazioni civili. Ci ha detto
in proposito un missionario saveriano (che resta anonimo dovendo rientrare in Sierra Leone): "I Diritti Umani?
Sistematicamente calpestati e violati. Se uno delle zone che erano in mano ai ribelli viene catturato dalle truppe
sierraleonesi e non riesce a convincere i soldati di aver fatto tutto il possibile per scappare viene sommariamente
giustiziato. Prima c'è la tortura, poi l'interrogatorio.
Seguono alcuni giorni di carcere e infine l'esecuzione. Non
ci sono registri, si scompare sempre senza nemmeno una prova".
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