Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 192
giugno 1992


Rivista Anarchica Online

Riscoprire Kropotkin
di Alessio Vivo

Nel dibattito in corso su autonomismo, crisi degli stati centralizzati, spinte federaliste, elementi di grande interesse sono forniti dalla rilettura di alcuni classici dell'anarchismo

Anche il più "sprovveduto" fra coloro che amano dire per comodità, o sono costretti a dire, che non si intendono di politica, si sarà accorto che si è aperta un'epoca di rinascita delle autonomie, delle libertà locali, dei corpi particolari insediati sul territorio.
Gli Stati nazionali unitari centralizzati moderni sono ridotti a scheletri, gli imperi accentratori si disgregano. Nella pietosa conclusione della loro esperienza storica è coinvolta inevitabilmente anche la marcescente concezione giacobino-bolscevica dello Stato, con la sua visione accentrata e la sua esasperata idea di sovranità. Risorgono ovunque le tendenze federalistiche, come in quella "primavera" che Pjotr Kropotkin aveva ripetutamente annunciato nei suoi scritti: "L'avvenire appartiene alla libera associazione degli interessi e non all'accentramento governativo". Al contrario di tutte le altre concezioni socialiste o comuniste, oggi quella del federalismo libertario e particolarmente kropotkiniano, per l'intransigente difesa dei principi di autonomia e di libertà, è l'unica a rivelarsi giovane e, grazie a queste nuove tendenze, ha la conferma e marcia nel senso della storia. Infatti oggi come non mai crolla irrimediabilmente il mito dell'"unità", da cui "sfociò" anche l'ideologia dell'"unità nazionale", maschera fittizia di cui si sono serviti bande di politici nella loro lotta per il potere nell'ambito dello Stato nazionale unitario.
Quel mito era stato elaborato dagli ideologi della monarchia assoluta francese, i teologi del '600. Per essi l'unità era comunque "meglio" della pluralità e della molteplicità. Sulla base di quel mito (fondato su un vero e proprio "atto di fede", perché chi dice, ancora oggi, che a quel principio si deve obbedire?) immobilistico (dall'unità del partito con la sua relativa ferrea disciplina e conseguentemente dello Stato) si sono fondate dapprima le concezioni giacobine, poi socialistiche del secolo scorso, a incominciare da Cabet, quindi il bolscevismo. Per Lenin il problema era di "mettere a profitto lo Stato moderno", evidentemente sfruttando anche la sua struttura. Kropotkin aveva già ammonito che il conflitto fra marxisti e bakuninisti era "il conflitto necessario fra principi del federalismo e i principi del centralismo". Egli intravvedeva perfettamente il tramonto dello Stato nazionale unitario, quell'epoca nella quale sarebbero sorte tendenze verso la spontanea associazione su base territoriale: "...Una nuova vita che ricomincia, in mille e mille posti, basata sul principio dell'iniziativa vivace dell'individuo, dei gruppi, basata sulla libera intesa" (1).
L'idea di "nazione", mirabile finzione poi deificata, generata dal nazionalismo di quegli scaltri uomini politici che tentavano di aggregare a sé un seguito che poi trasformeranno presto in sudditi, si basa sul dogma assurdo dell'"uniformità": la presunzione che debba predominare solo una delle affinità (la più inconsistente) e costituire la base dell'aggregazione politica "Stato nazionale". Quell'idea prende a giustificazione una solidarietà immaginaria a cui tutti i particolarismi devono essere perentoriamente sacrificati, per poter dominare tutti gli ambiti territoriali e i più svariati settori della vita dei cittadini. Quella pseudo-solidarietà (non a caso oggi tanto di moda nella propaganda che difende lo Stato nazionale e autentico pretesto, poiché passa sempre attraverso lo Stato centrale, che decide quali modalità deve avere!) si rovescia in realtà in ""Nessun obbligo morale diretto verso il tuo vicino e nemmeno obbligo di solidarietà, (poiché) tutti i tuoi obblighi sono verso lo Stato " (2).

A partire da Proudhon
Nasce da qui quell'amministrazione centralizzata e autoritaria che Kropotkin nei suoi spostamenti asiatici aveva imparato ad odiare; un dominio sempre più insopportabile che nello Stato nazionale unitario ignora le esigenze delle singole regioni, povere o ricche, sottopone tutti ad una disciplina omogeneizzante, e soprattutto impedisce che le persone possano prendere in mano il proprio destino per creare uno sviluppo autonomo. E' lo Stato (cioè il gruppo di uomini che detiene il potere, e non un ordinamento astratto) che crea la "nazionalità" e "il sentimento nazionale", solo con un prolungato e autoritario esercizio del potere politico e dell'amministrazione, che costringono i governati in un "frullatore", calpestandone le diversità sostanziali e le aspirazioni. Oggi però la crisi di questo dominio tendenzialmente totalitario è avvenuta grazie all'accrescersi dei rapporti fra i singoli e i gruppi, al differenziarsi dei bisogni, cosa che rende sempre più difficile alla razza padrona degli Stati nazionali continuare a gestire il potere "direttamente"" su tutti e su tutto (un carattere totalitario, che non era certo proprio solo dei regimi fascisti o "comunisti" dell'Est-Europa).
Nessuno potrebbe negare che nell'anarchismo, a partire da Proudhon, il federalismo diventi una visione globale e profonda dei rapporti politici, non riducendosi a considerare solo l'aspetto istituzionale, ma divenendo atteggiamento autonomo verso i valori, la politica, la società, il corso della storia. Ma non solo. Tanto importante è nella teoria di Proudhon l'aspetto federale, radicalmente autonomista e anti-Stato nazionale, che egli stesso arriverà a sostenere perfino i gesuiti nella loro campagna in favore dell'autonomia cantonale nella guerra civile svizzera del 1846. La coerenza proudhoniana sfocerà poi, pur andando contro quegli ideali che sembravano allora rivoluzionari, nell'attacco contro l'unificazione italiana, giustamente vista come l'imposizione artificiosa e autoritaria di un'unità inesistente per una popolazione tanto varia ed eterogenea. Proudhon sapeva, come poi Kropotkin, che solo unità minime possono combattere l'apparato amministrativo centrale, sottoporre l'esercizio del potere ad un controllo più diretto, dare anche nel peggiore dei casi maggiori possibilità agli individui di partecipare direttamente e con continuità al processo di formazione delle decisioni. Fu proprio Proudhon che per primo denunciò la bruciante verità che la "divisione dei poteri" e il suffragio popolare in una struttura statale così rigidamente accentrata sono ridotti a vuote formule giuridiche. Come oggi riconoscono non senza ammirazione anche i più seri studiosi della politica, fu Proudhon il primo che, mentre si diffondeva l'illusione che il miglior equilibrio avrebbe potuto essere garantito fondando interamente l'Europa su basi nazionali, con straordinaria lungimiranza scrisse che la miscela esplosiva della fusione fra Stato e nazioni avrebbe accentuato vertiginosamente le divisioni internazionali, trasformando le lotte fra i popoli in sterminio di razze.
Così, se si legge la realtà politica dal lato delle comunità particolari, singole, si capisce anche la dinamica perversa dello Stato nazionale, il quale non può giustificare il suo calpestare le particolarità delle singole comunità in altro modo che con il "diritto di conquista" (infatti nessuno ha mai firmato alcun "patto di incorporazione" nello Stato nazionale). Inoltre si spiega perché nello Stato nazionale unitario si ha sempre una falsa "sovranità popolare" (che alla sua base deve avere innanzitutto il diritto di stare con chi si vuole). Quindi si spiega anche la dinamica dei rapporti internazionali: quali sono le forze reali che determinano l'antagonismo fra gli Stati.
Kropotkin ha seguito coerentemente l'insegnamento proudhoniano ed oggi, a partire dagli anni '80, il risorgere dappertutto dell'etica pluralistica, della libera volontà di associazione, della difesa (ecologia!) della propria nicchia territoriale, gli dà ragione. Per Kropotkin, com'è noto, il processo di formazione dello Stato nazionale autoritario e centralizzato inizia con la soppressione delle istituzioni comunali e con la Rivoluzione francese, rullo compressore di qualsiasi prospettiva pluralistica e comunitaria (si pensi al motto: "Unité- indivisibilité de la Republique"!). Lo stesso individuo subisce la regolamentazione della vita in tutti i minimi dettagli. Cosa, questa, che non esisteva nelle comunità che Kropotkin ha in mente (ad esempio i comuni liberi, impregnati di spirito federativo), in cui anche l'individuo "Tendeva a prendere da sé stesso l'iniziativa per unirsi, creare un'intesa grande o piccola, che rispondeva a ogni bisogno" (3). Ma "le città erano destinate a morire (sotto il peso dell'azione livellatrice dello Stato) in quanto le idee degli uomini erano cambiate"(4). Ci sarebbe da chiedersi: non sono forse oggi quelle idee che risorgono?

La Russia imperiale è morta
"L'europeo del XII secolo era essenzialmente federalista. Uomo di libera iniziativa, di libera intesa, di unioni spontanee (nelle quali) vedeva il punto di partenza di tutta le società. Non cercava la salvezza nell'obbedienza"(5). Lo spirito che Kropotkin individuava nell'Unione lombarda "con cassa federale custodita a Genova e a Venezia" (6), nelle federazioni tedesche, nell'unione renana (di 60 città), ma soprattutto nelle città russe che più resistettero all'autorità regale accentratrice, (per esempio Novgorod), era quella della federazione, quello delle unioni libere contrattate, che lo Stato non può né riconoscere né tollerare. Kropotkin già vedeva quello spirito che oggi sta rinascendo: la sostanza di confederazioni libere, a tempo limitato (e non certo "eterne", come lo Stato nazionale pretende di essere), soggette e condizionate a un reciproco consenso (si pensi alla CSI russa). Non più dunque sottomissione e disciplina in convivenze segnate da ingiustificate costrizioni omogeneizzanti, ma unioni libere e dirette. Kropotkin descriveva correttamente il processo storico, quando vedeva l'evoluzione verso lo Stato moderno nel passaggio comuni-piccoli Stati-Stato nazionale.
Su questa sequenza si basava anche il suo ideale comunalista, che prevedeva il processo inverso ("La storia non è mai stata un'evoluzione ininterrotta: a più riprese l'evoluzione si è fermata in questa o quella regione per cominciare di nuovo") (7). Ora, è chiaro che il processo in senso contrario è iniziato quasi ovunque e in certi casi è in uno stadio avanzato. Fin dove potrà spingersi? Kropotkin aveva già intravisto la tendenza verso il ricostituirsi di autonomie basantisi sul mutuo accordo e sul riconoscimento dei bisogni infinitamente diversi e sempre mutevoli di ogni località; autonomie atte a combattere la piovra dell'accentramento statale (8). Nei "Zapiski Revolutionera"" ("Memorie di un rivoluzionario") si ha la mirabile descrizione della pletorica burocrazia figlia dello stato accentrato e del regime rappresentativo, che divorano l'autonomia decisionista legata alle singole realtà. Descrizione che è anche la più lucida denuncia dei costi e dello sfruttamento che comporta uno Stato centralizzatore che estenda enormemente, come lo Stato nazionale, le sue attribuzioni: la popolazione è costretta innanzitutto a mantenere un esercito sterminato di funzionari (necessariamente incompetenti, per l'ignoranza naturale dei problemi locali) e di loro clienti. Per Kropotkin occorreva innanzitutto soddisfare il primo bisogno di libertà: quello di autonomia e federalismo, soddisfatto solo da libere unioni attente ai bisogni comuni: "La libertà di sviluppare i propri costumi, di organizzare la propria esistenza secondo le proprie aspirazioni, (sulla base) dei caratteri fisici del proprio territorio e del proprio passato storico" (9).
Kropotkin aveva previsto quello che sarebbe accaduto all'impero russo poi sovietico: "La Russia imperiale è morta". L'avvenire delle diverse provincie sarà verso una federazione. Ma di che tipo? "Tutti i tentativi per ridurre le parti costituenti dell'Impero russo, Finlandia, provincie baltiche, Ucraina, Georgia, Armenia, sotto un'autorità centrale sono votate al fallimento. L'avvenire di ciò che fu l'impero russo è verso una federazione di unità indipendenti". Egli sapeva anche che "Ci vogliono forze locali specializzate le quali possono vincere le difficoltà che si affacciano per i diversi problemi economici nei loro aspetti locali".

Come diceva Berneri
Quando Kropotkin partecipò alla conferenza di Mosca della Lega dei federalisti nel 1918, per studiare un assetto federale coerente per la Russia e l'impero, era troppo presto per impedire che il regime bolscevico fosse la logica conseguenza dello Stato imperiale zarista accentrato. Oggi però, come come aveva previsto Camillo Berneri (10) l'opera di Kropotkin su questo tema centrale torna a brillare. La sua attualità è impressionante. Si obietterà giustamente che quello di Kropotkin era un federalismo integrale. Ma proprio per questo, perché è il più autentico e forse l'unico possibile (l'"autonomismo unitario" è irrealizzabile) questa idea non andrebbe lasciata in mano ad altre forze che potrebbero fermarsi alla seppur sacrosanta autonomia "etnografica". Ormai tutte le spinte autonomiste andrebbero appoggiate ad oltranza, senza pensarci due volte, si trattasse anche dei Gesuiti di Proudhon. Poiché questo è il vero aspetto rivoluzionario del presente: lo sfasciarsi della dittatura degli stati nazionali accentrati unitari. Chiunque non li combatta, come vanno combattuti i nazionalisti di ogni risma, laici, cattolici, che oggi rappresentano la vera e più retriva conservazione, è contro la storia. L'anarchismo ha già sofferto abbastanza per essersi isolato dal tempo presente e, come diceva Berneri, per l'aver provocato l'allontanarsi da lui di tanta gioventù come ci si ritrae da un romanticismo sterile o da un dottrinarismo cristallizzato.
La tradizione federalista più coerente gli appartiene e deve rivendicarla, poiché questa è la specificità del suo carattere. "Bisogna ritornare al federalismo! Non per adagiarsi sul divano delle parole dei maestri, ma per creare il federalismo rinnovato e irrobustito dallo sforzo di tutti i capaci" (11). Va riscoperto forse il ruolo degli anarchici di "liberali e federalisti del socialismo"(12), poiché l'utopismo collettivista anti-liberale ad oltranza, con la sua crisi non ha certo travolto la principale specificità della missione libertaria (quella federale), che oggi gli consente di "incuneare la sua azione nelle fratture della società che muore e non nelle costruzioni aprioristiche degli architetti del futuro" (13).

Il colmo dell'ironia
Presto, molto presto la tomba di Pjotr Kropotkin (oggi ricoperta di folte erbacce nel cimitero moscovita di Novodjevici per i sospetti che fino a ieri sarebbero ricaduti su chi si fosse accinto anche solo a tagliarle) tornerà ad essere quel luogo d'incontro che con il suo corso ha voluto la storia. Il colmo dell'ironia sarebbe che di fronte ad essa si trovassero sprovveduti, perché incapaci di vedere la strada che ad essa si è aperta, contrassegnata di segnali che indicano la giustezza della sua idea federale, proprio i suoi nipoti e coloro che si sono sempre ritenuti i suoi continuatori.

1) P. Kropotkin - Lo Stato e il suo ruolo storico, Catania 1981 ,71. Camillo Berneri diceva: "L'antitesi che mi pare inevitabile sarà: comunismo dispotico centralizzatore o socialismo federalista liberale. C. Berneri - Pietrogrado 1917 , Barcellona 1937 , Catania 1990, 169.
2) P. Kropotkin - Lo Stato, 68.
3) P. Kropotkin - Lo Stato, 35.
4) P. Kropotkin - Lo Stato, 51
5) P. Kropotkin - Lo Stato, 51.
6) P. Kropotkin - Lo Stato, 56.
7) P. Kropotkin - Lo Stato, 71.
8) P. Kropotkin - L'anarchia, la sua filosofia e il suo ideale, Catania 1983, 40.
9) In: "Pensiero e Volontà", 1.2.1926.
10) C. Berneri - Pietrogrado.
11) C. Berneri - Pietrogrado, 56.
12) C. Berneri - Pietrogrado, 60.
13) C. Berneri - Pietrogrado, 55