Rivista Anarchica Online
Riscoprire Kropotkin
di Alessio Vivo
Nel dibattito in corso su autonomismo, crisi degli stati centralizzati, spinte federaliste, elementi di grande
interesse sono forniti dalla rilettura di alcuni classici dell'anarchismo
Anche il più "sprovveduto" fra coloro che amano dire per
comodità, o sono costretti a dire, che non si intendono
di politica, si sarà accorto che si è aperta un'epoca di rinascita delle autonomie, delle
libertà locali, dei corpi
particolari insediati sul territorio. Gli Stati nazionali unitari centralizzati moderni sono ridotti a scheletri,
gli imperi accentratori si disgregano.
Nella pietosa conclusione della loro esperienza storica è coinvolta inevitabilmente anche la marcescente
concezione giacobino-bolscevica dello Stato, con la sua visione accentrata e la sua esasperata idea di
sovranità.
Risorgono ovunque le tendenze federalistiche, come in quella "primavera" che Pjotr Kropotkin aveva
ripetutamente annunciato nei suoi scritti: "L'avvenire appartiene alla libera associazione degli interessi e non
all'accentramento governativo". Al contrario di tutte le altre concezioni socialiste o comuniste, oggi quella del
federalismo libertario e particolarmente kropotkiniano, per l'intransigente difesa dei principi di autonomia e di
libertà, è l'unica a rivelarsi giovane e, grazie a queste nuove tendenze, ha la conferma e marcia
nel senso della
storia. Infatti oggi come non mai crolla irrimediabilmente il mito dell'"unità", da cui "sfociò"
anche l'ideologia
dell'"unità nazionale", maschera fittizia di cui si sono serviti bande di politici nella loro lotta per il
potere
nell'ambito dello Stato nazionale unitario. Quel mito era stato elaborato dagli ideologi della monarchia
assoluta francese, i teologi del '600. Per essi l'unità
era comunque "meglio" della pluralità e della molteplicità. Sulla base di quel mito (fondato su
un vero e proprio
"atto di fede", perché chi dice, ancora oggi, che a quel principio si deve obbedire?) immobilistico
(dall'unità del
partito con la sua relativa ferrea disciplina e conseguentemente dello Stato) si sono fondate dapprima le
concezioni giacobine, poi socialistiche del secolo scorso, a incominciare da Cabet, quindi il bolscevismo. Per
Lenin il problema era di "mettere a profitto lo Stato moderno", evidentemente sfruttando anche la sua struttura.
Kropotkin aveva già ammonito che il conflitto fra marxisti e bakuninisti era "il conflitto necessario fra
principi
del federalismo e i principi del centralismo". Egli intravvedeva perfettamente il tramonto dello Stato nazionale
unitario, quell'epoca nella quale sarebbero sorte tendenze verso la spontanea associazione su base territoriale:
"...Una nuova vita che ricomincia, in mille e mille posti, basata sul principio dell'iniziativa vivace dell'individuo,
dei gruppi, basata sulla libera intesa" (1). L'idea di "nazione", mirabile finzione poi deificata, generata dal
nazionalismo di quegli scaltri uomini politici
che tentavano di aggregare a sé un seguito che poi trasformeranno presto in sudditi, si basa sul dogma
assurdo
dell'"uniformità": la presunzione che debba predominare solo una delle affinità (la più
inconsistente) e costituire
la base dell'aggregazione politica "Stato nazionale". Quell'idea prende a giustificazione una solidarietà
immaginaria a cui tutti i particolarismi devono essere perentoriamente sacrificati, per poter dominare tutti gli
ambiti territoriali e i più svariati settori della vita dei cittadini. Quella pseudo-solidarietà (non
a caso oggi tanto
di moda nella propaganda che difende lo Stato nazionale e autentico pretesto, poiché passa sempre
attraverso
lo Stato centrale, che decide quali modalità deve avere!) si rovescia in realtà in ""Nessun
obbligo morale diretto
verso il tuo vicino e nemmeno obbligo di solidarietà, (poiché) tutti i tuoi obblighi sono verso
lo Stato " (2).
A partire da Proudhon Nasce da qui quell'amministrazione centralizzata e
autoritaria che Kropotkin nei suoi spostamenti asiatici aveva
imparato ad odiare; un dominio sempre più insopportabile che nello Stato nazionale unitario ignora le
esigenze
delle singole regioni, povere o ricche, sottopone tutti ad una disciplina omogeneizzante, e soprattutto impedisce
che le persone possano prendere in mano il proprio destino per creare uno sviluppo autonomo. E' lo Stato
(cioè
il gruppo di uomini che detiene il potere, e non un ordinamento astratto) che crea la "nazionalità" e "il
sentimento nazionale", solo con un prolungato e autoritario esercizio del potere politico e dell'amministrazione,
che costringono i governati in un "frullatore", calpestandone le diversità sostanziali e le aspirazioni.
Oggi però
la crisi di questo dominio tendenzialmente totalitario è avvenuta grazie all'accrescersi dei rapporti fra
i singoli
e i gruppi, al differenziarsi dei bisogni, cosa che rende sempre più difficile alla razza padrona degli Stati
nazionali continuare a gestire il potere "direttamente"" su tutti e su tutto (un carattere totalitario, che non era
certo proprio solo dei regimi fascisti o "comunisti" dell'Est-Europa). Nessuno potrebbe negare che
nell'anarchismo, a partire da Proudhon, il federalismo diventi una visione globale
e profonda dei rapporti politici, non riducendosi a considerare solo l'aspetto istituzionale, ma divenendo
atteggiamento autonomo verso i valori, la politica, la società, il corso della storia. Ma non solo. Tanto
importante è nella teoria di Proudhon l'aspetto federale, radicalmente autonomista e anti-Stato
nazionale, che
egli stesso arriverà a sostenere perfino i gesuiti nella loro campagna in favore dell'autonomia cantonale
nella
guerra civile svizzera del 1846. La coerenza proudhoniana sfocerà poi, pur andando contro quegli ideali
che
sembravano allora rivoluzionari, nell'attacco contro l'unificazione italiana, giustamente vista come l'imposizione
artificiosa e autoritaria di un'unità inesistente per una popolazione tanto varia ed eterogenea. Proudhon
sapeva,
come poi Kropotkin, che solo unità minime possono combattere l'apparato amministrativo centrale,
sottoporre
l'esercizio del potere ad un controllo più diretto, dare anche nel peggiore dei casi maggiori
possibilità agli
individui di partecipare direttamente e con continuità al processo di formazione delle decisioni. Fu
proprio
Proudhon che per primo denunciò la bruciante verità che la "divisione dei poteri" e il suffragio
popolare in una
struttura statale così rigidamente accentrata sono ridotti a vuote formule giuridiche. Come oggi
riconoscono non
senza ammirazione anche i più seri studiosi della politica, fu Proudhon il primo che, mentre si
diffondeva
l'illusione che il miglior equilibrio avrebbe potuto essere garantito fondando interamente l'Europa su basi
nazionali, con straordinaria lungimiranza scrisse che la miscela esplosiva della fusione fra Stato e nazioni
avrebbe accentuato vertiginosamente le divisioni internazionali, trasformando le lotte fra i popoli in sterminio
di razze. Così, se si legge la realtà politica dal lato delle comunità particolari,
singole, si capisce anche la dinamica
perversa dello Stato nazionale, il quale non può giustificare il suo calpestare le particolarità
delle singole
comunità in altro modo che con il "diritto di conquista" (infatti nessuno ha mai firmato alcun "patto di
incorporazione" nello Stato nazionale). Inoltre si spiega perché nello Stato nazionale unitario si ha
sempre una
falsa "sovranità popolare" (che alla sua base deve avere innanzitutto il diritto di stare con chi si vuole).
Quindi
si spiega anche la dinamica dei rapporti internazionali: quali sono le forze reali che determinano l'antagonismo
fra gli Stati. Kropotkin ha seguito coerentemente l'insegnamento proudhoniano ed oggi, a partire dagli anni
'80, il risorgere
dappertutto dell'etica pluralistica, della libera volontà di associazione, della difesa (ecologia!) della
propria
nicchia territoriale, gli dà ragione. Per Kropotkin, com'è noto, il processo di formazione dello
Stato nazionale
autoritario e centralizzato inizia con la soppressione delle istituzioni comunali e con la Rivoluzione francese,
rullo compressore di qualsiasi prospettiva pluralistica e comunitaria (si pensi al motto: "Unité-
indivisibilité de
la Republique"!). Lo stesso individuo subisce la regolamentazione della vita in tutti i minimi dettagli. Cosa,
questa, che non esisteva nelle comunità che Kropotkin ha in mente (ad esempio i comuni liberi,
impregnati di
spirito federativo), in cui anche l'individuo "Tendeva a prendere da sé stesso l'iniziativa per unirsi, creare
un'intesa grande o piccola, che rispondeva a ogni bisogno" (3). Ma "le città erano destinate a morire
(sotto il
peso dell'azione livellatrice dello Stato) in quanto le idee degli uomini erano cambiate"(4). Ci sarebbe da
chiedersi: non sono forse oggi quelle idee che risorgono?
La Russia imperiale è morta "L'europeo del XII secolo era
essenzialmente federalista. Uomo di libera iniziativa, di libera intesa, di unioni
spontanee (nelle quali) vedeva il punto di partenza di tutta le società. Non cercava la salvezza
nell'obbedienza"(5). Lo spirito che Kropotkin individuava nell'Unione lombarda "con cassa federale custodita
a Genova e a Venezia" (6), nelle federazioni tedesche, nell'unione renana (di 60 città), ma soprattutto
nelle città
russe che più resistettero all'autorità regale accentratrice, (per esempio Novgorod), era quella
della federazione,
quello delle unioni libere contrattate, che lo Stato non può né riconoscere né tollerare.
Kropotkin già vedeva
quello spirito che oggi sta rinascendo: la sostanza di confederazioni libere, a tempo limitato (e non certo
"eterne", come lo Stato nazionale pretende di essere), soggette e condizionate a un reciproco consenso (si pensi
alla CSI russa). Non più dunque sottomissione e disciplina in convivenze segnate da ingiustificate
costrizioni
omogeneizzanti, ma unioni libere e dirette. Kropotkin descriveva correttamente il processo storico, quando
vedeva l'evoluzione verso lo Stato moderno nel passaggio comuni-piccoli Stati-Stato nazionale. Su questa
sequenza si basava anche il suo ideale comunalista, che prevedeva il processo inverso ("La storia non
è mai stata un'evoluzione ininterrotta: a più riprese l'evoluzione si è fermata in questa
o quella regione per
cominciare di nuovo") (7). Ora, è chiaro che il processo in senso contrario è iniziato quasi
ovunque e in certi
casi è in uno stadio avanzato. Fin dove potrà spingersi? Kropotkin aveva già intravisto
la tendenza verso il
ricostituirsi di autonomie basantisi sul mutuo accordo e sul riconoscimento dei bisogni infinitamente diversi e
sempre mutevoli di ogni località; autonomie atte a combattere la piovra dell'accentramento statale (8).
Nei
"Zapiski Revolutionera"" ("Memorie di un rivoluzionario") si ha la mirabile descrizione della pletorica
burocrazia figlia dello stato accentrato e del regime rappresentativo, che divorano l'autonomia decisionista
legata alle singole realtà. Descrizione che è anche la più lucida denuncia dei costi e
dello sfruttamento che
comporta uno Stato centralizzatore che estenda enormemente, come lo Stato nazionale, le sue attribuzioni: la
popolazione è costretta innanzitutto a mantenere un esercito sterminato di funzionari (necessariamente
incompetenti, per l'ignoranza naturale dei problemi locali) e di loro clienti. Per Kropotkin occorreva innanzitutto
soddisfare il primo bisogno di libertà: quello di autonomia e federalismo, soddisfatto solo da libere
unioni
attente ai bisogni comuni: "La libertà di sviluppare i propri costumi, di organizzare la propria esistenza
secondo
le proprie aspirazioni, (sulla base) dei caratteri fisici del proprio territorio e del proprio passato storico"
(9). Kropotkin aveva previsto quello che sarebbe accaduto all'impero russo poi sovietico: "La Russia
imperiale è
morta". L'avvenire delle diverse provincie sarà verso una federazione. Ma di che tipo? "Tutti i tentativi
per
ridurre le parti costituenti dell'Impero russo, Finlandia, provincie baltiche, Ucraina, Georgia, Armenia, sotto
un'autorità centrale sono votate al fallimento. L'avvenire di ciò che fu l'impero russo è
verso una federazione
di unità indipendenti". Egli sapeva anche che "Ci vogliono forze locali specializzate le quali possono
vincere
le difficoltà che si affacciano per i diversi problemi economici nei loro aspetti locali".
Come diceva Berneri Quando Kropotkin partecipò alla conferenza
di Mosca della Lega dei federalisti nel 1918, per studiare un assetto
federale coerente per la Russia e l'impero, era troppo presto per impedire che il regime bolscevico fosse la logica
conseguenza dello Stato imperiale zarista accentrato. Oggi però, come come aveva previsto Camillo
Berneri
(10) l'opera di Kropotkin su questo tema centrale torna a brillare. La sua attualità è
impressionante. Si obietterà
giustamente che quello di Kropotkin era un federalismo integrale. Ma proprio per questo, perché
è il più
autentico e forse l'unico possibile (l'"autonomismo unitario" è irrealizzabile) questa idea non andrebbe
lasciata
in mano ad altre forze che potrebbero fermarsi alla seppur sacrosanta autonomia "etnografica". Ormai tutte le
spinte autonomiste andrebbero appoggiate ad oltranza, senza pensarci due volte, si trattasse anche dei Gesuiti
di Proudhon. Poiché questo è il vero aspetto rivoluzionario del presente: lo sfasciarsi della
dittatura degli stati
nazionali accentrati unitari. Chiunque non li combatta, come vanno combattuti i nazionalisti di ogni risma, laici,
cattolici, che oggi rappresentano la vera e più retriva conservazione, è contro la storia.
L'anarchismo ha già
sofferto abbastanza per essersi isolato dal tempo presente e, come diceva Berneri, per l'aver provocato
l'allontanarsi da lui di tanta gioventù come ci si ritrae da un romanticismo sterile o da un dottrinarismo
cristallizzato. La tradizione federalista più coerente gli appartiene e deve rivendicarla,
poiché questa è la specificità del suo
carattere. "Bisogna ritornare al federalismo! Non per adagiarsi sul divano delle parole dei maestri, ma per
creare il federalismo rinnovato e irrobustito dallo sforzo di tutti i capaci" (11). Va riscoperto forse il ruolo degli
anarchici di "liberali e federalisti del socialismo"(12), poiché l'utopismo collettivista anti-liberale ad
oltranza,
con la sua crisi non ha certo travolto la principale specificità della missione libertaria (quella federale),
che oggi
gli consente di "incuneare la sua azione nelle fratture della società che muore e non nelle costruzioni
aprioristiche degli architetti del futuro" (13).
Il colmo dell'ironia Presto, molto presto la tomba di Pjotr Kropotkin (oggi
ricoperta di folte erbacce nel cimitero moscovita di
Novodjevici per i sospetti che fino a ieri sarebbero ricaduti su chi si fosse accinto anche solo a tagliarle)
tornerà
ad essere quel luogo d'incontro che con il suo corso ha voluto la storia. Il colmo dell'ironia sarebbe che di fronte
ad essa si trovassero sprovveduti, perché incapaci di vedere la strada che ad essa si è aperta,
contrassegnata di
segnali che indicano la giustezza della sua idea federale, proprio i suoi nipoti e coloro che si sono sempre
ritenuti i suoi continuatori.
1) P. Kropotkin - Lo Stato e il suo ruolo storico, Catania 1981 ,71. Camillo Berneri diceva: "L'antitesi che
mi pare
inevitabile sarà: comunismo dispotico centralizzatore o socialismo federalista liberale. C. Berneri -
Pietrogrado 1917 ,
Barcellona 1937 , Catania 1990, 169. 2) P. Kropotkin - Lo Stato, 68. 3) P. Kropotkin - Lo Stato,
35. 4) P. Kropotkin - Lo Stato, 51 5) P. Kropotkin - Lo Stato, 51. 6) P. Kropotkin - Lo Stato,
56. 7) P. Kropotkin - Lo Stato, 71. 8) P. Kropotkin - L'anarchia, la sua filosofia e il suo ideale, Catania
1983, 40. 9) In: "Pensiero e Volontà", 1.2.1926. 10) C. Berneri - Pietrogrado. 11) C.
Berneri - Pietrogrado, 56. 12) C. Berneri - Pietrogrado, 60. 13) C. Berneri - Pietrogrado, 55
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