Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 188
febbraio 1992


Rivista Anarchica Online

Nuovi arrivi in redazione
di Paolo Finzi

Due nuovi arrivi dal Nord-Est, tutti e due decisamente interessanti. Iniziamo con il n. 57 di Germinal, la storica testata anarchica triestina (nell'ultimo periodo usciva una o due volte l'anno - una, tradizionalmente, in occasione del 1° maggio). Da questo numero - si legge a pag .2 - il Germinal cambia pelle. Muta i suoi orizzonti formali, allarga i suoi orizzonti mantenendo tuttavia, come ben spiegato nell'altro editoriale, le sue lontane e storiche radici nel movimento anarchico e libertario, triestino e non. Da questo numero il Germinal vede ampliata la sua redazione e la collaborazione alla sua diffusione. Compagni di Udine, S. Giorgio, Pordenone, Mestre, Padova e Verona contribuiranno da oggi in poi alla stesura del giornale, che tenterà di mantenere una certa periodicità. Ma il progetto che sottende questa nuova veste editoriale è ben più ampio ed ambizioso. L'idea è quella di costituire un momento di dibattito, un ambito di confronto e discussione libero ed aperto ad ogni intelligente contributo.
L'altro editoriale, cui si fa riferimento, propone una ricostruzione della storia e del ruolo esercitato dal Germinal, a partire dal pre-fascismo fino ai giorni nostri.
Tentando un bilancio, la redazione scrive tra l'altro: Certo non abbiamo cambiato radicalmente la società: padroni e burocrati, poliziotti e preti, inquadratori e manipolatori sono sempre al loro posto, anzi sono più forti di quindici-vent'anni fa. Forse abbiamo perso, ma non ci hanno disperso né ci hanno fatto perdere la voglia di lottare. Al contrario. Ora è forse maturo il momento di socializzare le possibilità di comunicazione e di intervento allargando la redazione e la gestione del giornale "Germinal" ad altri gruppi e compagni del Veneto e del Friuli. Da tempo si valuta la possibilità di un periodico che esca più frequentemente per assicurare la continuità del nostro discorso, per dare più spazio a circoli e gruppi spontanei che si muovono in sintonia con i valori della libertà e dell'eguaglianza, dell'autogestione e della creatività (...).
Questo n. 57, primo di una nuova serie, dedica le sue 32 pagine grande formato (grafica e impaginazione di Fabio Santin - responsabile anche del progetto grafico di "A"-, di Marina Padovese e Rino De Michele) ad un solo tema: le questioni etniche. Molta attenzione per le vicende della vicina ex-Jugoslavia, ma anche più in generale per le questioni connesse con i molteplici temi delle minoranze etniche, dei loro diritti (calpestati), del leghismo, ecc.. Gli spunti per la riflessione ed il dibattito non mancano.
Di segno profondamente diverso (ma non antitetico) rispetto a Germinal è Usmis, il cui sottotitolo (in friulano) recita: riviste per nuove culture furlane e planetarie. Come i precedenti, anche questo numero si caratterizza per una veste editoriale eccezionalmente curata da tutti i punti di vista, compreso quello della traduzione in italiano (disponibile in un apposito supplemento allegato ad Usmis) degli articoli (la maggioranza) scritti in friulano.
Riportiamo qui un ampio stralcio dell'editoriale "Noi siamo bianchi, ma la nostra lingua è nera", che ci pare dia il segno della sensibilità che anima i promotori di Usmis.
Qualcosa si muove, qualcosa rimane fermo. Avevamo denunciato, nel primo editoriale, una doppia esclusione: quella di una sensibilità friulana nel campo della creatività e quella di una sensibilità innovativa dei friulanisti, ma anche di quelli che hanno una mentalità politicista.
A quasi un anno dall'inizio del nostro progetto, facendo un bilancio, abbiamo avuto la conferma dell'esistenza in Friuli di una situazione molto viva di individualità, di gruppi che sono sensibili alle problematiche che abbiamo cercato di proporre.
Questo ci ha provato che chi ha a che fare con la creatività, l'arte e i nuovi linguaggi è più disponibile a capire le dinamiche legate alle lingue, alle culture, alla questione friulana e anche a tener conto di tutto ciò nel proprio lavoro. Invece abbiamo registrato un disinteresse, ma anche un pregiudizio, una preclusione di tanti friulanisti autonomisti, ed anche di certe frange dell'area antagonista e degli operatori culturali, per qualsiasi discorso che allarghi l'orizzonte, che comprenda una nuova sensibilità e per quegli stimoli che provengono da fuori del loro campo di azione, della loro identità sclerotizzata. Perché un'identità così intensa rischia di essere paranoica. Forse non è un caso che certi friulanisti latitanti da tutto quello che c'è d'importante a livello culturale e teorico, hanno abbracciato invece la causa leghista che è una scelta di chiusura, di blocco e di reazione.
Il nostro progetto, all'incontrario, era quello di mettere in divenire l'idea della friulanità, della questione friulana e delle minoranze con concetti nuovi, facendo movimento, fondendo questo con tutto quello che c'è di più stimolante e sperimentale nelle arti, nella scienza, nella filosofia. Partire dalla nostra identità per trovare una più alta intensità.
Rifiutare questa maniera di porre i problemi non può che far cadere nel suo contrario, ossia nelle pericolose posizioni iperpolitiche. Se c'è, come c'è, una cultura friulana da conoscere, da valorizzare, da salvare, son in tanti che dicono di farlo, noi crediamo che non sia abbastanza. La cultura per noi deve essere anche creata e inventata. Una nuova cultura friulana e planetaria, perché non si può negare che si va preparando una nuova era per il mondo, a causa delle nuove tecnologie e linguaggi. Se le culture minoritarie, o meglio minorizzate, sapranno adoperare questi strumenti in maniera critica e se questi funzioneranno non per omologare, per schiacciare le differenze, si creeranno le condizioni per una più grande libertà per tutti. È anche cosi che la cultura friulana si fa planetaria, come noi vorremmo per Usmis, premendo il piede sull'acceleratore dei processi culturali, perché del Friuli non si salverà niente se non sarà capace, da subito, di immaginare e di mettere in pratica un suo essere nel futuro e nel presagio. E' così che Usmis ha interessato molte persone e realtà fuori del Friuli. L'invito a partecipare al Festival A.V.E. in Olanda, assieme alle più grintose esperienze europee, è stato il miglior riconoscimento del nostro tentativo di creare delle connessioni tra il futuro e la nostra scheggia di cultura, fra la nostra lingua e i nuovi linguaggi. Se siamo riusciti a pensare qualcosa di originale adoperando concetti rubati da più parti è perché abbiamo usato il friulano, abbiamo scritto in friulano, come dice Deleuze abbiamo fatto della nostra lingua il nostro intercessore. Il riflettere sulla nostra lingua ci ha permesso di pensare anche sulle problematiche legate ai diversi tipi di linguaggio, e arrivando a mettere tutto ciò in connessione a noi pare di aver posto il friulano in un divenire. La lingua friulana non deve essere fossilizzata nelle istituzioni ma deve respirare dove si produce creatività e vita: nell'arte, nella ricerca, nell'informazione, nella critica sociale. Contro quelli che pensano che il futuro del friulano e del Friuli sia in un uso "maggioritario", di potere, della nostra lingua (nei tribunali, nella burocrazia, nel Palazzo) proponiamo un uso "minoritario", che non vuol dire minore, del friulano, ossia come lingua di resistenza di un popolo e non di lingua dominante (...).

La terza pubblicazione di cui ci occupiamo è una nostra vecchia conoscenza: Il portavoce, "la voce dei poveri, la voce degli emarginati", n. 64 datato "novembre 1991". Nell'editoriale la redazione informa che il Gruppo Amico si è costituito in Associazione prendendo il nome "Gruppo per l'autogestione" e volendo compiere nella scelta del nome stesso una scelta di azione precisa: la forma dell'autogestione come proposta di risposta pratica ai problemi della vita quotidiana (...).
E proprio sotto il titolo "Briciole di storia autogestita" la redazione pubblica questo pezzo,che ci piace ripubblicare integralmente, limitandoci a sottolineare che ancora una volta da ambiti storicamente estranei all'anarchismo giungono testimonianze concrete di segno libertario.
In pochissimi anni sono venuti a mancare quasi tutti i protagonisti della storia iniziale del gruppo AMICO, del cosiddetto nucleo di Via Garibaldi 5: Luigino Massasso, Mafalda Sacco, Piero Frassetto, Barbara Toio, Salvatore D'Amico, Piero Mulattieri.
Tutte le scommesse impossibili partirono da questo gruppo iniziale: personalità differenti, spesso in contrasto, che tentarono comunque di modificare le regole del gioco: povertà = assistenzialismo dall'alto. (...) La chiave di lettura storica rimane una sola, su cui continuiamo ad insistere: il protagonismo degli "oppressi", dei poveri, degli emarginati; la rottura dello schema assistente - assistito, operatore/utente.
Uno schema duro a morire, vecchio come il mondo! Questo gruppo di persone trovò lo stimolo e la forza di prendere in mano la propria situazione di emarginazione e di povertà con un obiettivo: uscirne fuori nel modo che questo tipo di società vorrebbe (= essere tutti persone "normali") ma in un modo proprio, autonomo, "diverso". E partirono dal presupposto che la risoluzione dei problemi doveva essere una risposta collettiva ai problemi di tutti, rifiutando quella logica assistenzialistica che passa nel concetto base "Il
tuo problema lo risolvo io". E' da qui che nascono le assemblee e le riunioni con gli assessori ai servizi sociali, i progetti di lavoro autogestito, il moltiplicarsi di spazi di incontro e di aggregazione. Esperienze "fortissime", che diedero voce e storia ai senza voce e ai senza storia, ai condannati all'assistenzialismo travestito di solidarietà. Esperienze che permearono tutti i progetti successivi: dalle Cooperative al punto incontro, dall'Università Popolare allo sviluppo del commercio equo e solidale con gli oppressi del Sud del mondo.
Esperienze fatte di rabbia, di sconfitte, di isolamento politico-sociale, ma che diedero i loro frutti. Due anni fa abbiamo sottoscritto in centinaia la richiesta di intestare due vie del centro storico di Asti a Luigino Massasso e Pia Oddone, due pilastri di quel nucleo storico di lotta contro l'assistenzialismo e tutte le forme di oppressione - che pagarono con la propria vita questa loro scelta. Quelle due vie le vogliamo come segno storico, come testimonianza di chi lottò per dare storia ai senza storia, come ricordo di quelle esperienze incancellabili. Molti di loro sono morti, tutti sono morti poverissimi sepolti nella terra in quella parte dei cimiteri dove si sotterrano i poveri con la dicitura dei nomi scritta frettolosamente con un pennarello su di un pezzo di cartone. Persone fuori gioco, fuori logica dominante, fastidiosi nei in una società che non ammette l'esistenza del "diverso" e dell'imprevedibile (non previsto, non calcolato, non programmato e programmabile) che mettono in discussione il tutto "sotto controllo", il famoso controllo sociale: quella logica che permette ad una minoranza di gestire la totalità delle ricchezze planetarie, che getta nella povertà assoluta, cronica, irreversibile, la maggioranza dell'umanità.
Il protagonismo dei poveri dà fastidio: è definito demagogico (cattiva e falsa democrazia!), improduttivo, confusionario. Ma la realtà è una sola: fa paura perché scardina la cultura, il modo di pensare e di vivere, rovescia la logica e la regola del gioco che all'inizio dell'articolo dicevamo, in una parola sovverte il millenario stato sociale fatto di oppressi e di oppressori, di assistenti e assistiti; combatte il tarlo culturale che si fonda sul rapporto tra chi dà e chi riceve con la certezza ("è sempre stato cosi da che mondo è mondo") che saranno sempre gli stessi a dare e sempre gli stessi a ricevere; a ricevere educazione (cultura di serie A e sottoculture "barbare"), a ricevere "nobili" gesti di assistenza solidaristica (vestiti usati, tecnologie fuori moda, pesticidi fuori legge), a ricevere insegnamenti su come bisogna vivere al mondo.
Ribaltare questa logica in un rapporto tra persone che donano e ricevono e altre che donano e ricevono in un rapporto reciproco, è la sintesi delle proposte di quel gruppo iniziale dei primi anni Ottanta.
Una sfida raccolta da altri e che oggi vive nel faticoso ma concreto cammino di decine di progetti di lavoro, di aggregazione, di festa autogestiti.
I cammini per costruire la storia dei senza storia diventano punto di riferimento per gli oppressi del pianeta, uniti nel creare attraverso il metodo della partecipazione, dell'autogestione, della nonviolenza, della solidarietà autentica, condizioni di vita a dimensione della persona.
Cammini che si incontrano e diventano comune forza per cambiare la "regola del gioco" - per cambiare la vita - per diventare uomini e donne a pieno titolo.



Germinal, n .57, dicembre 1991, pagg. 32, lire 3.000, indirizzo: Germinal, via Mazzini 11, 34100 Trieste, telefono (040) 368096 (martedì e venerdì, h. 18-20).

Usmis, inverno 1991, pagg. 56, lire 7.000, indirizzo: Usmis, vie Slataper 20, 33050 Cjasteons di Strade (Ud), telefono (0432) 768962; versamenti sul c.c.p. 12052338 intestato a La Patrie du Friul-Usmis, cas. post. 72, 33100 Udin.

Il portavoce, n. 64, novembre 1991, pagg. 22, prezzo non precisato, abbonamento annuo ordinario lire 15.000 (disoccupati, studenti, pensionati, lire 10.000); versamenti sul c.c.p. 10530145 intestato a Il portavoce, via Cotti Ceres 12, 14100 Asti (che è anche l'indirizzo); telefono (0141) 436384.