rivista anarchica anno 21 nr. 187 dicembre 1991 - gennaio 1992
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Comunismo e nonviolenza
Cari compagni e
compagne,
da diversi anni io faccio
politica a due livelli: in
organizzazioni comuniste e in gruppi
antimilitaristi
nonviolenti. Mi sono
sempre sentito comunista
(conosco ben poco del marxismo), ma per
motivi etico-morali: per i grandi ideali di uguaglianza
sociale e
di fratellanza umana. E quindi comunista contro il capitalismo, che
si basa sullo
sfruttamento dell'uomo sull'uomo e sulle risorse
del
Terzo Mondo, sulla fame e la sofferenza di
miliardi di persone:
oggi sono soprattutto loro i
proletari, gli sfruttati.
Grandi ideali, quindi, che
ad un certo punto ho
associato ad altrettanto grandi ideali: non
uccidere, cerca di non usare violenza, cerca il
dialogo. Mi sono
sentito dire che forse i due pensieri non sono conciliabili, che
Marx
considerava “la violenza levatrice della storia"
che Lenin propugnava la "dittatura del
proletariato" che
Mao asseriva che "il potere sta
alla canna del fucile".
Eppure c'è anche una Rosa
Luxemburg, secondo la quale “la
rivoluzione
proletaria non può essere un tentativo disperato
di
una minoranza di modellare il mondo con la
violenza e secondo
il proprio ideale..." e “la
rivoluzione proletaria non
ha alcun bisogno di
ricorrere al terrore per realizzare i suoi
obiettivi. Essa odia e aborrisce
l'assassinio...". Eppure
anche il mahatma Gandhi ebbe parole
di
apprezzamento per ideali e uomini bolscevichi,
naturalmente
condannandone l'uso della forza. Eppure anche tanti
comunisti italiani hanno usato
svariate forme di lotta nonviolente:
basti pensare a manifestazioni, scioperi
e boicottaggi attuati dal
movimento operaio, alle innumerevoli
azioni di lotta senza armi fatte
durante la Resistenza.
C'è questo
pregiudizio da sfatare: che la
nonviolenza sia passività,
vigliaccheria. Al
contrario, il persuaso della nonviolenza non può
sopportare alcuna ingiustizia: anzi, la denuncia e la
combatte. E
gli studiosi hanno classificato almeno
198 forme di lotta
nonviolente finora usate nella
storia. Nella quale storia sarebbero
da riscoprire
molti episodi di lotta non armata (e quindi poco
studiata), ma se vogliamo limitarci al nostro secolo
dobbiamo
ricordare almeno la liberazione dell'India
con M.K. Gandhi, le
lotte antirazziste negli USA con
M.L. King, la resistenza di Praga
all'invasione dell'est europeo nell'89,
la lotta degli studenti cinesi
nell'89, la resistenza al golpe
reazionario in URSS
nel '91.... E lotte (almeno parzialmente)
nonviolente
continuano ad esserci in Palestina, Tibet, Birmania,
Madagascar... Come si vede, la lotta non armata, al
pari di quella
armata, può vincere e può perdere, e
non garantisce
gli sviluppi successivi della
situazione. Di sicuro però
impone molte meno
sofferenze alle parti in lotta, non alimenta la
spirale
della vendetta, permette sempre il dialogo con
l'avversario. Ebbene, compagni e compagne, io
penso che tutti i
paesi in cui si è sinora sperimentato
il comunismo, esso
abbia fallito proprio per questo
peccato originale: perché
ha preso e mantenuto il
potere con la violenza, instaurando ben
presto delle
dittature (e questa, vogliate perdonarmi, mi sembra
una forma di governo ben più vicina all'idea fascista
che
all'idea comunista). Ed è questo il tentativo
ancora da
compiere, la speranza che ci rimane: che
un partito comunista
arrivi al potere con la
nonviolenza, con il consenso della
maggioranza
della gente! Perché, come disse Gandhi: "...il
mezzo può essere paragonato ad un seme, il fine
ad un
albero: tra il fine e il mezzo vi è la stessa
inviolabile
relazione che vi e tra il seme e l'albero"
(E mi compiaccio che lo
stesso concetto l'abbia
espresso il senatore Libertini). Uno dei
cardini del pensiero nonviolento è
l'antimilitarismo. Ora,
sembrandomi assodato l'antimilitarismo di Rifondazione (prese di
posizione e attività contro il
riarmo, contro la NATO,
contro le spese militari, per
la riconversione dell'industria
bellica), quel che
manca è l'iniziativa per le obiezioni di
coscienza: dal sostegno alla riforma della legge sull'obiezione al
servizio militare, approvata dalla Camera e bloccata
al Senato,
all'impegno attivo nell'annuale campagna
di obiezione alle spese
militari, decennale azione di
disobbedienza civile che proseguirà
finché sarà
legalizzata la cosiddetta “opzione
fiscale”, che
permetterà a ogni contribuente di
scegliere se finanziare le forze armate o un'istituenda difesa non
armata (che correttamente in Italia chiamiamo
Difesa Popolare
Nonviolenta). "Rifondare" non è semplice
ricostruzione, ma cambiamento dalle
fondamenta: quindi, compagni e
compagne, se un
tempo si propugnava un comunismo violento, cosa
di
meglio se oggi cercassimo di costruire un tipo di
comunismo
nonviolento?