rivista anarchica anno 21 nr. 187 dicembre 1991 - gennaio 1992
Rivista Anarchica Online
Una questione di uomini? di Andrea Papi
Il partito degli onesti? Gli uomini giusti al posto giusto? Un governo di tecnici? No, non è una questione
di singoli uomini chiamati a questa o a quell'altra carica pubblica. E' il sistema partitocratico nel suo insieme
che va contrastato se davvero si vuole uscire dall'attuale stallo.
"Se avete una classe politica di quart'ordine, potete fare
tutte le riforme che volete: avrete sempre una classe politica di
quart'ordine". Questa frase ad effetto di Helmut Schmidt è
stata presa in prestito da Piero Ottone per costruire un articolo di
critica alle cose italiane, apparso su "La Repubblica" di
giovedì 21 novembre. In fondo riassume il senso che più
o meno aleggia all'interno di tutte le critiche di tutti i
politologi più quotati, quando denunciano i mali vigenti
nella politica del nostro paese, che a suo tempo fu definito il più
libero del mondo. All'interno di un'ottica alla moda, che ci
piace chiamare visione occidentale del mondo, esprime senz'ombra
di dubbio una verità profonda e difficilmente negabile. Che
cioè l'Italia soffre strutturalmente di incapacità ed
inefficienze endemiche, che la attraversano in tutte le
manifestazioni politiche, in tutto l'apparato decisionale ed
esecutivo; che effettivamente la rende particolare tra gli stati del
benessere tecnologico, dove continua ad essere annoverata. Questo
modo di affrontare il problema porta a supporre che, se per ipotesi
ci fosse invece una classe politica di prim'ordine, se non perfette,
le cose più che meglio andrebbero senz'altro bene. A
questo modo di vedere le cose fa eco in particolare il
preoccupatissimo La Malfa che propagandisticamente sollecita i sogni
della maggioranza italiana benpensante, proponendo un non ben
definito partito degli onesti, cui sembra sarebbe anche disposto a
sacrificare il nome storico del suo partito e lasciando
implicitamente intendere che tutto è attualmente in mano a
manipoli di disonesti, da cui ovviamente il segretario repubblicano
si dichiara fuori. Beh! caro signor Giorgio La Malfa, è
abbastanza poco credibile che questa situazione sia sorta solo
l'altro ieri, quando cioè il suo partito, per volontà
sua, decise di non far più parte della coalizione
governativa. Se è un fatto strutturale, come anche lei
sostiene, ebbene le sue radici sono più profonde. E il suo
partito, che fino all'altro ieri vi era immischiato, è parte
integrante della disonestà montante che lei stesso
denuncia. Mi vien da pensare che, più semplicemente, questa
volta non ha avuto la forza contrattuale per continuare a far parte
della disonesta coalizione da lei ora vituperata.
Corruzione e traffici illeciti
Da quando è stato evidente che il centrosinistra, formula
governativa del passato impostata sull'alleanza PSI, DC e partiti
laici minori, cui è seguita l'equivalente formula del
pentapartito, non era affatto la panacea di tutti i mali, come fu
presentata al momento in cui fu avviata, i vari partiti storici
parlamentari, compresi gli ex-comunisti, a turno hanno proposto o
fantomatici governi di programma o altrettanto fantomatici governi
di tecnici. La partitocrazia si è dunque proposta attraverso
la forma tecnocratica, senza mai però né volere né
riuscire a renderla operativa. Il tutto sempre all'insegna del
ragionamento per cui la responsabilità dell'inefficienza
dilagante risiedeva negli uomini che non erano all'altezza dei
compiti assegnati. È sempre stata perciò ipotizzata la
necessità di mettere in campo persone oneste, preparate in modo
adeguato, capaci di risolvere di volta in volta i problemi ritenuti
irrisolvibili. Lo stesso Ottone, alla fine dell'articolo citato,
sostiene: "Non saremmo tutti più tranquilli se vedessimo
Ciampi al governo, come un tempo Einaudi, invece di Formica o di
Pomicino?". Proprio alla luce della recente storia politica
di casa nostra, questa maniera di impostare i problemi mi appare
più che altro adolescenziale, se non addirittura infantile.
Il signor Carli, attuale ministro del Tesoro, ex-governatore della
Banca d'Italia, fino al momento in cui è diventato ministro è
sempre stato considerato un esperto a livello mondiale di problemi
economici e finanziari. Come pure il signor Formica, attuale
ministro delle Finanze, che era ritenuto un tecnico di buon livello.
A suo tempo lo sono stati Visentini, Andreatta, Goria, ecc.. Nel
momento in cui hanno assunto delle responsabilità di governo,
le loro quotate e valutate capacità sono venute meno e la
macchina nostrana dell'inefficienza ha continuato a progredire senza
sosta. Vien da pensare, ed io penso che sia effettivamente così,
che il problema non risieda tanto nel cambiamento di uomini,
quanto nelle fondamenta su cui si regge l'attuale struttura di
potere. Il regime, come viene da più parti definito, è
composto da una rete molto complessa di relazioni clientelari e
mafiose per una parte, formali e gerarchiche per l'altra. Il
centro decisionale da cui tutto dovrebbe dipendere, non sempre e non
necessariamente è quello che appare, cioè il governo,
il parlamento o chi svolge incarichi di grossa responsabilità.
Più che altro, è l'apparato decisionale nel suo
complesso che, per le modalità stesse con cui è
concepito e reso operante, offre molteplici possibilità di
corruzione, d'usurpazione, di abuso. E non solo in Italia.
Ogni paese collocato nell'area del benessere occidentale è
affetto da questi mali. Con costanza apprendiamo di scandali che,
quasi periodicamente, avvengono negli USA, in Giappone, nella
Germania, in Gran Bretagna, in Francia, ecc.. Mettono in evidenza
come uomini di governo, esponenti dell'alta finanza, banchieri,
faccendieri, mafiosi più o meno riconosciuti ufficialmente,
facciano i loro interessi personali, o di partito o di lobby, al di
fuori della legalità da loro stessi sostenuta e definita.
In Italia la cosa assume contorni particolarmente drammatici,
fino a dar l'idea di un vero e proprio colabrodo: per la tradizione
clientelare con cui ogni struttura di regime, prima monarchico, poi
fascista ed ora repubblicano, è sempre riuscita ad estorcere
il consenso. Il favore dall'alto, che non può non essere
ricambiato, da noi è sempre stato uno strumento fondamentale
di scambio per condurre a termine grossi affari. Ma anche nel terzo
mondo, come pure negli ex-paesi dell'est, hanno sempre dominato
corruzione e traffici illeciti, accompagnati da notevoli privilegi
per gli uomini di regime che li gestivano direttamente.
Attualità di Machiavelli Con ragionevole certezza, si può affermare
che la
corruzione e la gestione illecita della cosa pubblica, a tutti i
livelli statuali, non è affatto un evento eccezionale, bensì
ne rappresenta una norma costante di realizzazione, fino ad esserne
parte integrante, se non addirittura indispensabile, utile alla sua
sopravvivenza. Non è certamente notizia dell'ultima ora il
fatto che buona parte delle principali operazioni finanziarie
usufruiscono di denaro riciclato (eufemisticamente detto sporco,
quasi che la decantata neutralità del mezzo di scambio carta
moneta possa essere qualificata con attribuzioni moralistiche). Si
verifica così che la criminalità organizzata, la
corruzione e l'illegalità, nella lotta contro le quali, oggi
più di ieri, lo stato fonda le ragioni etico sociali della
sua supposta necessaria presenza, per sostenere la quale ogni giorno
di più i rappresentanti dei suoi organi decisionali chiedono
aumento di potere, nei fatti, al contrario delle affermazioni e
delle teorizzazioni che pretendono di fondarlo, siano una delle
ragioni fondamentali della sua esistenza. Ovunque nel mondo lo
stato è sempre di più uno strumento di sottrazione
della ricchezza sociale. Sempre meno, se non quasi più per
nulla, un mezzo di regolazione sociale, come ingenuamente avrebbero
voluto i suoi primi teorizzatori, che vi avevano visto il migliore
strumento di realizzazione di un'idealistica etica sociale (vedi ad
esempio Hobbes e Locke). Solo il Machiavelli, mi sembra, mantiene
intatta la sua freschezza teorica, perché si rivolge più
che altro alla modalità di gestione del potere, sganciandolo
dagli imperativi morali. Alla luce dell'esperienza, quella
machiavellica rimane la visione più veritiera, perché
sostanzialmente propone una gestione efficiente, indipendentemente
dal fatto che ciò possa essere giusto o giustificabile
moralmente. Il dominio, al di là di ogni altra cosa, si
giustifica in sé e non deve essere né buono né
cattivo, mentre ha soltanto bisogno di essere. Vi si possono
anche sacrificare principi morali ed esseri umani.