Una vera e propria
lacerazione si è prodotta nell'immaginario con la fine
dell'impero sovietico. Gli effetti deleteri dell'illusione
bolscevica continuano anche perché, al di là
dell'evidenza, si continua a considerarla l'unica alternativa al
capitalismo.
Sulla bocca dei
più, intellettuali soprattutto, sembra alla moda in questi
ultimi tempi l'uso incondizionato dell'affermazione ormai
super-abusata "la morte del comunismo". Mi permetto di
dire che è un falso. Dà infatti per scontato ciò
che nella realtà non è mai avvenuto. La cosa è
semplice: il cosiddetto comunismo cui si vuol fare riferimento,
quello dell'URSS appunto, non è mai esistito in quella
regione del mondo, mentre vi è stato sistematicamente
impedito da una continua e brutale repressione da parte del sistema
leninista staliniano. Il totalitarismo burocratico bolscevico,
conseguenza della applicazione della strategia politica ideata da
Lenin a suo tempo, pur auto-eleggendosi quale unica realistica
strada per pervenire allo stato sociale del comunismo, non ha fatto
altro invece che realizzare la dittatura ferrea di un apparato
partitico, impossessatosi di tutte le leve di comando, politiche,
economiche e militari. La qual cosa, fino a prova contraria, è
praticamente l'opposto di un'ipotesi comunistica, in cui il bene
pubblico, prevalente su quello privato, dovrebbe essere equamente
distribuito fra tutti i componenti della società, superando
le differenze di classe, di religione, di razza, di condizione
sociale. Al contempo tale affermazione risulta anche indisponente,
perché viene offerta come veritiera, ovvia e scontata,
mentre chi la fa, dal momento che si tratta di addetti ai lavori, si
suppone che dovrebbe sapere che l'esperienza di cui sopra è
stata ben lungi dall'essere ciò che pretendeva. Ma al di
là di questa precisazione, più che doverosa dato i
tempi che corrono, mi rendo conto che nell'affermazione contestata è
contenuto qualcosa di profondamente veritiero, che le considerazioni
da me fatte non riescono ad esorcizzare. Se infatti è
estremamente vero che non può essere morto il comunismo
perché là dove si vuole non è mai esistito, è
però altrettanto vero che è morto il mito del
comunismo possibile, cioè la supposizione ideale, ampiamente
diffusasi tra le masse occidentali, che quella bolscevica fosse
veramente l'unica strada percorribile per giungervi. E penso di
poter affermare con sicurezza che per decenni, almeno cinque
generazioni si siano nutrite religiosamente della certezza, appunto
mitica, che l'esperienza leninista, applicazione in terra
dell'idealità marxista, fosse la sola via realmente
scientifica, quindi possibile, per pervenire ad una situazione
sociale riconducibile all'utopia comunista, ritenuta, sempre
idealmente, l'apice della realizzazione del triangolo che
caratterizzò la rivoluzione francese del 1789, e cioè
"Libertà, Uguaglianza, Fraternità". Dietro l'accettazione del
mito, fino alla sua conseguente finalizzazione esistenziale, si cela
un grande bisogno di redenzione, nel senso proprio letterale, cioè
di liberazione da un grave stato di inferiorità soprattutto
morale. E il bisogno, se non viene giustamente consapevolizzato, può
fare anche brutti scherzi, com'è successo nel caso del mito
bolscevico, per cui, ironia della sorte, l'incapacità di
redimersi veniva sublimata con l'accettazione dell'illusione che il
cosiddetto stato proletario potesse essere la vera strada verso
l'agognata liberazione. Ci sono voluti i traumi succedutisi da
Tienanmen in poi, fino alla caduta rovinosa, per certi versi
ridicola, dell'impero sovietico, per risvegliarsi violentemente dal
sonno ipnotico, in cui era piombata per circa tre quarti di secolo
una larga parte delle masse oppresse e sfruttate.
Bolscevismo contro
comunismo
Una vera e propria
lacerazione dell'immaginario collettivo, ferito mortalmente nella
certezza irreligiosa che il sogno di emancipazione era a due passi
dalla sua realizzazione. La realtà materiale, in tutta la sua
evidenza, è stata molto più forte del mito, che non è
mai più stato in grado di auto-alimentarsi. Ma nonostante la
recente rovinosa caduta, gli effetti deleteri dell'illusione
bolscevica continuano a ferire mortalmente. Il danno provocato è
talmente grande che, al di là dell'evidenza, gli si continua
ad attribuire il vessillo di unico possibile veicolo verso il
comunismo. Tanto è vero che di fronte al suo indiscutibile
crollo, non si parla di fallimento del bolscevismo, bensì
della morte del comunismo, come se fossero la stessa cosa, lasciando
così intatto il mito che fosse l'unica e vera strada per
pervenire all'agognata utopia. In questo modo, la creatura di Lenin
con la sua pratica non ha solo ucciso un'eventuale mitica
possibilità, ma l'ha addirittura eliminata dall'immaginario.
Per dirla con un paradosso, però solo apparente, il
bolscevismo è stato storicamente il peggior nemico del
comunismo, perché il suo nemico naturale, il capitalismo,
finora lo aveva soltanto combattuto e represso, completamente
incapace però di eliminarlo come sogno di redenzione.
L'involuzione succeduta alla presa del Palazzo d'inverno
nell'ottobre del '17, invece in questo campo è stata più
che maestra. Come tutte le utopie, compresa l'anarchia, il
comunismo potrà anche non realizzarsi mai. Questo è un
fatto. Mentre tutt'altra cosa è sostenere che sia morto in
seguito e per il decesso del bolscevismo. Questa e non altra mi sembra
la riflessione veritiera cui dovrebbe condurci, avendo un metodo
spregiudicato e non viziato da ideologia alcuna, l'analisi sugli
ultimi avvenimenti che hanno caratterizzato l'est del mondo. Sembra
però una riflessione difficile, me ne rendo conto. Forse
perché in questa fase altamente emotiva, come sempre succede
quando gli avvenimenti incalzano e le ferite sono fresche, sia gli
ex-comunisti che i sostenitori del capitalismo si trovano accomunati
dallo stesso interesse, magari inconsapevolmente, di mantenere
l'identificazione immaginaria tra comunismo e bolscevismo. Gli ex
perché non riescono ad ammettere fino in fondo di aver
proprio sbagliato strada, preferendo supporre di aver solo
sbagliato la scelta dell'obbiettivo finale. I capitalisti perché
ora, con orgoglio, possono ben dire: "Vedete! L'unica
alternativa reale al capitalismo si è realmente realizzata ed
è stata un tragico disastro". Caduto il mito relativo
e momentaneo, resta però il bisogno di redenzione,
soprattutto perché rimangono le ragioni che lo avevano
determinato, seppur molto diverse da quelle originarie del secolo
scorso. Passato il primo momento di ubriacatura, l'immaginario
collettivo sarà pronto ad aggregarsi ad altri miti che,
come il precedente, se non si sta più che accorti, potrebbero
molto facilmente essere forieri di futuri probabili disastri. La
chiesa, attenta da sempre ai processi mentali e psicologici degli
esseri umani perché abituata a dirigerli, sta preparando
le sue carte per diventare la futura gestrice del prossimo mito e,
con estrema accortezza e intelligenza politica, a modo suo ha già
cominciato ad attaccare il capitalismo, mentre fino adesso lo aveva
sempre difeso contro il comunismo. Dove il mito trionfa, in mancanza
di un'operatività coerente ed attenta, trionfano anche i
furbi che lo sanno creare.