Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 186
novembre 1991


Rivista Anarchica Online

La fine del comunismo?
di Andrea Papi

Una vera e propria lacerazione si è prodotta nell'immaginario con la fine dell'impero sovietico. Gli effetti deleteri dell'illusione bolscevica continuano anche perché, al di là dell'evidenza, si continua a considerarla l'unica alternativa al capitalismo.

Sulla bocca dei più, intellettuali soprattutto, sembra alla moda in questi ultimi tempi l'uso incondizionato dell'affermazione ormai super-abusata "la morte del comunismo". Mi permetto di dire che è un falso. Dà infatti per scontato ciò che nella realtà non è mai avvenuto. La cosa è semplice: il cosiddetto comunismo cui si vuol fare riferimento, quello dell'URSS appunto, non è mai esistito in quella regione del mondo, mentre vi è stato sistematicamente impedito da una continua e brutale repressione da parte del sistema leninista staliniano. Il totalitarismo burocratico bolscevico, conseguenza della applicazione della strategia politica ideata da Lenin a suo tempo, pur auto-eleggendosi quale unica realistica strada per pervenire allo stato sociale del comunismo, non ha fatto altro invece che realizzare la dittatura ferrea di un apparato partitico, impossessatosi di tutte le leve di comando, politiche, economiche e militari. La qual cosa, fino a prova contraria, è praticamente l'opposto di un'ipotesi comunistica, in cui il bene pubblico, prevalente su quello privato, dovrebbe essere equamente distribuito fra tutti i componenti della società, superando le differenze di classe, di religione, di razza, di condizione sociale. Al contempo tale affermazione risulta anche indisponente, perché viene offerta come veritiera, ovvia e scontata, mentre chi la fa, dal momento che si tratta di addetti ai lavori, si suppone che dovrebbe sapere che l'esperienza di cui sopra è stata ben lungi dall'essere ciò che pretendeva.
Ma al di là di questa precisazione, più che doverosa dato i tempi che corrono, mi rendo conto che nell'affermazione contestata è contenuto qualcosa di profondamente veritiero, che le considerazioni da me fatte non riescono ad esorcizzare. Se infatti è estremamente vero che non può essere morto il comunismo perché là dove si vuole non è mai esistito, è però altrettanto vero che è morto il mito del comunismo possibile, cioè la supposizione ideale, ampiamente diffusasi tra le masse occidentali, che quella bolscevica fosse veramente l'unica strada percorribile per giungervi. E penso di poter affermare con sicurezza che per decenni, almeno cinque generazioni si siano nutrite religiosamente della certezza, appunto mitica, che l'esperienza leninista, applicazione in terra dell'idealità marxista, fosse la sola via realmente scientifica, quindi possibile, per pervenire ad una situazione sociale riconducibile all'utopia comunista, ritenuta, sempre idealmente, l'apice della realizzazione del triangolo che caratterizzò la rivoluzione francese del 1789, e cioè "Libertà, Uguaglianza, Fraternità".
Dietro l'accettazione del mito, fino alla sua conseguente finalizzazione esistenziale, si cela un grande bisogno di redenzione, nel senso proprio letterale, cioè di liberazione da un grave stato di inferiorità soprattutto morale. E il bisogno, se non viene giustamente consapevolizzato, può fare anche brutti scherzi, com'è successo nel caso del mito bolscevico, per cui, ironia della sorte, l'incapacità di redimersi veniva sublimata con l'accettazione dell'illusione che il cosiddetto stato proletario potesse essere la vera strada verso l'agognata liberazione. Ci sono voluti i traumi succedutisi da Tienanmen in poi, fino alla caduta rovinosa, per certi versi ridicola, dell'impero sovietico, per risvegliarsi violentemente dal sonno ipnotico, in cui era piombata per circa tre quarti di secolo una larga parte delle masse oppresse e sfruttate.

Bolscevismo contro comunismo
Una vera e propria lacerazione dell'immaginario collettivo, ferito mortalmente nella certezza irreligiosa che il sogno di emancipazione era a due passi dalla sua realizzazione. La realtà materiale, in tutta la sua evidenza, è stata molto più forte del mito, che non è mai più stato in grado di auto-alimentarsi. Ma nonostante la recente rovinosa caduta, gli effetti deleteri dell'illusione bolscevica continuano a ferire mortalmente. Il danno provocato è talmente grande che, al di là dell'evidenza, gli si continua ad attribuire il vessillo di unico possibile veicolo verso il comunismo. Tanto è vero che di fronte al suo indiscutibile crollo, non si parla di fallimento del bolscevismo, bensì della morte del comunismo, come se fossero la stessa cosa, lasciando così intatto il mito che fosse l'unica e vera strada per pervenire all'agognata utopia. In questo modo, la creatura di Lenin con la sua pratica non ha solo ucciso un'eventuale mitica possibilità, ma l'ha addirittura eliminata dall'immaginario. Per dirla con un paradosso, però solo apparente, il bolscevismo è stato storicamente il peggior nemico del comunismo, perché il suo nemico naturale, il capitalismo, finora lo aveva soltanto combattuto e represso, completamente incapace però di eliminarlo come sogno di redenzione. L'involuzione succeduta alla presa del Palazzo d'inverno nell'ottobre del '17, invece in questo campo è stata più che maestra. Come tutte le utopie, compresa l'anarchia, il comunismo potrà anche non realizzarsi mai. Questo è un fatto. Mentre tutt'altra cosa è sostenere che sia morto in seguito e per il decesso del bolscevismo. Questa e non altra mi sembra la riflessione veritiera cui dovrebbe condurci, avendo un metodo spregiudicato e non viziato da ideologia alcuna, l'analisi sugli ultimi avvenimenti che hanno caratterizzato l'est del mondo.
Sembra però una riflessione difficile, me ne rendo conto. Forse perché in questa fase altamente emotiva, come sempre succede quando gli avvenimenti incalzano e le ferite sono fresche, sia gli ex-comunisti che i sostenitori del capitalismo si trovano accomunati dallo stesso interesse, magari inconsapevolmente, di mantenere l'identificazione immaginaria tra comunismo e bolscevismo. Gli ex perché non riescono ad ammettere fino in fondo di aver proprio sbagliato strada, preferendo supporre di aver solo sbagliato la scelta dell'obbiettivo finale. I capitalisti perché ora, con orgoglio, possono ben dire: "Vedete! L'unica alternativa reale al capitalismo si è realmente realizzata ed è stata un tragico disastro".
Caduto il mito relativo e momentaneo, resta però il bisogno di redenzione, soprattutto perché rimangono le ragioni che lo avevano determinato, seppur molto diverse da quelle originarie del secolo scorso. Passato il primo momento di ubriacatura, l'immaginario collettivo sarà pronto ad aggregarsi ad altri miti che, come il precedente, se non si sta più che accorti, potrebbero molto facilmente essere forieri di futuri probabili disastri. La chiesa, attenta da sempre ai processi mentali e psicologici degli esseri umani perché abituata a dirigerli, sta preparando le sue carte per diventare la futura gestrice del prossimo mito e, con estrema accortezza e intelligenza politica, a modo suo ha già cominciato ad attaccare il capitalismo, mentre fino adesso lo aveva sempre difeso contro il comunismo. Dove il mito trionfa, in mancanza di un'operatività coerente ed attenta, trionfano anche i furbi che lo sanno creare.