Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 186
novembre 1991


Rivista Anarchica Online

Che sempre viva la gestione unitaria
di Carlo Oliva

L'esito dell'ultimo congresso della CGIL ha rivelato uno scarso interesse della più grande confederazione italiana per i più semplici meccanismi della democrazia politica. Lo si è visto, ad esempio, nella mancata decisione di adottare il voto segreto per l'elezione del gruppo dirigente, che alla verifica delle urne sembra aver preferito l'autocooptazione

Non so con quanta passione i lettori abbiano seguito le vicende del recente congresso nazionale della CGIL a Rimini. Quanto a me, sarà colpa mia, ma vi confesso di aver trovato più difficoltà nell'investire di un significato ideologico qualsiasi la contrapposizione tra Bruno Trentin e Fausto Bertinotti (e le rispettive fazioni) di quante ne avessi incontrate, a suo tempo, a proposito, non dirò di Coppi e Bartali, ma di Arcibaldo e Petronilla (Jiggs e Maggie per i puristi) nei fumetti di George McManus.
Comunque, date certe mie caratteristiche di vecchio formalista pedante, non negherò d'essermi lasciato affascinare dal problema, ivi intensamente sofferto, della "gestione unitaria" del sindacato, come a dire del voto palese o segreto. Sembra infatti, stando alle fonti che mi è capitato di consultare, che solo con riluttanza il Trentin, in apertura dei lavori, si fosse dichiarato disposto, bontà sua, a continuare a dirigere la massima forza sindacale italiana, che per la prima volta nella sua storia era giunta al Congresso divisa in maggioranza e minoranza, un fatto che per il tipo di tradizione politica cui il Trentin stesso appartiene, è assai disdicevole. La condizione che poneva era che la gestione futura dell'organizzazione fosse unitaria, e su questa ragionevole esigenza concordavano tutti, il Bertinotti incluso.
Vi dirò, l'esigenza sembrava ragionevole persino a me, perché si sa che se una dirigenza deve badare soprattutto a tenere al loro posto i nemici interni, poca energia le rimane per il perseguimento dei fini istituzionali dell'organizzazione che dirige. Ma poi ho capito che condizione imprescindibile dell'auspicata gestione unitaria era che all'elezione degli organismi dirigenti si andasse (come dicono i sindacalisti) con una lista unica (e possibilmente bloccata) e il voto rigorosamente palese, coram populo e per alzata di mano. In caso contrario, c'era il rischio che certi "cattivi", comunemente identificati da una parte nei temibili metalmeccanici di Brescia e in certi ancor più temibili "portuali" senza specificazione geografica e dall'altra negli infidi "miglioristi lombardi", approfittassero del voto segreto - che per qualche assurdità statutaria poteva essere imposto dalla richiesta di soli cinquantotto delegati - per "fotografare la situazione di spaccatura esistente" e, peggio ancora, per fare i conti nel segreto dell'urna con i dirigenti a loro sgraditi. Per fortuna che non si sono trovati cinquantotto individui tanto abietti da imporre una conclusione del genere.
In confidenza, io ho fatto parte per un decennio abbondante della CGIL (sono stato uno dei fondatori, e per un po' mi ero illuso d'essere uno dei dirigenti, del primo sindacato confederale dei lavoratori della scuola). Poi, a un certo punto mi sono accorto che non mi ci riconoscevo più, anzi, era da qualche anno che non rinnovavo la tessera, anche se loro, per via di una vecchia delega mai revocata formalmente, continuavano puntuali a riscuotere ogni mese alla fonte il contributo sindacale dovuto. Li ho cortesemente pregati di smettere, e mi hanno fatto sapere che per esigenze contabili l'interruzione del prelievo poteva aver luogo solo all'inizio dell'anno: trovandoci allora solo al secondo mese, dovevo continuare a versare ancora per dieci. Al che ho capito che un'organizzazione così attenta ai fatti contabili e così indifferente al problema politico di un suo organizzato che non si considerava più rappresentato, aveva, nella prospettiva della lotta di classe del paese, ben poco futuro.
Cosa c'entrano queste reminiscenze? Beh, c'è qualcosa in comune - credetemi - tra quell'atteggiamento e quello di chi non si rende conto (o finge non rendersi conto) che le elezioni - e quel ragionevole espediente precauzionale che è lo scrutinio segreto - sono state appunto inventate per fotografare con la massima precisione possibile la condizione esistente nel corpo elettorale (e se la condizione è di spaccatura, è meglio che la spaccatura sia registrata senza falsi pudori, no?) e per permettere agli elettori di fare i conti nel segreto dell'urna con quei dirigenti di cui per un motivo o per l'altro non siano soddisfatti. Se no, a cosa cavolo servirebbero? "Fare i conti" non è una bella espressione, forse, ma provate a sostituirla con "confermare" e "non confermare" e vedrete che andrà tutto bene.
Una gestione unitaria basata su liste in qualche modo predefinite sarà sempre una gestione che rinuncia al criterio, rozzo finché si vuole, insufficiente senz'altro, ma almeno indiscutibile, dell'identificazione delle tendenze e delle esigenze presenti tra gli elettori. Nel qual caso, naturalmente, di criterio se ne adotterà qualcun altro, magari uno interessantissimo e altamente sofisticato, ma che avrà comunque l'interessante caratteristica di non essere edotto alla base, ma definito nell'ambito di un vertice ristretto, in nome di tutti gli interessi e i valori che stanno a cuore a chi si trova al vertice, ma non è detto che debbano stare a cuore per forza a chi al vertice, poveretto, non c'è. Sarà, insomma, una gestione contrattata, che non è esattamente sinonimo di democrazia, e neanche di efficienza operativa. Che se crediamo che in un certo ambito i dirigenti esprimano per definizione - incarnino quasi - gli interessi e i punti di riferimento dei loro diretti, tanto vale che si investano del ruolo dirigenziale da soli, senza farsi eleggere da nessuno, che si fa prima.
Ma appunto. Crollano i muri, vacillano gli ideali di un paio di secoli di storia, ma per certa sinistra italiana la forma migliore di democrazia resta inesorabilmente l'autocooptazione dei gruppi dirigenti.
Che malinconia.