Rivista Anarchica Online
Da vent'anni,
regolarmente
Sto seguendo con
interesse il dibattito sulla Rivista. Premesso che, pur non avendo
mai fatto parte del movimento anarchico il mio interesse per
l'anarchismo risale ormai al remoto 1969 - credo al riguardo di essere
uno dei pochi lettori di "A" sopravvissuti fino al
"ventennale" - vorrei, da lettore offrire qualche
contributo al dibattito in corso. La crisi dell'anarchismo è
una crisi teorica. L'impostazione ritualizzata dei valori lo
rende privo di senso pratico. Non credo che le azioni che
il movimento produce (quelle che leggo sulla sua stampa)
dimostrino la sua capacità pratica (a parte per certi
aspetti il comunitarismo di AAM Terra Nuova): le azioni sono
caratterizzate dal negativismo (no a questo, no a quello) o dalla
richiesta/rivendicazione di certe cose spicciole o anche grandi,
ma in modo infantile, cioè senza approfondire il senso e le
conseguenze di ciò che si chiede. Faro più sotto un
esempio. Credo invece che per parlare di prassi si debbano avere
delle finalità ben determinate e si debba essere in grado
di tener conto, di rappresentarsi le conseguenze che derivano
dall'utilizzo di certi mezzi o di altri. Per avere delle finalità
si deve passare dal mondo dei valori (ideali astratti) al mondo
della realtà non mentale, cioè scendere sul terreno
delle "istituzioni" o dell'azione in cui i valori non
possono più essere trattati isolatamente ma vengono
trascinati in una situazione in cui entrano necessariamente in
contatto e in cui l'individuo che li pensa è costretto ad
ordinarli gerarchicamente o a coordinarli relativizzandoli : un po'
di libertà, un pizzico d'uguaglianza, giustizia, fratellanza,
ecc.. A seconda degli ingredienti ideali utilizzati e a seconda
della loro combinazione avremo sistemi sociali diversi. Il discorso
sui valori sarebbe lungo (forse è un tema che la rivista
dovrebbe affrontare al più presto in termini
espliciti). L'azione, dicevo, si può definire "prassi"
solo se è orientata in senso positivo a realizzare
quelle finalità che l'individuo/gli individui si
pongono. Oggi, mi pare, l'anarchismo ha dei valori (sui quali
però non riflette in modo cosciente, e allora sembrano
icone da adorare) ma non ha finalità pratiche. Allora
l'azione è condannata al puro ribellismo asociale, o ad
azioni che non hanno senso propriamente anarchico, anche se
possono avere ugualmente dignità. Ritengo che ogni
discorso della Rivista non possa essere distinto da quello sul
movimento anarchico. Da quello che leggo sulle riviste (a parte
Volontà e, in qualche misura, "A") mi pare che
il movimento più che libertario sia, per dirla con Stirner,
un movimento di ossessi dal fantasma della libertà. Se la
rivista vuole diventare un elemento che stimola la trasformazione
sociale in senso libertario allora deve rivolgersi a quella
stragrande maggioranza della popolazione che non si nutre di
idealità astratte, ma pone in primo piano - stirnerianamente
- interessi. E che si trova quindi ad affrontare problemi
concreti che necessitano di soluzioni più o meno
immediate. Malatesta stesso - che peraltro dal discorso
teorico-pratico con Merlino ne è uscito, a mio avviso, con
le ossa rotte - ammetteva che la vita umana non ammette
interruzioni. Mentre Volontà sta producendo un notevole
sforzo per ridefinire l'anarchismo, mi sembra che "A"
tenda a glissare alquanto e che sia poco propositiva sul piano
pratico degli atteggiamenti da assumere di fronte a problemi
attuali, indifferibili. Ad esempio, nell'ultimo numero leggo che
la Rivista non accetta di mettere in discussione l'antibellicismo.
Una simile affermazione può sembrare soddisfacente per una
platea di adoratori, ma in verità mi sembra del tutto carente
di fronte al problema concreto circa la posizione da assumere in
presenza di regimi dittatoriali (e sanguinari, per giunta).
Intendiamoci, la Rivista è sufficientemente intelligente da
permettere anche a chi non condivide l'antibellicismo assoluto di
esprimersi sulle sue pagine e ciò perché si rende
conto di non essere in grado di offrire soluzioni. Molto peggio fa
U.N. che in un articolo sui Curdi (U.N. del 14 aprile 1991) dopo
aver stigmatizzato la posizione di coloro (Bush) che affermano che
la questione curda è una questione interna che riguarda
l'Iraq, condanna anche il senso comune che vorrebbe che i curdi
fossero difesi (liberati) come si è fatto per il Kuwait,
imponendo ai potenti, loro malgrado (?) di intervenire per
rispettare effettivamente i principi che in occasione della guerra
del Golfo hanno sbandierato. Qual è la soluzione che più
anarchica non si può? Ovvio: solidarizzare con il popolo
curdo (che però ha bisogno di una solidarietà un po'
più prosaica dell'ideale solidaristico) e "invitare
esplicitamente alla ribellione permanente..."! Guarda un po',
ed io che credevo che i Curdi stessero subendo le conseguenze della
ribellione! In definitiva la posizione anarchica su U.N. è la
seguente: se uno si accinge ad ammazzarmi dopo aver vinto la mia
resistenza e di lì passa l'anarchico puro, ma gracile e
disarmato pure lui, non potrò sperare di cavarmela perché
quello, ligio al suo fantasma, si rifiuterà di chiedere e di
imporre, se del caso e se lo può, l'intervento del poliziotto
che mi potrebbe salvare, ma che non si è accorto di nulla o,
pur vedendo, nicchia o tenta di defilarsi. In cambio l'anarchico mi
assicurerà il suo incitamento solidaristico: Ribellati,
ribellati, faccio il tifo per te! (Abbiamo così la categoria
dell'anarco/tifoso). Occorre rassegnarsi, in certi momenti
soluzioni ottimali dal punto di vista anarchico non ce ne sono e
allora o ci si adatta a propugnare la soluzione meno ingiusta o si
rinuncia (magari facendo finta, come si è visto, di
indicare qualcosa) ad intervenire lasciando libero il campo al più
forte, chiunque esso sia. Ritornando ad "A" credo che la
rivista dovrebbe fungere da elemento di sostegno a Volontà,
nel senso che le tematiche affrontate da quest'ultimo periodico
dovrebbero essere sviluppate e dibattute, a livello meno filosofico
ma più pratico, da "A". La carenza maggiore di
"A" mi pare consista nel fatto che seppur vi compaiano -
non troppo spesso peraltro - degli articoli pregevoli,
stimolanti, di ordine teorico (ad es. "Schegge di libertà"
di C. Neri) questi articoli sembrano frammenti di un puzzle che
nessuno si cimenta, se non a completare (sogno forse
irraggiungibile) almeno a far avanzare. I temi più
interessanti, quando giungono ad una fase del tipo "Ora
comincia il bello!" vengono sistematicamente lasciati cadere;
talvolta le tematiche vengono riprese dopo molto tempo, quasi sempre
accidentalmente e sempre ricominciando daccapo. In tal modo viene
meno ogni possibilità di cumulo delle conoscenze, cioè
dell'elemento fondamentale per progredire nella ricerca sulle
caratteristiche della società libertaria possibile. Ecco
quindi che "A" dovrebbe utilizzare le poche pagine a
disposizione per approfondire, e con un generoso ricorso
all'esemplificazione, il suo anarchismo. In effetti concordo anch'io
con chi la ritiene poco anarchica, ma non per il fatto che sia
poco militante (dato le carenze notevoli che denota l'anarchismo
attuale sul piano teorico essere militante equivale ad essere
propagandista del vuoto e del ridicolo) ma perché dopo la sua
lettura resta insoddisfatta la domanda principale: "Ma in
definitiva cos'è l'anarchia?" (O: cosa sono le
anarchie?). Dicevo della necessità
che "A" qualifichi il suo anarchismo esplicitandone le
tematiche fondamentali. La trattazione dovrebbe essere sistematica e
nei limiti del fattibile, suddivisa per argomenti. Potrebbe
avvalersi anche di lettere inviate dai lettori, emendate però
dalla redazione delle parti che ripetono semplicemente discorsi,
argomentazioni, già proposti o sviluppati nei numeri di poco
precedenti. Un'argomentazione propositiva attinente ad uno specifico
tema, della quale siano già state messe in luce pregevolezze
ed insufficienze dovrebbe essere confrontata con le argomentazioni
propositive rivali e quando il dibattito non riuscisse più ad
apportare elementi di novità, si potrebbe riassumere per
schemi, grafici, ecc., il punto del pro e contro delle diverse
teorie o proposte d'azione in modo che i singoli individui possano
agire razionalmente, quantomeno nel senso di conoscere a quali
conseguenze porta o può portare una determinata azione o
scelta di un certo assetto istituzionale. E' evidente, ma lo
sottolineo ugualmente, che non si tratta di conoscenza epistemica,
certa, incontrovertibile. La schematizzazione riassuntiva finale
avrebbe anche utilità di punto fermo (quasi fermo) qualora
nel futuro la tematica potesse riemergere; in sostanza il discorso
potrebbe essere ripreso tenendo conto del livello raggiunto nel
dibattito precedente. Qualche lettore ha chiesto che "A"
pubblichi qualcosa sulla storia dell'anarchismo. Basta che acquisti
le annate rilegate e ne troverà fin che vuole. Poi vi sono
moltissimi libri; occorre avere la pazienza di leggerne qualcuno.
Non è possibile, se non cadendo nel banale, che "A"
accetti di fare i riassuntini per lettori anarco/frettolosi. In
ogni caso vorrei ricordare che oltre ai classici dell'ottocento sono
interessanti anche le opere di G. Leval, di D.A. de Santillan, di
Garcia Oliver, cioè di gente che ha vissuto certe
esperienze rivoluzionarie e post-rivoluzionarie a noi più
vicine, se non addirittura quasi contemporanee. Non ricordo di
aver mai visto pubblicati e pubblicizzati i loro scritti più
recenti da editrici o riviste del movimento anarchico italiano.
Credo, in definitiva che abbia poco senso anche ripubblicare le
opere dei classici dell'anarchismo se non se ne mettono in
evidenza le aporie, le insufficienze, se non se ne collega il
linguaggio teoretico alla situazione storico/sociale/scientifica
dell'epoca in cui quei pensieri, quelle teorie, quelle suggestioni
sono maturate. Occorre cioè tener conto di almeno l0 anni
di esperienze successive e dell'approfondimento analitico cui molti
concetti etici e politici sono stati sottoposti negli
ultimi decenni. Le teorie infatti si fondano su concetti. se
questi sono troppo vaghi - e lo sono diventati in
rapporto all'evoluzione o svolgimento storico che dir si voglia -
le teorie non approdano a nulla e divengono inconsistenti. Il
consenso che ricevono, se lo ricevono, diviene puramente apparente;
l'uso linguistico di termini condivisi ne occulta le divergenze
sostanziali. Se la redazione conviene che è necessario
ridare significato o senso alla parola "anarchia" mi
pare urgente sottoporre i concetti e la terminologia utilizzata
nelle teorie anarchiche ad un'analisi serrata. La filosofia
analitica, le logiche mi sembrano strumenti utili per tale compito.
Alla luce di una simile operazione semantica la lettura dei classici
dell'anarchismo diverrebbe indubbiamente interessante, perché
il loro pensiero riceverebbe concretezza e potrebbe essere utile
alla prassi in modo più pregnante. Perché non
provare, ad esempio, a rileggere le disquisizioni di Bakunin, spesso
citate acriticamente, sulla libertà, utilizzando la
concettualizzazione operata su quel termine da Oppenheim nel suo
libro Concetti politici, edito da il Mulino? Si potrebbero
così cogliere oltre che le eventuali carenze discorsive o
concettuali di Bakunin anche quelle di Oppenheim. Si potrebbe poi
sviluppare un insieme ordinato di concetti, tesi, teorie ed ipotesi
che potrebbe essere pubblicato periodicamente (Ho in mente qualcosa
del tipo "Tractatus logico philosophicus" di
Wittgenstein). Utile potrebbe essere anche un approccio che mi pare
si possa definire operazionistico: anziché definire il
concetto per intenzione, si possono descrivere una serie di
operazioni fisiche o mentali o di comportamenti ai quali si
attribuisce un nome. Il concetto, in questo caso, è il
sinonimo di quelle operazioni ecc... Ad esempio si descrivono le
operazioni di varie assemblee: di quella che fa così e così
si può dire che ad essa (a quel fare) corrisponde il concetto
di democrazia, anarchia, riferito alle assemblee. In questo modo si
può raggiungere un'intesa chiara sui termini usati: quando X
parla di democrazia so che intende indicare le operazioni a-b-c-d;
quando il termine è usato da Y so che invece intende indicare
operazioni in tutto o parzialmente diverse. Questa procedura di
definizione ha anche il vantaggio che ad essa possono contribuire
veramente tutti, immaginando ciascuno situazioni familiari e
descrivendo a quali comportamenti farebbe corrispondere il nome di
anarchia. Una cosa del genere l'ho vista qualche anno fa su Umanità
Nova dove il concetto di comunismo veniva affrontato ipotizzando un
gruppo di amici al momento di pagare il conto al ristorante;
purtroppo non ricordo l'anno ed il numero del giornale. Munita di
un'adeguata concettualizzazione e di un robusto corredo teorico la
Rivista si verrebbe a trovare innanzi ad un bivio: rimanere una
rivista teorica e d'informazione o porsi come rivista che prende
posizione, come punto di coagulo di un nuovo movimento libertario
popolato non di santi, di eroi, di martiri o di dementi o di
asociali, ma di gente comune, generosa ed egoista, disposta
a qualche sacrificio ma con prudenza, coraggiosa talvolta, pavida
spesso. In questa seconda ipotesi le proposte più
accettabili, seppur non ottimali, dovrebbero divenire oggetto di un
vero e proprio programma politico che le ponga, con tutti i dubbi
e le riserve che si vuole, come obiettivi, finalità da
proseguire, salvo che successivamente si prospettino soluzioni
migliori per i problemi che si pongono alle varie società.
Un programma per un anarchismo relativista, l'avrebbe forse
definito F.S. Merlino. (A proposito perché Eleuthera non
ne ripubblica le opere?). Nel concludere questa lettera vorrei
infine ribadire la necessità di procedere ad un'analisi dei
valori, il che richiede un confronto con le moderne teorie etiche,
specialmente in relazione alla questione dei beni pubblici e alla
logica della scelta collettiva (è possibile che su "A"
non si possa leggere nulla sulle riflessioni effettuate su questi
temi da Rawls, Pontara, Veca, Nozik, Martelli, Hare, ecc?). La
Rivista oltre che di idee ha bisogno di denaro: le idee si devono
prendere dove ci sono, se non altro per confutarle; lo stesso
discorso vale anche per il denaro: è assurdo non accettarlo
da chi ne possiede tanto da gettarlo, quindi, Spazio alla
Pubblicità, senza remore di sorta. Non sarà certo per
il fatto che un prodotto è pubblicizzato su "A" che
lo comprerò! Per finire: se non condividete quello che ho
scritto non abbiate timore di perdere audience. Criticatelo a
fondo, tanto vi leggerò ugualmente per altri 20 anni
almeno!Franco Giacomoni (Trento)
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