Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 183
giugno 1991


Rivista Anarchica Online

Da vent'anni, regolarmente

Sto seguendo con interesse il dibattito sulla Rivista. Premesso che, pur non avendo mai fatto parte del movimento anarchico il mio interesse per l'anarchismo risale ormai al remoto 1969 - credo al riguardo di essere uno dei pochi lettori di "A" sopravvissuti fino al "ventennale" - vorrei, da lettore offrire qualche contributo al dibattito in corso. La crisi dell'anarchismo è una crisi teorica. L'impostazione ritualizzata dei valori lo rende privo di senso pratico. Non credo che le azioni che il movimento produce (quelle che leggo sulla sua stampa) dimostrino la sua capacità pratica (a parte per certi aspetti il comunitarismo di AAM Terra Nuova): le azioni sono caratterizzate dal negativismo (no a questo, no a quello) o dalla richiesta/rivendicazione di certe cose spicciole o anche grandi, ma in modo infantile, cioè senza approfondire il senso e le conseguenze di ciò che si chiede. Faro più sotto un esempio. Credo invece che per parlare di prassi si debbano avere delle finalità ben determinate e si debba essere in grado di tener conto, di rappresentarsi le conseguenze che derivano dall'utilizzo di certi mezzi o di altri. Per avere delle finalità si deve passare dal mondo dei valori (ideali astratti) al mondo della realtà non mentale, cioè scendere sul terreno delle "istituzioni" o dell'azione in cui i valori non possono più essere trattati isolatamente ma vengono trascinati in una situazione in cui entrano necessariamente in contatto e in cui l'individuo che li pensa è costretto ad ordinarli gerarchicamente o a coordinarli relativizzandoli : un po' di libertà, un pizzico d'uguaglianza, giustizia, fratellanza, ecc.. A seconda degli ingredienti ideali utilizzati e a seconda della loro combinazione avremo sistemi sociali diversi. Il discorso sui valori sarebbe lungo (forse è un tema che la rivista dovrebbe affrontare al più presto in termini espliciti).
L'azione, dicevo, si può definire "prassi" solo se è orientata in senso positivo a realizzare quelle finalità che l'individuo/gli individui si pongono. Oggi, mi pare, l'anarchismo ha dei valori (sui quali però non riflette in modo cosciente, e allora sembrano icone da adorare) ma non ha finalità pratiche. Allora l'azione è condannata al puro ribellismo asociale, o ad azioni che non hanno senso propriamente anarchico, anche se possono avere ugualmente dignità.
Ritengo che ogni discorso della Rivista non possa essere distinto da quello sul movimento anarchico. Da quello che leggo sulle riviste (a parte Volontà e, in qualche misura, "A") mi pare che il movimento più che libertario sia, per dirla con Stirner, un movimento di ossessi dal fantasma della libertà. Se la rivista vuole diventare un elemento che stimola la trasformazione sociale in senso libertario allora deve rivolgersi a quella stragrande maggioranza della popolazione che non si nutre di idealità astratte, ma pone in primo piano - stirnerianamente - interessi. E che si trova quindi ad affrontare problemi concreti che necessitano di soluzioni più o meno immediate. Malatesta stesso - che peraltro dal discorso teorico-pratico con Merlino ne è uscito, a mio avviso, con le ossa rotte - ammetteva che la vita umana non ammette interruzioni.
Mentre Volontà sta producendo un notevole sforzo per ridefinire l'anarchismo, mi sembra che "A" tenda a glissare alquanto e che sia poco propositiva sul piano pratico degli atteggiamenti da assumere di fronte a problemi attuali, indifferibili. Ad esempio, nell'ultimo numero leggo che la Rivista non accetta di mettere in discussione l'antibellicismo. Una simile affermazione può sembrare soddisfacente per una platea di adoratori, ma in verità mi sembra del tutto carente di fronte al problema concreto circa la posizione da assumere in presenza di regimi dittatoriali (e sanguinari, per giunta). Intendiamoci, la Rivista è sufficientemente intelligente da permettere anche a chi non condivide l'antibellicismo assoluto di esprimersi sulle sue pagine e ciò perché si rende conto di non essere in grado di offrire soluzioni. Molto peggio fa U.N. che in un articolo sui Curdi (U.N. del 14 aprile 1991) dopo aver stigmatizzato la posizione di coloro (Bush) che affermano che la questione curda è una questione interna che riguarda l'Iraq, condanna anche il senso comune che vorrebbe che i curdi fossero difesi (liberati) come si è fatto per il Kuwait, imponendo ai potenti, loro malgrado (?) di intervenire per rispettare effettivamente i principi che in occasione della guerra del Golfo hanno sbandierato. Qual è la soluzione che più anarchica non si può? Ovvio: solidarizzare con il popolo curdo (che però ha bisogno di una solidarietà un po' più prosaica dell'ideale solidaristico) e "invitare esplicitamente alla ribellione permanente..."! Guarda un po', ed io che credevo che i Curdi stessero subendo le conseguenze della ribellione! In definitiva la posizione anarchica su U.N. è la seguente: se uno si accinge ad ammazzarmi dopo aver vinto la mia resistenza e di lì passa l'anarchico puro, ma gracile e disarmato pure lui, non potrò sperare di cavarmela perché quello, ligio al suo fantasma, si rifiuterà di chiedere e di imporre, se del caso e se lo può, l'intervento del poliziotto che mi potrebbe salvare, ma che non si è accorto di nulla o, pur vedendo, nicchia o tenta di defilarsi. In cambio l'anarchico mi assicurerà il suo incitamento solidaristico: Ribellati, ribellati, faccio il tifo per te! (Abbiamo così la categoria dell'anarco/tifoso).
Occorre rassegnarsi, in certi momenti soluzioni ottimali dal punto di vista anarchico non ce ne sono e allora o ci si adatta a propugnare la soluzione meno ingiusta o si rinuncia (magari facendo finta, come si è visto, di indicare qualcosa) ad intervenire lasciando libero il campo al più forte, chiunque esso sia.
Ritornando ad "A" credo che la rivista dovrebbe fungere da elemento di sostegno a Volontà, nel senso che le tematiche affrontate da quest'ultimo periodico dovrebbero essere sviluppate e dibattute, a livello meno filosofico ma più pratico, da "A". La carenza maggiore di "A" mi pare consista nel fatto che seppur vi compaiano - non troppo spesso peraltro - degli articoli pregevoli, stimolanti, di ordine teorico (ad es. "Schegge di libertà" di C. Neri) questi articoli sembrano frammenti di un puzzle che nessuno si cimenta, se non a completare (sogno forse irraggiungibile) almeno a far avanzare. I temi più interessanti, quando giungono ad una fase del tipo "Ora comincia il bello!" vengono sistematicamente lasciati cadere; talvolta le tematiche vengono riprese dopo molto tempo, quasi sempre accidentalmente e sempre ricominciando daccapo. In tal modo viene meno ogni possibilità di cumulo delle conoscenze, cioè dell'elemento fondamentale per progredire nella ricerca sulle caratteristiche della società libertaria possibile.
Ecco quindi che "A" dovrebbe utilizzare le poche pagine a disposizione per approfondire, e con un generoso ricorso all'esemplificazione, il suo anarchismo. In effetti concordo anch'io con chi la ritiene poco anarchica, ma non per il fatto che sia poco militante (dato le carenze notevoli che denota l'anarchismo attuale sul piano teorico essere militante equivale ad essere propagandista del vuoto e del ridicolo) ma perché dopo la sua lettura resta insoddisfatta la domanda principale: "Ma in definitiva cos'è l'anarchia?" (O: cosa sono le anarchie?).
Dicevo della necessità che "A" qualifichi il suo anarchismo esplicitandone le tematiche fondamentali. La trattazione dovrebbe essere sistematica e nei limiti del fattibile, suddivisa per argomenti. Potrebbe avvalersi anche di lettere inviate dai lettori, emendate però dalla redazione delle parti che ripetono semplicemente discorsi, argomentazioni, già proposti o sviluppati nei numeri di poco precedenti. Un'argomentazione propositiva attinente ad uno specifico tema, della quale siano già state messe in luce pregevolezze ed insufficienze dovrebbe essere confrontata con le argomentazioni propositive rivali e quando il dibattito non riuscisse più ad apportare elementi di novità, si potrebbe riassumere per schemi, grafici, ecc., il punto del pro e contro delle diverse teorie o proposte d'azione in modo che i singoli individui possano agire razionalmente, quantomeno nel senso di conoscere a quali conseguenze porta o può portare una determinata azione o scelta di un certo assetto istituzionale. E' evidente, ma lo sottolineo ugualmente, che non si tratta di conoscenza epistemica, certa, incontrovertibile. La schematizzazione riassuntiva finale avrebbe anche utilità di punto fermo (quasi fermo) qualora nel futuro la tematica potesse riemergere; in sostanza il discorso potrebbe essere ripreso tenendo conto del livello raggiunto nel dibattito precedente.
Qualche lettore ha chiesto che "A" pubblichi qualcosa sulla storia dell'anarchismo. Basta che acquisti le annate rilegate e ne troverà fin che vuole. Poi vi sono moltissimi libri; occorre avere la pazienza di leggerne qualcuno. Non è possibile, se non cadendo nel banale, che "A" accetti di fare i riassuntini per lettori anarco/frettolosi. In ogni caso vorrei ricordare che oltre ai classici dell'ottocento sono interessanti anche le opere di G. Leval, di D.A. de Santillan, di Garcia Oliver, cioè di gente che ha vissuto certe esperienze rivoluzionarie e post-rivoluzionarie a noi più vicine, se non addirittura quasi contemporanee. Non ricordo di aver mai visto pubblicati e pubblicizzati i loro scritti più recenti da editrici o riviste del movimento anarchico italiano. Credo, in definitiva che abbia poco senso anche ripubblicare le opere dei classici dell'anarchismo se non se ne mettono in evidenza le aporie, le insufficienze, se non se ne collega il linguaggio teoretico alla situazione storico/sociale/scientifica dell'epoca in cui quei pensieri, quelle teorie, quelle suggestioni sono maturate. Occorre cioè tener conto di almeno l0 anni di esperienze successive e dell'approfondimento analitico cui molti concetti etici e politici sono stati sottoposti negli ultimi decenni. Le teorie infatti si fondano su concetti. se questi sono troppo vaghi - e lo sono diventati in rapporto all'evoluzione o svolgimento storico che dir si voglia - le teorie non approdano a nulla e divengono inconsistenti. Il consenso che ricevono, se lo ricevono, diviene puramente apparente; l'uso linguistico di termini condivisi ne occulta le divergenze sostanziali.
Se la redazione conviene che è necessario ridare significato o senso alla parola "anarchia" mi pare urgente sottoporre i concetti e la terminologia utilizzata nelle teorie anarchiche ad un'analisi serrata. La filosofia analitica, le logiche mi sembrano strumenti utili per tale compito. Alla luce di una simile operazione semantica la lettura dei classici dell'anarchismo diverrebbe indubbiamente interessante, perché il loro pensiero riceverebbe concretezza e potrebbe essere utile alla prassi in modo più pregnante. Perché non provare, ad esempio, a rileggere le disquisizioni di Bakunin, spesso citate acriticamente, sulla libertà, utilizzando la concettualizzazione operata su quel termine da Oppenheim nel suo libro Concetti politici, edito da il Mulino? Si potrebbero così cogliere oltre che le eventuali carenze discorsive o concettuali di Bakunin anche quelle di Oppenheim.
Si potrebbe poi sviluppare un insieme ordinato di concetti, tesi, teorie ed ipotesi che potrebbe essere pubblicato periodicamente (Ho in mente qualcosa del tipo "Tractatus logico philosophicus" di Wittgenstein). Utile potrebbe essere anche un approccio che mi pare si possa definire operazionistico: anziché definire il concetto per intenzione, si possono descrivere una serie di operazioni fisiche o mentali o di comportamenti ai quali si attribuisce un nome. Il concetto, in questo caso, è il sinonimo di quelle operazioni ecc... Ad esempio si descrivono le operazioni di varie assemblee: di quella che fa così e così si può dire che ad essa (a quel fare) corrisponde il concetto di democrazia, anarchia, riferito alle assemblee. In questo modo si può raggiungere un'intesa chiara sui termini usati: quando X parla di democrazia so che intende indicare le operazioni a-b-c-d; quando il termine è usato da Y so che invece intende indicare operazioni in tutto o parzialmente diverse. Questa procedura di definizione ha anche il vantaggio che ad essa possono contribuire veramente tutti, immaginando ciascuno situazioni familiari e descrivendo a quali comportamenti farebbe corrispondere il nome di anarchia. Una cosa del genere l'ho vista qualche anno fa su Umanità Nova dove il concetto di comunismo veniva affrontato ipotizzando un gruppo di amici al momento di pagare il conto al ristorante; purtroppo non ricordo l'anno ed il numero del giornale. Munita di un'adeguata concettualizzazione e di un robusto corredo teorico la Rivista si verrebbe a trovare innanzi ad un bivio: rimanere una rivista teorica e d'informazione o porsi come rivista che prende posizione, come punto di coagulo di un nuovo movimento libertario popolato non di santi, di eroi, di martiri o di dementi o di asociali, ma di gente comune, generosa ed egoista, disposta a qualche sacrificio ma con prudenza, coraggiosa talvolta, pavida spesso. In questa seconda ipotesi le proposte più accettabili, seppur non ottimali, dovrebbero divenire oggetto di un vero e proprio programma politico che le ponga, con tutti i dubbi e le riserve che si vuole, come obiettivi, finalità da proseguire, salvo che successivamente si prospettino soluzioni migliori per i problemi che si pongono alle varie società. Un programma per un anarchismo relativista, l'avrebbe forse definito F.S. Merlino. (A proposito perché Eleuthera non ne ripubblica le opere?).
Nel concludere questa lettera vorrei infine ribadire la necessità di procedere ad un'analisi dei valori, il che richiede un confronto con le moderne teorie etiche, specialmente in relazione alla questione dei beni pubblici e alla logica della scelta collettiva (è possibile che su "A" non si possa leggere nulla sulle riflessioni effettuate su questi temi da Rawls, Pontara, Veca, Nozik, Martelli, Hare, ecc?). La Rivista oltre che di idee ha bisogno di denaro: le idee si devono prendere dove ci sono, se non altro per confutarle; lo stesso discorso vale anche per il denaro: è assurdo non accettarlo da chi ne possiede tanto da gettarlo, quindi, Spazio alla Pubblicità, senza remore di sorta. Non sarà certo per il fatto che un prodotto è pubblicizzato su "A" che lo comprerò! Per finire: se non condividete quello che ho scritto non abbiate timore di perdere audience.
Criticatelo a fondo, tanto vi leggerò ugualmente per altri 20 anni almeno!

Franco Giacomoni (Trento)