Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 183
giugno 1991


Rivista Anarchica Online

No, non voglio la guerra

Il compagno Ortalli mi accusa di non esser coerente con le idee che professo poiché di fronte alla brutale aggressione del Kuwait da parte dell'Iraq e al successivo intervento americano nel Golfo avrei accettato la logica della ragion di Stato e di conseguenza della difesa del cosiddetto diritto internazionale che per lui è solo una mistificazione. Per di più persa ogni capacità raziocinante avrei ridotto le mille ragioni del fronte antibellicista al consueto antiamericanismo nato negli anni della guerra fredda e ad una vieta ideologia terzomondista.
Ma vediamo di ricapitolare i fatti. Facendosi beffa dell'opinione internazionale, il Rais di Baghdad invade ed annette lo Stato del Kuwait, poi chiama a raccolta le masse arabe per accreditare il seguente ragionamento: l'occupazione del vicino Emirato è giustificata dalla estrema instabilità della regione e va considerata un'azione di autodifesa; l'instabilità del Medio Oriente ha origine non nei regimi arabi, ma dalla esistenza di Israele e dalla politica del suo protettore, gli Stati Uniti. Perciò la pace potrà tornare nel Vicino Oriente solo se tutte le questioni saranno risolte contestualmente. Nel frattempo come arma di scambio, l'Iraq si terrà il Kuwait.
Questa tesi, accettata naturalmente dalla gran parte delle masse arabe, ha riscosso credito anche in certi settori della sinistra italiana secondo i quali la causa della miseria dei popoli arabi non sta nei regimi dittatoriali che li opprimono ma da addossare agli Stati Uniti e all'entità sionista.
Tuttavia l'impossibilità di giustificare presso l'opinione pubblica, come era avvenuto per esempio per l'Afghanistan, una operazione come l'occupazione e l'annessione del Kuwait e il non poter condannare gli americani che in questo caso sono apparsi come difensori di una causa giusta ha spostato il dibattito sulla necessità o meno di una risposta adeguata all'azione irachena.
Privati di ogni giustificazione ideologica e di ogni ispirazione ideale questi settori (e qui ha ragione Ortalli non si deve mai generalizzare) hanno reagito opponendo uno sbarramento di principio e adottato nelle analisi della situazione internazionale i metodi cari alla Pax Christi e alla società protettrice degli animali. Trasformata la pace in una fede, e la fede non si discute, si è affermato che ogni guerra è per sua natura reazionaria e che non esiste guerra che meriti di essere combattuta.
Parte del movimento anarchico ha fatto proprie queste posizioni (non capisco perché si continui allora a fare l'apologia della Machnovcina, della guerra contro Franco e della Resistenza) mentre l'altra ha lanciato la consueta parola d'ordine: invece di preparare la guerra o di subirla passivamente, si inciti il proletariato alla rivoluzione sociale. Il risultato è che entrambe hanno votato infinite astratte mozioni e mentre gli uni hanno nascosto la propria passività dietro l'alibi di un pacifismo candido gli altri non si sono certo trasformati in una vera centrale rivoluzionaria. Poi siccome gli appelli, le manifestazioni, le marce non hanno fermato la guerra, ci siamo accontentati di condannarla, e così faremo "secula seculorum". Ma avremmo fatto salvi i principi, e non ci saremo assunti alcuna responsabilità prendendo delle posizioni concrete che ci avrebbero portato inevitabilmente a fianco di qualcuno.
Ovviamente il giorno che una nuova guerra scoppierà lanceremo ancora una volta la parola d'ordine dell'insurrezione, tanto saremo certi che nessuno ci seguirà. E organizzeremo i soliti dibattiti e continueremo ad affermare: se gli Stati non esistessero..., se si levasse alta la protesta rivoluzionaria, se il proletariato innalzasse le barricate. Ma in questo caso non ci sarebbe bisogno di alcun intervento militare basterebbe la semplice solidarietà dei proletari e di tutti i rivoluzionari.
So, a questo punto, l'accusa che mi si rivolgerà: tu allora vuoi la guerra. No, io non voglio la guerra, se dipendesse da me sarebbe bandita per sempre. Io constato solo che anche questa volta la guerra è venuta, e Saddam Hussein non gli Stati Uniti l'hanno voluta. E prima che l'intervento avesse realmente luogo potevamo almeno sostenere una politica attiva che mettesse in difficoltà il regime iracheno, isolamento diplomatico, taglio di fondi, boicottaggio commerciale, aiuto aperto alle opposizioni. ecc.
Da tempo più marxisti di Marx, ci dimentichiamo che le guerre non scoppiano solo per interessi economici. La seconda guerra mondiale ad esempio è stata anche un problema di potere fra due diverse concezioni del mondo; una delle quali, quella nazi-fascista, significava una ricaduta nella barbarie, mentre l'altra, con tutti i suoi limiti, rappresentava una cultura decisamente superiore frutto anche delle rivoluzioni del passato. Furono la soppressione dell'assolutismo e l'affermazione dei valori della democrazia e del liberalismo a creare le condizioni affinché potessero svilupparsi il movimento operaio moderno e il socialismo (senza la conquista di determinati diritti e libertà politiche non si sarebbero potuti verificare i movimento sociali presenti).
Anche la guerra del Golfo non è stata solo, ed unicamente uno scontro per il petrolio o un altro episodio della eterna lotta tra ricchi e poveri del mondo (del resto anche la guerra fredda non fu lo scontro tra borghesia e proletariato). Abbiamo assistito anche ad un primo scontro tra due modelli culturali. Da una parte l'Occidente laico, razionale, sviluppato, portatore dei valori di libertà e democrazia (non dimentichiamo che questi valori di cui anche noi godiamo non furono un regalo dei governi, ma il frutto di dure e sanguinose lotte), e dall'altro il mondo arabo con il suo integralismo religioso, cornice ideologica esasperata del neo-nazionalismo arabo. Nulla potrebbero i nostri pacifisti candidi contro il fondamentalismo islamico armato e tanto meno potrebbe la Chiesa che chissà perché preferisce l'islamismo all'ebraismo e mentre non riconosce ancora l'esistenza dello Stato di Israele apre le porte del Vaticano a molti dittatori arabi.
Definitivamente debellato, almeno speriamo, il fondamentalismo comunista, anche il concetto di guerra torna a laicizzarsi e dovremmo di nuovo distinguere tra brutale esercizio della violenza e della sopraffazione e ricorso legittimo alla forza. Il paradosso è che coloro i quali hanno contribuito a dimostrare che autoritarismo e guerra sono sinonimi, che non è possibile alcun disarmo senza l'attiva collaborazione di un movimento operaio libero, che il capitalismo e gli Stati portano nel loro seno la guerra, sono oggi i più decisi nell'affermare che si possa ottenere la pace e il disarmo totale sebbene i regimi dittatoriali siano padroni di mezzo mondo.
Per evitare il ripetersi di nuove catastrofi, per esser in condizione di attuare la pace è indispensabile prima abbattere almeno i regimi dittatoriali e se anche crollano per una guerra voluta da altri, noi non possiamo che gioirne. Sono questi in primo luogo che rendono la pace impossibile poiché è la loro stessa struttura interna autoritaria che li spinge irresistibilmente a imporsi sul piano internazionale. La lotta contro i regimi dittatoriali deve quindi essere il nostro primo dovere essendo la loro distruzione la condizione principale per uno sviluppo sociale, nella pace, nella libertà e nella giustizia. Porsi come compito prioritario la lotta contro le dittature non significa ritenere la società in cui viviamo come la migliore del mondo, ma che offra questo sì, la possibilità di uno sviluppo sociale superiore sotto condizioni migliori e più umane. "Quando non ci saranno nel mondo più dittature - scriveva R. Rocker - si apriranno nuove possibilità per compiere una opera costruttiva. La libertà non conosce mete finali, però è l'unico rimedio che può aprire le porte di un nuovo avvenire".
Potrei terminare qui, ma voglio fare due ultime considerazioni. Che la ricchezza dell'occidente si debba unicamente allo sfruttamento del terzo mondo è una tesi che sopravvaluta il ruolo del colonialismo e del neo-colonialismo come cause dello sviluppo economico occidentale che è invece il prodotto ultimo di un millenario processo storico, il frutto finale di un insieme di fattori culturali, politici, economici. Il possesso di vasti imperi coloniali non determinò affatto il decollo economico della Spagna e del Portogallo, al contrario Stati Uniti e Germania in assenza di possedimenti coloniali conobbero alla fine del secolo un prodigioso sviluppo. Inoltre si dice che la povertà del terzo mondo si deve esclusivamente allo sfruttamento occidentale. Questo assunto parte dalla convinzione che esistette una società idilliaca, dove gli uomini vivevano in perfetta armonia tra loro e in sintonia con la natura, distrutta brutalmente dai colonialisti bianchi. Tale società non è mai esistita, è vero solo che l'Occidente determinando processi di modernizzazione, ha alcune dirette responsabilità nella distruzione di economie di sussistenza e nella permanenza della povertà in determinate aree (con l'introduzione della scienza e della medicina occidentale si sono abbassati i tassi di mortalità e si è contribuito al boom demografico che è oggi il principale ostacolo allo sviluppo economico nel terzo mondo).
Il problema della dipendenza dai paesi industrializzati non spiega poi lo sviluppo di alcuni Paesi extra-occidentali come la Corea o Taiwan. Non solo ma mentre le società precapitalistiche si limitavano a sfruttare quelle più deboli con cui entravano in contatto, il capitalismo industriale è stato anche il catalizzatore di innovazione sociale e culturale e di modernizzazione economica. Chi potrebbe oggi proporre il bando della scienza e della medicina occidentale al fine di riportare al livello naturale il rapporto fra natalità e mortalità oppure opporsi alla proibizione di bruciare le vedove imposta in India dal governo coloniale britannico?

Furio Biagini (Pistoia)