Rivista Anarchica Online
No, non voglio la guerra
Il compagno Ortalli mi accusa di non esser coerente con le idee
che professo poiché di fronte alla brutale aggressione del
Kuwait da parte dell'Iraq e al successivo intervento americano nel
Golfo avrei accettato la logica della ragion di Stato e di
conseguenza della difesa del cosiddetto diritto internazionale
che per lui è solo una mistificazione. Per di più
persa ogni capacità raziocinante avrei ridotto le mille ragioni del
fronte antibellicista al consueto antiamericanismo nato negli anni
della guerra fredda e ad una vieta ideologia terzomondista. Ma
vediamo di ricapitolare i fatti. Facendosi beffa dell'opinione
internazionale, il Rais di Baghdad invade ed annette lo Stato del
Kuwait, poi chiama a raccolta le masse arabe per accreditare
il seguente ragionamento: l'occupazione del vicino Emirato è
giustificata dalla estrema instabilità della regione e va
considerata un'azione di autodifesa; l'instabilità del Medio
Oriente ha origine non nei regimi arabi, ma dalla esistenza di
Israele e dalla politica del suo protettore, gli Stati Uniti. Perciò
la pace potrà tornare nel Vicino Oriente solo se tutte le
questioni saranno risolte contestualmente. Nel frattempo come arma
di scambio, l'Iraq si terrà il Kuwait.
Questa tesi, accettata naturalmente dalla gran parte delle masse
arabe, ha riscosso credito anche in certi settori della sinistra
italiana secondo i quali la causa della miseria dei popoli arabi non
sta nei regimi dittatoriali che li opprimono ma da addossare agli
Stati Uniti e all'entità sionista. Tuttavia
l'impossibilità di giustificare presso l'opinione pubblica,
come era avvenuto per esempio per l'Afghanistan, una operazione come
l'occupazione e l'annessione del Kuwait e il non poter condannare
gli americani che in questo caso sono apparsi come difensori di una
causa giusta ha spostato il dibattito sulla necessità o meno
di una risposta adeguata all'azione irachena. Privati di ogni
giustificazione ideologica e di ogni ispirazione ideale questi
settori (e qui ha ragione Ortalli non si deve mai generalizzare)
hanno reagito opponendo uno sbarramento di principio e adottato
nelle analisi della situazione internazionale i metodi cari alla Pax
Christi e alla società protettrice degli animali. Trasformata
la pace in una fede, e la fede non si discute, si è affermato
che ogni guerra è per sua natura reazionaria e che non esiste
guerra che meriti di essere combattuta. Parte del movimento
anarchico ha fatto proprie queste posizioni (non capisco perché
si continui allora a fare l'apologia della Machnovcina, della
guerra contro Franco e della Resistenza) mentre l'altra ha
lanciato la consueta parola d'ordine: invece di preparare la guerra
o di subirla passivamente, si inciti il proletariato alla
rivoluzione sociale. Il risultato è che entrambe hanno votato
infinite astratte mozioni e mentre gli uni hanno nascosto la propria
passività dietro l'alibi di un pacifismo candido gli altri
non si sono certo trasformati in una vera centrale rivoluzionaria.
Poi siccome gli appelli, le manifestazioni, le marce non hanno
fermato la guerra, ci siamo accontentati di condannarla, e così
faremo "secula seculorum". Ma avremmo fatto salvi i
principi, e non ci saremo assunti alcuna responsabilità
prendendo delle posizioni concrete che ci avrebbero portato
inevitabilmente a fianco di qualcuno. Ovviamente il giorno che
una nuova guerra scoppierà lanceremo ancora una volta la
parola d'ordine dell'insurrezione, tanto saremo certi che nessuno ci
seguirà. E organizzeremo i soliti dibattiti e continueremo ad
affermare: se gli Stati non esistessero..., se si levasse alta la
protesta rivoluzionaria, se il proletariato innalzasse le barricate.
Ma in questo caso non ci sarebbe bisogno di alcun intervento
militare basterebbe la semplice solidarietà dei proletari e
di tutti i rivoluzionari. So, a questo punto, l'accusa che mi si
rivolgerà: tu allora vuoi la guerra. No, io non voglio la
guerra, se dipendesse da me sarebbe bandita per sempre. Io constato
solo che anche questa volta la guerra è venuta, e Saddam
Hussein non gli Stati Uniti l'hanno voluta. E prima che
l'intervento avesse realmente luogo potevamo almeno sostenere una
politica attiva che mettesse in difficoltà il regime
iracheno, isolamento diplomatico, taglio di fondi, boicottaggio
commerciale, aiuto aperto alle opposizioni. ecc. Da tempo più
marxisti di Marx, ci dimentichiamo che le guerre non scoppiano solo
per interessi economici. La seconda guerra mondiale ad esempio è
stata anche un problema di potere fra due diverse concezioni del
mondo; una delle quali, quella nazi-fascista, significava una
ricaduta nella barbarie, mentre l'altra, con tutti i suoi limiti,
rappresentava una cultura decisamente superiore frutto anche
delle rivoluzioni del passato. Furono la soppressione
dell'assolutismo e l'affermazione dei valori della democrazia e
del liberalismo a creare le condizioni affinché potessero
svilupparsi il movimento operaio moderno e il socialismo (senza
la conquista di determinati diritti e libertà politiche
non si sarebbero potuti verificare i movimento sociali
presenti). Anche la guerra del Golfo non è stata solo, ed
unicamente uno scontro per il petrolio o un altro episodio della
eterna lotta tra ricchi e poveri del mondo (del resto anche la
guerra fredda non fu lo scontro tra borghesia e proletariato).
Abbiamo assistito anche ad un primo scontro tra due
modelli culturali. Da una parte l'Occidente laico, razionale,
sviluppato, portatore dei valori di libertà e democrazia
(non dimentichiamo che questi valori di cui anche noi godiamo non
furono un regalo dei governi, ma il frutto di dure e sanguinose
lotte), e dall'altro il mondo arabo con il suo integralismo
religioso, cornice ideologica esasperata del neo-nazionalismo arabo.
Nulla potrebbero i nostri pacifisti candidi contro il
fondamentalismo islamico armato e tanto meno potrebbe la Chiesa che
chissà perché preferisce l'islamismo all'ebraismo e
mentre non riconosce ancora l'esistenza dello Stato di Israele apre
le porte del Vaticano a molti dittatori arabi. Definitivamente
debellato, almeno speriamo, il fondamentalismo comunista, anche il
concetto di guerra torna a laicizzarsi e dovremmo di nuovo
distinguere tra brutale esercizio della violenza e della
sopraffazione e ricorso legittimo alla forza. Il paradosso è
che coloro i quali hanno contribuito a dimostrare che autoritarismo
e guerra sono sinonimi, che non è possibile alcun disarmo
senza l'attiva collaborazione di un movimento operaio libero, che
il capitalismo e gli Stati portano nel loro seno la guerra, sono
oggi i più decisi nell'affermare che si possa ottenere la
pace e il disarmo totale sebbene i regimi dittatoriali siano
padroni di mezzo mondo.
Per evitare il ripetersi di nuove catastrofi, per esser in
condizione di attuare la pace è indispensabile prima
abbattere almeno i regimi dittatoriali e se anche crollano per una
guerra voluta da altri, noi non possiamo che gioirne. Sono questi in
primo luogo che rendono la pace impossibile poiché è
la loro stessa struttura interna autoritaria che li spinge
irresistibilmente a imporsi sul piano internazionale. La lotta
contro i regimi dittatoriali deve quindi essere il nostro primo
dovere essendo la loro distruzione la condizione principale per uno
sviluppo sociale, nella pace, nella libertà e nella
giustizia. Porsi come compito prioritario la lotta contro le
dittature non significa ritenere la società in cui viviamo
come la migliore del mondo, ma che offra questo sì, la
possibilità di uno sviluppo sociale superiore sotto
condizioni migliori e più umane. "Quando non ci
saranno nel mondo più dittature - scriveva R. Rocker - si
apriranno nuove possibilità per compiere una opera
costruttiva. La libertà non conosce mete finali, però
è l'unico rimedio che può aprire le porte di un
nuovo avvenire". Potrei terminare qui, ma voglio fare due
ultime considerazioni. Che la ricchezza dell'occidente si debba
unicamente allo sfruttamento del terzo mondo è una tesi che
sopravvaluta il ruolo del colonialismo e del neo-colonialismo
come cause dello sviluppo economico occidentale che è invece
il prodotto ultimo di un millenario processo storico, il frutto
finale di un insieme di fattori culturali, politici, economici.
Il possesso di vasti imperi coloniali non determinò affatto
il decollo economico della Spagna e del Portogallo, al contrario
Stati Uniti e Germania in assenza di possedimenti coloniali
conobbero alla fine del secolo un prodigioso sviluppo. Inoltre si
dice che la povertà del terzo mondo si deve esclusivamente
allo sfruttamento occidentale. Questo assunto parte dalla
convinzione che esistette una società idilliaca, dove gli
uomini vivevano in perfetta armonia tra loro e in sintonia con la
natura, distrutta brutalmente dai colonialisti bianchi. Tale società
non è mai esistita, è vero solo che l'Occidente
determinando processi di modernizzazione, ha alcune dirette
responsabilità nella distruzione di economie di sussistenza e
nella permanenza della povertà in determinate aree (con
l'introduzione della scienza e della medicina occidentale si sono
abbassati i tassi di mortalità e si è contribuito al
boom demografico che è oggi il principale ostacolo allo
sviluppo economico nel terzo mondo). Il problema della dipendenza
dai paesi industrializzati non spiega poi lo sviluppo di alcuni
Paesi extra-occidentali come la Corea o Taiwan. Non solo ma
mentre le società precapitalistiche si limitavano a sfruttare
quelle più deboli con cui entravano in contatto, il
capitalismo industriale è stato anche il catalizzatore di
innovazione sociale e culturale e di modernizzazione economica.
Chi potrebbe oggi proporre il bando della scienza e della
medicina occidentale al fine di riportare al livello naturale il
rapporto fra natalità e mortalità oppure opporsi
alla proibizione di bruciare le vedove imposta in India dal governo
coloniale britannico?Furio Biagini (Pistoia)
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