Rivista Anarchica Online
Un uomo libero
di Giampiero Landi
Domenico Girelli è morto martedì 8 maggio 1991,
all'età di 98 anni. Ero andato a trovarlo a casa sua a
Suresnes, alla periferia di Parigi, nel luglio dell'anno scorso.
Sapevo che stava male, che la sua forte fibra era stata intaccata
in modo irreparabile e che presumibilmente gli restava poco da
vivere. Volevo rivederlo ancora una volta, avevo il presentimento
che sarebbe stata l'ultima. Arrivato a Parigi, ero andato prima a
trovare sua sorella Vittoria che abita nei sobborghi dalla
parte opposta della città (due ore di viaggio in autobus e
metropolitana per arrivare a casa di Domenico). Vittoria, cui era
legatissimo, mi aveva avvertito: "Dominique non è più
la stessa persona. E' ancora lucidissimo e sarà felice di
vederti. Ma non aspettarti che sia ancora come l'ultima volta
che l'hai visto, qualche anno fa". Ero rimasto due giorni
a Parigi, andando a trovare Domenico ogni giorno per qualche ora,
senza fermarmi troppo per non affaticarlo. Avevo visto un uomo
che era ormai l'ombra di se stesso, ben diverso da come l'avevo
conosciuto e me lo ricordavo. A parte la sordità che si
era accentuata (ormai non sentiva più neppure il campanello
di casa e il telefono che squillava), si reggeva in piedi a fatica e
anche in casa doveva appoggiarsi per spostarsi da una stanza
all'altra. Ma ciò che probabilmente gli dava più
tormento e di cui si lamentava, era il fatto che a causa
di cateratte agli occhi non riusciva più a leggere,
proprio lui che per tutta la vita era stato un lettore appassionato
e onnivoro, con interessi che spesso esulavano dalla politica per
investire i più svariati campi, dall'alimentazione alla
medicina, dalle scoperte scientifiche alle
invenzioni tecnologiche. Abituato per tutta la vita a fare
tutto da sé e a non dipendere da nessuno, fiero della sua
autonomia, era ormai incapace di provvedere alle sue necessità.
Per fortuna c'era la figlia Ines, che abita in un appartamento poco
distante dal suo, che lo aiutava per la spesa quotidiana e per le
pulizie di casa. Con Domenico avevo scherzato sull'obiettivo che
si era prefissato di raggiungere, ormai piuttosto vicino, del
secolo di vita. Gli avevo preannunciato che dall'Italia saremmo
andati numerosi a festeggiarlo, tra amici e compagni. Ero ripartito
con un senso di pena nel cuore, temendo che non sarebbe riuscito a
vederli, quei festeggiamenti. Qualche settimana fa è
giunta la triste ma non inattesa notizia. E' morto in una camera
d'ospedale a Parigi, dove era stato ricoverato nelle ultime
settimane per l'aggravarsi delle sue condizioni. Razionalista
e libero pensatore, ha lasciato il suo corpo alla medicina,
chiedendo di essere poi cremato. La sua è la tipica
biografia di un militante proletario anarchico italiano nato alla
fine del secolo scorso, che ha attraversato il novecento senza
mancare nessuno dei grandi appuntamenti con la storia: dalla
settimana rossa alla prima guerra mondiale, dall'occupazione delle
fabbriche all'esilio antifascista in Francia, dalla guerra civile
spagnola alla Parigi occupata dai nazisti. Una biografia che,
aldilà della sua eccezionalità, per tanti versi può
essere considerata esemplare, simile a quella di molti militanti
della sua generazione (ma va sottolineato che Domenico sembrava
avere fatto proprio tutto quello che era possibile fare per un
militante anarchico italiano nella prima metà del XX secolo,
trovandosi sempre in quello che era, per un rivoluzionario, "il
posto giusto nel momento giusto"). Sempre in lotta per
l'affermazione delle proprie idee politiche, tra persecuzioni delle
autorità e difficoltà economiche per mantenere sé
e la propria 'famiglia. Ma ciò che colpiva inevitabilmente
chi aveva la fortuna di incontrarlo, ciò che rendeva
Domenico unico e irripetibile, non era tanto quello che aveva
fatto (che pure era notevole e tale da suscitare ammirazione e
stupore), quanto soprattutto quello che egli era. L'avevo
incontrato per la prima volta a Castelbolognese nei primi anni
settanta, mentre si trovava ospite a casa di Emma e Nello
Garavini. Su di me, allora giovane entusiasta da poco
avvicinatomi al movimento anarchico, Girelli ha subito esercitato
un notevole fascino, sia per il suo passato che per la spiccata
personalità. Aveva all'epoca già un'ottantina
d'anni, ma possedeva lo spirito e - cosa straordinaria -, il vigore
fisico di un giovanotto. Era ancora dotato di una forza muscolare
incredibile per la sua età, guidava tranquillamente
l'automobile (anche nel traffico di Parigi!), camminava velocissimo,
quasi a passo di corsa (e talvolta si metteva a correre per
davvero!). Da ogni punto di vista la sua salute era di ferro, e
tale è rimasta fino agli ultimi tre o quattro anni, quando ha avuto
quasi di colpo un tracollo da cui non si è più
veramente ripreso. Colpivano in lui la ricca umanità, il
carattere fiero e deciso, l'intelligenza pronta e vivace, la
vastità degli interessi, la notevole apertura mentale,
tanto più rimarchevole in un uomo della sua età.
Univa al rigore politico una grande coerenza morale, senza per
questo essere moralista. Aveva conoscenze nei campi più
diversi, una memoria straordinaria, e con lui si poteva parlare
pressoché di ogni argomento, se necessario anche di problemi
personali e intimi, come se tra noi non ci fossero sessant'anni di
differenza. Operaio intelligente autodidatta, la sua educazione
era avvenuta più nell'università della vita che tra i
libri che pure amava. Era nato a Civitella di Romagna,
nell'Appennino forlivese, il 19 febbraio 1893, da una
famiglia poverissima. Il padre era contadino la madre pecoraia,
entrambi analfabeti. Primogenito di numerosi figli, frequenta
fino alla terza elementare nella scuola del paese, che deve poi
abbandonare perché il direttore, monarchico e reazionario,
ostacola i figli dei poveri nella prosecuzione degli studi. Nel
1905, giovanissimo, parte con il padre alla ricerca di
un'occupazione nei distretti minerari e industriali dell'Est
della Francia. Dopo avere svolto altri mestieri riesce a farsi
assumere in un'officina metallurgica dove resterà per sei
anni. Per farsi assumere, dato che la legge prescriveva l'età
minima di 14 anni e a lui mancavano alcuni mesi, falsifica la
carta d'identità. Intorno al 1908 si avvicina alle idee
anarchiche. Legge voracemente giornali, libri e opuscoli. La sua
passione è tale che, pur lavorando 10 ore al giorno,
riesce a dedicare alla lettura altre 5 o 6 ore. Una certa
influenza esercita inizialmente su di lui un compagno di lavoro
originario del suo paese, sposato con una sua cugina, amico di
Pietro Gori e animatore del movimento anarchico a Civitella. Ogni
due anni Girelli torna in Italia per un periodo di ferie. Ogni
volta trascorre un mese a Civitella dove diventa compagno
inseparabile di alcuni giovani anarchici del paese suoi coetanei,
tra cui Leandro Arpinati, futuro ras del fascismo
bolognese, all'epoca anarchico individualista infatuato di Libero
Tancredi. Negli anni successivi frequenta anche il socialista
Torquato Nanni, nella vicina Santa Sofia. Con molta riluttanza,
convinto dal padre che gli prospetta le conseguenze negative della
renitenza alla leva, nel 1913 Domenico rientra in Italia per il
servizio militare. Dopo due mesi è talmente depresso e
deperito che ottiene un anno di convalescenza da trascorrere a casa.
Durante la convalescenza, nel giugno 1914 scoppia lo sciopero
insurrezionale della settimana rossa. Prende parte a tutte le
manifestazioni nel paese, mettendosi in luce per numerosi episodi.
Tra l'altro, con un bastone e una corda, infilati nei battenti
della porta, tiene segregati per una settimana nella loro caserma i
carabinieri del paese. Con delle assi e dei chiodi sbarra anche la
porta della chiesa. Dopo la fine dei moti non subisce
conseguenze. Tornato al battaglione, allo scoppio della prima
guerra mondiale si rifiuta di usare le armi e si dichiara
disposto ad andare in carcere, ma viene convinto a svolgere il
servizio senz'armi!, come infermiere portaferiti. Accetta perché
la soluzione non è in contraddizione con i suoi ideali
umanitari. Svolge servizio prima nelle retrovie poi al fronte. Nel
1917 viene fatto prigioniero dagli Austriaci sull'Altopiano della
Bainsizza, durante la rotta di Caporetto. Viene mandato prima
in un campo di concentramento nell'Ungheria meridionale, poi a
lavorare, negli ultimi mesi di guerra, presso una famiglia di
contadini in un villaggio. Liberato dalla prigionia al termine
della guerra, deve attendere la fine del 1919 per essere
smobilitato. Si reca a Genova per cercarvi lavoro, e viene
assunto in un'importante officina meccanica di proprietà
dell'Ansaldo. Nel settembre del 1920 prende parte attiva
all'occupazione delle fabbriche, nel corso della quale gli operai
continuano la produzione da soli e sorvegliano armati gli
stabilimenti. Con i compagni di lavoro costruisce, con spezzoni di
tubi riempiti di esplosivo, numerose bombe che poi verranno nascoste
in luoghi diversi. Implicato in un furto d'armi avvenuto in una
caserma militare, nella notte tra il 30 e il 31 dicembre 1920 riesce
in modo rocambolesco a sfuggire all'arresto, e dopo alcune settimane
di latitanza decide di riparare in Francia, dove conosce l'ambiente
e la lingua. Si stabilisce nella regione di Parigi, dove
risiederà per il resto della sua esistenza. Per alcuni anni,
a causa della mancanza di documenti, conduce una vita
estremamente precaria, cambiando quasi settimanalmente il posto
di lavoro e l'alloggio. Quando finalmente ottiene il permesso di
soggiorno, la situazione migliora. Per sei anni lavora alla Renault
di Billancourt, ma viene licenziato per avere preso parte allo
sciopero in occasione del Primo Maggio 1930. Attraversa di nuovo un
periodo di difficoltà economiche, dovendo provvedere anche
alla famiglia, composta dalla moglie e due figli (si è
sposato nel 1923, dopo alcuni anni di unione libera, con la sua
affittacamere di Genova, vedova di guerra con una figlia piccola a
carico; il matrimonio si deve soprattutto alla nascita del primo e
unico figlio maschio della coppia, che per senso di responsabilità
fa superare a Domenico le forti prevenzioni nei confronti di questa
istituzione). Le difficoltà economiche non gli impediscono
di svolgere un'importante attività a sostegno delle vittime
politiche e dei compagni italiani in fuga dal fascismo, che
affluiscono numerosi in Francia, e che spesso proprio grazie a
Domenico trovano cibo, lavoro, alloggio. Nel 1936, allo scoppio
della rivoluzione, insieme a molti altri compagni accorre in Spagna
a combattere in armi il fascismo. Passa diversi mesi al fronte,
prendendo parte ad alcuni combattimenti. Nell'aprile 1937
ottiene una licenza e ne approfitta per ritornare a Parigi a
rivedere la famiglia. Dopo quindici giorni, mentre con un gruppo di
compagni sta per rientrare in Spagna, viene arrestato dalla polizia
francese alla frontiera a Perpignan, e condannato ad alcuni mesi di
carcere per avere infranto le norme, appena entrate in vigore,
varate dal governo Blum in omaggio alla politica del "non
intervento". Liberato, su consiglio di alcuni compagni
rinuncia a rientrare in Spagna dove, dopo i fatti del maggio 1937 a
Barcellona e l'inizio della repressione stalinista nei confronti di
anarchici e poumisti, la situazione si è ormai deteriorata. A
Parigi Girelli affronta Luigi Longo e altri dirigenti comunisti in
pubblici dibattiti accusandoli di complicità nell'assassinio
di Camillo Berneri e di altri militanti libertari, e rischia per
questo di essere picchiato. Nel luglio del 1938 viene arrestato
nell'ambito delle misure precauzionali adottate per l'imminente
arrivo del re d'Inghilterra. Accompagnato alla frontiera con il
Belgio, viene espulso. Diffidato a rimettere piede in Francia se non
vuole incorrere in una pesante condanna, il giorno dopo è di
nuovo clandestino a Parigi. Durante l'occupazione nazista viene
segnalato dalla polizia francese alle autorità tedesche
come antifascista e combattente in Spagna. Arrestato, trascorre
quattro mesi nella prigione della Santé prima di essere
interrogato dalla Gestapo. Si salva solo perché i tedeschi in
quel momento sono interessati soprattutto a mettere le mani sugli
intellettuali antifascisti, scrittori propagandisti o giornalisti,
e si accontentano della sua versione dei fatti senza svolgere
ulteriori indagini. Personalmente non ha altre noie rilevanti
fino alla fine della guerra, ma perde l'unico figlio maschio che
viene deportato a lavorare in Germania e non fa più
ritorno. A differenza di molti altri compagni, Girelli non ha
preso parte alla Resistenza. Anche in tarda età, a distanza
di alcuni decenni, difendeva questa sua scelta. Rifiutava questa
come tutte le altre guerre, in quanto in ultima analisi si
trattava pur sempre di schierarsi dalla parte di uno stato contro un
altro stato. Inoltre, avendone sperimentato direttamente i
metodi repressivi, ai suoi occhi i francesi e i loro alleati non
erano poi molto meglio dei tedeschi. Voleva essere, e si sentiva,
"al di sopra della mischia". Si tratta di una posizione
forse discutibile, su cui molti saranno probabilmente in disaccordo,
ma che personalmente ritengo che meriti rispetto, soprattutto
provenendo da un uomo che in più occasioni aveva dimostrato
un notevole coraggio e un'adamantina coerenza. Nel 1946, dopo la
Liberazione, viene arrestato per l'ultima volta e sconta quattro
mesi di carcere per avere cercato di occultare alcune armi
passategli da un ex resistente, figlio del suo datore di
lavoro. L'ultima forma di impegno, per Domenico, è stata
l'assistenza prestata agli esuli politici italiani a Parigi negli
anni '70 e '80, particolarmente dopo che la morte della moglie lo
aveva lasciato libero di disporre interamente della casa e dei
magri risparmi. Per lui la solidarietà nei confronti dei
compagni, di chi aveva bisogno, era un fatto ovvio e naturale. Non
chiedeva mai per quale motivo una persona era nei guai, non
giudicava mai ciò che aveva fatto, gli bastava vedere che
aveva bisogno di aiuto. A chi gli faceva osservare che forse in
questo esagerava, che forse in alcuni casi avrebbe fatto meglio a
considerare se le persone meritavano il suo aiuto, rispondeva che
quando lui stesso si era trovato in difficoltà aveva potuto
sempre contare sull'aiuto dei compagni. La sua generosità
è sempre stata incondizionata e senza limiti. Caro
Dominique! Anche per questo ti volevamo bene. Ci
mancherai.
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