Rivista Anarchica Online
Odessa - New York
di Furio Biagini
La storia dei
contatti tra l'immigrazione ebraica negli Stati Uniti e
l'anarchismo. I rapporti tra fede e militanza politica e quelli
con il nascente movimento sionista, le lotte sindacali in un'America
xenofoba e reazionaria. In queste pagine il testo di una
conferenza tenutasi presso la comunità ebraica di Firenze.
Nel corso degli
ultimi anni si sono moltiplicati gli studi sul movimento operaio e
socialista ebraico che aveva subito una eclissi significativa nella
coscienza storica, ma la sua componente anarchica resta ancora
sepolta nell'oblio. Eppure tra la fine del secolo scorso e lo
scoppio della I guerra mondiale questo movimento riuscì ad
organizzare e a dare un senso alla vita di una plebe miserabile,
supersfruttata, omogenea dal punto di vista della origine
geografica, della lingua, delle condizioni sociali, delle sue
tradizioni e riferimenti culturali. In Gran Bretagna, Stati Uniti,
Argentina il nascente movimento operaio ebraico fu organizzato in
gran parte grazie all'energia degli anarchici (1). Proprio come
per altre correnti del movimento operaio ebraico, l'anarchismo non
mette radici che in seno ai lavoratori ebrei provenienti dagli
imperi centrali e dalla zona di residenza coatta, l'immenso
territorio nel quale erano costretti a vivere secondo l'iniqua
legislazione zarista . La diffusione dell'anarchismo negli ambienti
ebraici segue la corrente migratoria che da queste regioni si dirige
verso la Francia e la Gran Bretagna per propagarsi in seguito negli
Stati Uniti e Canada e più tardi in Argentina. Nell'Europa
dell'Est, ad eccezione di qualche episodio circoscritto nel tempo e
nello spazio (Bialystok 1903-1908), il movimento libertario resterà
sempre minoritario nell'universo proletario ebraico. Si assiste così
al fiorire di nuclei anarchici a Parigi, Londra, come in altre città
della Gran Bretagna, per raggiungere successivamente gli Stati Uniti
e, infine, Buenos Aires, dove la corrente libertaria ha il vento in
poppa quando appare definitivamente in regresso in tutte le altre
parti. L'ondata migratoria è stimolata potentemente dalla
crisi delle strutture comunitarie, dalla miseria generalizzata,
dall'oppressione politica aggravata - per quanto riguarda i territori
russi - anche dalle "leggi provvisorie" emanate dal governo
zarista nel maggio 1882. A questo bisogna aggiungere i ricorrenti
pogrom che, incoraggiati dalle autorità, erano la
forma più diffusa di aperta ostilità verso gli ebrei
da parte delle altre popolazioni dell'impero russo. Tra il 1880 e
il 1929 più di tre milioni di ebrei emigrano alla ricerca di
nuove prospettive di vita nei paesi dell'Europa occidentale o nelle
Americhe. Nella maggioranza ci si dirige verso gli Stati Uniti:
88,4% negli anni 1881-1900; 84% negli anni 1901- 1914 (2). New
York era la nuova Gerusalemme, il paese della libertà e delle
illimitate possibilità economiche per tutti, la "terra
stillante latte e miele" come afferma ironicamente Berl Isaac,
il grande burlone di Kasrilevka in un racconto di Sholom
Aleichem. La realtà era infatti molto diversa. Tra il 1800
e il 1870 furono però pochissimi coloro che affrontarono i
rischi di questo viaggio transoceanico ma dopo il pogrom di
Odessa del 1871 le cose cambiarono. Da quella data più di
40.000 ebrei dell'Europa orientale e centrale fuggirono negli Stati
Uniti. Dopo le violenze degli anni ottanta altri 200.000 raggiunsero
il nuovo mondo e negli anni novanta, quando gli ebrei furono
cacciati da Mosca e da altre città russe, la cifra salì
a 300.000. Tra il 1900 e il 1914 furono circa 1.500.000 gli ebrei
che lasciarono l'Europa orientale e centrale per andare in America
(3). Ignorando la lingua del paese, privi di risorse economiche -
nei villaggi e nelle città da cui provenivano erano per lo
più piccoli commercianti o artigiani e non possedevano
capitali con cui intraprendere attività industriali o
commerciali - e non potendo esibire alcuna qualifica professionale,
le sole occupazioni che venivano loro offerte erano la vendita
ambulante o il lavoro non qualificato. I griner, così
venivano chiamati i nuovi immigrati, erano perciò costretti
ad imparare un nuovo lavoro e vennero assorbiti nell'industria
dell'abbigliamento come sarti e stiratori da piccoli imprenditori
nella maggioranza dei casi della loro stessa nazionalità e
religione (4). Sottoposti ai lavori più penosi,
vergognosamente sottopagati, obbligati ad una giornata di lavoro
smisuratamente lunga - dall'alba fino a notte inoltrata - nel più
completo disprezzo di ogni norma di sicurezza ed igiene,
conosceranno per la prima volta la violenza dello sfruttamento
industriale. Abbruttiti dall'alienazione provocata dal lavoro di
fabbrica, essi divennero poco alla volta schiavi del ferro da stiro
e della macchina da cucire, che non lasciavano loro più
nemmeno il tempo di essere padri, mariti, o più semplicemente
uomini. Una testimonianza triste e sofferta di questa condizione
di straniamento da ogni affetto familiare ci è offerta dalle
prime strofe di una poesia di Morris Rosenfeld, che insieme a David
Edelstadt e Joseph Bavshover collaborerà a varie
pubblicazioni anarchiche, dal titolo Il mio bambino:
Io ho un bambino
piccolo,
un figlio davvero
splendido!
Quando lo guardo,
mi sembra che tutto il mondo sia mio. Ma raramente, molto
raramente posso vedere lui, il mio bel bimbo, sveglio. Sempre
lo trovo addormentato, perché sempre e solo di notte lo
vedo. Il lavoro mi trascina fuori all'alba, e mi riporta a
casa o notte fonda oh, estraneo mi è la mia stessa
carne! Oh, estraneo mi è lo sguardo del mio bimbo!
(5)
Non diversamente da Karl Rossman, il giovane
protagonista del romanzo America di Kafka, molti ebrei
compresero a loro spese che l'America era un paese di sfruttati e di
sfruttatori, che non poteva garantire quella libertà e quella
emancipazione alla quale avevano anelato quando avevano abbandonato
l'Europa per sfuggire al peso delle tasse, alla durezza del servizio
militare, alla ferocia dell'antisemitismo. E se alla mancanza di
libertà civile e politica erano abituati da sempre, non erano
altrettanto pronti a vedere minacciata la loro vita spirituale e
religiosa. Il lavoro di fabbrica impediva agli ebrei di osservare i
precetti relativi alla santificazione del sabato e delle feste,
stravolgendo alla radice quanto di più santo e di più
vero possedevano. I valori tradizionali della solidarietà
e del rispetto per la persona umana, a cui erano stati educati
dai propri padri, venivano ritrovati nelle teorie radicali e gli
immigrati ebrei caddero facilmente sotto l'influenza della
propaganda socialdemocratica e anarchica.
Ancora di salvezza Era
la loro condizione
di paria, la loro marginalità, il loro sradicamento che li
rendeva disponibili alle ideologie di contestazione radicale
dell'ordine stabilito e ad essere attratti particolarmente
dall'ideale libertario. Inseriti improvvisamente nella realtà
capitalista optavano per una utopia anticapitalista e
internazionalista dove le ineguaglianze sociali e nazionali
sarebbero state radicalmente abolite. Il radicalismo di queste masse
che parlavano soltanto yiddish (6) ed erano facilmente
riconoscibili per il loro abbigliamento e il loro portamento, era
intellettualmente rozzo e privo di esperienza. Come sostiene un
noto storico americano, Irving Howe, "era più una
reazione viscerale alla ortodossia religiosa che un'analisi precisa
del capitalismo moderno, una speranza di auto-trasformazione -
timidi tentativi di vita bohémienne, sperimentazione etica,
libertà sessuale - più che una organizzazione della
protesta di classe. . . Nella sua turbolenta emotività,
questo radicalismo era ancora profondamente legato al mondo che
respingeva, ancora profondamente sottomesso ai padri che intendeva
oltraggiare" (7). L'anarchismo era un'ancora di salvezza per
molti di questi immigrati che si sentivano completamente alla deriva
senza più legami né con il vecchio mondo né con
il nuovo, a proprio agio solo nelle regioni del loro pensiero.
Anarchia era il nome della loro disperazione, ma benché
sotto l'influenza di Johann Most, rivoluzionario tedesco che avevano
soprannominato il loro "High Priest", non si abbandonarono
mai alla tentazione della "propaganda del fatto" adottata
come pratica politica al congresso anarchico di Londra del 1881 (8).
Quando Alexander Berkmann sparò al magnate dell'acciaio Henry
Clay Frick, questo atto fu duramente condannato. Quando parlavano
di violenza non avevano mai seriamente concepito che qualcuno
tentasse davvero di uccidere un altro essere umano. Il loro
anarchismo era in fondo profondamente educazionista e sperimentale,
convinti che per costruire un mondo nuovo di giustizia, libertà
ed eguaglianza non bastasse la sola azione rivoluzionaria;
ritenevano più utile risvegliare negli uomini un ardente
desiderio di libertà e insegnare a rispettare e a
valorizzare la vita e l'indipendenza di ogni individuo. In questo
senso era concepita anche l'attività sindacale, di cui però
diffidavano la naturale tendenza al riformismo, ma ritenevano
positivo il suo effetto educativo e morale, sia per le lotte che
aiutavano il formarsi di una coscienza di classe, sia per il
risultato che apportavano le stesse conquiste sindacali verso
migliori condizioni di vita. Di conseguenza, pur mantenendo sempre
una certa prevenzione verso l'organizzazione sindacale, si
impegnarono attivamente nelle associazioni di difesa dei lavoratori
arrivando a controllare ed a dirigere intere sezioni sindacali (9).
Tuttavia negli Stati uniti, a differenza della Gran Bretagna, i
sindacati ebraici furono quasi sempre sotto il controllo dei
socialisti grazie alle loro virtù organizzatrici. Furono i
socialisti a fondare nel 1888 le United Hebrew Trades che fu il
primo esperimento di unione di vari sindacati ebraici. Nel 1904 le
U.H.T. contavano a New york 41 organizzazioni affiliate con circa
5000 membri (10) . Tra il 1909 e 1910 anche gli anarchici presero
parte attiva ai grandi scioperi di New york e Chicago,
rispettivamente nel settore dell'abbigliamento femminile e maschile
e occuparono posizioni di primo piano all'interno dell'Amalgamated
Clothing Workers of America e dell'International Ladies' Garment
Workers's Union, la federazione dell'abbigliamento femminile fondata
il 3 giugno 1900. Comunque il sindacato in cui la loro presenza si
fece sentire in misura maggiore fu l'Industrial Workers of the World
(I.W.W.) fondata a Chicago il 27 giugno 1905, animato dal marxista
Daniel De Leon, che molti sostengono fosse un ebreo di origine
sefardita (11).
Il problema
religioso Accanto all'attività
sindacale, gli anarchici ebrei conducevano una incessante campagna
di diffusione delle idee socialiste ed anarchiche attraverso
l'organizzazione di club, cooperative, società di mutuo
soccorso (erano anarchici interi settori dell'Arbeter-Ring, la più
importante organizzazione operaia con 800 sezioni e 70.000 membri e
della Jewish Fraternal Order che nel 1948 contava ancora 50.000
iscritti e 400 sezioni), la sponsorizzazione di serate di lettura,
picnic e concerti (12). Inoltre nel 1907 sull'esempio inglese
fondavano l'Anarchist Red Cross che aveva il compito di aiutare i
prigionieri politici incarcerati nelle prigioni zariste o deportati
in Siberia (13). Un esperimento di notevole importanza fu poi la
fondazione della Francisco Ferrer Modern School di Stelton, New
york. Ma fu soprattutto grazie alla pubblicazione di prestigiosi
giornali - ricordiamo qui solo il "Fraye Arbeter Shtime"
di New York che, fondato nel luglio 1890, sospese le pubblicazioni
nel dicembre del 1977 divenendo uno dei migliori e più
longevi giornali nella storia del movimento anarchico internazionale
- che negli Stati uniti l'influenza dell'anarchismo crebbe
considerevolmente (14). Costretti ad operare in un microcosmo
ebraico in cui la fede religiosa rappresentava un fortissimo
elemento di coesione per le masse immigrate e obbligati in questo
lavoro di propaganda a scontrarsi quotidianamente con la Sinagoga e
l'autorità dei rabbini (il socialismo in tutte le sue
varianti politiche veniva percepito come una macchinazione
diabolica immaginata dai missionari per convertire gli ebrei), gli
anarchici posero al centro della lotta contro l'ordine sociale
esistente soprattutto il problema religioso. Di conseguenza si
impegnarono attivamente nell'organizzazione di violente campagne
antireligiose e moltiplicarono la pubblicazione di libri e
pamphlet che irridevano alla liturgia e al rituale ebraico. Inoltre
mentre si celebrava il 1° maggio e l'anniversario della Comune
di Parigi si parodiava Yom Kippur e si mettevano in scena
comiche rappresentazioni di episodi biblici e di cerimonie
religiose. Talvolta, sempre per Yom Kippur, si organizzavano
feste danzanti precedute da sfilate di immigranti che fumavano e
mangiavano sandwich al prosciutto per rendere più completa la
provocazione (15). La particolarità di questa propaganda,
che raggiunse l'apice negli anni 1882-1892, era di essere in certo
qual modo accessibile solo a coloro che avevano avuto una educazione
ebraica ortodossa. La tradizione religiosa rappresentava il solo
riferimento culturale comune ai propagandisti anarchici e al loro
pubblico. Si spiega così una propaganda ateistica che si
prendeva sistematicamente gioco dei riti e che in definitiva era
inseparabile dalla vita religiosa. Il fatto che si volesse
mostrare di essere immuni dalla superstizione dissacrando le
principali festività religiose, dimostrava il potere che la
fede tradizionale esercitava ancora su coloro che la negavano. Ciò
appare chiaramente nell'uso della lingua: in yiddish i
militanti si chiamavano Chassidim, gli scissionisti fanno
Shabos Far Zikh, le feste operaie sono Yamin Tovim,
mentre la parola Cherem che nel contesto religioso significa
scomunica finì per essere usata dai rivoluzionari ebrei per
indicare il boicottaggio dei padroni. Anche il termine Kibbutz
sembra sia stato mutuato dal linguaggio usato da una setta
chassidica della Galizia che così usava definire le proprie
riunioni religiose. Essa si rileva anche nell'avversione che i
militanti manifestavano verso coloro che abbandonavano l'antica fede
e si convertivano al cristianesimo (16). Questa propaganda
antireligiosa raccolse agli inizi un discreto successo, ma a lungo
andare le conseguenze furono negative. Molti immigrati, benché
non più praticanti, conservavano ancora un senso di rispetto
verso le ricorrenze religiose e l'attacco degli anarchici finì
per sembrare una minaccia al loro stesso essere. Israel Kopeloff
ammetterà in seguito che "la guerra contro Dio... giocò
un ruolo molto importante nel calo dell influenza anarchica sulla
vita degli ebrei" (17). Con lo scoppio della prima guerra
mondiale e successivamente con l'affermarsi della rivoluzione russa
il movimento anarchico entrava in un periodo di crisi dal quale,
salvo qualche rara parentesi, non si sarebbe mai più
ripreso. Già la guerra aveva scavato profonde ferite
all'interno del movimento e la rivoluzione russa con la concretezza
dei risultati raggiunti determinò profonde divergenze e
ulteriori dolorose separazioni. Mentre molti anarchici si
schieravano a fianco del nuovo governo bolscevico, altri non si
facevano illusioni e prevedevano già che dalle ceneri del
passato regime sarebbe presto sorta una nuova e forse più
spietata dittatura. Di fronte al dilemma tra libertà e
dittatura in termini socialisti, avevano scelto per intuizione la
libertà., perché profondamente convinti fosse termine
inalienabile di una società socialista. Da questo momento
l'anarchismo ebraico americano entrava in una fase di progressivo
ripiegamento. Sono gli anni in cui l'ostilità verso gli
immigrati, latente nella società americana, riceveva la
sanzione ufficiale dalle autorità che scatenavano la caccia
ai sovversivi, specie quelli stranieri. L'America xenofoba e
reazionaria dettava legge, ed era una legge di repressione e di
violenza antioperaia. Ogni immigrante che fosse anche anarchico o
semplicemente un oppositore della guerra era doppiamente nell'occhio
del ciclone. Lo scoppio della rivoluzione russa, che per molti
ebrei dell'Europa orientale era stata il segnale del ritorno in
patria, provocava negli Stati Uniti un clima di isterismo che
caratterizzerà tutto il primo dopoguerra. Di questa Red
Scare fecero le spese soprattutto gli anarchici accusati di
voler sovvertire le istituzioni. Facendo appello al patriottismo
gruppi di teppisti, protetti dagli organi dello stato e
sovvenzionati dagli industriali, assaltavano le sedi delle
organizzazioni radicali e dell'I.W.W. e ne linciavano gli aderenti.
Nello stesso tempo la stampa accusava i nove milioni di immigrati di
essere i responsabili della diffusione delle idee sovversive tra le
masse popolari. La repressione, che la stessa Corte Suprema
definì in seguito "una monumentale illegalità,
una violazione dei diritti del popolo" (18); la nascita anche
negli Stati Uniti di un partito comunista che attirò agli
inizi molti degli attivisti più giovani; il calo
dell'immigrazione causato dalle severe restrizioni verso gli europei
dell'Est, che ridusse considerevolmente le potenziali reclute
anarchiche, tutto questo contribuì a fossilizzare i gruppi
esistenti ed impedì che si formassero nuovi militanti. Da
questo momento la storia del movimento anarchico ebraico è
quella dell'invecchiamento dei suoi militanti e della lenta
estinzione dell'influenza esercitata in passato. In parte ciò
era anche dovuto alla progressiva integrazione delle minoranze
etniche in una società nord-americana più omogenea,
maggiormente strutturata, che trovava il suo equilibrio nel
movimento di espansione economica. Di conseguenza i gruppi
anarchici divennero sempre più circoli essenzialmente sociali
e culturali e anche negli anni della grande depressione furono
soprattutto i comunisti a prendere il tipo di iniziativa che in
passato avrebbero preso, certamente con intenti diversi, i libertari
e gli I.W.W. La guerra civile spagnola sembrò ridare vita
al movimento che stava lentamente spegnendosi, ma la vittoria di
Franco venne come una schiacciante sconfitta, 1'ultima e la più
grande sconfitta del movimento anarchico. Da quel momento niente
poté più arrestare la lenta e inesorabile decadenza di
un movimento che aveva preso parte attiva alle lotte sociali
degli Stati Uniti e con l'invecchiamento dei militanti e il
diminuire dei lettori yiddish anche le numerose testate pian piano
cessarono le pubblicazioni (19).
Dopo il pogrom di
Kishinev Non ci resta ora che
affrontare la posizione che gli anarchici ebrei assunsero nei
riguardi del sionismo, la più significativa reazione
dell'ebraismo alle sfide del mondo moderno. Sia gli anarchici che
gli ebrei socialisti non furono sionisti (anche se non sono mancati
socialisti-sionisti) entrambi ritenevano che la soluzione del
problema ebraico sarebbe venuta con l'avvento del socialismo. La
rivoluzione proletaria avrebbe posto fine ad ogni sfruttamento,
sancito la scomparsa delle classi e definitivamente emancipato tutti
gli uomini, non solo gli ebrei. Non vi sarebbero stati più
ostacoli alla libera e naturale assimilazione, tutt'al più si
sarebbe riconosciuto all'interno delle singole nazioni, destinate a
loro volta a scomparire, la piena autonomia culturale e religiosa
alle minoranze etniche e di conseguenza anche alle comunità
ebraiche. Su questo punto non esistevano dubbi, nella futura società
comunista la questione ebraica e con essa la dolorosa spina
dell'antisemitismo sarebbero definitivamente scomparse. Anche gli
anarchici, al pari dei socialisti, condannarono il sionismo nascente
come un movimento borghese, nazionalista e sostanzialmente
reazionario che distoglieva le masse dalla lotta di classe,
proponeva di restaurare l'antica teocrazia basata sulla rinascita
del Tempio a Gerusalemme e indirizzava tutti i suoi sforzi verso la
costruzione di un nuovo Stato. Il rifiuto dello Stato, considerato
come la massima incarnazione del principio di autorità e la
causa prima di tutte le ingiustizie sociali e di tutte le guerre,
era uno dei principi fondamentali dell'ideologia anarchica molto
tempo prima che i sognatori della resurrezione politica di Sion
portassero il loro messaggio di incoraggiamento all'ebreo
errante. Inoltre, gli ebrei che avevano abbracciato l'ideologia
libertaria per il suo ardente idealismo e il suo deciso
internazionalismo, si sentivano completamente distaccati dalle loro
origini e respingevano senza esitazione l'idea di appartenere ad un
preciso popolo. Sentendosi parte integrante dell'universale
famiglia del proletariato oppresso affermavano con decisione di non
conoscere patria e non avere nazionalità. L'unica
particolarità che si riconoscevano era solamente di tipo
linguistico: l'uso dello yiddish. Essi si consideravano
anarchici di lingua yiddish e basta, senza che allo yiddish
venisse attribuito un particolare valore, se non quello di essere lo
strumento ideale per la propaganda fra gli immigrati. Ma i militanti
anarchici ebrei avevano un bel proclamare il loro rifiuto di ogni
legame con il mondo ebraico, vi appartenevano lo stesso. In ragione
della origine geografica, della segregazione linguistica e della
specificità delle attività produttive dei lavoratori
immigrati, l'iniziativa politica dei libertari si concentrò
nei quartieri ebraici. Malgrado ciò non vi è traccia
sulla stampa anarchica ebraica del problema nazionale e della
esistenza di una specifica questione ebraica almeno fino al 1903,
anno del pogrom di Kishinev, una piccola città della
Bessarabia (20). Il pogrom di Kishinev ebbe un effetto
traumatizzante per tutta la diaspora e riportò
improvvisamente in primo piano il problema dell'identità
ebraica. Di fronte a questa brutale realtà anche gli
anarchici furono presi dallo scoraggiamento. In quell'occasione il
militante anarchico Israel Kopeloff scriveva: "Per quanto mi
riguarda , il pogrom di Kishinev mi ha sconvolto fino alla
confusione; avevo semplicemente smarrito tutti i miei punti di
riferimento. L'intelligenza, la logica, la fredda ragione avevano
lasciato il posto all'emozione e non significavano più niente
per me. Tutto il mio cosmopolitismo precedente, il mio
internazionalismo, erano volati via di colpo" (21). Stimolato
da quegli avvenimenti un qualificato gruppo di militanti iniziava a
prestare maggiore attenzione al problema ebraico ed a rivedere le
proprie concezioni. Il primo ad esprimersi a favore di una revisione
del tradizionale cosmopolitismo fu il Dr. Hillel Zolotaroff. In un
articolo provocatorio pubblicato sul "Fraye Arbeter Shtime"
del 23 maggio 1903 dal titolo Questioni gravi, Zolotaroff
sosteneva che la soluzione del problema ebraico doveva
necessariamente essere ricercata all'interno di una ideologia
socialista-sionista in quanto "il più alto ideale non
consisteva nella scomparsa dei popoli, ma nella loro fraterna
unione" (22). Proseguendo egli affermava inoltre: "Prova
se sei capace a soffocare l'idea, prova centomila volte se ci riesci
a rifiutare, ma rimane la verità che noi stessi siamo ebrei.
Così qualsiasi persecuzione degli ebrei come popolo risveglia
nelle nostre anime un profondo dolore. Di conseguenza preferiamo
morire come ebrei piuttosto che comprare la vita attraverso la
forzata rinuncia alla nostra identità" (23). Ormai
l'originaria fede cosmopolita predicata dai fondatori del movimento
anarchico veniva sostituita gradatamente da un vago sentimento
nazionale che ricordava molto le posizioni del Poale Zion, il
partito socialista sionista. Ad orientare parte del movimento
anarchico ebraico in questo senso aveva inoltre contribuito
la nascita in Palestina di numerosi Kibbutzim e Moshavim. Lo
sviluppo e lo slancio che ebbero questi insediamenti collettivistici
colpirono sensibilmente l'immaginario degli anarchici ebrei che
assistevano al nascere di una società basata sul federalismo
e sui principi del socialismo libertario. Negli Stati Uniti molti di
loro presero parte attiva alle raccolte di fondi e appoggiarono le
campagne condotte dai gruppi socialisti sionisti americani in favore
delle comunità agricole di Palestina. La simpatia degli
anarchici per quei giovani che in Eretz Israel tentavano di
costituire un mondo nuovo e lavoravano per realizzarlo attraverso
l'azione individuale e volontaria era dovuta anche ad uno degli
aspetti più peculiari e costanti dell'ideologia anarchica:
l'aspirazione a costruire comunità prevalentemente agricole
fondate sui precetti di giustizia, libertà e fraternità. Tra
la fondazione del primo Kibbutz a Degania (1910) e la prima
guerra mondiale, alcuni lavoratori ebrei di New York e
Philadelphia, si riunirono per tentare l'ambizioso progetto di una
colonia cooperativa nell'Utah. Sorgeva così la grande colonia
di Clarion che fu però un clamoroso fallimento a causa della
mancanza di direzione e della cattiva amministrazione. Molto più
successo ebbe la colonia di Stelton nel New Jersey. Comunque
l'esperimento che risulterà più completo fu intrapreso
sui 9.000 acri della Sun-Rise Co-operative Farm fondata nel Michigan
nel 1933 (24). Tuttavia malgrado i risultati soddisfacenti
raggiunti, la colonia dovette essere ben presto liquidata. Delusi da
questa lunga serie di insuccessi gli anarchici ebrei rimasero
profondamente impressionati dagli indiscutibili successi ottenuti
invece dalle cooperative agricole di Palestina e lo slittamento di
alcuni settori verso posizioni "nazional-progressiste" non
farà che intensificarsi soprattutto negli anni che vanno
dalla presa del potere di Hitler al secondo dopoguerra quando il
mondo si trovò di fronte alla tragica realtà di
milioni di ebrei sterminati in nome delle aberranti teorie razziali
naziste. È ancora Zolotaroff a descriverci la disperazione
in cui furono spinti i militanti anarchici ed a indicare i nuovi
compiti che attendevano gli anarchici ebrei: "I nostri
rapporti con la vasta corrente del nazionalismo sono dunque chiari.
Noi dobbiamo non solo aiutare a salvare il popolo ebraico dalle
forze esterne che cercano di perseguitarlo e di annientarlo, ma
anche di contribuire a raggruppare le masse ebraiche 1à dove
esiste un focolare nazionale che può prevenire
l'annientamento intero del popolo. Noi dobbiamo collocarci
all'avanguardia della libertà e contribuire allo sviluppo di
una cultura che permetta al nostro popolo di accedere ad una vita
sociale più libera e migliore" (25).
1) Fra le opere
dedicate al movimento ebraico citiamo: N. Levin , While
Messiah Tarried, New York , 1977 , J. Frankel , Rophecy, and
Politics. Socialism, Nationalism and the Russian Jeus,
1862-1917, Cambridge, 1981 (Trad. italiana: Gli ebrei russi -
Tra socialismo e nazionalismo (1862-1917), Torino, 1990);
J.J. Fishman, East End
Jewish Radicals. 1875-1914, London, 1975;
N . Weinstock, Le
pain du misere. Histoire de mouvement ouvríer juif en Europe,
3 vol., Paris, 1984-86. Sulla storia del movimento ebraico in
particolare si veda:
J.J. Cohen, Di
yidish-anarchistishe bavegung in Amerika, Philadelphia, 1945;
H. Frank, Anarchism
and the Jesus in B. Vlavianos-F. Gross , Struggle for
tomorrow, New York. 1954;
N. Weinstock, Le
mouvement anarchiste juifs, Bruxelles. "Points critiques".
n.35. 1988;
P. Avrich , Jewish
anarchism in the United in the United States, dattiloscritto;
P. Avrich, Anarchist
portraits, Princenton, 1988.
2) A.Ruppin,
Soziologie der Juden, I, Berlin, 1930, p. 157.
Cfr. N. Weinstock,
Storia del sionismo. Dalle origini alla fondazione di Israele,
I. Roma, 1970. Si veda inoltre:
S. Della Pergola, La
trasformazione demografica della diaspora ebraica,Torino, 1983.
3) A. Ruppin, op.
cit.
Si veda inoltre: A.
Antonovsky, The Early Jewish Labor Movement in the U.S., New
York, 1961; M. Rischin, The Promised City. New York'Jew,
1870-1944, Cambridge, Mass-London, 1978;
I. Howe. La terra
promessa. Ebrei a New York, Milano, 1984.
4) L.Wirth, Il
ghetto. Milano, 1968. p.123.
5) Cfr. in S. Asch ,
Zio Moses, la Postfazione di Daniela Leoni, p.253, Genova
1990. Sulla poesia yiddish si veda: Le miroir d'un people,
a cura di C. Dobzynskv, Paris, 1987.
6) Lo yiddish, che fu
la lingua della comunità ebraica dell'Europa centrale e
orientale, è un dialetto medio-alto tedesco d'impronta
prevalentemente francofona e allemanna scritto in caratteri ebraici
che nel corso dei secoli assimilò una notevole percentuale di
parole ebraiche (nella misura del l0-15%) e di poche parole slave
(circa il 10%). "Si ritiene che le prime tracce dello yiddish
risalgano al sec. XI sotto forma di glosse ai testi
sacri...All'inizio questo linguaggio si differenziava poco dal
tedesco corrente... ma col passare del tempo, estendendosi il suo
uso, crebbe la prevalenza dell'ebraico. Non si trattava più
soltanto di espressioni tedesche rivestite dell'alfabeto ebraico :
mescolate con esse apparivano vocaboli ebraici, ciò che dava
all'idioma nascente una particolare fisionomia. La diffusione degli
ebrei in Europa fece sì che la lingua si arricchisse di
strutture e termini nuovi sino a raggiungere, attraverso una lunga
evoluzione, la categoria letteraria che occupa attualmente".
S. Resnik, Esquema de
la litteratura yiddish, Buenos Aires, 1933, p. 9.
Citato in: L.
Sestrieri, Gli ebrei nella storia di tre millenni, Roma,
1984, P. 194.
7) I. Howe, op.
cit., p. 121
8) G. Woodcock,
L'anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari,
Milano, 1966, p.223 ss.
9) P. Avrich ,
Anarchist..., op. cit., p. 190.
10) I. Howe, op.
cit., p. 130-132.
11) Sulla storia
dell'I.W.W. tra le tante opere si veda:
P. Renshaw, Il
sindacalismo rivoluzionario negli Stati Uniti, Bari, 1970;
J. Kornbluh, Rebels
voices: An I.W.W. Anthology, Chicago, 1988.
12) P . Avrich, op.
cit.
13) Sulla
Anarchist Red Cross si veda:
B. Yelensky, In the
Stuggle for Equality. The Story of Anarchist Red Cross,
Chicago, 1958.
14) Sulla modern
School si veda:
P. Avrich ,The
Modern School Movement. Anarchism and Education in the United State,
Princeton, 1980.
15) I primi opuscoli
antireligiosi apparvero nel 1889. Il primo ballo di Yom Kippur fu
celebrato a Londra nello stesso anno organizzato da Philiph Krontz.
Cfr. N. Weinstock, Le pain du misere, op. cit., p.82.
16) N. Weinstock, Le
mouvement anarchiste..., op. cit., p.29.
17) I. Kopeloff ,
Aruol in Amerika, Warsaw , 1928, p. 275.
18) R.O. Boyer - H.M.
Morrais, Storia del movimento operaio negli Stati Uniti
(1861-1955), Bari, 1974.
19) P. Avrich,
Anarchist..., op. cit., p. 198.
20) Sul pogrom di
Kishinev vedi tra le tante opere:
L. Poliakov, Storia
dell'antisemitismo. IV. L'Europa suicida, 1870-1933, Firenze,
1990, p. 13lss.
21) L Kopeloff., op.
cit., p. 458.
22) Cit. in H. Frank,
op. cit., p. 286.
23) ibid
24) Sulla Sunrise
Co-operative Farm si veda:
J.J. Cohen, In
Quest of Heaven. The Story of the Sunrise Co-operative Farm
Community, New York, 1957.
25) H. Zolotaroff,
Geklibene Shriftn, 3 vol., New York, 1921, p.209-306.
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