Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 183
giugno 1991


Rivista Anarchica Online

Odessa - New York
di Furio Biagini

La storia dei contatti tra l'immigrazione ebraica negli Stati Uniti e l'anarchismo. I rapporti tra fede e militanza politica e quelli con il nascente movimento sionista, le lotte sindacali in un'America xenofoba e reazionaria. In queste pagine il testo di una conferenza tenutasi presso la comunità ebraica di Firenze.

Nel corso degli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi sul movimento operaio e socialista ebraico che aveva subito una eclissi significativa nella coscienza storica, ma la sua componente anarchica resta ancora sepolta nell'oblio. Eppure tra la fine del secolo scorso e lo scoppio della I guerra mondiale questo movimento riuscì ad organizzare e a dare un senso alla vita di una plebe miserabile, supersfruttata, omogenea dal punto di vista della origine geografica, della lingua, delle condizioni sociali, delle sue tradizioni e riferimenti culturali. In Gran Bretagna, Stati Uniti, Argentina il nascente movimento operaio ebraico fu organizzato in gran parte grazie all'energia degli anarchici (1).
Proprio come per altre correnti del movimento operaio ebraico, l'anarchismo non mette radici che in seno ai lavoratori ebrei provenienti dagli imperi centrali e dalla zona di residenza coatta, l'immenso territorio nel quale erano costretti a vivere secondo l'iniqua legislazione zarista . La diffusione dell'anarchismo negli ambienti ebraici segue la corrente migratoria che da queste regioni si dirige verso la Francia e la Gran Bretagna per propagarsi in seguito negli Stati Uniti e Canada e più tardi in Argentina.
Nell'Europa dell'Est, ad eccezione di qualche episodio circoscritto nel tempo e nello spazio (Bialystok 1903-1908), il movimento libertario resterà sempre minoritario nell'universo proletario ebraico. Si assiste così al fiorire di nuclei anarchici a Parigi, Londra, come in altre città della Gran Bretagna, per raggiungere successivamente gli Stati Uniti e, infine, Buenos Aires, dove la corrente libertaria ha il vento in poppa quando appare definitivamente in regresso in tutte le altre parti.
L'ondata migratoria è stimolata potentemente dalla crisi delle strutture comunitarie, dalla miseria generalizzata, dall'oppressione politica aggravata - per quanto riguarda i territori russi - anche dalle "leggi provvisorie" emanate dal governo zarista nel maggio 1882. A questo bisogna aggiungere i ricorrenti pogrom che, incoraggiati dalle autorità, erano la forma più diffusa di aperta ostilità verso gli ebrei da parte delle altre popolazioni dell'impero russo.
Tra il 1880 e il 1929 più di tre milioni di ebrei emigrano alla ricerca di nuove prospettive di vita nei paesi dell'Europa occidentale o nelle Americhe. Nella maggioranza ci si dirige verso gli Stati Uniti: 88,4% negli anni 1881-1900; 84% negli anni 1901- 1914 (2).
New York era la nuova Gerusalemme, il paese della libertà e delle illimitate possibilità economiche per tutti, la "terra stillante latte e miele" come afferma ironicamente Berl Isaac, il grande burlone di Kasrilevka in un racconto di Sholom Aleichem. La realtà era infatti molto diversa.
Tra il 1800 e il 1870 furono però pochissimi coloro che affrontarono i rischi di questo viaggio transoceanico ma dopo il pogrom di Odessa del 1871 le cose cambiarono. Da quella data più di 40.000 ebrei dell'Europa orientale e centrale fuggirono negli Stati Uniti. Dopo le violenze degli anni ottanta altri 200.000 raggiunsero il nuovo mondo e negli anni novanta, quando gli ebrei furono cacciati da Mosca e da altre città russe, la cifra salì a 300.000. Tra il 1900 e il 1914 furono circa 1.500.000 gli ebrei che lasciarono l'Europa orientale e centrale per andare in America (3).
Ignorando la lingua del paese, privi di risorse economiche - nei villaggi e nelle città da cui provenivano erano per lo più piccoli commercianti o artigiani e non possedevano capitali con cui intraprendere attività industriali o commerciali - e non potendo esibire alcuna qualifica professionale, le sole occupazioni che venivano loro offerte erano la vendita ambulante o il lavoro non qualificato. I griner, così venivano chiamati i nuovi immigrati, erano perciò costretti ad imparare un nuovo lavoro e vennero assorbiti nell'industria dell'abbigliamento come sarti e stiratori da piccoli imprenditori nella maggioranza dei casi della loro stessa nazionalità e religione (4). Sottoposti ai lavori più penosi, vergognosamente sottopagati, obbligati ad una giornata di lavoro smisuratamente lunga - dall'alba fino a notte inoltrata - nel più completo disprezzo di ogni norma di sicurezza ed igiene, conosceranno per la prima volta la violenza dello sfruttamento industriale. Abbruttiti dall'alienazione provocata dal lavoro di fabbrica, essi divennero poco alla volta schiavi del ferro da stiro e della macchina da cucire, che non lasciavano loro più nemmeno il tempo di essere padri, mariti, o più semplicemente uomini.
Una testimonianza triste e sofferta di questa condizione di straniamento da ogni affetto familiare ci è offerta dalle prime strofe di una poesia di Morris Rosenfeld, che insieme a David Edelstadt e Joseph Bavshover collaborerà a varie pubblicazioni anarchiche, dal titolo Il mio bambino:

Io ho un bambino piccolo,
un figlio davvero splendido!
Quando lo guardo, mi sembra
che tutto il mondo sia mio.
Ma raramente, molto raramente posso vedere lui,
il mio bel bimbo, sveglio.
Sempre lo trovo addormentato,
perché sempre e solo di notte lo vedo.
Il lavoro mi trascina fuori all'alba,
e mi riporta a casa o notte fonda
oh, estraneo mi è la mia stessa carne!
Oh, estraneo mi è lo sguardo del mio bimbo! (5)


Non diversamente da Karl Rossman, il giovane protagonista del romanzo America di Kafka, molti ebrei compresero a loro spese che l'America era un paese di sfruttati e di sfruttatori, che non poteva garantire quella libertà e quella emancipazione alla quale avevano anelato quando avevano abbandonato l'Europa per sfuggire al peso delle tasse, alla durezza del servizio militare, alla ferocia dell'antisemitismo. E se alla mancanza di libertà civile e politica erano abituati da sempre, non erano altrettanto pronti a vedere minacciata la loro vita spirituale e religiosa. Il lavoro di fabbrica impediva agli ebrei di osservare i precetti relativi alla santificazione del sabato e delle feste, stravolgendo alla radice quanto di più santo e di più vero possedevano.
I valori tradizionali della solidarietà e del rispetto per la persona umana, a cui erano stati educati dai propri padri, venivano ritrovati nelle teorie radicali e gli immigrati ebrei caddero facilmente sotto l'influenza della propaganda socialdemocratica e anarchica.

Ancora di salvezza
Era la loro condizione di paria, la loro marginalità, il loro sradicamento che li rendeva disponibili alle ideologie di contestazione radicale dell'ordine stabilito e ad essere attratti particolarmente dall'ideale libertario. Inseriti improvvisamente nella realtà capitalista optavano per una utopia anticapitalista e internazionalista dove le ineguaglianze sociali e nazionali sarebbero state radicalmente abolite. Il radicalismo di queste masse che parlavano soltanto yiddish (6) ed erano facilmente riconoscibili per il loro abbigliamento e il loro portamento, era intellettualmente rozzo e privo di esperienza.
Come sostiene un noto storico americano, Irving Howe, "era più una reazione viscerale alla ortodossia religiosa che un'analisi precisa del capitalismo moderno, una speranza di auto-trasformazione - timidi tentativi di vita bohémienne, sperimentazione etica, libertà sessuale - più che una organizzazione della protesta di classe. . . Nella sua turbolenta emotività, questo radicalismo era ancora profondamente legato al mondo che respingeva, ancora profondamente sottomesso ai padri che intendeva oltraggiare" (7). L'anarchismo era un'ancora di salvezza per molti di questi immigrati che si sentivano completamente alla deriva senza più legami né con il vecchio mondo né con il nuovo, a proprio agio solo nelle regioni del loro pensiero. Anarchia era il nome della loro disperazione, ma benché sotto l'influenza di Johann Most, rivoluzionario tedesco che avevano soprannominato il loro "High Priest", non si abbandonarono mai alla tentazione della "propaganda del fatto" adottata come pratica politica al congresso anarchico di Londra del 1881 (8). Quando Alexander Berkmann sparò al magnate dell'acciaio Henry Clay Frick, questo atto fu duramente condannato. Quando parlavano di violenza non avevano mai seriamente concepito che qualcuno tentasse davvero di uccidere un altro essere umano.
Il loro anarchismo era in fondo profondamente educazionista e sperimentale, convinti che per costruire un mondo nuovo di giustizia, libertà ed eguaglianza non bastasse la sola azione rivoluzionaria; ritenevano più utile risvegliare negli uomini un ardente desiderio di libertà e insegnare a rispettare e a valorizzare la vita e l'indipendenza di ogni individuo. In questo senso era concepita anche l'attività sindacale, di cui però diffidavano la naturale tendenza al riformismo, ma ritenevano positivo il suo effetto educativo e morale, sia per le lotte che aiutavano il formarsi di una coscienza di classe, sia per il risultato che apportavano le stesse conquiste sindacali verso migliori condizioni di vita. Di conseguenza, pur mantenendo sempre una certa prevenzione verso l'organizzazione sindacale, si impegnarono attivamente nelle associazioni di difesa dei lavoratori arrivando a controllare ed a dirigere intere sezioni sindacali (9). Tuttavia negli Stati uniti, a differenza della Gran Bretagna, i sindacati ebraici furono quasi sempre sotto il controllo dei socialisti grazie alle loro virtù organizzatrici. Furono i socialisti a fondare nel 1888 le United Hebrew Trades che fu il primo esperimento di unione di vari sindacati ebraici. Nel 1904 le U.H.T. contavano a New york 41 organizzazioni affiliate con circa 5000 membri (10) .
Tra il 1909 e 1910 anche gli anarchici presero parte attiva ai grandi scioperi di New york e Chicago, rispettivamente nel settore dell'abbigliamento femminile e maschile e occuparono posizioni di primo piano all'interno dell'Amalgamated Clothing Workers of America e dell'International Ladies' Garment Workers's Union, la federazione dell'abbigliamento femminile fondata il 3 giugno 1900. Comunque il sindacato in cui la loro presenza si fece sentire in misura maggiore fu l'Industrial Workers of the World (I.W.W.) fondata a Chicago il 27 giugno 1905, animato dal marxista Daniel De Leon, che molti sostengono fosse un ebreo di origine sefardita (11).

Il problema religioso
Accanto all'attività sindacale, gli anarchici ebrei conducevano una incessante campagna di diffusione delle idee socialiste ed anarchiche attraverso l'organizzazione di club, cooperative, società di mutuo soccorso (erano anarchici interi settori dell'Arbeter-Ring, la più importante organizzazione operaia con 800 sezioni e 70.000 membri e della Jewish Fraternal Order che nel 1948 contava ancora 50.000 iscritti e 400 sezioni), la sponsorizzazione di serate di lettura, picnic e concerti (12). Inoltre nel 1907 sull'esempio inglese fondavano l'Anarchist Red Cross che aveva il compito di aiutare i prigionieri politici incarcerati nelle prigioni zariste o deportati in Siberia (13). Un esperimento di notevole importanza fu poi la fondazione della Francisco Ferrer Modern School di Stelton, New york. Ma fu soprattutto grazie alla pubblicazione di prestigiosi giornali - ricordiamo qui solo il "Fraye Arbeter Shtime" di New York che, fondato nel luglio 1890, sospese le pubblicazioni nel dicembre del 1977 divenendo uno dei migliori e più longevi giornali nella storia del movimento anarchico internazionale - che negli Stati uniti l'influenza dell'anarchismo crebbe considerevolmente (14).
Costretti ad operare in un microcosmo ebraico in cui la fede religiosa rappresentava un fortissimo elemento di coesione per le masse immigrate e obbligati in questo lavoro di propaganda a scontrarsi quotidianamente con la Sinagoga e l'autorità dei rabbini (il socialismo in tutte le sue varianti politiche veniva percepito come una macchinazione diabolica immaginata dai missionari per convertire gli ebrei), gli anarchici posero al centro della lotta contro l'ordine sociale esistente soprattutto il problema religioso. Di conseguenza si impegnarono attivamente nell'organizzazione di violente campagne antireligiose e moltiplicarono la pubblicazione di libri e pamphlet che irridevano alla liturgia e al rituale ebraico. Inoltre mentre si celebrava il 1° maggio e l'anniversario della Comune di Parigi si parodiava Yom Kippur e si mettevano in scena comiche rappresentazioni di episodi biblici e di cerimonie religiose. Talvolta, sempre per Yom Kippur, si organizzavano feste danzanti precedute da sfilate di immigranti che fumavano e mangiavano sandwich al prosciutto per rendere più completa la provocazione (15).
La particolarità di questa propaganda, che raggiunse l'apice negli anni 1882-1892, era di essere in certo qual modo accessibile solo a coloro che avevano avuto una educazione ebraica ortodossa. La tradizione religiosa rappresentava il solo riferimento culturale comune ai propagandisti anarchici e al loro pubblico. Si spiega così una propaganda ateistica che si prendeva sistematicamente gioco dei riti e che in definitiva era inseparabile dalla vita religiosa. Il fatto che si volesse mostrare di essere immuni dalla superstizione dissacrando le principali festività religiose, dimostrava il potere che la fede tradizionale esercitava ancora su coloro che la negavano.
Ciò appare chiaramente nell'uso della lingua: in yiddish i militanti si chiamavano Chassidim, gli scissionisti fanno Shabos Far Zikh, le feste operaie sono Yamin Tovim, mentre la parola Cherem che nel contesto religioso significa scomunica finì per essere usata dai rivoluzionari ebrei per indicare il boicottaggio dei padroni. Anche il termine Kibbutz sembra sia stato mutuato dal linguaggio usato da una setta chassidica della Galizia che così usava definire le proprie riunioni religiose. Essa si rileva anche nell'avversione che i militanti manifestavano verso coloro che abbandonavano l'antica fede e si convertivano al cristianesimo (16). Questa propaganda antireligiosa raccolse agli inizi un discreto successo, ma a lungo andare le conseguenze furono negative. Molti immigrati, benché non più praticanti, conservavano ancora un senso di rispetto verso le ricorrenze religiose e l'attacco degli anarchici finì per sembrare una minaccia al loro stesso essere. Israel Kopeloff ammetterà in seguito che "la guerra contro Dio... giocò un ruolo molto importante nel calo dell influenza anarchica sulla vita degli ebrei" (17).
Con lo scoppio della prima guerra mondiale e successivamente con l'affermarsi della rivoluzione russa il movimento anarchico entrava in un periodo di crisi dal quale, salvo qualche rara parentesi, non si sarebbe mai più ripreso.
Già la guerra aveva scavato profonde ferite all'interno del movimento e la rivoluzione russa con la concretezza dei risultati raggiunti determinò profonde divergenze e ulteriori dolorose separazioni. Mentre molti anarchici si schieravano a fianco del nuovo governo bolscevico, altri non si facevano illusioni e prevedevano già che dalle ceneri del passato regime sarebbe presto sorta una nuova e forse più spietata dittatura. Di fronte al dilemma tra libertà e dittatura in termini socialisti, avevano scelto per intuizione la libertà., perché profondamente convinti fosse termine inalienabile di una società socialista.
Da questo momento l'anarchismo ebraico americano entrava in una fase di progressivo ripiegamento. Sono gli anni in cui l'ostilità verso gli immigrati, latente nella società americana, riceveva la sanzione ufficiale dalle autorità che scatenavano la caccia ai sovversivi, specie quelli stranieri. L'America xenofoba e reazionaria dettava legge, ed era una legge di repressione e di violenza antioperaia. Ogni immigrante che fosse anche anarchico o semplicemente un oppositore della guerra era doppiamente nell'occhio del ciclone.
Lo scoppio della rivoluzione russa, che per molti ebrei dell'Europa orientale era stata il segnale del ritorno in patria, provocava negli Stati Uniti un clima di isterismo che caratterizzerà tutto il primo dopoguerra. Di questa Red Scare fecero le spese soprattutto gli anarchici accusati di voler sovvertire le istituzioni. Facendo appello al patriottismo gruppi di teppisti, protetti dagli organi dello stato e sovvenzionati dagli industriali, assaltavano le sedi delle organizzazioni radicali e dell'I.W.W. e ne linciavano gli aderenti. Nello stesso tempo la stampa accusava i nove milioni di immigrati di essere i responsabili della diffusione delle idee sovversive tra le masse popolari.
La repressione, che la stessa Corte Suprema definì in seguito "una monumentale illegalità, una violazione dei diritti del popolo" (18); la nascita anche negli Stati Uniti di un partito comunista che attirò agli inizi molti degli attivisti più giovani; il calo dell'immigrazione causato dalle severe restrizioni verso gli europei dell'Est, che ridusse considerevolmente le potenziali reclute anarchiche, tutto questo contribuì a fossilizzare i gruppi esistenti ed impedì che si formassero nuovi militanti.
Da questo momento la storia del movimento anarchico ebraico è quella dell'invecchiamento dei suoi militanti e della lenta estinzione dell'influenza esercitata in passato. In parte ciò era anche dovuto alla progressiva integrazione delle minoranze etniche in una società nord-americana più omogenea, maggiormente strutturata, che trovava il suo equilibrio nel movimento di espansione economica. Di conseguenza i gruppi anarchici divennero sempre più circoli essenzialmente sociali e culturali e anche negli anni della grande depressione furono soprattutto i comunisti a prendere il tipo di iniziativa che in passato avrebbero preso, certamente con intenti diversi, i libertari e gli I.W.W.
La guerra civile spagnola sembrò ridare vita al movimento che stava lentamente spegnendosi, ma la vittoria di Franco venne come una schiacciante sconfitta, 1'ultima e la più grande sconfitta del movimento anarchico.
Da quel momento niente poté più arrestare la lenta e inesorabile decadenza di un movimento che aveva preso parte attiva alle lotte sociali degli Stati Uniti e con l'invecchiamento dei militanti e il diminuire dei lettori yiddish anche le numerose testate pian piano cessarono le pubblicazioni (19).

Dopo il pogrom di Kishinev
Non ci resta ora che affrontare la posizione che gli anarchici ebrei assunsero nei riguardi del sionismo, la più significativa reazione dell'ebraismo alle sfide del mondo moderno.
Sia gli anarchici che gli ebrei socialisti non furono sionisti (anche se non sono mancati socialisti-sionisti) entrambi ritenevano che la soluzione del problema ebraico sarebbe venuta con l'avvento del socialismo. La rivoluzione proletaria avrebbe posto fine ad ogni sfruttamento, sancito la scomparsa delle classi e definitivamente emancipato tutti gli uomini, non solo gli ebrei. Non vi sarebbero stati più ostacoli alla libera e naturale assimilazione, tutt'al più si sarebbe riconosciuto all'interno delle singole nazioni, destinate a loro volta a scomparire, la piena autonomia culturale e religiosa alle minoranze etniche e di conseguenza anche alle comunità ebraiche. Su questo punto non esistevano dubbi, nella futura società comunista la questione ebraica e con essa la dolorosa spina dell'antisemitismo sarebbero definitivamente scomparse.
Anche gli anarchici, al pari dei socialisti, condannarono il sionismo nascente come un movimento borghese, nazionalista e sostanzialmente reazionario che distoglieva le masse dalla lotta di classe, proponeva di restaurare l'antica teocrazia basata sulla rinascita del Tempio a Gerusalemme e indirizzava tutti i suoi sforzi verso la costruzione di un nuovo Stato. Il rifiuto dello Stato, considerato come la massima incarnazione del principio di autorità e la causa prima di tutte le ingiustizie sociali e di tutte le guerre, era uno dei principi fondamentali dell'ideologia anarchica molto tempo prima che i sognatori della resurrezione politica di Sion portassero il loro messaggio di incoraggiamento all'ebreo errante. Inoltre, gli ebrei che avevano abbracciato l'ideologia libertaria per il suo ardente idealismo e il suo deciso internazionalismo, si sentivano completamente distaccati dalle loro origini e respingevano senza esitazione l'idea di appartenere ad un preciso popolo.
Sentendosi parte integrante dell'universale famiglia del proletariato oppresso affermavano con decisione di non conoscere patria e non avere nazionalità. L'unica particolarità che si riconoscevano era solamente di tipo linguistico: l'uso dello yiddish. Essi si consideravano anarchici di lingua yiddish e basta, senza che allo yiddish venisse attribuito un particolare valore, se non quello di essere lo strumento ideale per la propaganda fra gli immigrati. Ma i militanti anarchici ebrei avevano un bel proclamare il loro rifiuto di ogni legame con il mondo ebraico, vi appartenevano lo stesso. In ragione della origine geografica, della segregazione linguistica e della specificità delle attività produttive dei lavoratori immigrati, l'iniziativa politica dei libertari si concentrò nei quartieri ebraici. Malgrado ciò non vi è traccia sulla stampa anarchica ebraica del problema nazionale e della esistenza di una specifica questione ebraica almeno fino al 1903, anno del pogrom di Kishinev, una piccola città della Bessarabia (20).
Il pogrom di Kishinev ebbe un effetto traumatizzante per tutta la diaspora e riportò improvvisamente in primo piano il problema dell'identità ebraica. Di fronte a questa brutale realtà anche gli anarchici furono presi dallo scoraggiamento. In quell'occasione il militante anarchico Israel Kopeloff scriveva: "Per quanto mi riguarda , il pogrom di Kishinev mi ha sconvolto fino alla confusione; avevo semplicemente smarrito tutti i miei punti di riferimento. L'intelligenza, la logica, la fredda ragione avevano lasciato il posto all'emozione e non significavano più niente per me. Tutto il mio cosmopolitismo precedente, il mio internazionalismo, erano volati via di colpo" (21).
Stimolato da quegli avvenimenti un qualificato gruppo di militanti iniziava a prestare maggiore attenzione al problema ebraico ed a rivedere le proprie concezioni. Il primo ad esprimersi a favore di una revisione del tradizionale cosmopolitismo fu il Dr. Hillel Zolotaroff. In un articolo provocatorio pubblicato sul "Fraye Arbeter Shtime" del 23 maggio 1903 dal titolo Questioni gravi, Zolotaroff sosteneva che la soluzione del problema ebraico doveva necessariamente essere ricercata all'interno di una ideologia socialista-sionista in quanto "il più alto ideale non consisteva nella scomparsa dei popoli, ma nella loro fraterna unione" (22). Proseguendo egli affermava inoltre: "Prova se sei capace a soffocare l'idea, prova centomila volte se ci riesci a rifiutare, ma rimane la verità che noi stessi siamo ebrei. Così qualsiasi persecuzione degli ebrei come popolo risveglia nelle nostre anime un profondo dolore. Di conseguenza preferiamo morire come ebrei piuttosto che comprare la vita attraverso la forzata rinuncia alla nostra identità" (23).
Ormai l'originaria fede cosmopolita predicata dai fondatori del movimento anarchico veniva sostituita gradatamente da un vago sentimento nazionale che ricordava molto le posizioni del Poale Zion, il partito socialista sionista.
Ad orientare parte del movimento anarchico ebraico in questo senso aveva inoltre contribuito la nascita in Palestina di numerosi Kibbutzim e Moshavim.
Lo sviluppo e lo slancio che ebbero questi insediamenti collettivistici colpirono sensibilmente l'immaginario degli anarchici ebrei che assistevano al nascere di una società basata sul federalismo e sui principi del socialismo libertario. Negli Stati Uniti molti di loro presero parte attiva alle raccolte di fondi e appoggiarono le campagne condotte dai gruppi socialisti sionisti americani in favore delle comunità agricole di Palestina.
La simpatia degli anarchici per quei giovani che in Eretz Israel tentavano di costituire un mondo nuovo e lavoravano per realizzarlo attraverso l'azione individuale e volontaria era dovuta anche ad uno degli aspetti più peculiari e costanti dell'ideologia anarchica: l'aspirazione a costruire comunità prevalentemente agricole fondate sui precetti di giustizia, libertà e fraternità.
Tra la fondazione del primo Kibbutz a Degania (1910) e la prima guerra mondiale, alcuni lavoratori ebrei di New York e Philadelphia, si riunirono per tentare l'ambizioso progetto di una colonia cooperativa nell'Utah. Sorgeva così la grande colonia di Clarion che fu però un clamoroso fallimento a causa della mancanza di direzione e della cattiva amministrazione. Molto più successo ebbe la colonia di Stelton nel New Jersey. Comunque l'esperimento che risulterà più completo fu intrapreso sui 9.000 acri della Sun-Rise Co-operative Farm fondata nel Michigan nel 1933 (24). Tuttavia malgrado i risultati soddisfacenti raggiunti, la colonia dovette essere ben presto liquidata. Delusi da questa lunga serie di insuccessi gli anarchici ebrei rimasero profondamente impressionati dagli indiscutibili successi ottenuti invece dalle cooperative agricole di Palestina e lo slittamento di alcuni settori verso posizioni "nazional-progressiste" non farà che intensificarsi soprattutto negli anni che vanno dalla presa del potere di Hitler al secondo dopoguerra quando il mondo si trovò di fronte alla tragica realtà di milioni di ebrei sterminati in nome delle aberranti teorie razziali naziste.
È ancora Zolotaroff a descriverci la disperazione in cui furono spinti i militanti anarchici ed a indicare i nuovi compiti che attendevano gli anarchici ebrei: "I nostri rapporti con la vasta corrente del nazionalismo sono dunque chiari. Noi dobbiamo non solo aiutare a salvare il popolo ebraico dalle forze esterne che cercano di perseguitarlo e di annientarlo, ma anche di contribuire a raggruppare le masse ebraiche 1à dove esiste un focolare nazionale che può prevenire l'annientamento intero del popolo. Noi dobbiamo collocarci all'avanguardia della libertà e contribuire allo sviluppo di una cultura che permetta al nostro popolo di accedere ad una vita sociale più libera e migliore" (25).


1) Fra le opere dedicate al movimento ebraico citiamo:
N. Levin , While Messiah Tarried, New York , 1977 , J. Frankel , Rophecy, and Politics. Socialism, Nationalism and the Russian Jeus, 1862-1917, Cambridge, 1981
(Trad. italiana: Gli ebrei russi - Tra socialismo e nazionalismo (1862-1917), Torino, 1990);
J.J. Fishman, East End Jewish Radicals. 1875-1914, London, 1975;
N . Weinstock, Le pain du misere. Histoire de mouvement ouvríer juif en Europe, 3 vol., Paris, 1984-86.
Sulla storia del movimento ebraico in particolare si veda:
J.J. Cohen, Di yidish-anarchistishe bavegung in Amerika, Philadelphia, 1945;
H. Frank, Anarchism and the Jesus in B. Vlavianos-F. Gross , Struggle for tomorrow, New York. 1954;
N. Weinstock, Le mouvement anarchiste juifs, Bruxelles. "Points critiques". n.35. 1988;
P. Avrich , Jewish anarchism in the United in the United States, dattiloscritto;
P. Avrich, Anarchist portraits, Princenton, 1988.

2) A.Ruppin, Soziologie der Juden, I, Berlin, 1930, p. 157.
Cfr. N. Weinstock, Storia del sionismo. Dalle origini alla fondazione di Israele, I. Roma, 1970.
Si veda inoltre:
S. Della Pergola, La trasformazione demografica della diaspora ebraica,Torino, 1983.

3) A. Ruppin, op. cit.
Si veda inoltre: A. Antonovsky, The Early Jewish Labor Movement in the U.S., New York, 1961; M. Rischin, The Promised City. New York'Jew, 1870-1944, Cambridge, Mass-London, 1978;
I. Howe. La terra promessa. Ebrei a New York, Milano, 1984.

4) L.Wirth, Il ghetto. Milano, 1968. p.123.

5) Cfr. in S. Asch , Zio Moses, la Postfazione di Daniela Leoni, p.253, Genova 1990.
Sulla poesia yiddish si veda: Le miroir d'un people, a cura di C. Dobzynskv, Paris, 1987.

6) Lo yiddish, che fu la lingua della comunità ebraica dell'Europa centrale e orientale, è un dialetto medio-alto tedesco d'impronta prevalentemente francofona e allemanna scritto in caratteri ebraici che nel corso dei secoli assimilò una notevole percentuale di parole ebraiche (nella misura del l0-15%) e di poche parole slave (circa il 10%). "Si ritiene che le prime tracce dello yiddish risalgano al sec. XI sotto forma di glosse ai testi sacri...All'inizio questo linguaggio si differenziava poco dal tedesco corrente... ma col passare del tempo, estendendosi il suo uso, crebbe la prevalenza dell'ebraico. Non si trattava più soltanto di espressioni tedesche rivestite dell'alfabeto ebraico : mescolate con esse apparivano vocaboli ebraici, ciò che dava all'idioma nascente una particolare fisionomia. La diffusione degli ebrei in Europa fece sì che la lingua si arricchisse di strutture e termini nuovi sino a raggiungere, attraverso una lunga evoluzione, la categoria letteraria che occupa attualmente".
S. Resnik, Esquema de la litteratura yiddish, Buenos Aires, 1933, p. 9.
Citato in: L. Sestrieri, Gli ebrei nella storia di tre millenni, Roma, 1984, P. 194.

7) I. Howe, op. cit., p. 121

8) G. Woodcock, L'anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari, Milano, 1966, p.223 ss.

9) P. Avrich , Anarchist..., op. cit., p. 190.

10) I. Howe, op. cit., p. 130-132.

11) Sulla storia dell'I.W.W. tra le tante opere si veda:
P. Renshaw, Il sindacalismo rivoluzionario negli Stati Uniti, Bari, 1970;
J. Kornbluh, Rebels voices: An I.W.W. Anthology, Chicago, 1988.

12) P . Avrich, op. cit.

13) Sulla Anarchist Red Cross si veda:
B. Yelensky, In the Stuggle for Equality. The Story of Anarchist Red Cross, Chicago, 1958.

14) Sulla modern School si veda:
P. Avrich ,The Modern School Movement. Anarchism and Education in the United State, Princeton, 1980.

15) I primi opuscoli antireligiosi apparvero nel 1889. Il primo ballo di Yom Kippur fu celebrato a Londra nello stesso anno organizzato da Philiph Krontz. Cfr. N. Weinstock, Le pain du misere, op. cit., p.82.

16) N. Weinstock, Le mouvement anarchiste..., op. cit., p.29.

17) I. Kopeloff , Aruol in Amerika, Warsaw , 1928, p. 275.

18) R.O. Boyer - H.M. Morrais, Storia del movimento operaio negli Stati Uniti (1861-1955), Bari, 1974.

19) P. Avrich, Anarchist..., op. cit., p. 198.

20) Sul pogrom di Kishinev vedi tra le tante opere:
L. Poliakov, Storia dell'antisemitismo. IV. L'Europa suicida, 1870-1933, Firenze, 1990, p. 13lss.

21) L Kopeloff., op. cit., p. 458.

22) Cit. in H. Frank, op. cit., p. 286.

23) ibid

24) Sulla Sunrise Co-operative Farm si veda:
J.J. Cohen, In Quest of Heaven. The Story of the Sunrise Co-operative Farm Community, New York, 1957.

25) H. Zolotaroff, Geklibene Shriftn, 3 vol., New York, 1921, p.209-306.