Rivista Anarchica Online
Che cos'è la
bioetica
di Carlo Foppa
Intorno al concetto di bioetica si è
sviluppato un dibattito che sta cominciando, sia pure con fatica, ad
allargarsi oltre la cerchia degli specialisti. Carlo Foppa in
queste pagine fa il punto sulla questione in un intervento preparato
in origine per un dibattito tenutosi in un liceo cantonale di
Lugano
1. Breve definizione della bioetica
-
Non consiste nel porre un freno alla scienza
-
Non consiste nel prendere delle decisioni al posto
dell'uomo di scienza
-
Non consiste nel formulare delle leggi
-
Non consiste nell'imporre l'emotività alla
razionalità
È una disciplina che si caratterizza
principalmente per il suo metodo:
- interdisciplinarietà - è un
procedimento di ricerca: non si parte mai da una certezza
indubitabile - risponde ad un bisogno sociale di legittimazione
di fronte alla crisi dell'etica "tradizionale" - tenta
di garantire l'equilibrio tra libertà della ricerca
scientifica e rispetto dei diritti dell'uomo
Essendo una disciplina relativamente nuova ha tanti
difetti:
- procede secondo una casistica e non in modo
globale - deve affrontare problemi già esistenti
suscitati dalla tecnologia scientifica, non è preventiva -
è ancora vittima del regionalismo: Europa/USA
- pur essendo relativamente nuova è
già vittima della specializzazione.
2. Alcune date importanti
E' necessario precisare che il modo di fare della
ricerca nelle discipline biomediche ha subito un importante
mutamento durante il XIX secolo: fino ad allora venivano applicate
le terapie secondo un metodo empirico, si usavano delle "ricette"
trasmesse da una generazione all'altra poiché si riteneva che
funzionassero e in molti casi funzionavano. Nel corso del 1800
viene introdotta la tecnica sperimentale del trattamento della
polmonite sottoponendo i malati a loro insaputa a due trattamenti
diversi: un gruppo veniva trattato con il salasso (unica forma di
terapia allora), mentre l'altro non veniva trattato affatto. Diventa
così possibile provare che la terapia del salasso non era
efficace. La sperimentazione sull'uomo diventa così un metodo
efficace per mettere a punto nuovi trattamenti. In seguito
l'aspetto fondamentalmente sperimentale della medicina verrà
poi codificato da Claude Bernard, fisiologo francese considerato
appunto il padre della medicina sperimentale. Il '900 si apre
quindi con un consenso tacito circa la sperimentazione sul soggetto
umano a sua insaputa. Dopo la II guerra mondiale e il conseguente
processo di Norimberga, l'opinione pubblica si rende conto dei
rischi che implicava tale consenso tacito: buona parte dei crimini
perpetrati nei campi di concentramento sono stati fatti con il
pretesto della ricerca scientifica che veniva effettuata su soggetti
sani o malati, ad ogni modo non consenzienti.
1947: Codice di Norimberga consenso libero e
"èclairè" 1948: Dichiarazione universale
dei Diritti dell'uomo 1964: Dichiarazione di Helsinki 1975:
Dichiarazione di Tokyo (messa a giorno di Helsinki) 1981:
Dichiarazione di Manila
Scopo comune di questi testi è la protezione
dei diritti dell'uomo dagli eventuali soprusi della ricerca
biomedica: tutti ribadiscono con diverse definizioni la necessità
del consenso della persona che si sottopone a una ricerca; vi è
una progressione dal volontario sano, al malato, alla persona
incapace di decidere. Anche la relazione tra medico e paziente
subisce un'evoluzione nel corso del nostro secolo. In un primo
tempo tale relazione si basa sul giuramento di Ippocrate e sul
Decalogo, ma col passare del tempo si fa strada anche una
definizione più laica della relazione medico-paziente. In
particolare negli USA la pubblicazione da parte di un teologo
protestante che si distanzia dalle posizioni teologiche
tradizionali, J. Fletcher con il libro Morals & Medicine,
suscita una viva reazione da parte dell'opinione pubblica. Si
instaura un dibattito sociale e vengono enunciate le prime
formulazioni del testamento biologico e si fanno strada le
considerazioni sull'inseminazione artificiale. Verso gli anni '70
un intellettuale cattolico, Daniel Callahan, fonda l'"Institute
of society, ethics, and life sciences", più
conosciuto con il nome di Hasting Center. A partire dal 1970
circa si fa strada un vasto movimento di contestazione dell'attività
scientifica:
-
viene messo in causa il legame tra ricerca pura e le
sue applicazioni
- ci si rende conto del legame esistente tra potere,
economia e scienza
- viene messo in causa l'assolutismo della pretesa
verità scientifica
- si rivendica una gestione democratica della ricerca
scientifica
- Così i sistemi politici devono far fronte
alla contestazione e sorgono un po' ovunque
commissioni specializzate incaricate di redigere dei rapporti
sull' attività scientifica. I colloqui internazionali si
moltiplicano; nel congresso di Varna del 1975, convocato
dall'UNESCO, viene esplicitamente richiesta la collaborazione dei
filosofi nella gestione delle disponibilità
scientifiche.
Infine, le prime esperienze di trapianti cardiaci
(1967) e 1o sviluppo delle unità di cure intensive fanno
vacillare la natura dell'identità umana. Tale problema rimane
irrisolto, e ai giorni nostri i progressi nell'ambito delle
discipline biomediche non fanno che incentivare la necessità
di una definizione più precisa dell'uomo, dei suoi diritti e
dei suoi doveri. Nel contempo ci si rende sempre più conto
che i valori tradizionali su cui si basa la morale comune devono
essere ridefiniti alla luce delle nuove possibilità che offre
la scienza. Alcune questioni di fondo rimangono fortunatamente
aperte, ma devono essere prese in esame dall'opinione pubblica, in
particolare :
- In che misura l'uomo si riduce al suo patrimonio
genetico?
- Il patrimonio genetico appartiene al soggetto
come gli appartiene un oggetto qualsiasi?
- Gli organi di una persona possono essere
venduti?
- Se la definizione di morte si precisa sempre più
nel suo legame con la cessazione dell'attività cerebrale, ciò
implica che la vita umana è tale solo se vi è un
cervello funzionale?
- Cosa significa il diritto alla vita? E di
riflesso esiste un diritto alla morte?
- Il nostro futuro e quello dei nostri figli dipende
strettamente dalle risposte che diamo a questo tipo
di domande;
visto che la bioetica si trova ad affrontare questi problemi,
intendo ora sottoporvene alcuni tra i più scottanti.-
- 3. Quello che è possibile fare e quello
che è giusto fare
-
La causa principale dei problemi che la bioetica si
trova ad affrontare è lo sfasamento tra la velocità delle
scoperte e delle innovazioni scientifiche e la lentezza
dell'evoluzione dell'etica. La scienza mette a punto nuove tecniche
che sono operative, e l'etica si trova a dover affrontare dei
dilemmi nuovi che i valori tradizionali non permettono sempre di
risolvere. Jean Bernard scrive che "da Archimede ad Einstein
la scienza si è trasformata. Da Platone ai filosofi
contemporanei la saggezza è rimasta la stessa" (De la
biologie à l'èthique, Buchet/Chastel,1990, p. 306)
ed è senza di dubbio vero, ma è anche vero che i
valori evolvono e cambiano; così, come la scienza anche
l'etica non è una disciplina che si sviluppa da sola, essa
appartiene all'uomo ed è lui che deve decidere. Vi
propongo quindi di analizzare quattro casi in cui lo sfasamento tra
scienza e etica mi sembra particolarmente visibile.-
3.1 Definizione e criteri di morte La
morte appare come un fenomeno tra i più tragicamente chiari
all'uomo, eppure si ha l'impressione che quanto più si
accumula il sapere sulla morte, tanto più essa diventa
difficile da definire. E in ciò non vi è nulla di
sorprendente: simmetricamente la definizione della vita pone gli
stessi problemi. La biologia spiega il vivente in modo sempre più
dettagliato e ricco, eppure rimane incapace di definire la
vita. Tuttavia queste due definizioni si fanno sempre più
indispensabili soprattutto alla luce delle tecnologie biomediche
sempre più performanti. Per cui il processo della morte, e
quindi la morte stessa, diventa un fenomeno strettamente
connesso alle capacità tecnologiche di un'area culturale e
di un periodo storico: la persona che trent'anni fa sarebbe stata
considerata morta oggi non lo è così sistematicamente.
La morte subisce quindi un processo di tecnicizzazione
(evidentemente sto parlando della morte clinica e non della morte
improvvisa) che da fatto naturale la trasforma in fatto
convenzionale. Jean Bernard scrive che "la morte dell'uomo in
questa fine del XX° secolo è la morte del cervello"
(idem, p. 139), resta il fatto che occorrono dei criteri per
diagnosticare la morte del cervello; ma va detto soprattutto che la
morte cerebrale non costituisce mai un criterio di morte. Il
cervello umano può essere diviso sommariamente in due
regioni: la parte superiore o area corticale responsabile
dell'attività del pensiero e la parte inferiore o
subcorticale (tronco cerebrale) che presiede al comportamento e alle
emozioni ed è responsabile delle funzioni autonome del corpo
(respirazione, battito cardiaco, ecc. ) . Se la parte superiore
del cervello ha subito delle lesioni irreversibili, la persona non
tornerà mai più alla coscienza; le cellule
neuronali, a differenza delle altre, non si rigenerano, anzi muoiono
progressivamente nel corso della vita. (Casi di possibilità
di rigenerazione artificiale: Neuronal Growth Factor, e trapianto di
cellule fetali che permettono il recupero di certe lesioni; ma ciò
è ancora in fase sperimentale, per quanto ne so io). I
problemi maggiori sorgono allorché le tecnologie sempre più
sofisticate permettono di mantenere in vita una persona che non
sarà mai più cosciente, direi quasi che permettono di
tenere in vita un morto. Si tratta di casi di coma
irreversibile in cui vi è la certezza di lesioni definitive e
complete alla parte superiore del cervello, mentre grazie al
funzionamento della parte subcorticale la persona (e mi chiedo se
non sia più giusto parlare di corpo) respira spontaneamente.
In simili casi è possibile mantenerla in vita grazie a un
considerevole appoggio tecnico e umano (non vi sono solo le
macchine, ma vi sono anche le infermiere e qui si potrebbe aprire un
capitolo a parte sul significato delle loro cure nei casi di
trapianto d'organi...). La domanda che sorge spontanea è
"perché mantenere in vita una persona che non avrà
mai più alcuna coscienza di esistere oltre a non avere più
nessuna vita autonoma?". Si può fare appello alla
dignità umana, ma occorre chiedersi se è più
degno dell'uomo essere mantenuto in vita in uno stato che lo rende
simile a un legume oppure se è più degno lasciarlo
morire limitando la sua sofferenza. Da cui si osserva che un valore
tradizionale come la dignità umana ha bisogno di essere
ridefinito alla luce delle nuove prodezze della scienza
biomedica. In questa situazione abbiamo da una parte il dovere
del medico che è di lottare contro la morte (o
la sofferenza), e dall'altra la rivendicazione del diritto ad una
morte ineluttabile: il dilemma che si crea è appunto tra il
dovere del medico e il diritto del paziente, l'accanimento
terapeutico contro il diritto a morire nella dignità
. Emergono quindi i seguenti quesiti:
-
Qual è il miglior modo di rispettare la dignità
umana in casi del genere?
- Chi ha il compito di decide cosa fare?
- In che misura è giusto imporre la vita a
una persona in stato di coma irreversibile?
- Vi è poi il rischio di voler risolvere
problemi del genere con misure giuridiche attraverso le leggi:
lo stato del Missouri, ad esempio, prevede che una volta che un
membro della famiglia ha dato il consenso per un trattamento medico
di un parente in stato di coma, da quel momento in poi egli non può
più ritornare sulla sua decisione: in altre parole viene
chiesto alla famiglia di firmare un contratto di accanimento
terapeutico. Caso celebre di Nancy Cruzan:
- la famiglia
chiede di smettere il nutrimento artificiale e l'idratazione nella
speranza di lasciar morire la figlia;-
- l'ospedale si oppone;
- la famiglia fa ricorso; -
il tribunale dà ragione all'ospedale e Nancy è tenuta
in vita (si tenga presente il dolore della famiglia...) ; - la
famiglia ricorre di nuovo; - il tribunale accetta il ricorso e il
trattamento è interrotto; -Nancy muore tre o quattro
giorni dopo.
- Da ciò si vede chiaramente che lo stato, in
tal caso, ha il diritto di imporre la vita mentre i familiari non
hanno il diritto di toglierla. È assai pericoloso voler
risolvere le questioni etiche con misure giuridiche, ed è
quasi criminale affidare l'elaborazione di eventuali leggi ai
politici per diverse ragioni:
- I politici non hanno nessuna
competenza di questioni etiche o bioetiche. Ed è normale: il
filosofo non è competente in medicina, il medico non è
competente in filosofia né il teologo in biologia molecolare;
però chi si occupa di bioetica è obbligato da una
parte ad acquisire certe conoscenze, ma soprattutto impara a
confrontarsi ad argomentazioni in modo interdisciplinare. I
politici però, oltre ad avere spesso una visione partitica
del mondo, non sembrano manifestare un gran interesse per le
questioni bioetiche che non siano legate a forme di potere politico
o economico: l'esperienza del MURS sembra dimostrarlo. Alcuni
anni fa, nel corso degli anni '80, i membri del MURS, essendosi resi
conto dell'assoluta incompetenza dei politici nei problemi legati
alla scienza, hanno deciso di organizzare dei seminari estivi di
formazione per capi di stato. L'impresa ha però dovuto essere
rapidamente accantonata poiché dopo mesi la sola risposta
positiva era stata quella del primo ministro canadese Trudeau.
- Istituendo delle leggi in funzione delle nuove
tecnologie, non si lascia il tempo alla società di esaminare
le questioni sollevate appunto dall'avanzamento della conoscenza
scientifica, per cui la norma enunciata si trova difficilmente
legittimata.
- La velocità dell'acquisizione di nuove
conoscenze è talmente alta che le eventuali leggi si
troverebbero ad essere immediatamente già vecchie.
- Il legame che viene a stabilirsi attraverso la
legge tra stato, economia e cittadino è assai
delicato soprattutto quando si tratta della gestione della vita o
della morte, si pensi alle possibilità di abusi politici in
sistemi totalitari. Per concludere questa prima parte sul
problema della morte vorrei applicare le considerazioni concernenti
il pericolo di una legislazione affrettata al problema
dell'eutanasia. A mio avviso non deve trattarsi né di
proibirla né di autorizzarla, ma di essere onesti e
pragmatici: eutanasia significa "morte dolce" ed è
il modo estremo di evitare la sofferenza a qualcuno e in questo
senso può essere anche concepita come ultimo atto
terapeutico. L'eutanasia è attualmente praticata negli
ospedali, pur non essendo legale, in casi assolutamente estremi. Vi
è poi chi fa la differenza tra eutanasia attiva e passiva: mi
chiedo se non si tratti di un'ipocrisia formale, come dire che
un'entrata non è un'uscita... Certo rimane il fatto
dell'atto in sé stesso che non è facile da assumere
per una sola persona, colui che deve dare la morte, ma possono esser
cercate delle soluzioni come quelle adottate da un medico
statunitense Jack Kervorkian che ha messo a punto un sistema che
permette al paziente in fase terminale (se è cosciente) di
scegliere quale soluzione iniettare nelle sue vene (soluzione
salina, sedativo o cloruro di potassio). La differenza tra
eutanasia attiva e passiva appare come una formulazione diversa
della differenza tra atto e omissione; questa discriminazione può
essere collegata con la concezione dell'atto morale in Kant; secondo
lui infatti quel che determina il valore morale di un'azione è
esclusivamente l'intenzione in nome della quale essa è fatta
e non la conseguenza che essa implica (Grundlegung zur Metaphysik
der Sitten, IV, 416). Mentre in un'ottica utilitaristica la
conseguenza dell'atto assume un ruolo assai più importante-
3.2 Ricerca sull'essere umano La ricerca
sull'essere umano vivente si divide in due tipi: quella a finalità
terapeutica e quella a finalità cognitiva.
- Finalità terapeutica Per quanto
concerne questo tipo di ricerca l'accordo è quasi unanime a
proposito del fine preposto; nessuno può ragionevolmente
negare la necessità assoluta e il beneficio collettivo di
tali ricerche. Tre sono le principali regole da rispettare in
questo tipo di ricerca:
a) Il soggetto deve essere consenziente. Tale
regola sembra basarsi sul principio kantiano del rispetto
dell'autonomia del giudizio della persona umana. Si tratta di un
principio che mette in primo piano il soggetto individuale.
b) Il rapporto rischio-beneficio deve essere
favorevole . Tale regola si basa su un principio più
utilitaristico che è quello della massimizzazione del
beneficio. Questo principio di beneficenza situa la collettività
in primo piano per lasciare al singolo individuo un posto
secondario.
c) La ripartizione delle ricerche deve essere
equa, non possono venir effettuate delle ricerche terapeutiche nei
paesi in via di sviluppo se saranno solo i paesi ricchi a
beneficiarne. Si tratta di un principio di giustizia. Esistono
delle circostanze in cui si verifica un conflitto tra i principi, ad
esempio se si accetta di sottoporre l'individuo a certi rischi per
il bene della collettività (secondo principio), ciò
vuol dire che non si rispetta il primo principio. I comitati etici
hanno appunto il compito di risolvere tali situazioni di conflitto.
Tuttavia, proprio a causa dell'accordo sulla finalità di
questo tipo di ricerca è abbastanza semplice giungere a un
consenso.-
- Finalità cognitiva Lo scopo
perseguito non è sempre sistematicamente accettato. Raramente
esiste un vero e proprio fine umanitario di utilità
collettiva. I tre principi enunciati precedentemente non sono molto
operativi in quanto non esiste un accordo sulla finalità
cognitiva, e l'esame di tali protocolli di ricerca risulta assai più
difficoltoso. In Francia si è parlato molto gli scorsi anni
delle ricerche fatte su situazioni estreme: stati di assenza di peso
, reazioni dell'organismo a grandi profondità, ecc.. Uno
dei grossi problemi è il reclutamento di volontari, visto
anche che il rischio di conseguenze negative è spesso
considerevole; nel 1986 si è creata una situazione di totale
divergenza tra i due più grandi organismi scientifici
francesi: da una parte il CNRS era d'accordo per retribuire i
volontari che si sottoponevano a tali ricerche, dall'altra l'INSERM
ha sempre considerato ogni retribuzione come qualcosa di
immorale. Va tuttavia sottolineato che la realtà dei fatti
appare poco coerente:
si permette a degli esseri umani di scendere a più
di 600 metri sotto il livello del mare per filmare pesci e li si
pagano ma si considera immorale pagare delle persone
per scendere alle stesse profondità per studiare le reazioni
dell'organismo umano.
Da una parte filosofi come Aristotele hanno
sempre riconosciuto l'istinto naturale dell'uomo a conoscere, ed il
sapere viene spesso annoverato tra i valori fondamentali; dall'altra
parte però vi è il mito ellenico di Prometeo e quello
giudeo cristiano dell'albero della conoscenza. La ricerca del
vero è ben lungi dall'essere considerata un valore fra i più
alti; nel 1970 il Nobel Jacques Monod (1965) ha pubblicato un
importante saggio sul vivente, Il caso e la necessità,
in cui proponeva la conoscenza del vero come opzione etica
fondamentale dalla quale sarebbero derivati gli altri valori. La sua
posizione è ancora oggi contestata in diversi ambienti, forse
anche perché non vi è una chiara distinzione tra
l'acquisizione di una conoscenza vera e la sua applicazione a fini
pratici (ma tale distinzione è poi così vera?). Il
fatto è che fino a quando il ricercatore si autofinanziava,
si ammetteva tacitamente che il suo sistema di valori fosse diverso
da quello della collettività (es. il valore "autonomia
del soggetto" passava in secondo piano rispetto al valore
"ricerca del vero"); ma oggigiorno tale separazione
risulta assai poco tollerata, anche e soprattutto a causa
dell'aspetto economico: la ricerca è finanziata dai cittadini
che rivendicano un diritto di opinione sulla ricerca stessa. Occorre
quindi chiedersi se esiste o meno una conciliabilità fra tre
tipi diversi di etica:
Etica personalista: l'autonomia del soggetto va posta
in primo piano e va salvaguardata ad ogni costo. Tale punto di vista
sembra determinante nei sistemi di libero mercato; il male in questo
caso consiste nell'obbligare un soggetto contro la sua volontà.
Etica collettivista: il beneficio collettivo è
anteposto ad ogni altro valore. Questo punto di vista sembra
determinante nei sistemi a mercato unico. Il male consisterebbe in
questo caso nello sprecare risorse umane per ricerche inutili o la
cui utilità non sarebbe collettiva.
Etica della conoscenza: la ricerca del vero
costituisce il valore più alto al quale tutti gli altri sono
sottoposti; si tratta del punto di vista di Monod. In tal caso il
male estremo è l'ignoranza o, peggio, la menzogna.
Spesso si dice che il sapere è venerato
non tanto in quanto tale quanto piuttosto per il potere che
conferisce all'uomo. Questo è vero solo in parte. Nessuno può
ragionevolmente negare il piacere che si prova guardando un
documentario sul comportamento degli animali ad esempio, o leggendo
le spiegazioni di teorie psicologiche sul comportamento umano; non
dimentichiamo poi tutte le ricerche in archeologia e l'esistenza di
scienze come la cosmologia. Perciò il sapere come tale è
un vero e proprio piacere specifico all'uomo e risponde a un bisogno
che nessun'altra specie vivente manifesta. Rimane d'altra parte
vero e incontestabile che per la ricerca si accettano sacrifici
umani di gran lunga inferiori a quelli accettati per la ricerca
terapeutica o a quelli insiti nella difesa del territorio nazionale
con gli eserciti.
3.3 Tecniche di procreazione assistita e
conseguenze Da quasi una ventina d'anni ormai la scienza
biomedica ha messo a punto la tecnica della FIVET e altri sistemi
di inseminazione artificiale meno celebri (GIFT, ZIFT sono le più
usate, ma il prof . Campana ha fatto un inventario di tutte le
tecniche esistenti e ce ne sono circa una ventina). Queste tecniche
permettono alle coppie che lo desiderano di procreare nei casi in
cui vi sono problemi di sterilità. L'utilizzazione ormai
sempre più diffusa di queste tecniche ha portato ad una
situazione in cui i problemi etici implicati nella questione sono
rimasti assolutamente irrisolti. Esistono due tipi di problemi
etici sollevati dalla diffusione di queste pratiche: un gruppo di
questioni che concernono il significato di tali tecniche, e un altro
che riguarda i problemi pratici generati dai procedimenti di FIV. A
proposito della tecnica in se stessa:
Occorre chiedersi innanzitutto se la sterilità
sia da considerare una malattia, e secondariamente dove si situa in
generale il limite tra normale e patologico. Se la sterilità
è una malattia, allora o la FIV non è una terapia, o
se lo è, è una terapia che non vale un gran che in
quanto non elimina le cause di tale presunta malattia. Se invece
la sterilità non è una malattia allora la FIV non è
una terapia poiché non cura una malattia. Nei due casi
comunque la FIV non sembra una tecnica né preventiva né
terapeutica, al limite potrebbe essere considerata una misura
palliativa.
Qual è il vero significato della maternità
(paternità): avere un figlio o avere un figlio geneticamente
mio? Apparentemente l'accento sembra cadere sul bisogno di una
sorta di proprietà genetica, di copyright quasi nel rapporto
di filiazione. La coppia che richiede una FIV ha già
deciso di non adottare un figlio e chiede quindi qualcosa di più
della semplice filiazione.
Se avere un figlio è la materializzazione
dell'amore che unisce due esseri umani, allora perché essa è
riservata esclusivamente alle coppie eterosessuali? A proposito
dei problemi causati dalle tecniche FIV
Innanzitutto vi è la delicata questione
concernente la sorte degli embrioni residui (surnumèraires).
In Svizzera la ricerca sull'embrione è proibita, e vi è
l'obbligo di conservarli per una durata di tre mesi, ma si sta
passando al criterio dominante in Europa che è quello della
conservazione per un periodo di cinque anni. Altri paesi europei
autorizzano la ricerca sull'embrione nei primi quattordici
giorni. Evidentemente la questione di fondo (che esamineremo più
avanti) è quella dello statuto dell'embrione.
Nello stesso ordine di considerazioni possiamo
segnalare casi reali che spingono la situazione a conseguenze
estreme. Ammettiamo (in realtà si tratta di un caso reale
accaduto anni fa in Australia) che una coppia domandi una FIV e che
vengano fecondati tre ovuli. Uno viene trasferito nell'utero ma
abortisce spontaneamente dopo un certo numero di mesi; la coppia
parte per un viaggio ma muore in un incidente lasciando
un'importante fortuna che spetterebbe ai figli: i due embrioni
congelati sono i figli della coppia? Cosa occorre fare se sono stati
ottenuti tramite inseminazione eterologa? Chi dovrebbe farli
nascere?
Vi è poi il problema della selezione:
normalmente vengono fecondati più ovuli per ragioni di
sicurezza, al momento della trasferta in utero si pone il problema
della scelta che consiste in fondo nel fornire a un organismo
vivente la possibilità di diventare un essere umano: un uomo
solo decide della vita di un altro uomo ma non di un altro.
Trattandosi di una tecnica relativamente nuova
(rispetto alla durata media di una vita), è molto difficile
immaginare l'impatto che può avere un concepimento di questo
tipo (ex utero) sul futuro sviluppo psicologico del bambino. Alcuni
medici e psicologi affermano che le persone sino ad oggi concepite
per FIV non sembrano per nulla diverse dalle altre , né
sembrano presentare problemi maggiori dal punto di vista psichico;
altri invece sostengono che è ancora presto per tali
valutazioni; indipendentemente da ciò rimane il fatto che
tali tecniche modificano visceralmente la rappresentazione del
legame di filiazione nella società, e l'impatto di tale
cambiamento da un punto di vista sociologico è assai
difficile da valutare se non impossibile.
Da ultimo segnaliamo un problema non eccessivamente
metafisico, ma non per questo meno importante: quello dei costi.
Attualmente in Svizzera il costo medio di una PMA si situa tra i
4000 e i 7000 Sfr. Attraverso un decreto del Tribunale Federale
delle Assicurazioni del 1985 è stato deciso che le Casse
Malati non prendono in carico tali tecniche. La possibilità
di avere un figlio biologicamente proprio diventa perciò
un'esclusività non alla portata di tutti; mi ricollego a
quanto detto prima circa la definizione della sterilità: se
si tratta di una malattia, allora non è giusto che le
assicurazioni non contribuiscano alle spese come fanno per altre
malattie, in caso contrario le PMA rimangono un lusso riservato a
pochi. Considerazioni generali sulle PMA
La diffusione delle tecniche PMA contiene un
certo numero di conseguenze per la società nella
sua globalità nella misura in cui i valori attuali si
troverebbero a cambiare. Innanzitutto l'emancipazione della donna
può evolvere notevolmente fino al punto di dissolvere
la necessità della coppia eterosessuale per la filiazione;
la donna può anche decidere di avere un figlio senza
bisogno di avere necessariamente un padre. Intendiamoci: si
tratta di situazioni tecnicamente possibili ma assai delicate da un
punto di vista etico e soprattutto giuridico. Tecnicamente è
possibile per una donna diventare madre della sua gemella: tramite
la clonazione è possibile fare una copia esatta del
patrimonio genetico di un individuo (vero gemello prodotto
artificialmente): la copia è poi messa sotto azoto liquido e
può essere conservata per molti anni. Supponiamo che la prima
persona così concepita diventi adulta e in grado di
riprodursi: a questo punto è possibile trasferire nel suo
utero la sua copia gemellare e far portare a termine la gravidanza,
la persona diventa perciò madre della sua sorella gemella.
Evidentemente non vedo alcun interesse a una pratica del genere, ma
tecnicamente è possibile. Da cui ancora una volta quello che
è fattibile tecnicamente non è necessariamente
fattibile eticamente. Da un punto di vista strettamente
scientifico le tecniche di FIV permetterebbero delle
esperienze cruciali sull'innato e l'acquisito. Sempre attraverso
la clonazione (copia esatta di un patrimonio genetico) si potrebbero
realizzare esperienze cruciali sull'innato e l'acquisito: ad esempio
si potrebbero produrre cinque copie esatte di un individuo e farle
sviluppare in ambienti e in periodi storici completamente diversi
per poi osservare le loro eventuali differenze o identità. Se
tali esperienze venissero realizzate, ciò implicherebbe delle
conseguenze enormi sulle teorie dell'educazione; inoltre certe
teorie politiche della giustizia si troverebbero visceralmente
smentite. La teoria di Rawls, della giustizia come equità e
della compensazione delle persone meno favorite diventerebbe una
sorta di egualitarismo di principio privo di ogni fondamento di
legittimità. Vi è poi un'ulteriore possibilità
di applicazione della clonazione che per ora non è ancora
realizzabile sull'uomo - sono state fatte delle esperienze sulle
rane e funziona parzialmente. Si tratta della possibilità di
costruire la copia esatta di un individuo a partire dalle sue
cellule somatiche: il soggetto autonomo può scegliere di far
vivere la copia di se stesso. Di conseguenza, se l'uomo si riduce
al suo patrimonio genetico, allora ci troviamo di fronte alla
possibilità della vita eterna. (La tecnica non è
ancora messa a punto). Se venissero istituite delle banche di
ovuli fecondati (o zigote) la nozione di filiazione sarebbe
radicalmente modificata: dovremmo parlare dei figli della specie e
non dei figli del signor X o Y.
A questo proposito è importante segnalare
che già attualmente la nozione di filiazione sta subendo un
importante cambiamento di prospettiva: in passato i genitori erano
incontestabilmente quelli che allevavano il figlio; mentre oggi
grazie alle tecniche di PMA la paternità è determinata
dal legame genetico (mentre la madre è colei che partorisce).
Non sono mancati i casi in cui un padre legale ha contestato la
paternità di un figlio concepito per IAD , e la
giurisprudenza è ancora assai povera in merito. Vi è
quindi un passaggio da un criterio culturale della filiazione a un
criterio scientifico. Vi sono poi tutti i problemi legati
all'inseminazione con lo sperma di un donatore e non del marito. Si
è molto discusso e si discute ancora sulla necessità o
meno di permettere a un figlio così concepito di conoscere
l'identità del padre biologico. La rivelazione di tale
identità è un dovere, un diritto, una possibilità?
Su quale imperativo si fonderebbe tale obbligo? Che conseguenze
avrebbe sull'integrità del bambino? E sul suo legame con i
genitori adottivi? La Svezia è stato uno dei primi paesi
a riconoscere i diritti del bambino a conoscere l'identità
del padre biologico; ora sembra che a seguito di tale innovazione ci
sia stata una diminuzione considerevole dei donatori di sperma. Ma
la questione è controversa: il rapporto Amstad fornisce
questa informazione, ma G. de Parseval (psicanalista francese che da
anni si occupa dei problemi relativi alla procreazione artificiale)
afferma che ulteriormente dopo un periodo di diminuzione, la
quantità dei donatori di sperma sia tornata al suo livello
precedente. -
3.4 Lo stato dell'embrione Ho deciso di
affrontare questa questione spinosa alla fine delle mie
considerazioni per lasciare un barlume di speranza: dopo aver
iniziato parlandovi del problema della definizione della morte,
vorrei concludere con il problema simmetrico della definizione della
vita. Si tratta di un soggetto sul quale è molto
pericoloso voler mettere un punto finale, se ne discuterà
ancora e se ne scriverà ancora molto e questo è
assolutamente positivo. Anche in questo ambito, quasi tutti i
paesi hanno creduto di risolvere il problema ontologico con delle
leggi; e infatti si constata una incoerenza di fondo nelle leggi: -
il diritto all'eredità esiste dal momento della fecondazione
dell'ovulo. Ergo l'embrione è una persona umana, ma allora
l'aborto è un omicidio. - il maltrattamento del bambino è
punito dalla legge, ma la legge non prevede di punire una madre che
pregiudica l'integrità del bambino alcolizzandosi durante la
gravidanza (casi eccezionali in USA). Ergo né l'embrione
né il feto sono delle persone umane. La domanda principale
alla quale occorre rispondere è: che cosa determina la
persona umana? L'essere umano è degno di rispetto in qualità
di persona, ergo cosa lo rende PERSONA? Nel dibattito bioetico
attuale vi sono due correnti radicalmente opposte e una terza che
tenta di oltrepassare le due precedenti.-
- Posizione biologica E' la posizione
assunta dalla chiesa cattolica romana, e il testo fondamentale della
sua posizione è l'Istruzione sul rispetto della vita umana
nascente e la dignità della procreazione, redatto dalla
congregazione per la Dottrina della Fede (1987). Si tratta di una
definizione biologica in quanto è il fatto di appartenere
alla specie umana che determina l'esistenza della persona
umana. Secondo questa posizione fin dal concepimento e fino
all'ultimo soffio di vita ci si trova di fronte a una persona
umana. Ciò implica che zigote = persona in coma =
soggetto ragionevole; inoltre implica che vita umana = persona
umana. (Già a questo punto vorrei porre una domanda:
perché un legume umano (coma vegetativo) sarebbe più
degno di rispetto di un animale senziente? La risposta deve essere:
in quanto appartiene alla specie. Ma allora anche l'appartenenza a
una razza potrebbe diventare un criterio di rispetto...) . Si
tratta di un'ontologia biologica che si completa con un criterio
relazionale basato sul legame fra creatore e creatura; tale
legame rende persona il vivente umano. La persona sembra
risultare da un'elezione divina, ma occorre chiedersi quando avviene
tale elezione, in altre parole bisogna spiegare quando l'anima viene
immessa nell'embrione. Esistono due spiegazioni possibili : -
l'anima è infusa nei genitori che la trasmettono al figlio
con il peccato originale - l'anima è infusa nell'embrione
o feto quando questo si muove Questa seconda tesi, molto diffusa
nel medioevo, la ritroviamo nel diritto canonico della chiesa
cattolica dal 1234 fino al 1869 e risale a Tommaso d'Aquino; secondo
lui dunque l'aborto prima dell'infusione dell'anima non sarebbe un
crimine. Obiezioni: - Durante la vita sessuale, una donna
produce circa 300 ovuli fecondabili, mentre l'uomo produce 100
milioni di spermatozoi per litro di sperma. Il numero medio di
bambini per coppia si situa attorno ai 2. Di conseguenza il
numero delle persone potenziali dotate di anima eccede di gran lunga
quello delle persone reali, bisogna dunque concludere che Dio
farebbe una discriminazione tra i gameti?-
- Durante una gravidanza si sa che 2 ovuli fecondati
su 3 muoiono durante le prime 6 settimane, per quale ragione Dio
farebbe perire queste persone dotate di anima?
Un'altra
argomentazione sulla quale si basa la posizione biologica è
il rispetto incondizionato del vivente. Si tratta però di un
argomento poco solido: se è il vivente che è degno di
rispetto allora anche il virus, essendo un vivente, è degno
di rispetto. Cosa significa dunque rispettare un virus? Vi è
poi un ulteriore argomento che consiste nel confidare a Dio la
decisione della scelta della vita: essendo Lui l'unica entità
degna di decidere della vita o della morte, allora l'uomo non deve
mai pretendere di sostituirsi a Lui. Nel caso della FIV, l'uomo
può operare delle scelte, e anche nelle gravidanze ottenute
via naturale è possibile fare la diagnosi prenatale e
verificare se l'embrione ha o meno una malformazione e eventualmente
prescrivere un aborto (tale pratica non è legale in
Svizzera). Opporsi a una scelta umana in nome di una scelta
provvidenziale significa avere una profonda sfiducia nella decisione
dell'uomo; inoltre nei casi di malformazione dell'embrione o del
feto risulta difficile capire come mai la Provvidenza deciderebbe di
far nascere un bambino malformato per poi farlo morire pochi giorni
dopo. Le implicazioni etiche di tale posizione sono molteplici:
vi è innanzitutto una profonda diffidenza nell'agire
umano, si ha l'impressione che ogni volta esso si sostituisca a Dio
faccia inevitabilmente il male. Secondariamente, in rapporto
alle tecniche FIV, ci si trova a mettere sullo stesso piano aborto,
infanticidio e omicidio. Inoltre ogni intervento di ricerca è
escluso anche se alla base vi è uno scopo
umanitario. L'adozione rigorosa e coerente della posizione
biologica implicherebbe che al feto di un aborto si riservi lo
stesso rispetto che viene riconosciuto al cadavere di una persona
umana ragionevole; occorrerebbe quindi organizzare non solo i
funerali dei feti ma anche quelli degli embrioni. Visto che nella
nostra concezione il corpo morto di una persona è degno di
rispetto, allora, essendo l'ovulo fecondato una persona umana, gli
si deve lo stesso rispetto che si deve al defunto. Infine ogni
embrione residuo (surnumèraire) dovrebbe essere ad ogni costo
trasferito in un utero e diventare adulto. Resta da chiedersi
se un embrione con una grave malformazione genetica abbia gli stessi
diritti che un embrione normale, questa domanda apparentemente
discriminatoria può essere letta in un altro senso, e
cioè: che dovere abbiamo noi di imporre una vita che rischia
di implicare una sofferenza allorché possiamo
evitarlo? Bisognerebbe anche domandarsi se, conformemente a tale
posizione, gli sforzi volti a sradicare malattie genetiche
dell'uomo vadano condannati. In conclusione direi che questa
posizione, oltre ad essere difficilmente applicabile in modo
coerente, pone moltissimi problemi di coscienza.-
- Posizione neo-kantiana E' la posizione
assunta da diversi filosofi anglosassoni, in particolare
l'australiano Singer (Practical Ethics, 1979), l'americano
Engelhardt (The foundations of bioethics, 1986) e Helga
Kushe, collaboratrice di Singer. Il riferimento a Kant è
dovuto al fatto che in questa corrente di pensiero quel che fonda la
dignità dell'essere umano è l'autonomia del giudizio
morale. Schematicamente la loro posizione consiste nel contestare
il contenuto del sillogismo che sta alla base della posizione
precedente e che possiamo enunciare come segue:-
- E' sbagliato uccidere un essere umano innocente
-
Un feto umano è un essere umano innocente
-
Quindi è sbagliato uccidere un feto umano
Singer mette in dubbio il contenuto dell'enunciato n.1
sostenendo che il suo significato dipende dal senso che si
attribuisce al termine "essere umano". Esso può
essere interpretato come appartenente alla specie Homo Sapiens
sapiens, ma tale appartenenza non ha un valore etico oggettivo in
quanto appartenere a una specie non è più rilevante
che appartenere a una razza. Allora "essere umano"
significa persona, ma in questo caso il secondo enunciato è
falso, in quanto non si può dire che un feto umano sia una
persona innocente; occorre quindi definire la persona. E come già
detto, i neo-kantiani definiscono persona ogni essere umano
ragionevole capace di un giudizio morale autonomo e capace di
rispettare negli altri la propria dignità. Vi sono poi
altri criteri per definire la persona che possono essere presi in
considerazione; in un numero di alcuni anni fa dell'Hasting Center
Report, Joseph Fletcher proponeva alcuni di questi criteri:
autocoscienza, autocontrollo, senso del tempo (passato/futuro),
facoltà di stabilire delle relazioni con l'altro, rispetto
dell'altro, comunicazione e curiosità. Applicando il
criterio etico di Singer o quelli più sociologici di
Fletcher, ci si rende conto facilmente che il numero delle "persone"
vere e proprie è probabilmente inferiore a quello della
popolazione intera. Senza alcun bisogno di ricorrere
all'handicappato grave o allo psicopatico, è facile
constatare che anche nella cerchia dei nostri vicini non tutti gli
esseri umani sono delle "persone" in quanto non tutti sono
capaci di giudizi morali veri e propri. (Engelhardt nel suo libro
usa il termine di "persona non umana" per i soggetti in
stato di coma prolungato). Questo però non significa che
l'embrione non essendo una persona non vada protetto: esiste
una legge sulla protezione degli animali come anche leggi precise
sulla protezione della natura. E' importante assolutamente non
confondere tre termini: amare l'embrione, proteggerlo e
rispettarlo. Se esso è considerato una persona umana
allora anche il feto si trova ad avere uno statuto simile a quello
di animali senzienti che possono essere usati per la ricerca a
condizione di non imporre loro la sofferenza resa possibile
dall'esistenza di un sistema nervoso. Nel caso di un feto di meno di
18 settimane è poco probabile che esso sia sensibile al
dolore, a maggior ragione un embrione può essere usato per la
ricerca; ed in realtà in diversi paesi d'Europa la ricerca è
consentita entro le prime due settimane. È importante
precisare che in questa ottica il valore dell'embrione non dipende
affatto da una sua dignità intrinseca, ma esclusivamente
dal legame con le persone che lo desiderano; esso si trova a
costituire una proprietà dei genitori i quali possono
decidere della sua sorte - evidentemente entro i limiti posti dalle
legislazioni. Considerato come vivente in se stesso, l'embrione
non ha più diritti di quanti ne abbia un animale senziente,
e quel che va rispettato in lui è la sua sensibilità
al dolore. Peter Singer è molto esplicito a questo
proposito quando scrive: "Infatti, per qualsiasi confronto di
caratteristiche moralmente rilevanti, quali razionalità,
autocoscienza, consapevolezza, autonomia, piacere e dolore e così
via, il vitello, il maiale e il pollo, pur così deriso,
superano il feto a qualsiasi stato della gravidanza - mentre se
prendiamo a confronto un feto di meno di tre mesi, anche un pesce, o
perfino un crostaceo, mostrerebbero maggiori segni di coscienza,
(Etica pratica, Tr.It., Liguori 1989, p.121). Infine,
anche in merito alla posizione neo-kantiana non mancano le
obiezioni, in particolare:
- - Come stabilire quando un vivente umano diventa
una persona?
- Che ne è di tutti quegli umani che non
diventano mai persone pur essendo dotati di un minimo di
ragione? - Che significa affermare che si deve loro meno
rispetto che quello che si deve alla persona umana ragionevole
dotata di autonomia del giudizio? - Chi decide chi è
persona e chi non lo è? - Paradossalmente una persona
umana in stato di sonno è degna di meno rispetto che una in
stato di veglia!-
Ambedue queste posizioni estreme (quella biologica
e quella neo-kantiana) appaiono perfettamente sostenibili come
scelta etica soggettiva, ma sia una che l'altra sono difficilmente
applicabili come scelta di società. In altre parole sarebbe
ridicolo voler stabilire delle leggi applicando rigorosamente una o
l'altra di queste due posizioni; ove ancora una volta si osserva che
il passaggio dall'etica al diritto non è per niente
lineare. Mi sia tuttavia concesso di precisare che la posizione
neo-kantiana ha il merito di lasciar libera la scelta della prima
opzione, mentre non è vero il contrario.-
- Posizione pragmatica Come abbiamo visto
le due posizioni precedenti sono difficilmente applicabili nei casi
concreti. Il fatto però è che ci si trova a dover
prendere delle decisioni che concernono embrioni esistenti, od
autorizzare eventualmente certe ricerche e proibirne altre; occorre
dunque disporre di criteri procedurali che siano operativi e non
solo teorici. Ed è proprio quello che fanno i comitati
etici in cui spesso si affrontano posizioni estreme come quelle
che abbiamo appena visto.-
Le decisioni prese dai comitati etici non hanno mai
forza di legge, ma sono tuttavia assai vincolanti per chi opera
nel settore. Quando un comitato etico centrale - cioè un
comitato che deve pronunciarsi su questioni generali di principio
e non su casi precisi - allo scopo di promulgare delle direttive,
affronta dei problemi di fondo, l'atteggiamento degli
interlocutori consiste nel dire: visto che le divergenze in merito
sono irriducibili, tanto vale lasciare da parte i principi e cercare
una soluzione pratica.
La vera questione perciò si riduce
non tanto a definire lo statuto ontologico dell'embrione,
quanto piuttosto a sapere in che modo esso vada trattato. Nel
caso preciso, in molti paesi d'Europa è stato adottato il
criterio Warnock (dal nome della presidentessa della commissione
d'inchiesta del governo britannico che ha pubblicato il Rapporto
Warnock nel 1982); il criterio Warnock introduce un margine
relativamente arbitrario e assai contestato che consiste nel
considerare l'embrione di meno di 14 giorni come pre-embrione.-
Si considera generalmente che dopo tale momento le
cellule embrionali perdono la loro totipotenza e, oltre questo
termine non si possono più generare dei gemelli.
Ugualmente
si è stabilito che al di sotto di questo termine l'embrione
non ha un'individualità propria e non soffre. Perciò
la ricerca è autorizzata entro i primi 14 giorni. Sembra
perciò possibile porre dei limiti senza che questo implichi
delle conseguenze sullo statuto dell'embrione: in altre parole, pur
adottando il criterio Warnock, l'embrione non diventa una persona. E'
impossibile cancellare il rapporto esistente tra la deontologia
(quello che si deve fare) e l'ontologia (quello che è), in
particolare proprio perché la regola enunciata si basa su
quello che l'embrione è. Al di là del pragmatismo
dei comitati decisionali si cela quella che è stata definita
un'ontologia progressiva, che sembra costituire una via d'uscita di
fronte al dilemma precedente. Questo tipo di ontologia tende a
situare l'embrione più dalla parte della categoria delle
persone che non dal quella delle cose: il rispetto che gli si
deve è proporzionale a quello che esso è, per cui
viene riconosciuta una certa libertà alla ricerca nelle prime
fasi dello sviluppo embrionale Tuttavia anche nell'ottica
dell'ontologia progressiva sembra prevalere un fondo di
argomentazione neo-kantiana: all'inizio si tratta di un ammasso
cellulare che non ha più valore di un vegetale, per cui non
vi è alcun inconveniente a farne delle colture cellulari
(utili ad esempio per la sperimentazione del valore teratogeno di
certi prodotti che normalmente vengono verificati su animali). Al
momento in cui si sviluppa un minimo di sensibilità si deve
all'embrione lo stesso rispetto che si deve a un animale: non si ha
il diritto di farlo soffrire. Rimane tuttavia poco chiara la
progressione nelle successive fasi dello sviluppo, in particolare
bisogna tener presente che tale sviluppo prosegue poi anche ex
utero; se da una parte può apparire chiaro il dovere di
protezione, i diritti che devono venir conferiti all'essere in
sviluppo risultano meno chiari. Spero di avervi fornito un quadro
abbastanza significativo dei problemi di cui ci si occupa in
bioetica; molte domande sono senza risposta, e molte sono destinate
a rimanere tali, ma l'importante è che ci si renda conto
collettivamente dell'esistenza di questi problemi che coinvolgono
noi tutti e sicuramente ancor più le generazioni
future.
|