Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 183
giugno 1991


Rivista Anarchica Online

Che cos'è la bioetica
di Carlo Foppa

Intorno al concetto di bioetica si è sviluppato un dibattito che sta cominciando, sia pure con fatica, ad allargarsi oltre la cerchia degli specialisti. Carlo Foppa in queste pagine fa il punto sulla questione in un intervento preparato in origine per un dibattito tenutosi in un liceo cantonale di Lugano

1. Breve definizione della bioetica

  • Non consiste nel porre un freno alla scienza
  • Non consiste nel prendere delle decisioni al posto dell'uomo di scienza
  • Non consiste nel formulare delle leggi
  • Non consiste nell'imporre l'emotività alla razionalità

È una disciplina che si caratterizza principalmente per il suo metodo:

- interdisciplinarietà
- è un procedimento di ricerca: non si parte mai da una certezza indubitabile
- risponde ad un bisogno sociale di legittimazione di fronte alla crisi dell'etica "tradizionale"
- tenta di garantire l'equilibrio tra libertà della ricerca scientifica e rispetto dei diritti dell'uomo


Essendo una disciplina relativamente nuova ha tanti difetti:

- procede secondo una casistica e non in modo globale
- deve affrontare problemi già esistenti suscitati dalla tecnologia scientifica, non è preventiva
- è ancora vittima del regionalismo: Europa/USA

- pur essendo relativamente nuova è già vittima della specializzazione.

2. Alcune date importanti

E' necessario precisare che il modo di fare della ricerca nelle discipline biomediche ha subito un importante mutamento durante il XIX secolo: fino ad allora venivano applicate le terapie secondo un metodo empirico, si usavano delle "ricette" trasmesse da una generazione all'altra poiché si riteneva che funzionassero e in molti casi funzionavano.
Nel corso del 1800 viene introdotta la tecnica sperimentale del trattamento della polmonite sottoponendo i malati a loro insaputa a due trattamenti diversi: un gruppo veniva trattato con il salasso (unica forma di terapia allora), mentre l'altro non veniva trattato affatto. Diventa così possibile provare che la terapia del salasso non era efficace. La sperimentazione sull'uomo diventa così un metodo efficace per mettere a punto nuovi trattamenti.
In seguito l'aspetto fondamentalmente sperimentale della medicina verrà poi codificato da Claude Bernard, fisiologo francese considerato appunto il padre della medicina sperimentale. Il '900 si apre quindi con un consenso tacito circa la sperimentazione sul soggetto umano a sua insaputa.
Dopo la II guerra mondiale e il conseguente processo di Norimberga, l'opinione pubblica si rende conto dei rischi che implicava tale consenso tacito: buona parte dei crimini perpetrati nei campi di concentramento sono stati fatti con il pretesto della ricerca scientifica che veniva effettuata su soggetti sani o malati, ad ogni modo non consenzienti.

1947: Codice di Norimberga consenso libero e "èclairè"
1948: Dichiarazione universale dei Diritti dell'uomo
1964: Dichiarazione di Helsinki
1975: Dichiarazione di Tokyo (messa a giorno di Helsinki)
1981: Dichiarazione di Manila

Scopo comune di questi testi è la protezione dei diritti dell'uomo dagli eventuali soprusi della ricerca biomedica: tutti ribadiscono con diverse definizioni la necessità del consenso della persona che si sottopone a una ricerca; vi è una progressione dal volontario sano, al malato, alla persona incapace di decidere.
Anche la relazione tra medico e paziente subisce un'evoluzione nel corso del nostro secolo. In un primo tempo tale relazione si basa sul giuramento di Ippocrate e sul Decalogo, ma col passare del tempo si fa strada anche una definizione più laica della relazione medico-paziente.
In particolare negli USA la pubblicazione da parte di un teologo protestante che si distanzia dalle posizioni teologiche tradizionali, J. Fletcher con il libro Morals & Medicine, suscita una viva reazione da parte dell'opinione pubblica. Si instaura un dibattito sociale e vengono enunciate le prime formulazioni del testamento biologico e si fanno strada le considerazioni sull'inseminazione artificiale.
Verso gli anni '70 un intellettuale cattolico, Daniel Callahan, fonda l'"Institute of society, ethics, and life sciences", più conosciuto con il nome di Hasting Center.
A partire dal 1970 circa si fa strada un vasto movimento di contestazione dell'attività scientifica:
  • viene messo in causa il legame tra ricerca pura e le sue applicazioni
  • ci si rende conto del legame esistente tra potere, economia e scienza
  • viene messo in causa l'assolutismo della pretesa verità scientifica
  • si rivendica una gestione democratica della ricerca scientifica
Così i sistemi politici devono far fronte alla contestazione e sorgono un po' ovunque commissioni specializzate incaricate di redigere dei rapporti sull' attività scientifica. I colloqui internazionali si moltiplicano; nel congresso di Varna del 1975, convocato dall'UNESCO, viene esplicitamente richiesta la collaborazione dei filosofi nella gestione delle disponibilità scientifiche.
Infine, le prime esperienze di trapianti cardiaci (1967) e 1o sviluppo delle unità di cure intensive fanno vacillare la natura dell'identità umana. Tale problema rimane irrisolto, e ai giorni nostri i progressi nell'ambito delle discipline biomediche non fanno che incentivare la necessità di una definizione più precisa dell'uomo, dei suoi diritti e dei suoi doveri. Nel contempo ci si rende sempre più conto che i valori tradizionali su cui si basa la morale comune devono essere ridefiniti alla luce delle nuove possibilità che offre la scienza.
Alcune questioni di fondo rimangono fortunatamente aperte, ma devono essere prese in esame dall'opinione pubblica, in particolare :
  • In che misura l'uomo si riduce al suo patrimonio genetico?
  • Il patrimonio genetico appartiene al soggetto come gli appartiene un oggetto qualsiasi?
  • Gli organi di una persona possono essere venduti?
  • Se la definizione di morte si precisa sempre più nel suo legame con la cessazione dell'attività cerebrale, ciò implica che la vita umana è tale solo se vi è un cervello funzionale?
  • Cosa significa il diritto alla vita? E di riflesso esiste un diritto alla morte?

Il nostro futuro e quello dei nostri figli dipende strettamente dalle risposte che diamo a questo tipo
di domande; visto che la bioetica si trova ad affrontare questi problemi, intendo ora sottoporvene alcuni tra i più scottanti.

3. Quello che è possibile fare e quello che è giusto fare

La causa principale dei problemi che la bioetica si trova ad affrontare è lo sfasamento tra la velocità delle scoperte e delle innovazioni scientifiche e la lentezza dell'evoluzione dell'etica. La scienza mette a punto nuove tecniche che sono operative, e l'etica si trova a dover affrontare dei dilemmi nuovi che i valori tradizionali non permettono sempre di risolvere. Jean Bernard scrive che "da Archimede ad Einstein la scienza si è trasformata. Da Platone ai filosofi contemporanei la saggezza è rimasta la stessa" (De la biologie à l'èthique, Buchet/Chastel,1990, p. 306) ed è senza di dubbio vero, ma è anche vero che i valori evolvono e cambiano; così, come la scienza anche l'etica non è una disciplina che si sviluppa da sola, essa appartiene all'uomo ed è lui che deve decidere.
Vi propongo quindi di analizzare quattro casi in cui lo sfasamento tra scienza e etica mi sembra particolarmente visibile.

3.1 Definizione e criteri di morte
La morte appare come un fenomeno tra i più tragicamente chiari all'uomo, eppure si ha l'impressione che quanto più si accumula il sapere sulla morte, tanto più essa diventa difficile da definire. E in ciò non vi è nulla di sorprendente: simmetricamente la definizione della vita pone gli stessi problemi. La biologia spiega il vivente in modo sempre più dettagliato e ricco, eppure rimane incapace di definire la vita. Tuttavia queste due definizioni si fanno sempre più indispensabili soprattutto alla luce delle tecnologie biomediche sempre più performanti. Per cui il processo della morte, e quindi la morte stessa, diventa un fenomeno strettamente connesso alle capacità tecnologiche di un'area culturale e di un periodo storico: la persona che trent'anni fa sarebbe stata considerata morta oggi non lo è così sistematicamente. La morte subisce quindi un processo di tecnicizzazione (evidentemente sto parlando della morte clinica e non della morte improvvisa) che da fatto naturale la trasforma in fatto convenzionale. Jean Bernard scrive che "la morte dell'uomo in questa fine del XX° secolo è la morte del cervello" (idem, p. 139), resta il fatto che occorrono dei criteri per diagnosticare la morte del cervello; ma va detto soprattutto che la morte cerebrale non costituisce mai un criterio di morte.
Il cervello umano può essere diviso sommariamente in due regioni: la parte superiore o area corticale responsabile dell'attività del pensiero e la parte inferiore o subcorticale (tronco cerebrale) che presiede al comportamento e alle emozioni ed è responsabile delle funzioni autonome del corpo (respirazione, battito cardiaco, ecc. ) . Se la parte superiore del cervello ha subito delle lesioni irreversibili, la persona non tornerà mai più alla coscienza; le cellule neuronali, a differenza delle altre, non si rigenerano, anzi muoiono progressivamente nel corso della vita. (Casi di possibilità di rigenerazione artificiale: Neuronal Growth Factor, e trapianto di cellule fetali che permettono il recupero di certe lesioni; ma ciò è ancora in fase sperimentale, per quanto ne so io).
I problemi maggiori sorgono allorché le tecnologie sempre più sofisticate permettono di mantenere in vita una persona che non sarà mai più cosciente, direi quasi che permettono di tenere in vita un morto. Si tratta di casi di coma irreversibile in cui vi è la certezza di lesioni definitive e complete alla parte superiore del cervello, mentre grazie al funzionamento della parte subcorticale la persona (e mi chiedo se non sia più giusto parlare di corpo) respira spontaneamente. In simili casi è possibile mantenerla in vita grazie a un considerevole appoggio tecnico e umano (non vi sono solo le macchine, ma vi sono anche le infermiere e qui si potrebbe aprire un capitolo a parte sul significato delle loro cure nei casi di trapianto d'organi...).
La domanda che sorge spontanea è "perché mantenere in vita una persona che non avrà mai più alcuna coscienza di esistere oltre a non avere più nessuna vita autonoma?". Si può fare appello alla dignità umana, ma occorre chiedersi se è più degno dell'uomo essere mantenuto in vita in uno stato che lo rende simile a un legume oppure se è più degno lasciarlo morire limitando la sua sofferenza. Da cui si osserva che un valore tradizionale come la dignità umana ha bisogno di essere ridefinito alla luce delle nuove prodezze della scienza biomedica.
In questa situazione abbiamo da una parte il dovere del medico che è di lottare contro la morte (o la sofferenza), e dall'altra la rivendicazione del diritto ad una morte ineluttabile: il dilemma che si crea è appunto tra il dovere del medico e il diritto del paziente, l'accanimento terapeutico contro il diritto a morire nella dignità .
Emergono quindi i seguenti quesiti:
  • Qual è il miglior modo di rispettare la dignità umana in casi del genere?
  • Chi ha il compito di decide cosa fare?
  • In che misura è giusto imporre la vita a una persona in stato di coma irreversibile?
Vi è poi il rischio di voler risolvere problemi del genere con misure giuridiche attraverso le leggi: lo stato del Missouri, ad esempio, prevede che una volta che un membro della famiglia ha dato il consenso per un trattamento medico di un parente in stato di coma, da quel momento in poi egli non può più ritornare sulla sua decisione: in altre parole viene chiesto alla famiglia di firmare un contratto di accanimento terapeutico. Caso celebre di Nancy Cruzan:
- la famiglia chiede di smettere il nutrimento artificiale e l'idratazione nella speranza di lasciar morire la figlia;
- l'ospedale si oppone;
- la famiglia fa ricorso;
- il tribunale dà ragione all'ospedale e Nancy è tenuta in vita (si tenga presente il dolore della famiglia...) ;
- la famiglia ricorre di nuovo;
- il tribunale accetta il ricorso e il trattamento è interrotto;
-Nancy muore tre o quattro giorni dopo.
Da ciò si vede chiaramente che lo stato, in tal caso, ha il diritto di imporre la vita mentre i familiari non hanno il diritto di toglierla. È assai pericoloso voler risolvere le questioni etiche con misure giuridiche, ed è quasi criminale affidare l'elaborazione di eventuali leggi ai politici per diverse ragioni:
- I politici non hanno nessuna competenza di questioni etiche o bioetiche. Ed è normale: il filosofo non è competente in medicina, il medico non è competente in filosofia né il teologo in biologia molecolare; però chi si occupa di bioetica è obbligato da una parte ad acquisire certe conoscenze, ma soprattutto impara a confrontarsi ad argomentazioni in modo interdisciplinare. I politici però, oltre ad avere spesso una visione partitica del mondo, non sembrano manifestare un gran interesse per le questioni bioetiche che non siano legate a forme di potere politico o economico: l'esperienza del MURS sembra dimostrarlo.
Alcuni anni fa, nel corso degli anni '80, i membri del MURS, essendosi resi conto dell'assoluta incompetenza dei politici nei problemi legati alla scienza, hanno deciso di organizzare dei seminari estivi di formazione per capi di stato. L'impresa ha però dovuto essere rapidamente accantonata poiché dopo mesi la sola risposta positiva era stata quella del primo ministro canadese Trudeau.

- Istituendo delle leggi in funzione delle nuove tecnologie, non si lascia il tempo alla società di esaminare le questioni sollevate appunto dall'avanzamento della conoscenza scientifica, per cui la norma enunciata si trova difficilmente legittimata.

- La velocità dell'acquisizione di nuove conoscenze è talmente alta che le eventuali leggi si troverebbero ad essere immediatamente già vecchie.
- Il legame che viene a stabilirsi attraverso la legge tra stato, economia e cittadino è assai delicato soprattutto quando si tratta della gestione della vita o della morte, si pensi alle possibilità di abusi politici in sistemi totalitari.
Per concludere questa prima parte sul problema della morte vorrei applicare le considerazioni concernenti il pericolo di una legislazione affrettata al problema dell'eutanasia. A mio avviso non deve trattarsi né di proibirla né di autorizzarla, ma di essere onesti e pragmatici: eutanasia significa "morte dolce" ed è il modo estremo di evitare la sofferenza a qualcuno e in questo senso può essere anche concepita come ultimo atto terapeutico. L'eutanasia è attualmente praticata negli ospedali, pur non essendo legale, in casi assolutamente estremi. Vi è poi chi fa la differenza tra eutanasia attiva e passiva: mi chiedo se non si tratti di un'ipocrisia formale, come dire che un'entrata non è un'uscita... Certo rimane il fatto dell'atto in sé stesso che non è facile da assumere per una sola persona, colui che deve dare la morte, ma possono esser cercate delle soluzioni come quelle adottate da un medico statunitense Jack Kervorkian che ha messo a punto un sistema che permette al paziente in fase terminale (se è cosciente) di scegliere quale soluzione iniettare nelle sue vene (soluzione salina, sedativo o cloruro di potassio).
La differenza tra eutanasia attiva e passiva appare come una formulazione diversa della differenza tra atto e omissione; questa discriminazione può essere collegata con la concezione dell'atto morale in Kant; secondo lui infatti quel che determina il valore morale di un'azione è esclusivamente l'intenzione in nome della quale essa è fatta e non la conseguenza che essa implica (Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, IV, 416). Mentre in un'ottica utilitaristica la conseguenza dell'atto assume un ruolo assai più importante

3.2 Ricerca sull'essere umano
La ricerca sull'essere umano vivente si divide in due tipi: quella a finalità terapeutica e quella a finalità cognitiva.


- Finalità terapeutica
Per quanto concerne questo tipo di ricerca l'accordo è quasi unanime a proposito del fine preposto; nessuno può ragionevolmente negare la necessità assoluta e il beneficio collettivo di tali ricerche.
Tre sono le principali regole da rispettare in questo tipo di ricerca:

a) Il soggetto deve essere consenziente.
Tale regola sembra basarsi sul principio kantiano del rispetto dell'autonomia del giudizio della persona umana. Si tratta di un principio che mette in primo piano il soggetto individuale.

b) Il rapporto rischio-beneficio deve essere favorevole .
Tale regola si basa su un principio più utilitaristico che è quello della massimizzazione del beneficio. Questo principio di beneficenza situa la collettività in primo piano per lasciare al singolo individuo un posto secondario.

c) La ripartizione delle ricerche deve essere equa, non possono venir effettuate delle ricerche terapeutiche nei paesi in via di sviluppo se saranno solo i paesi ricchi a beneficiarne.
Si tratta di un principio di giustizia. Esistono delle circostanze in cui si verifica un conflitto tra i principi, ad esempio se si accetta di sottoporre l'individuo a certi rischi per il bene della collettività (secondo principio), ciò vuol dire che non si rispetta il primo principio. I comitati etici hanno appunto il compito di risolvere tali situazioni di conflitto. Tuttavia, proprio a causa dell'accordo sulla finalità di questo tipo di ricerca è abbastanza semplice giungere a un consenso.

- Finalità cognitiva
Lo scopo perseguito non è sempre sistematicamente accettato. Raramente esiste un vero e proprio fine umanitario di utilità collettiva. I tre principi enunciati precedentemente non sono molto operativi in quanto non esiste un accordo sulla finalità cognitiva, e l'esame di tali protocolli di ricerca risulta assai più difficoltoso. In Francia si è parlato molto gli scorsi anni delle ricerche fatte su situazioni estreme: stati di assenza di peso , reazioni dell'organismo a grandi profondità, ecc.. Uno dei grossi problemi è il reclutamento di volontari, visto anche che il rischio di conseguenze negative è spesso considerevole; nel 1986 si è creata una situazione di totale divergenza tra i due più grandi organismi scientifici francesi: da una parte il CNRS era d'accordo per retribuire i volontari che si sottoponevano a tali ricerche, dall'altra l'INSERM ha sempre considerato ogni retribuzione come qualcosa di immorale. Va tuttavia sottolineato che la realtà dei fatti appare poco coerente:

si permette a degli esseri umani di scendere a più di 600 metri sotto il livello del mare per filmare pesci e li si pagano ma si considera immorale pagare delle persone per scendere alle stesse profondità per studiare le reazioni dell'organismo umano.

Da una parte filosofi come Aristotele hanno sempre riconosciuto l'istinto naturale dell'uomo a conoscere, ed il sapere viene spesso annoverato tra i valori fondamentali; dall'altra parte però vi è il mito ellenico di Prometeo e quello giudeo cristiano dell'albero della conoscenza. La ricerca del vero è ben lungi dall'essere considerata un valore fra i più alti; nel 1970 il Nobel Jacques Monod (1965) ha pubblicato un importante saggio sul vivente, Il caso e la necessità, in cui proponeva la conoscenza del vero come opzione etica fondamentale dalla quale sarebbero derivati gli altri valori. La sua posizione è ancora oggi contestata in diversi ambienti, forse anche perché non vi è una chiara distinzione tra l'acquisizione di una conoscenza vera e la sua applicazione a fini pratici (ma tale distinzione è poi così vera?).
Il fatto è che fino a quando il ricercatore si autofinanziava, si ammetteva tacitamente che il suo sistema di valori fosse diverso da quello della collettività (es. il valore "autonomia del soggetto" passava in secondo piano rispetto al valore "ricerca del vero"); ma oggigiorno tale separazione risulta assai poco tollerata, anche e soprattutto a causa dell'aspetto economico: la ricerca è finanziata dai cittadini che rivendicano un diritto di opinione sulla ricerca stessa. Occorre quindi chiedersi se esiste o meno una conciliabilità fra tre tipi diversi di etica:
  • Etica personalista: l'autonomia del soggetto va posta in primo piano e va salvaguardata ad ogni costo. Tale punto di vista sembra determinante nei sistemi di libero mercato; il male in questo caso consiste nell'obbligare un soggetto contro la sua volontà.

  • Etica collettivista: il beneficio collettivo è anteposto ad ogni altro valore. Questo punto di vista sembra determinante nei sistemi a mercato unico. Il male consisterebbe in questo caso nello sprecare risorse umane per ricerche inutili o la cui utilità non sarebbe collettiva.

  • Etica della conoscenza: la ricerca del vero costituisce il valore più alto al quale tutti gli altri sono sottoposti; si tratta del punto di vista di Monod. In tal caso il male estremo è l'ignoranza o, peggio, la menzogna.

Spesso si dice che il sapere è venerato non tanto in quanto tale quanto piuttosto per il potere che conferisce all'uomo. Questo è vero solo in parte. Nessuno può ragionevolmente negare il piacere che si prova guardando un documentario sul comportamento degli animali ad esempio, o leggendo le spiegazioni di teorie psicologiche sul comportamento umano; non dimentichiamo poi tutte le ricerche in archeologia e l'esistenza di scienze come la cosmologia. Perciò il sapere come tale è un vero e proprio piacere specifico all'uomo e risponde a un bisogno che nessun'altra specie vivente manifesta. Rimane d'altra parte vero e incontestabile che per la ricerca si accettano sacrifici umani di gran lunga inferiori a quelli accettati per la ricerca terapeutica o a quelli insiti nella difesa del territorio nazionale con gli eserciti.

3.3 Tecniche di procreazione assistita e conseguenze
Da quasi una ventina d'anni ormai la scienza biomedica ha messo a punto la tecnica della FIVET e altri sistemi di inseminazione artificiale meno celebri (GIFT, ZIFT sono le più usate, ma il prof . Campana ha fatto un inventario di tutte le tecniche esistenti e ce ne sono circa una ventina). Queste tecniche permettono alle coppie che lo desiderano di procreare nei casi in cui vi sono problemi di sterilità. L'utilizzazione ormai sempre più diffusa di queste tecniche ha portato ad una situazione in cui i problemi etici implicati nella questione sono rimasti assolutamente irrisolti. Esistono due tipi di problemi etici sollevati dalla diffusione di queste pratiche: un gruppo di questioni che concernono il significato di tali tecniche, e un altro che riguarda i problemi pratici generati dai procedimenti di FIV.
A proposito della tecnica in se stessa:

  • Occorre chiedersi innanzitutto se la sterilità sia da considerare una malattia, e secondariamente dove si situa in generale il limite tra normale e patologico. Se la sterilità è una malattia, allora o la FIV non è una terapia, o se lo è, è una terapia che non vale un gran che in quanto non elimina le cause di tale presunta malattia. Se invece la sterilità non è una malattia allora la FIV non è una terapia poiché non cura una malattia. Nei due casi comunque la FIV non sembra una tecnica né preventiva né terapeutica, al limite potrebbe essere considerata una misura palliativa.

  • Qual è il vero significato della maternità (paternità): avere un figlio o avere un figlio geneticamente mio? Apparentemente l'accento sembra cadere sul bisogno di una sorta di proprietà genetica, di copyright quasi nel rapporto di filiazione. La coppia che richiede una FIV ha già deciso di non adottare un figlio e chiede quindi qualcosa di più della semplice filiazione.

  • Se avere un figlio è la materializzazione dell'amore che unisce due esseri umani, allora perché essa è riservata esclusivamente alle coppie eterosessuali?

A proposito dei problemi causati dalle tecniche FIV
  • Innanzitutto vi è la delicata questione concernente la sorte degli embrioni residui (surnumèraires). In Svizzera la ricerca sull'embrione è proibita, e vi è l'obbligo di conservarli per una durata di tre mesi, ma si sta passando al criterio dominante in Europa che è quello della conservazione per un periodo di cinque anni. Altri paesi europei autorizzano la ricerca sull'embrione nei primi quattordici giorni.
    Evidentemente la questione di fondo (che esamineremo più avanti) è quella dello statuto dell'embrione.

  • Nello stesso ordine di considerazioni possiamo segnalare casi reali che spingono la situazione a conseguenze estreme. Ammettiamo (in realtà si tratta di un caso reale accaduto anni fa in Australia) che una coppia domandi una FIV e che vengano fecondati tre ovuli. Uno viene trasferito nell'utero ma abortisce spontaneamente dopo un certo numero di mesi; la coppia parte per un viaggio ma muore in un incidente lasciando un'importante fortuna che spetterebbe ai figli: i due embrioni congelati sono i figli della coppia? Cosa occorre fare se sono stati ottenuti tramite inseminazione eterologa? Chi dovrebbe farli nascere?

  • Vi è poi il problema della selezione: normalmente vengono fecondati più ovuli per ragioni di sicurezza, al momento della trasferta in utero si pone il problema della scelta che consiste in fondo nel fornire a un organismo vivente la possibilità di diventare un essere umano: un uomo solo decide della vita di un altro uomo ma non di un altro.

  • Trattandosi di una tecnica relativamente nuova (rispetto alla durata media di una vita), è molto difficile immaginare l'impatto che può avere un concepimento di questo tipo (ex utero) sul futuro sviluppo psicologico del bambino. Alcuni medici e psicologi affermano che le persone sino ad oggi concepite per FIV non sembrano per nulla diverse dalle altre , né sembrano presentare problemi maggiori dal punto di vista psichico; altri invece sostengono che è ancora presto per tali valutazioni; indipendentemente da ciò rimane il fatto che tali tecniche modificano visceralmente la rappresentazione del legame di filiazione nella società, e l'impatto di tale cambiamento da un punto di vista sociologico è assai difficile da valutare se non impossibile.

  • Da ultimo segnaliamo un problema non eccessivamente metafisico, ma non per questo meno importante: quello dei costi. Attualmente in Svizzera il costo medio di una PMA si situa tra i 4000 e i 7000 Sfr. Attraverso un decreto del Tribunale Federale delle Assicurazioni del 1985 è stato deciso che le Casse Malati non prendono in carico tali tecniche.
    La possibilità di avere un figlio biologicamente proprio diventa perciò un'esclusività non alla portata di tutti; mi ricollego a quanto detto prima circa la definizione della sterilità: se si tratta di una malattia, allora non è giusto che le assicurazioni non contribuiscano alle spese come fanno per altre malattie, in caso contrario le PMA rimangono un lusso riservato a pochi.

Considerazioni generali sulle PMA

La diffusione delle tecniche PMA contiene un certo numero di conseguenze per la società nella sua globalità nella misura in cui i valori attuali si troverebbero a cambiare. Innanzitutto l'emancipazione della donna può evolvere notevolmente fino al punto di dissolvere la necessità della coppia eterosessuale per la filiazione; la donna può anche decidere di avere un figlio senza bisogno di avere necessariamente un padre.
Intendiamoci: si tratta di situazioni tecnicamente possibili ma assai delicate da un punto di vista etico e soprattutto giuridico. Tecnicamente è possibile per una donna diventare madre della sua gemella: tramite la clonazione è possibile fare una copia esatta del patrimonio genetico di un individuo (vero gemello prodotto artificialmente): la copia è poi messa sotto azoto liquido e può essere conservata per molti anni. Supponiamo che la prima persona così concepita diventi adulta e in grado di riprodursi: a questo punto è possibile trasferire nel suo utero la sua copia gemellare e far portare a termine la gravidanza, la persona diventa perciò madre della sua sorella gemella. Evidentemente non vedo alcun interesse a una pratica del genere, ma tecnicamente è possibile. Da cui ancora una volta quello che è fattibile tecnicamente non è necessariamente fattibile eticamente.
Da un punto di vista strettamente scientifico le tecniche di FIV permetterebbero delle esperienze cruciali sull'innato e l'acquisito. Sempre attraverso la clonazione (copia esatta di un patrimonio genetico) si potrebbero realizzare esperienze cruciali sull'innato e l'acquisito: ad esempio si potrebbero produrre cinque copie esatte di un individuo e farle sviluppare in ambienti e in periodi storici completamente diversi per poi osservare le loro eventuali differenze o identità. Se tali esperienze venissero realizzate, ciò implicherebbe delle conseguenze enormi sulle teorie dell'educazione; inoltre certe teorie politiche della giustizia si troverebbero visceralmente smentite. La teoria di Rawls, della giustizia come equità e della compensazione delle persone meno favorite diventerebbe una sorta di egualitarismo di principio privo di ogni fondamento di legittimità. Vi è poi un'ulteriore possibilità di applicazione della clonazione che per ora non è ancora realizzabile sull'uomo - sono state fatte delle esperienze sulle rane e funziona parzialmente. Si tratta della possibilità di costruire la copia esatta di un individuo a partire dalle sue cellule somatiche: il soggetto autonomo può scegliere di far vivere la copia di se stesso. Di conseguenza, se l'uomo si riduce al suo patrimonio genetico, allora ci troviamo di fronte alla possibilità della vita eterna. (La tecnica non è ancora messa a punto). Se venissero istituite delle banche di ovuli fecondati (o zigote) la nozione di filiazione sarebbe radicalmente modificata: dovremmo parlare dei figli della specie e non dei figli del signor X o Y.

A questo proposito è importante segnalare che già attualmente la nozione di filiazione sta subendo un importante cambiamento di prospettiva: in passato i genitori erano incontestabilmente quelli che allevavano il figlio; mentre oggi grazie alle tecniche di PMA la paternità è determinata dal legame genetico (mentre la madre è colei che partorisce). Non sono mancati i casi in cui un padre legale ha contestato la paternità di un figlio concepito per IAD , e la giurisprudenza è ancora assai povera in merito. Vi è quindi un passaggio da un criterio culturale della filiazione a un criterio scientifico.
Vi sono poi tutti i problemi legati all'inseminazione con lo sperma di un donatore e non del marito. Si è molto discusso e si discute ancora sulla necessità o meno di permettere a un figlio così concepito di conoscere l'identità del padre biologico. La rivelazione di tale identità è un dovere, un diritto, una possibilità? Su quale imperativo si fonderebbe tale obbligo? Che conseguenze avrebbe sull'integrità del bambino? E sul suo legame con i genitori adottivi?
La Svezia è stato uno dei primi paesi a riconoscere i diritti del bambino a conoscere l'identità del padre biologico; ora sembra che a seguito di tale innovazione ci sia stata una diminuzione considerevole dei donatori di sperma. Ma la questione è controversa: il rapporto Amstad fornisce questa informazione, ma G. de Parseval (psicanalista francese che da anni si occupa dei problemi relativi alla procreazione artificiale) afferma che ulteriormente dopo un periodo di diminuzione, la quantità dei donatori di sperma sia tornata al suo livello precedente.


3.4 Lo stato dell'embrione
Ho deciso di affrontare questa questione spinosa alla fine delle mie considerazioni per lasciare un barlume di speranza: dopo aver iniziato parlandovi del problema della definizione della morte, vorrei concludere con il problema simmetrico della definizione della vita. Si tratta di un soggetto sul quale è molto pericoloso voler mettere un punto finale, se ne discuterà ancora e se ne scriverà ancora molto e questo è assolutamente positivo. Anche in questo ambito, quasi tutti i paesi hanno creduto di risolvere il problema ontologico con delle leggi; e infatti si constata una incoerenza di fondo nelle leggi:
- il diritto all'eredità esiste dal momento della fecondazione dell'ovulo. Ergo l'embrione è una persona umana, ma allora l'aborto è un omicidio.
- il maltrattamento del bambino è punito dalla legge, ma la legge non prevede di punire una madre che pregiudica l'integrità del bambino alcolizzandosi durante la gravidanza (casi eccezionali in USA). Ergo né l'embrione né il feto sono delle persone umane.
La domanda principale alla quale occorre rispondere è: che cosa determina la persona umana? L'essere umano è degno di rispetto in qualità di persona, ergo cosa lo rende PERSONA? Nel dibattito bioetico attuale vi sono due correnti radicalmente opposte e una terza che tenta di oltrepassare le due precedenti.

- Posizione biologica
E' la posizione assunta dalla chiesa cattolica romana, e il testo fondamentale della sua posizione è l'Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, redatto dalla congregazione per la Dottrina della Fede (1987). Si tratta di una definizione biologica in quanto è il fatto di appartenere alla specie umana che determina l'esistenza della persona umana. Secondo questa posizione fin dal concepimento e fino all'ultimo soffio di vita ci si trova di fronte a una persona umana. Ciò implica che zigote = persona in coma = soggetto ragionevole; inoltre implica che vita umana = persona umana. (Già a questo punto vorrei porre una domanda: perché un legume umano (coma vegetativo) sarebbe più degno di rispetto di un animale senziente? La risposta deve essere: in quanto appartiene alla specie. Ma allora anche l'appartenenza a una razza potrebbe diventare un criterio di rispetto...) . Si tratta di un'ontologia biologica che si completa con un criterio relazionale basato sul legame fra creatore e creatura; tale legame rende persona il vivente umano. La persona sembra risultare da un'elezione divina, ma occorre chiedersi quando avviene tale elezione, in altre parole bisogna spiegare quando l'anima viene immessa nell'embrione. Esistono due spiegazioni possibili :
- l'anima è infusa nei genitori che la trasmettono al figlio con il peccato originale
- l'anima è infusa nell'embrione o feto quando questo si muove
Questa seconda tesi, molto diffusa nel medioevo, la ritroviamo nel diritto canonico della chiesa cattolica dal 1234 fino al 1869 e risale a Tommaso d'Aquino; secondo lui dunque l'aborto prima dell'infusione dell'anima non sarebbe un crimine.
Obiezioni:
- Durante la vita sessuale, una donna produce circa 300 ovuli fecondabili, mentre l'uomo produce 100 milioni di spermatozoi per litro di sperma. Il numero medio di bambini per coppia si situa attorno ai 2.
Di conseguenza il numero delle persone potenziali dotate di anima eccede di gran lunga quello delle persone reali, bisogna dunque concludere che Dio farebbe una discriminazione tra i gameti?
- Durante una gravidanza si sa che 2 ovuli fecondati su 3 muoiono durante le prime 6 settimane, per quale ragione Dio farebbe perire queste persone dotate di anima?
Un'altra argomentazione sulla quale si basa la posizione biologica è il rispetto incondizionato del vivente. Si tratta però di un argomento poco solido: se è il vivente che è degno di rispetto allora anche il virus, essendo un vivente, è degno di rispetto. Cosa significa dunque rispettare un virus?
Vi è poi un ulteriore argomento che consiste nel confidare a Dio la decisione della scelta della vita: essendo Lui l'unica entità degna di decidere della vita o della morte, allora l'uomo non deve mai pretendere di sostituirsi a Lui.
Nel caso della FIV, l'uomo può operare delle scelte, e anche nelle gravidanze ottenute via naturale è possibile fare la diagnosi prenatale e verificare se l'embrione ha o meno una malformazione e eventualmente prescrivere un aborto (tale pratica non è legale in Svizzera).
Opporsi a una scelta umana in nome di una scelta provvidenziale significa avere una profonda sfiducia nella decisione dell'uomo; inoltre nei casi di malformazione dell'embrione o del feto risulta difficile capire come mai la Provvidenza deciderebbe di far nascere un bambino malformato per poi farlo morire pochi giorni dopo.
Le implicazioni etiche di tale posizione sono molteplici: vi è innanzitutto una profonda diffidenza nell'agire umano, si ha l'impressione che ogni volta esso si sostituisca a Dio faccia inevitabilmente il male.
Secondariamente, in rapporto alle tecniche FIV, ci si trova a mettere sullo stesso piano aborto, infanticidio e omicidio. Inoltre ogni intervento di ricerca è escluso anche se alla base vi è uno scopo umanitario.
L'adozione rigorosa e coerente della posizione biologica implicherebbe che al feto di un aborto si riservi lo stesso rispetto che viene riconosciuto al cadavere di una persona umana ragionevole; occorrerebbe quindi organizzare non solo i funerali dei feti ma anche quelli degli embrioni. Visto che nella nostra concezione il corpo morto di una persona è degno di rispetto, allora, essendo l'ovulo fecondato una persona umana, gli si deve lo stesso rispetto che si deve al defunto.
Infine ogni embrione residuo (surnumèraire) dovrebbe essere ad ogni costo trasferito in un utero e diventare adulto.
Resta da chiedersi se un embrione con una grave malformazione genetica abbia gli stessi diritti che un embrione normale, questa domanda apparentemente discriminatoria può essere letta in un altro senso, e cioè: che dovere abbiamo noi di imporre una vita che rischia di implicare una sofferenza allorché possiamo evitarlo?
Bisognerebbe anche domandarsi se, conformemente a tale posizione, gli sforzi volti a sradicare malattie genetiche dell'uomo vadano condannati.
In conclusione direi che questa posizione, oltre ad essere difficilmente applicabile in modo coerente, pone moltissimi problemi di coscienza.

- Posizione neo-kantiana
E' la posizione assunta da diversi filosofi anglosassoni, in particolare l'australiano Singer (Practical Ethics, 1979), l'americano Engelhardt (The foundations of bioethics, 1986) e Helga Kushe, collaboratrice di Singer. Il riferimento a Kant è dovuto al fatto che in questa corrente di pensiero quel che fonda la dignità dell'essere umano è l'autonomia del giudizio morale.
Schematicamente la loro posizione consiste nel contestare il contenuto del sillogismo che sta alla base della posizione precedente e che possiamo enunciare come segue:
  1. E' sbagliato uccidere un essere umano innocente
  2. Un feto umano è un essere umano innocente
  3. Quindi è sbagliato uccidere un feto umano
Singer mette in dubbio il contenuto dell'enunciato n.1 sostenendo che il suo significato dipende dal senso che si attribuisce al termine "essere umano".
Esso può essere interpretato come appartenente alla specie Homo Sapiens sapiens, ma tale appartenenza non ha un valore etico oggettivo in quanto appartenere a una specie non è più rilevante che appartenere a una razza. Allora "essere umano" significa persona, ma in questo caso il secondo enunciato è falso, in quanto non si può dire che un feto umano sia una persona innocente; occorre quindi definire la persona. E come già detto, i neo-kantiani definiscono persona ogni essere umano ragionevole capace di un giudizio morale autonomo e capace di rispettare negli altri la propria dignità.
Vi sono poi altri criteri per definire la persona che possono essere presi in considerazione; in un numero di alcuni anni fa dell'Hasting Center Report, Joseph Fletcher proponeva alcuni di questi criteri: autocoscienza, autocontrollo, senso del tempo (passato/futuro), facoltà di stabilire delle relazioni con l'altro, rispetto dell'altro, comunicazione e curiosità.
Applicando il criterio etico di Singer o quelli più sociologici di Fletcher, ci si rende conto facilmente che il numero delle "persone" vere e proprie è probabilmente inferiore a quello della popolazione intera. Senza alcun bisogno di ricorrere all'handicappato grave o allo psicopatico, è facile constatare che anche nella cerchia dei nostri vicini non tutti gli esseri umani sono delle "persone" in quanto non tutti sono capaci di giudizi morali veri e propri. (Engelhardt nel suo libro usa il termine di "persona non umana" per i soggetti in stato di coma prolungato). Questo però non significa che l'embrione non essendo una persona non vada protetto: esiste una legge sulla protezione degli animali come anche leggi precise sulla protezione della natura. E' importante assolutamente non confondere tre termini: amare l'embrione, proteggerlo e rispettarlo. Se esso è considerato una persona umana allora anche il feto si trova ad avere uno statuto simile a quello di animali senzienti che possono essere usati per la ricerca a condizione di non imporre loro la sofferenza resa possibile dall'esistenza di un sistema nervoso. Nel caso di un feto di meno di 18 settimane è poco probabile che esso sia sensibile al dolore, a maggior ragione un embrione può essere usato per la ricerca; ed in realtà in diversi paesi d'Europa la ricerca è consentita entro le prime due settimane. È importante precisare che in questa ottica il valore dell'embrione non dipende affatto da una sua dignità intrinseca, ma esclusivamente dal legame con le persone che lo desiderano; esso si trova a costituire una proprietà dei genitori i quali possono decidere della sua sorte - evidentemente entro i limiti posti dalle legislazioni.
Considerato come vivente in se stesso, l'embrione non ha più diritti di quanti ne abbia un animale senziente, e quel che va rispettato in lui è la sua sensibilità al dolore. Peter Singer è molto esplicito a questo proposito quando scrive: "Infatti, per qualsiasi confronto di caratteristiche moralmente rilevanti, quali razionalità, autocoscienza, consapevolezza, autonomia, piacere e dolore e così via, il vitello, il maiale e il pollo, pur così deriso, superano il feto a qualsiasi stato della gravidanza - mentre se prendiamo a confronto un feto di meno di tre mesi, anche un pesce, o perfino un crostaceo, mostrerebbero maggiori segni di coscienza, (Etica pratica, Tr.It., Liguori 1989, p.121).
Infine, anche in merito alla posizione neo-kantiana non mancano le obiezioni, in particolare:
- Come stabilire quando un vivente umano diventa una persona?
- Che ne è di tutti quegli umani che non diventano mai persone pur essendo dotati di un minimo di ragione?
- Che significa affermare che si deve loro meno rispetto che quello che si deve alla persona umana ragionevole dotata di autonomia del giudizio?
- Chi decide chi è persona e chi non lo è?
- Paradossalmente una persona umana in stato di sonno è degna di meno rispetto che una in stato di veglia!

Ambedue queste posizioni estreme (quella biologica e quella neo-kantiana) appaiono perfettamente sostenibili come scelta etica soggettiva, ma sia una che l'altra sono difficilmente applicabili come scelta di società. In altre parole sarebbe ridicolo voler stabilire delle leggi applicando rigorosamente una o l'altra di queste due posizioni; ove ancora una volta si osserva che il passaggio dall'etica al diritto non è per niente lineare. Mi sia tuttavia concesso di precisare che la posizione neo-kantiana ha il merito di lasciar libera la scelta della prima opzione, mentre non è vero il contrario.

- Posizione pragmatica
Come abbiamo visto le due posizioni precedenti sono difficilmente applicabili nei casi concreti. Il fatto però è che ci si trova a dover prendere delle decisioni che concernono embrioni esistenti, od autorizzare eventualmente certe ricerche e proibirne altre; occorre dunque disporre di criteri procedurali che siano operativi e non solo teorici. Ed è proprio quello che fanno i comitati etici in cui spesso si affrontano posizioni estreme come quelle che abbiamo appena visto.
Le decisioni prese dai comitati etici non hanno mai forza di legge, ma sono tuttavia assai vincolanti per chi opera nel settore. Quando un comitato etico centrale - cioè un comitato che deve pronunciarsi su questioni generali di principio e non su casi precisi - allo scopo di promulgare delle direttive, affronta dei problemi di fondo, l'atteggiamento degli interlocutori consiste nel dire: visto che le divergenze in merito sono irriducibili, tanto vale lasciare da parte i principi e cercare una soluzione pratica.
La vera questione perciò si riduce non tanto a definire lo statuto ontologico dell'embrione, quanto piuttosto a sapere in che modo esso vada trattato. Nel caso preciso, in molti paesi d'Europa è stato adottato il criterio Warnock (dal nome della presidentessa della commissione d'inchiesta del governo britannico che ha pubblicato il Rapporto Warnock nel 1982); il criterio Warnock introduce un margine relativamente arbitrario e assai contestato che consiste nel considerare l'embrione di meno di 14 giorni come pre-embrione.
Si considera generalmente che dopo tale momento le cellule embrionali perdono la loro totipotenza e, oltre questo termine non si possono più generare dei gemelli.
Ugualmente si è stabilito che al di sotto di questo termine l'embrione non ha un'individualità propria e non soffre. Perciò la ricerca è autorizzata entro i primi 14 giorni. Sembra perciò possibile porre dei limiti senza che questo implichi delle conseguenze sullo statuto dell'embrione: in altre parole, pur adottando il criterio Warnock, l'embrione non diventa una persona.
E' impossibile cancellare il rapporto esistente tra la deontologia (quello che si deve fare) e l'ontologia (quello che è), in particolare proprio perché la regola enunciata si basa su quello che l'embrione è. Al di là del pragmatismo dei comitati decisionali si cela quella che è stata definita un'ontologia progressiva, che sembra costituire una via d'uscita di fronte al dilemma precedente. Questo tipo di ontologia tende a situare l'embrione più dalla parte della categoria delle persone che non dal quella delle cose: il rispetto che gli si deve è proporzionale a quello che esso è, per cui viene riconosciuta una certa libertà alla ricerca nelle prime fasi dello sviluppo embrionale
Tuttavia anche nell'ottica dell'ontologia progressiva sembra prevalere un fondo di argomentazione neo-kantiana: all'inizio si tratta di un ammasso cellulare che non ha più valore di un vegetale, per cui non vi è alcun inconveniente a farne delle colture cellulari (utili ad esempio per la sperimentazione del valore teratogeno di certi prodotti che normalmente vengono verificati su animali). Al momento in cui si sviluppa un minimo di sensibilità si deve all'embrione lo stesso rispetto che si deve a un animale: non si ha il diritto di farlo soffrire.
Rimane tuttavia poco chiara la progressione nelle successive fasi dello sviluppo, in particolare bisogna tener presente che tale sviluppo prosegue poi anche ex utero; se da una parte può apparire chiaro il dovere di protezione, i diritti che devono venir conferiti all'essere in sviluppo risultano meno chiari.
Spero di avervi fornito un quadro abbastanza significativo dei problemi di cui ci si occupa in bioetica; molte domande sono senza risposta, e molte sono destinate a rimanere tali, ma l'importante è che ci si renda conto collettivamente dell'esistenza di questi problemi che coinvolgono noi tutti e sicuramente ancor più le generazioni future.