Rivista Anarchica Online
Il dogma dell'obbedienza
di Andrea Papi
A cento anni dalla Rerum Novarum, la
nuova enciclica papale ripropone, dopo la disfatta dei regimi
comunisti, una visione del mondo e della persona all'insegna della
subordinazione della volontà umana al divino e ai suoi
presunti rappresentanti in terra.
Una forza
fondamentale che permette alla chiesa di mantenere nei secoli la
potenza che ha, è la sua percezione del tempo; tempo
storico ovviamente, ma anche tempo delle coscienze e, soprattutto,
visione del divenire. Quando i suoi gerarchi usano il verbo, "urbi
et orbi", hanno sempre presente un oggi proiettato verso un
futuro, certamente prossimo, ma sufficientemente lontano da
pretendere di abbracciare con disinvoltura lunghi corsi storici. Nei
millenni in cui si è formata e strutturata, la chiesa ha
acquisito la regola di fondo per cui la potenza e il potere del
momento si corazzano di forza e sicurezza se riescono ad abbracciare
il futuro, non preoccupandosi, più dell'indispensabile, di
agire per mantenere ciò che già possiede. Fino a
quando riuscirà ad essere in sintonia con questa regola
acquisita la sua forza rimarrà enorme, come pure il potere
sulle coscienze, che in questa fase ci sembra si stia ulteriormente
consolidando. Il che, dal nostro punto di osservazione, non è
certamente un bene, dal momento che si basa essenzialmente su una
cultura e una pratica del dominio e della gerarchizzazione. L'ultimo
eclatante esempio capace di darci il senso di questa sua
caratteristica è l'enciclica "Centesimus Annus",
propinataci agli inizi del maggio appena trascorso. Un saggio
clericale di analisi divulgativa, quindi propagandistica, che si
pone come continuità aggiornata della "Rerum Novarum",
emanata esattamente un secolo fa da Leone XIII. Quella leonina ,
novità allora per la chiesa, assumeva come fondante il
problema operaio, nel tentativo di esserne portavoce, in un'ottica
però di superamento della logica rivoluzionaria della lotta
di classe, che impegnava di sé il sorgente movimento operaio.
Questa di oggi si erge sulle ceneri del bolscevismo e del marxismo
in generale, per proclamare che la lotta di classe ha perso, come in
un certo senso la chiesa aveva previsto, il che non vuol dire che
abbia vinto il capitalismo nella forma attualmente in vigore. Anzi!
Molto chiaramente si auspica che la cultura capitalistica attuale
possa avere un declino, per poter pervenire ad un mondo nuovo,
improntato all'etica e alla cultura cattolica, di cui la chiesa è
portavoce e si ritiene profeta.
Con acutezza
L'enciclica attuale, in continuità con quella di
cent'anni fa, ne riafferma la validità per aver gettato le
basi di una dottrina sociale della chiesa; al contempo la aggiorna,
cercando di inserirsi da padrona nelle mutazioni in atto nel
mondo. La Rerum Novarum capì l'indispensabilità di
esser presente all'interno della questione sociale partendo dal
problema operaio, con lo scopo dichiarato di distoglierne il
movimento da soluzioni rivoluzionarie e di emancipazione globale,
perché su queste non avrebbe avuto il dominio delle
coscienze. La Centesimus Annus riconosce i presupposti della
precedente, cioè la giustezza della proprietà privata,
come pure dello stato concepito quale equilibratore dei conflitti di
classe e con compiti di tutela del diritto, come
soprattutto l'associazionismo operaio non rivoluzionario,
integrato e parallelo a quello imprenditoriale; in più
si pone il problema di dare senso e soluzione alla questione
sociale, ritenuta ormai al riparo dai "pericoli"
rivoluzionari. Con acutezza, Giovanni Paolo II individua un
errore di fondo della visione marxista-leninista e, arbitrariamente,
lo estende a tutta la concezione socialista. Un errore di tipo
antropologico, perché "considera il singolo uomo come
un semplice elemento e una molecola dell'organismo sociale, di modo
che il bene dell'individuo viene del tutto subordinato al
funzionamento del meccanismo economico-sociale, mentre ritiene,
d'altro canto, che quel medesimo bene possa esser realizzato
prescindendo dalla sua autonoma scelta, dalla sua unica ed esclusiva
assunzione di responsabilità davanti al bene e al male".
(cit. da Centesimus Annus, Ed. Paoline, pag. 19). In questa critica
radicale, c'è una completa assunzione dell'individuo come
valore in sé, da cui partire per qualsiasi tipo di
considerazione riguardante l'assetto sociale. Poi ad arte, questa
errata visione antropologica basata sul nichilismo individuale,
viene attribuita all'ateismo connesso col meccanicismo illuminista.
Per la chiesa, attraverso il verbo Wojtiliano, il riscatto
individuale si trova nell'intuizione della trascendenza e nel
bisogno di salvezza in dio, cui ci si deve subordinare. L'individuo
riacquisterebbe dunque valore in quanto, riconducendosi a dio, va
oltre le cose terrene, che sono importanti, ma transitorie e, in
definitiva, subordinate al mistero teologico. L'antropologia giusta
diventa allora quella per cui l'individuo è un valore
primario non in quanto individuo, bensì in quanto figlio di
dio. Autonomia dalle cose terrene dunque, ma non da dio. Vien da
dire il classico "dalla padella nella brace". Tutta
l'enciclica è giocata su questa visione, in definitiva la
riproposizione aggiornata dei presupposti totalizzanti
ecclesiastici, con cui la chiesa nei secoli ha fondato il proprio
dominio sulle coscienze e sulle genti. La sua capacità di
percepire il tempo, di cui parlavamo all'inizio, sta nell'aver
compreso che in questa fase è universalmente rilevante per
gli uomini e per le donne il bisogno di un superamento del
materialismo consumista e della subordinazione sociale, per cui
sempre di più i valori fondanti sono il profitto, il potere
sul profitto e il potere finanziario. Dopo essersi agganciata ai
presupposti della Rerum Novarum, la nuova enciclica prende atto e
sottolinea che l'esperienza totalitaria del cosiddetto socialismo
realizzato è definitivamente giunta a termine. La lettura che
ne dà, ovviamente, è funzionale alla sua divulgazione.
In questo divenire in atto infatti vede una ripredominanza degli
assunti cristiani, in particolare di quelli cattolici. Non a caso
identifica nella rivolta operaia di Solidarnosc il punto di avvio
dell'inversione di tendenza, che poi ha portato alla disgregazione
dei sistemi totalitari bolscevichi. Il suo aggiornamento si
colloca dunque all'inizio della fase comunemente conosciuta del
post-comunismo. Ma, ammonisce immediatamente, attenzione a
leggere in questo rivolgimento una vittoria del capitalismo, perché
all'origine della crisi dell'est c'è soprattutto una domanda
di giustizia, che lo stato totalitario aveva negato. Al contempo "La
crisi del marxismo non elimina nel mondo le situazioni di
ingiustizia e di oppressione da cui il marxismo stesso,
strumentalizzandole, traeva alimento" (cit. pag. 37). Come pure
"...è inaccettabile l'affermazione che la sconfitta del
cosiddetto socialismo reale lasci il capitalismo come unico modello
di organizzazione economica" (cit. pag. 50). Troppi sono i
problemi sociali che affliggono le società cosiddette
avanzate. A cominciare dalla estrema disuguaglianza economica fra
individui e fra stati ricchi e stati poveri, per andare alla droga,
alla criminalità sempre più diffusa, al degrado
ecologico, fino al militarismo, inteso come logica di supremazia
violenta per risolvere i conflitti. Tutti questi problemi rimangono
sul campo e il capitalismo ne è all'origine. In una
prospettiva futura di salvezza dell'umanità, hanno bisogno di
trovare soluzione. Una delle ragioni principali di questa
degenerazione è identificata nel consumismo, visto
come "determinata cultura, come concezione globale della
vita" (cit. pag. 51). Sempre secondo Wojtyla, quando si è
calati in un ambito essenzialmente di consumi materialisti, senza
una visione predisposta di bene e di male, si scade nell'illiceità
oggettiva del consumo a detrimento della salute fisica e spirituale.
In altre parole non è morale consumare ciò che non è
lecito. Ma sappiamo bene che la liceità è una
convenzione culturale, per cui si esigono organi addetti e deputati
a stabilire ciò che è lecito e ciò che non lo
è.
Per volontà di dio
Non viene in mente al sommo pontefice che proprio la logica
della liceità potrebbe essere una base fondante del
perverso modo di vivere il consumo economico. In quanto
appartenenti all'ordine morale, lecito e illecito sono sempre
arbitrari, per cui dipendono dalla visione generale che ci si è
costruiti. Al contrario, al di là del lecito, una sana
visione materialista capace di vedere come benefico un armonico
equilibrio con l'ambiente, potrebbe gettare le basi di un diverso
modo di consumare. Una materialità umana capace di trovarsi
in sintonia con quella ambientale, può benissimo suggerire un
modo di consumare che non altera gli equilibri. E' la
rappresentazione che ci facciamo della materia a permettere che
della materia si faccia uso, abuso o sperpero, non la supposizione
di essere figli obbedienti di un dio, cui bisogna solo fede e
dedizione. In definitiva anche questa enciclica ci ripropone i
dogmi di sempre e la tanto sbandierata dottrina sociale si può
riassumere ne "l'obbedienza alla verità su dio e
sull'uomo è la condizione prima della libertà,
consentendogli di ordinare i propri bisogni, i propri desideri e la
modalità del loro soddisfacimento secondo una giusta
gerarchia, di modo che per lui il possesso delle cose sia un mezzo
di crescita" (cit. pag. 58). Non è difficile capire
cosa si debba fare per santa madre chiesa per accettare la famosa
verità e, soprattutto, per capire quale sarebbe la "giusta
gerarchia" cui obbedire per conquistare la libertà.
Al contrario, la libertà è legata alla
consapevolezza delle scelte, non all'obbedienza, perché
richiede un essere umano nella pienezza della sua materialità
e della sua intelligenza, non un individuo disposto a dire sempre sì
alle gerarchie le quali, fra l'altro, puniscono la disobbedienza
anche con la morte, in nome ovviamente della libertà. Sono
eloquenti le stesse parole dell'enciclica, che con questa pennellata
finale danno senso al tutto: "Nel concludere, ringrazio ancora
Dio onnipotente, che ha dato alla sua chiesa la luce e la forza di
accompagnare l'uomo nel cammino terreno verso il destino eterno.
Anche nel terzo millennio la chiesa sarà fedele nel fare
propria la via dell'uomo..." (cit. pag. 83). Non possiamo
che ringraziare questi nostri protettori che da duemila anni
continuano a ripeterci che per essere liberi dobbiamo obbedire a
loro per volontà di dio.
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