Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 183
giugno 1991


Rivista Anarchica Online

Il dogma dell'obbedienza
di Andrea Papi

A cento anni dalla Rerum Novarum, la nuova enciclica papale ripropone, dopo la disfatta dei regimi comunisti, una visione del mondo e della persona all'insegna della subordinazione della volontà umana al divino e ai suoi presunti rappresentanti in terra.

Una forza fondamentale che permette alla chiesa di mantenere nei secoli la potenza che ha, è la sua percezione del tempo; tempo storico ovviamente, ma anche tempo delle coscienze e, soprattutto, visione del divenire. Quando i suoi gerarchi usano il verbo, "urbi et orbi", hanno sempre presente un oggi proiettato verso un futuro, certamente prossimo, ma sufficientemente lontano da pretendere di abbracciare con disinvoltura lunghi corsi storici. Nei millenni in cui si è formata e strutturata, la chiesa ha acquisito la regola di fondo per cui la potenza e il potere del momento si corazzano di forza e sicurezza se riescono ad abbracciare il futuro, non preoccupandosi, più dell'indispensabile, di agire per mantenere ciò che già possiede. Fino a quando riuscirà ad essere in sintonia con questa regola acquisita la sua forza rimarrà enorme, come pure il potere sulle coscienze, che in questa fase ci sembra si stia ulteriormente consolidando. Il che, dal nostro punto di osservazione, non è certamente un bene, dal momento che si basa essenzialmente su una cultura e una pratica del dominio e della gerarchizzazione.
L'ultimo eclatante esempio capace di darci il senso di questa sua caratteristica è l'enciclica "Centesimus Annus", propinataci agli inizi del maggio appena trascorso. Un saggio clericale di analisi divulgativa, quindi propagandistica, che si pone come continuità aggiornata della "Rerum Novarum", emanata esattamente un secolo fa da Leone XIII. Quella leonina , novità allora per la chiesa, assumeva come fondante il problema operaio, nel tentativo di esserne portavoce, in un'ottica però di superamento della logica rivoluzionaria della lotta di classe, che impegnava di sé il sorgente movimento operaio. Questa di oggi si erge sulle ceneri del bolscevismo e del marxismo in generale, per proclamare che la lotta di classe ha perso, come in un certo senso la chiesa aveva previsto, il che non vuol dire che abbia vinto il capitalismo nella forma attualmente in vigore. Anzi! Molto chiaramente si auspica che la cultura capitalistica attuale possa avere un declino, per poter pervenire ad un mondo nuovo, improntato all'etica e alla cultura cattolica, di cui la chiesa è portavoce e si ritiene profeta.

Con acutezza
L'enciclica attuale, in continuità con quella di cent'anni fa, ne riafferma la validità per aver gettato le basi di una dottrina sociale della chiesa; al contempo la aggiorna, cercando di inserirsi da padrona nelle mutazioni in atto nel mondo. La Rerum Novarum capì l'indispensabilità di esser presente all'interno della questione sociale partendo dal problema operaio, con lo scopo dichiarato di distoglierne il movimento da soluzioni rivoluzionarie e di emancipazione globale, perché su queste non avrebbe avuto il dominio delle coscienze. La Centesimus Annus riconosce i presupposti della precedente, cioè la giustezza della proprietà privata, come pure dello stato concepito quale equilibratore dei conflitti di classe e con compiti di tutela del diritto, come soprattutto l'associazionismo operaio non rivoluzionario, integrato e parallelo a quello imprenditoriale; in più si pone il problema di dare senso e soluzione alla questione sociale, ritenuta ormai al riparo dai "pericoli" rivoluzionari.
Con acutezza, Giovanni Paolo II individua un errore di fondo della visione marxista-leninista e, arbitrariamente, lo estende a tutta la concezione socialista. Un errore di tipo antropologico, perché "considera il singolo uomo come un semplice elemento e una molecola dell'organismo sociale, di modo che il bene dell'individuo viene del tutto subordinato al funzionamento del meccanismo economico-sociale, mentre ritiene, d'altro canto, che quel medesimo bene possa esser realizzato prescindendo dalla sua autonoma scelta, dalla sua unica ed esclusiva assunzione di responsabilità davanti al bene e al male". (cit. da Centesimus Annus, Ed. Paoline, pag. 19). In questa critica radicale, c'è una completa assunzione dell'individuo come valore in sé, da cui partire per qualsiasi tipo di considerazione riguardante l'assetto sociale. Poi ad arte, questa errata visione antropologica basata sul nichilismo individuale, viene attribuita all'ateismo connesso col meccanicismo illuminista. Per la chiesa, attraverso il verbo Wojtiliano, il riscatto individuale si trova nell'intuizione della trascendenza e nel bisogno di salvezza in dio, cui ci si deve subordinare. L'individuo riacquisterebbe dunque valore in quanto, riconducendosi a dio, va oltre le cose terrene, che sono importanti, ma transitorie e, in definitiva, subordinate al mistero teologico. L'antropologia giusta diventa allora quella per cui l'individuo è un valore primario non in quanto individuo, bensì in quanto figlio di dio. Autonomia dalle cose terrene dunque, ma non da dio.
Vien da dire il classico "dalla padella nella brace". Tutta l'enciclica è giocata su questa visione, in definitiva la riproposizione aggiornata dei presupposti totalizzanti ecclesiastici, con cui la chiesa nei secoli ha fondato il proprio dominio sulle coscienze e sulle genti. La sua capacità di percepire il tempo, di cui parlavamo all'inizio, sta nell'aver compreso che in questa fase è universalmente rilevante per gli uomini e per le donne il bisogno di un superamento del materialismo consumista e della subordinazione sociale, per cui sempre di più i valori fondanti sono il profitto, il potere sul profitto e il potere finanziario. Dopo essersi agganciata ai presupposti della Rerum Novarum, la nuova enciclica prende atto e sottolinea che l'esperienza totalitaria del cosiddetto socialismo realizzato è definitivamente giunta a termine. La lettura che ne dà, ovviamente, è funzionale alla sua divulgazione. In questo divenire in atto infatti vede una ripredominanza degli assunti cristiani, in particolare di quelli cattolici. Non a caso identifica nella rivolta operaia di Solidarnosc il punto di avvio dell'inversione di tendenza, che poi ha portato alla disgregazione dei sistemi totalitari bolscevichi. Il suo aggiornamento si colloca dunque all'inizio della fase comunemente conosciuta del post-comunismo. Ma, ammonisce immediatamente, attenzione a leggere in questo rivolgimento una vittoria del capitalismo, perché all'origine della crisi dell'est c'è soprattutto una domanda di giustizia, che lo stato totalitario aveva negato. Al contempo "La crisi del marxismo non elimina nel mondo le situazioni di ingiustizia e di oppressione da cui il marxismo stesso, strumentalizzandole, traeva alimento" (cit. pag. 37). Come pure "...è inaccettabile l'affermazione che la sconfitta del cosiddetto socialismo reale lasci il capitalismo come unico modello di organizzazione economica" (cit. pag. 50). Troppi sono i problemi sociali che affliggono le società cosiddette avanzate. A cominciare dalla estrema disuguaglianza economica fra individui e fra stati ricchi e stati poveri, per andare alla droga, alla criminalità sempre più diffusa, al degrado ecologico, fino al militarismo, inteso come logica di supremazia violenta per risolvere i conflitti. Tutti questi problemi rimangono sul campo e il capitalismo ne è all'origine. In una prospettiva futura di salvezza dell'umanità, hanno bisogno di trovare soluzione.
Una delle ragioni principali di questa degenerazione è identificata nel consumismo, visto come "determinata cultura, come concezione globale della vita" (cit. pag. 51). Sempre secondo Wojtyla, quando si è calati in un ambito essenzialmente di consumi materialisti, senza una visione predisposta di bene e di male, si scade nell'illiceità oggettiva del consumo a detrimento della salute fisica e spirituale. In altre parole non è morale consumare ciò che non è lecito. Ma sappiamo bene che la liceità è una convenzione culturale, per cui si esigono organi addetti e deputati a stabilire ciò che è lecito e ciò che non lo è.

Per volontà di dio
Non viene in mente al sommo pontefice che proprio la logica della liceità potrebbe essere una base fondante del perverso modo di vivere il consumo economico. In quanto appartenenti all'ordine morale, lecito e illecito sono sempre arbitrari, per cui dipendono dalla visione generale che ci si è costruiti. Al contrario, al di là del lecito, una sana visione materialista capace di vedere come benefico un armonico equilibrio con l'ambiente, potrebbe gettare le basi di un diverso modo di consumare. Una materialità umana capace di trovarsi in sintonia con quella ambientale, può benissimo suggerire un modo di consumare che non altera gli equilibri.
E' la rappresentazione che ci facciamo della materia a permettere che della materia si faccia uso, abuso o sperpero, non la supposizione di essere figli obbedienti di un dio, cui bisogna solo fede e dedizione. In definitiva anche questa enciclica ci ripropone i dogmi di sempre e la tanto sbandierata dottrina sociale si può riassumere ne "l'obbedienza alla verità su dio e sull'uomo è la condizione prima della libertà, consentendogli di ordinare i propri bisogni, i propri desideri e la modalità del loro soddisfacimento secondo una giusta gerarchia, di modo che per lui il possesso delle cose sia un mezzo di crescita" (cit. pag. 58). Non è difficile capire cosa si debba fare per santa madre chiesa per accettare la famosa verità e, soprattutto, per capire quale sarebbe la "giusta gerarchia" cui obbedire per conquistare la libertà. Al contrario, la libertà è legata alla consapevolezza delle scelte, non all'obbedienza, perché richiede un essere umano nella pienezza della sua materialità e della sua intelligenza, non un individuo disposto a dire sempre sì alle gerarchie le quali, fra l'altro, puniscono la disobbedienza anche con la morte, in nome ovviamente della libertà. Sono eloquenti le stesse parole dell'enciclica, che con questa pennellata finale danno senso al tutto: "Nel concludere, ringrazio ancora Dio onnipotente, che ha dato alla sua chiesa la luce e la forza di accompagnare l'uomo nel cammino terreno verso il destino eterno. Anche nel terzo millennio la chiesa sarà fedele nel fare propria la via dell'uomo..." (cit. pag. 83).
Non possiamo che ringraziare questi nostri protettori che da duemila anni continuano a ripeterci che per essere liberi dobbiamo obbedire a loro per volontà di dio.