Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 183
giugno 1991


Rivista Anarchica Online

Il partito del presidente
di Carlo Oliva

Tra un intervento e l'altro del presidente Cossiga si può trovare il tempo per qualche riflessione meno estemporanea. Anche se suggestivo, il riferimento alle tentazioni bonapartiste del presidente può portare fuori strada

Scrivere dell'attuale presidente della repubblica, si sa, è sempre un azzardo. Per quanti sforzi si facciano, si rischia di restare indietro di qualche battuta. Ormai, Cossiga si avvale con tanta libertà del suo "potere di esternazione", come lo chiamano adesso, che anche a chi scrive sui quotidiani può capitare di commentarne non l'ultima, ma la penultima manifestazione (e non sarebbe un gran male, se ogni tanto non capitassero, tra l'ultima e la penultima, degli eventi capaci di modificarne la chiave di lettura). Figuriamoci chi deve arrangiarsi con un mensile.
In teoria, la cosa potrebbe essere considerata un vantaggio. Libero dalla necessità di tener dietro alle polemiche cifrate su Gladio e sulla P2, o di riferire delle scaramucce con i vari leader democristiani, dei fendenti su Scalfari, dei lazzi a Occhetto e degli interventi estemporanei su questa o quella questione specifica, il commentatore dovrebbe essere in grado di concentrarsi sull'essenziale. Ma questo è il punto. Stabilire cos'è l'essenziale, in questa delicata materia, non è tanto facile.
Prendiamo un problema importante. Al momento non c'è modo di sapere se quando leggerete queste righe sarà o non sarà giunto alle camere l'annunciato messaggio sulle riforme istituzionali, né di farsi una ragionevole idea dei suoi possibili contenuti. Ecco: tutti dicono che questo delle riforme, non altri, è il nodo del problema, ma tutti sanno che la prudenza consiglia di non azzardare analisi delle opinioni in merito del capo dello stato. Quella per cui sarebbe possibile, dalle polemiche e dalle dichiarazioni degli ultimi mesi, evincere una linea precisa (attorno alla quale si sarebbe persino aggregato, in via informale, un "partito del presidente") è un'ipotesi alla quale, in fondo, credono in pochi.

Una strana repubblica
Mi spiego. Cossiga ha detto e ripetuto di volere le riforme, intendendo con questo che l'attuale assetto politico-istituzionale funziona maluccio e che sarebbe buona cosa modificarlo. Ha fatto capire che non gli dispiacerebbe una modifica della costituzione in senso presidenziale (e di fatto interpreta abbastanza estensivamente il ruolo che la costituzione attuale conferisce al capo dello stato). Infine, si è occupato spesso del problema della magistratura, mostrando di non condividere l'impostazione "classica" dell'autonomia dell'ordine giudiziario.
Capirete che con tre capisaldi del genere l'analista ha poco da scialare. Non sono molti i cittadini disposti ad ammettere che il nostro sistema politico funziona alla perfezione e guai a toccarlo e quanto alla magistratura, la sensazione per cui i mali della giustizia non dipendono forse da un eccesso di autonomia è abbastanza diffusa.
In realtà, la scelta presidenziale in sé è poco più di uno slogan. I sistemi politici occidentali ("liberal-democratici", come dice lui) esibiscono una vasta gamma di presidenzialismi possibili e il problema, se mai, sarebbe di precisare quale, il che accuratamente si evita. Che basti proporre l'elezione diretta del capo dello stato per garantire solidità e capacità operativa all'esecutivo, è un luogo comune largamente diffuso e asserito, ma discutibile. L'ovvia illazione per cui la debolezza, l'inettitudine e la scarsa operatività dell'esecutivo nel nostro paese dipendono da un eccesso di parlamentarismo è altrettanto discutibile.
L'Italia, a pensarci, è una strana repubblica parlamentare. Il parlamento incontra da sempre grosse difficoltà nello svolgere il suo ruolo specifico, che è quello legislativo. Leggi davvero importanti non se ne fanno da un pezzo e gran parte dei provvedimenti di qualche rilievo, anche in assenza delle prescritte condizioni d'urgenza, sono presi per decreto (quando non in via amministrativa). Anzi, è invalsa la prassi per cui, mancando la ratifica parlamentare, quei decreti possono venir reiterati finché la ratifica non arriva. Il principio implicito che vuole che, in casi difficili di contrasto tra parlamento e governo, a essere sciolto sia il parlamento, ormai è in vigore da più di vent'anni (anche se la paura del senatore Bossi da un po' trattiene i signori della politica dall'applicarlo). E nessuno ha mai eccepito in passato, né oggi eccepisce, al fatto che un capo dello stato, eletto secondo modalità e procedure dettate dall'evidente preoccupazione di slegarlo dal gioco maggioranza-opposizione, conferendogli un'autorevolezza cui tutti possano far riferimento, si butti nella mischia in difesa di parti e interessi specifici. Insomma, se dovessimo prenderne alla lettera le dichiarazioni d'intenti, dovremmo concludere che le proposte di riforma del partito del presidente vanno tutte nel senso del rafforzamento dell'esistente. Che è, ammetterete, una proposta abbastanza paradossale, specie quando accompagnata dall'unanime dichiarazione che l'esistente fa schifo.
Cossiga non dice proprio che l'esistente fa schifo, naturalmente, ma proclama comunque la necessità di cambiarlo. Lo fa, di preferenza, rivolgendosi direttamente all'opinione pubblica e ai media. In questo, va detto, non ha inventato niente. Ha solo battuto una via aperta e largamente praticata dal compianto Sandro Pertini. D'altronde, non è stato nemmeno il primo capo dello stato a schierarsi nella polemica politica corrente. Tutti i suoi predecessori, in un modo o nell'altro, hanno fatto pesare (o hanno cercato di far pesare) la propria posizione a favore di questa o di quella ipotesi, di questo o di quello schieramento. Fare degli esempi, probabilmente, è inutile, e d'altronde la possibilità di un presidente super partes, in qualsiasi sistema politico, è puramente teorica. Nel nostro non ci ha mai creduto nessuno.

Ma il bonapartismo è un'altra cosa
A pensarci bene, l'unica eccezione importante, almeno in apparenza, è stata quella rappresentata dallo stesso Pertini. Ma Pertini è stato, in un certo senso, un presidente super partes, perché la sua era stata un'elezione squisitamente d'emergenza. Se tutte le "parti" in causa gli esprimevano il proprio consenso, affermando l'insostituibilità del suo ruolo, era perché il beneamato leader socialista adempiva lealmente alla funzione che il sistema partitico, nel suo complesso, gli aveva delegato. Per tutto il suo settennato, Pertini ha proposto e difeso un'immagine positiva, capace di riconciliare un'opinione pubblica esacerbata con il sistema politico, e senza che ne venissero messi davvero in discussione poteri e privilegi. Un compito difficile, svolto brillantemente. Ma è stato proprio quel successo, probabilmente, a introdurre nel gioco una nuova variabile. Ha slegato la presidenza della repubblica dalla sua base parlamentare, creando un centro di potere politico autonomo, una specie di polo bonapartista (o gollista): una presenza ingombrante, con la quale oggi dobbiamo fare i conti.
Intendiamoci: il bonapartismo storicamente è un'altra cosa. Il riferimento è suggestivo, ma può portare fuori strada. Personalmente non credo che, nonostante le sottolineature presidenzialiste e l'interesse - legittimo - per la propria immagine, l'attuale capo dello stato incarni una prospettiva autoritaria. Le asprezze polemiche occasionali, la voluta rozzezza di certi giudizi e prese di posizione, probabilmente vanno messe sul conto di una volontà d'adeguamento alle malinconiche regole della politica spettacolo. Come tali, infatti, le intende quella maggioranza di cittadini che, stando ai sondaggi, esprime la propria simpatia per le sue posizioni e che sarebbe disposta, se chiamata alle urne, a rieleggerlo.
Cossiga crede nel proprio ruolo (quale che sia) ed è abbastanza giovane, secondo gli standard della politica italiana, per non considerare definitivamente chiusa la sua carriera, ma conta sul consenso di massa, e su uomini e strumenti capaci di produrlo, non nella coercizione. I suoi marescialli sono gli Sgarbi e i Ferrara. Pensa in termini di sondaggi d'opinione e di indici di gradimento, non di corpi d'armata. E la sua prospettiva, soprattutto, non è quella del rovesciamento del quadro politico, della sostituzione in blocco di un ceto dirigente preferito (che è poi la funzione storica dei bonapartismi), perché di questo quadro politico e di questo ceto dirigente lui stesso è espressione compiuta.
Non sappiamo, naturalmente, che cosa il presidente pensi di se stesso e come definisca esattamente il suo ruolo. Possiamo, in compenso , azzardarci a ipotizzare quale funzione gli assegnino certi suoi zelatori e alleati. Una forma aggiornata di quella che fu dell'indimenticabile Sandro: garantire la sopravvivenza del sistema. Magari, visto che non si può contare solo sul carisma personale, con qualche operazione (di facciata) d'ingegneria istituzionale.
Certo, Cossiga non è Pertini, che al momento della sua elezione era essenzialmente un outsider e lo è restato anche dopo, e l'operazione può essere più complessa e meno indolore, ma l'idea di un presidente eletto dal popolo a garantire la stabilità di questo sistema deve far gola a parecchi.
La storia, naturalmente, ci insegna che certe operazioni di ingegneria e maquillage riescono solo di rado. Che un sistema incapace di reggersi è destinato comunque a crollare, e che le vere riforme istituzionali le può proporre e portare avanti solo chi non vi è compromesso. Oggi, sembra che il problema sia quello di scegliere tra il presidenzialismo alla francese o un governo del cancelliere alla tedesca, ma né l'uno né l'altro di questi modelli politici sono stati inventati a tavolino. De Gaulle giunse al potere in un momento di crisi particolarmente acuta, e poté guidare il processo di costruzione della quinta repubblica (con il relativo prepensionamento forzoso di tutto un ceto politico) perché con la quarta aveva avuto ben poco a che fare. E il nazismo, naturalmente, rappresentava una frattura incolmabile tra la classe politica weimariana e quella della nuova repubblica federale. Se mai il "progetto Cossiga" significasse la volontà di costruire una seconda repubblica italiana in cui possa perpetuarsi il sistema di potere della prima, sarebbe solo un'illusione.
O l'ennesima prova della vocazione trasformistica della nostra classe politica.