Rivista Anarchica Online
Il partito del
presidente
di Carlo Oliva
Tra un intervento
e l'altro del presidente Cossiga si può trovare il tempo per
qualche riflessione meno estemporanea. Anche se suggestivo, il
riferimento alle tentazioni bonapartiste del presidente può
portare fuori strada
Scrivere dell'attuale presidente
della repubblica, si sa, è sempre un azzardo. Per quanti
sforzi si facciano, si rischia di restare indietro di qualche
battuta. Ormai, Cossiga si avvale con tanta libertà del suo
"potere di esternazione", come lo chiamano adesso, che
anche a chi scrive sui quotidiani può capitare di commentarne
non l'ultima, ma la penultima manifestazione (e non sarebbe un gran
male, se ogni tanto non capitassero, tra l'ultima e la penultima,
degli eventi capaci di modificarne la chiave di lettura).
Figuriamoci chi deve arrangiarsi con un mensile. In teoria, la
cosa potrebbe essere considerata un vantaggio. Libero dalla
necessità di tener dietro alle polemiche cifrate su Gladio
e sulla P2, o di riferire delle scaramucce con i vari leader
democristiani, dei fendenti su Scalfari, dei lazzi a Occhetto e
degli interventi estemporanei su questa o quella questione
specifica, il commentatore dovrebbe essere in grado di concentrarsi
sull'essenziale. Ma questo è il punto. Stabilire cos'è
l'essenziale, in questa delicata materia, non è tanto
facile. Prendiamo un problema importante. Al momento non c'è
modo di sapere se quando leggerete queste righe sarà o non
sarà giunto alle camere l'annunciato messaggio sulle riforme
istituzionali, né di farsi una ragionevole idea dei suoi
possibili contenuti. Ecco: tutti dicono che questo delle riforme,
non altri, è il nodo del problema, ma tutti sanno che la
prudenza consiglia di non azzardare analisi delle opinioni in merito
del capo dello stato. Quella per cui sarebbe possibile, dalle
polemiche e dalle dichiarazioni degli ultimi mesi, evincere una
linea precisa (attorno alla quale si sarebbe persino aggregato, in
via informale, un "partito del presidente") è
un'ipotesi alla quale, in fondo, credono in pochi.Una strana
repubblica Mi spiego.
Cossiga ha detto e ripetuto di volere le riforme, intendendo con
questo che l'attuale assetto politico-istituzionale funziona
maluccio e che sarebbe buona cosa modificarlo. Ha fatto capire che
non gli dispiacerebbe una modifica della costituzione in senso
presidenziale (e di fatto interpreta abbastanza estensivamente il
ruolo che la costituzione attuale conferisce al capo dello stato).
Infine, si è occupato spesso del problema della magistratura,
mostrando di non condividere l'impostazione "classica"
dell'autonomia dell'ordine giudiziario. Capirete che con tre
capisaldi del genere l'analista ha poco da scialare. Non sono molti
i cittadini disposti ad ammettere che il nostro sistema politico
funziona alla perfezione e guai a toccarlo e quanto alla
magistratura, la sensazione per cui i mali della giustizia non
dipendono forse da un eccesso di autonomia è abbastanza
diffusa. In realtà, la scelta presidenziale in sé è
poco più di uno slogan. I sistemi politici occidentali
("liberal-democratici", come dice lui) esibiscono una
vasta gamma di presidenzialismi possibili e il problema, se mai,
sarebbe di precisare quale, il che accuratamente si evita. Che basti
proporre l'elezione diretta del capo dello stato per garantire
solidità e capacità operativa all'esecutivo, è
un luogo comune largamente diffuso e asserito, ma discutibile.
L'ovvia illazione per cui la debolezza, l'inettitudine e la scarsa
operatività dell'esecutivo nel nostro paese dipendono da un
eccesso di parlamentarismo è altrettanto
discutibile. L'Italia, a pensarci, è una strana repubblica
parlamentare. Il parlamento incontra da sempre grosse difficoltà
nello svolgere il suo ruolo specifico, che è quello
legislativo. Leggi davvero importanti non se ne fanno da un pezzo e
gran parte dei provvedimenti di qualche rilievo, anche in assenza
delle prescritte condizioni d'urgenza, sono presi per decreto
(quando non in via amministrativa). Anzi, è invalsa la prassi
per cui, mancando la ratifica parlamentare, quei decreti possono
venir reiterati finché la ratifica non arriva. Il principio
implicito che vuole che, in casi difficili di contrasto tra
parlamento e governo, a essere sciolto sia il parlamento, ormai è
in vigore da più di vent'anni (anche se la paura del
senatore Bossi da un po' trattiene i signori della politica
dall'applicarlo). E nessuno ha mai eccepito in passato, né
oggi eccepisce, al fatto che un capo dello stato, eletto secondo
modalità e procedure dettate dall'evidente preoccupazione di
slegarlo dal gioco maggioranza-opposizione, conferendogli
un'autorevolezza cui tutti possano far riferimento, si butti nella
mischia in difesa di parti e interessi specifici. Insomma, se
dovessimo prenderne alla lettera le dichiarazioni d'intenti,
dovremmo concludere che le proposte di riforma del partito del
presidente vanno tutte nel senso del rafforzamento dell'esistente.
Che è, ammetterete, una proposta abbastanza paradossale,
specie quando accompagnata dall'unanime dichiarazione che
l'esistente fa schifo. Cossiga non dice proprio che l'esistente
fa schifo, naturalmente, ma proclama comunque la necessità di
cambiarlo. Lo fa, di preferenza, rivolgendosi direttamente
all'opinione pubblica e ai media. In questo, va detto, non ha
inventato niente. Ha solo battuto una via aperta e largamente
praticata dal compianto Sandro Pertini. D'altronde, non è
stato nemmeno il primo capo dello stato a schierarsi nella polemica
politica corrente. Tutti i suoi predecessori, in un modo o
nell'altro, hanno fatto pesare (o hanno cercato di far pesare) la
propria posizione a favore di questa o di quella ipotesi, di questo
o di quello schieramento. Fare degli esempi, probabilmente, è
inutile, e d'altronde la possibilità di un presidente super
partes, in qualsiasi sistema politico, è puramente
teorica. Nel nostro non ci ha mai creduto nessuno. Ma il bonapartismo
è un'altra cosa A pensarci bene,
l'unica eccezione importante, almeno in apparenza, è stata
quella rappresentata dallo stesso Pertini. Ma Pertini è
stato, in un certo senso, un presidente super partes, perché
la sua era stata un'elezione squisitamente d'emergenza. Se tutte le
"parti" in causa gli esprimevano il proprio consenso,
affermando l'insostituibilità del suo ruolo, era perché
il beneamato leader socialista adempiva lealmente alla funzione che
il sistema partitico, nel suo complesso, gli aveva delegato. Per
tutto il suo settennato, Pertini ha proposto e difeso un'immagine
positiva, capace di riconciliare un'opinione pubblica esacerbata con
il sistema politico, e senza che ne venissero messi davvero in
discussione poteri e privilegi. Un compito difficile, svolto
brillantemente. Ma è stato proprio quel successo,
probabilmente, a introdurre nel gioco una nuova variabile. Ha
slegato la presidenza della repubblica dalla sua base parlamentare,
creando un centro di potere politico autonomo, una specie di polo
bonapartista (o gollista): una presenza ingombrante, con la quale
oggi dobbiamo fare i conti. Intendiamoci: il bonapartismo
storicamente è un'altra cosa. Il riferimento è
suggestivo, ma può portare fuori strada. Personalmente non
credo che, nonostante le sottolineature presidenzialiste e
l'interesse - legittimo - per la propria immagine, l'attuale capo
dello stato incarni una prospettiva autoritaria. Le asprezze
polemiche occasionali, la voluta rozzezza di certi giudizi e prese
di posizione, probabilmente vanno messe sul conto di una volontà
d'adeguamento alle malinconiche regole della politica spettacolo.
Come tali, infatti, le intende quella maggioranza di cittadini che,
stando ai sondaggi, esprime la propria simpatia per le sue posizioni
e che sarebbe disposta, se chiamata alle urne, a
rieleggerlo. Cossiga crede nel proprio ruolo (quale che sia) ed è
abbastanza giovane, secondo gli standard della politica italiana,
per non considerare definitivamente chiusa la sua carriera, ma conta
sul consenso di massa, e su uomini e strumenti capaci di produrlo,
non nella coercizione. I suoi marescialli sono gli Sgarbi e i
Ferrara. Pensa in termini di sondaggi d'opinione e di indici di
gradimento, non di corpi d'armata. E la sua prospettiva,
soprattutto, non è quella del rovesciamento del quadro
politico, della sostituzione in blocco di un ceto dirigente
preferito (che è poi la funzione storica dei bonapartismi),
perché di questo quadro politico e di questo ceto dirigente
lui stesso è espressione compiuta. Non sappiamo,
naturalmente, che cosa il presidente pensi di se stesso e come
definisca esattamente il suo ruolo. Possiamo, in compenso ,
azzardarci a ipotizzare quale funzione gli assegnino certi suoi
zelatori e alleati. Una forma aggiornata di quella che fu
dell'indimenticabile Sandro: garantire la sopravvivenza del sistema.
Magari, visto che non si può contare solo sul carisma
personale, con qualche operazione (di facciata) d'ingegneria
istituzionale. Certo, Cossiga non è Pertini, che al
momento della sua elezione era essenzialmente un outsider e
lo è restato anche dopo, e l'operazione può essere più
complessa e meno indolore, ma l'idea di un presidente eletto dal
popolo a garantire la stabilità di questo sistema deve far
gola a parecchi. La storia, naturalmente, ci insegna che certe
operazioni di ingegneria e maquillage riescono solo di rado.
Che un sistema incapace di reggersi è destinato comunque a
crollare, e che le vere riforme istituzionali le può proporre
e portare avanti solo chi non vi è compromesso. Oggi, sembra
che il problema sia quello di scegliere tra il presidenzialismo alla
francese o un governo del cancelliere alla tedesca, ma né
l'uno né l'altro di questi modelli politici sono stati
inventati a tavolino. De Gaulle giunse al potere in un momento di
crisi particolarmente acuta, e poté guidare il processo di
costruzione della quinta repubblica (con il relativo
prepensionamento forzoso di tutto un ceto politico) perché
con la quarta aveva avuto ben poco a che fare. E il nazismo,
naturalmente, rappresentava una frattura incolmabile tra la classe
politica weimariana e quella della nuova repubblica federale. Se mai
il "progetto Cossiga" significasse la volontà di
costruire una seconda repubblica italiana in cui possa perpetuarsi
il sistema di potere della prima, sarebbe solo un'illusione. O
l'ennesima prova della vocazione trasformistica della nostra classe
politica.
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