Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 179
febbraio 1991


Rivista Anarchica Online

Egregio senatore Boato

Nell'ambito delle numerose ricostruzioni giornalistiche della recente storia italiana (con particolare riguardo agli "anni di piombo"), stimolate dalle vicende Gladio/Solo/ecc., non sono mancati riferimenti al tragico attentato commesso da Gianfranco Bertoli davanti alla questura di Milano il 17 maggio 1973. Quando nello scorso novembre iniziarono a comparire riferimenti a Bertoli come "fascista", "eversore di destra", ecc., la nostra redazione prese l'iniziativa di un comunicato-stampa (inviato all'ANSA, a numerose testate giornalistiche ed in particolare ad alcune - come "Il Manifesto" e "Avvenimenti" - che avevano insistito su quella presunta connotazione politica di Bertoli) che non è stato ripreso - per quanto ci risulta - da nessuna pubblicazione (all'infuori di quelle anarchiche). Nelle settimane successive è continuata, in varie forme e su diverse testate, la ripetizione di presunte "verità, e "rivelazioni" già smentite da oltre un quindicennio. Dal carcere di Porto Azzurro, dove sta scontando l'ergastolo, Bertoli ha inviato alcune lettere di smentita e di precisione ai giornali vari, tutte - finora - non pubblicate. Riproduciamo qui di seguilo la lettera inviata il 16 dicembre '90 al senatore verde Marco Boato, all'indirizzo di Palazzo Madama. Boato ha più volte dichiarato, in queste settimane, che il caso Bertoli resta un enigma, aggiungendo "non mi si venga poi a dire che Bertoli è un anarchico". La lettera di Bertoli a tutt'oggi non ha avuto riposta.


Egregio senatore Boato,
mi chiamo Gianfranco Bertoli e sono quel Bertoli che si rese responsabile, nel maggio'73, del tragico attentato davanti alla questura di Milano. So bene di non esserle "simpatico" e posso agevolmente supporre che il mio nome le susciti orrore e la tentazione di allinearsi, "una tantum", con tutti coloro che ritengono l'ergastolo una pena troppo mite e condividono l'aspirazione forlaniana ad un ripristino della pena di morte (magari solo "ad personam" purché con efficacia retroattiva).
Da parte mia non provo molto simpatia per la cosiddetta "classe politica" e nutro il forte sospetto che, non solo l'esercizio del potere ma anche la vicinanza fisica e la frequentazione quotidiana di coloro che lo detengono, possano indurre mutazioni psicologiche e caratteriali di tale portata da far degenerare le originarie doti di intelligenza in furbizia e quelle di onestà in conformismo ed ipocrisia. Tuttavia, ritenendo che ogni generalizzazione sia sempre arbitraria, non mi sono mai spinto fino ad escludere, a priori, l'esistenza di qualche singola eccezione. Tra queste, lo confesso, ho a lungo ipotizzato potesse rientrare anche lei, considerandola persona di notevole intelligenza e non priva di rettitudine morale.
E' per questo che mi ha notevolmente sconcertato e un po' "deluso" dover prendere atto del suo aver voluto abbracciare, per sostenerla con una ostinazione al limite della petulanza, l'assurda tesi secondo cui potrei avere avuto qualcosa a che fare con la struttura paramilitare di stato denominata "Gladio". Se lei (e chiunque altro avesse voluto farlo) si fosse prima curato di sapere qualcosa di tutta la storia della mia vita passata, e non limitato a bersi acriticamente la stupida solfa delle grottesche "rivelazioni" grafolate a suo tempo dai "media" e le elucubrazioni sofistiche supportate da traballanti paralogismi, dell'istruttoria Lombardi, non le sarebbe stato difficile rendersi conto dell'assoluta impossibilità, materiale e logica, di una mia appartenenza ad una organizzazione del genere.
Lei, signor senatore, ha tutto il diritto, se così le piace, di odiarmi e, detestandomi per quello che ho fatto, di volermi morto. Ma lei non ha, se vuole conservare il rispetto di se stesso, quello di accanirsi tanto pervicacemente in una azione di linciaggio morale e di sadismo psicologico che si protrae da oltre 17 anni nei confronti di un uomo (anche i criminali appartengono alla specie umana... o no?!) o difendersi, sul quale già grava il peso di un ergastolo ed ha subito, sulla propria pelle e per più anni, tutta la brutalità delle "carceri speciali".
Io, signor senatore Boato, esasperato com'ero da passate esperienze personali di sofferenza e di miseria e abbacinato dal mito di una "rivolta assoluta" che, allora, ritenevo sempre e comunque lecita e perfino doverosa, ho commesso un grave delitto ed un tragico errore. Ne ho pagato e ne sto tuttora pagando il prezzo, in termini di sofferenza fisica e morale. Non le basta? Quale "gratificazione" può darle ancora il suo ostinarsi a voler sottrarmi anche la personale dignità, riversandomi addosso sempre nuove e gratuite calunnie? Forse, così mi auguro, lei sta sbagliando in buona fede. Forse è lei stesso vittima di un abbaglio e dell'influenza inquinante di quella marea quotidiana di menzogne su cui si regge la debordiana "societé du spectacle". Se così è, se lei è veramente in buonafede, faccia appello alla sua onestà e utilizzi bene la sua intelligenza, per riflettere seriamente sulla questione. Si accorgerà che non c'è mai stato alcun "enigma" in tutta la mia vicenda e che se c'è qualcosa su cui si dovrebbe veramente indagare è il mistero relativo al come e perché ci sia sempre stato qualcuno a darsi tanto da fare per far trapelare false "indiscrezioni" e demenziali "rivelazioni" destinate a risolversi in "bolle di sapone" ma solo dopo aver contribuito a creare confusione e a suggerire false piste sulle quali, come levrieri in un cinodromo dietro ad una lepre di pezza, si sono lanciati un po' tutti (giornalisti, poliziotti e persino magistrati) a perder tempo e fatica ed a coprirsi di ridicolo.
"Cui prodest"?, a quale scopo vengo sistematicamente tirato in ballo senza alcun motivo? Lo si fa da anni. Lo si è fatto fin dal tempo della cosiddetta "Rosa dei venti", un bizzarro pasticcio del quale non sono riuscito a capire molto, ma col quale non ho mai avuto, neppur vagamente, a che fare. Eppure, ancor oggi, c'è chi (compreso il sommo "segregologo" De Lutiis) persiste a credere a quelle frottole e a propinarle agli altri.
Provi a pensarci sopra, signor senatore. Potrebbe valerne la pena.

Gianfranco Bertoli (carcere di Porto Azzurro)