Rivista Anarchica Online
Egregio senatore Boato
Nell'ambito delle numerose ricostruzioni giornalistiche
della recente storia italiana (con particolare riguardo agli "anni
di piombo"), stimolate dalle vicende Gladio/Solo/ecc., non sono
mancati riferimenti al tragico attentato commesso da Gianfranco
Bertoli davanti alla questura di Milano il 17 maggio 1973. Quando
nello scorso novembre iniziarono a comparire riferimenti a Bertoli
come "fascista", "eversore di destra", ecc., la
nostra redazione prese l'iniziativa di un comunicato-stampa (inviato
all'ANSA, a numerose testate giornalistiche ed in particolare ad
alcune - come "Il Manifesto" e "Avvenimenti" -
che avevano insistito su quella presunta connotazione politica di
Bertoli) che non è stato ripreso - per quanto ci risulta - da
nessuna pubblicazione (all'infuori di quelle anarchiche). Nelle
settimane successive è continuata, in varie forme e su
diverse testate, la ripetizione di presunte "verità,
e "rivelazioni" già smentite da oltre un
quindicennio. Dal carcere di Porto Azzurro, dove sta scontando
l'ergastolo, Bertoli ha inviato alcune lettere di smentita e di
precisione ai giornali vari, tutte - finora - non pubblicate.
Riproduciamo qui di seguilo la lettera inviata il 16 dicembre '90 al
senatore verde Marco Boato, all'indirizzo di Palazzo Madama. Boato
ha più volte dichiarato, in queste settimane, che il caso
Bertoli resta un enigma, aggiungendo "non mi si venga poi a
dire che Bertoli è un anarchico". La lettera di Bertoli a tutt'oggi non ha avuto
riposta.
Egregio senatore Boato, mi chiamo Gianfranco Bertoli e sono
quel Bertoli che si rese responsabile, nel maggio'73, del tragico
attentato davanti alla questura di Milano. So bene di non esserle
"simpatico" e posso agevolmente supporre che il mio nome
le susciti orrore e la tentazione di allinearsi, "una tantum",
con tutti coloro che ritengono l'ergastolo una pena troppo mite e
condividono l'aspirazione forlaniana ad un ripristino della pena di
morte (magari solo "ad personam" purché con
efficacia retroattiva).
Da parte mia non provo molto simpatia per la cosiddetta "classe
politica" e nutro il forte sospetto che, non solo l'esercizio
del potere ma anche la vicinanza fisica e la frequentazione
quotidiana di coloro che lo detengono, possano indurre mutazioni
psicologiche e caratteriali di tale portata da far degenerare le
originarie doti di intelligenza in furbizia e quelle di onestà
in conformismo ed ipocrisia. Tuttavia, ritenendo che ogni
generalizzazione sia sempre arbitraria, non mi sono mai spinto fino
ad escludere, a priori, l'esistenza di qualche singola eccezione.
Tra queste, lo confesso, ho a lungo ipotizzato potesse rientrare
anche lei, considerandola persona di notevole intelligenza e non
priva di rettitudine morale. E' per questo che mi ha notevolmente
sconcertato e un po' "deluso" dover prendere atto del suo
aver voluto abbracciare, per sostenerla con una ostinazione al
limite della petulanza, l'assurda tesi secondo cui potrei avere
avuto qualcosa a che fare con la struttura paramilitare di stato
denominata "Gladio". Se lei (e chiunque altro avesse
voluto farlo) si fosse prima curato di sapere qualcosa di tutta la
storia della mia vita passata, e non limitato a bersi acriticamente
la stupida solfa delle grottesche "rivelazioni" grafolate
a suo tempo dai "media" e le elucubrazioni sofistiche
supportate da traballanti paralogismi, dell'istruttoria Lombardi,
non le sarebbe stato difficile rendersi conto dell'assoluta
impossibilità, materiale e logica, di una mia appartenenza ad
una organizzazione del genere.
Lei, signor senatore, ha tutto il diritto, se così le
piace, di odiarmi e, detestandomi per quello che ho fatto, di
volermi morto. Ma lei non ha, se vuole conservare il rispetto di
se stesso, quello di accanirsi tanto pervicacemente in una azione di
linciaggio morale e di sadismo psicologico che si protrae da oltre
17 anni nei confronti di un uomo (anche i criminali appartengono
alla specie umana... o no?!) o difendersi, sul quale già
grava il peso di un ergastolo ed ha subito, sulla propria pelle e
per più anni, tutta la brutalità delle "carceri
speciali".
Io, signor senatore Boato, esasperato com'ero da passate esperienze
personali di sofferenza e di miseria e abbacinato dal mito di una
"rivolta assoluta" che, allora, ritenevo sempre e comunque lecita e
perfino doverosa, ho commesso un grave delitto ed un tragico errore.
Ne ho pagato e ne sto tuttora pagando il prezzo, in termini di
sofferenza fisica e morale. Non le basta? Quale "gratificazione"
può darle ancora il suo ostinarsi a voler sottrarmi anche la
personale dignità, riversandomi addosso sempre nuove e
gratuite calunnie? Forse, così mi auguro, lei sta
sbagliando in buona fede. Forse è lei stesso vittima di un
abbaglio e dell'influenza inquinante di quella marea quotidiana di
menzogne su cui si regge la debordiana "societé du
spectacle". Se così è, se lei è
veramente in buonafede, faccia appello alla sua onestà e
utilizzi bene la sua intelligenza, per riflettere seriamente sulla
questione. Si accorgerà che non c'è mai stato alcun
"enigma" in tutta la mia vicenda e che se c'è
qualcosa su cui si dovrebbe veramente indagare è il mistero
relativo al come e perché ci sia sempre stato qualcuno a
darsi tanto da fare per far trapelare false "indiscrezioni"
e demenziali "rivelazioni" destinate a risolversi in
"bolle di sapone" ma solo dopo aver contribuito a creare
confusione e a suggerire false piste sulle quali, come levrieri in
un cinodromo dietro ad una lepre di pezza, si sono lanciati un po'
tutti (giornalisti, poliziotti e persino magistrati) a perder tempo
e fatica ed a coprirsi di ridicolo.
"Cui prodest"?, a quale scopo vengo sistematicamente
tirato in ballo senza alcun motivo? Lo si fa da anni. Lo si è
fatto fin dal tempo della cosiddetta "Rosa dei venti", un
bizzarro pasticcio del quale non sono riuscito a capire molto, ma
col quale non ho mai avuto, neppur vagamente, a che fare. Eppure,
ancor oggi, c'è chi (compreso il sommo "segregologo"
De Lutiis) persiste a credere a quelle frottole e a propinarle agli
altri. Provi a pensarci sopra, signor senatore. Potrebbe valerne
la pena.
Gianfranco Bertoli
(carcere di Porto Azzurro)
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