Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 179
febbraio 1991


Rivista Anarchica Online

Movimento anarchico addio

Viviamo nel mutamento, ne siamo all'interno e ne siamo parte. Il mutamento ci esalta e ci opprime , allo stesso tempo. Vorremmo mutare e contemporaneamente sentiamo il bisogno di usare cautela. Tutto si muove, ma abbiamo di frequente la sensazione che nulla muti e le cose tendano a riproporsi in modo ripetitivo, imponendoci tragicamente una specie di immobilismo di sostanza, Ma sentiamo anche l'esigenza, che a volte ci appare impellente, di cambiare alle radici il sistema di cose presente, oppressivo e soffocante nel suo riproporcisi addosso. Da più parti si dice che il mondo sta cambiando velocemente, al punto da far piazza pulita di tutti i vecchi assetti politici, di tutti gli schemi consolidati, di tutte le certezze ideologiche. E ciò è un elemento di verità, anche se è vero solo in parte. Almeno perché, anche se si sta effettivamente verificando, non è una novità specifica di questo determinato periodo. Il mondo, da quando esiste come entità concettuale, è qualcosa in movimento, la cui caratteristica fondamentale è quella della non staticità, cioè del continuo e perpetuo mutamento, all'insegna di un equilibrio che viene dato dal non esser mai la cosa precedente, bensì qualcosa di diverso che, anche se ha e conserva caratteristiche di quelle cose che l'hanno preceduta, ha acquisito nuove e specifiche peculiarità che la fanno unica e irripetibile. Così il mutamento in atto va visto e inquadrato all'interno del mutamento continuo e strutturale che caratterizza l'andamento del mondo, nel suo esserci e perpetuarsi. La comprensione di questo fatto è indispensabile, perché il non capirlo e non percepirlo porta come conseguenza a non essere in sintonia con gli accadimenti. Vuol dire autoescludersi dalla possibilità di essere presenti, in modo attivo, all'interno della dinamica degli accadimenti stessi. Perché gli accadimenti continuano ad avvenire, indipendentemente che vi siamo presenti oppure no. Per chi si ritiene anarchico, ai miei occhi, questa mancanza è particolarmente grave. Che ne sia consapevole o meno, l'anarchico aderisce a una visione delle cose che, in quanto tale, dovrebbe esprimere il massimo della dinamicità. Auspica infatti la realizzazione della maggior apertura e libertà possibile, le quali, se pur trovano un corrispettivo nella concretezza dell'esser pratico, poi diventano il massimo dell'astrattezza e della chiusura mentale. Purtroppo ho la convinzione, in cuor mio divenuta certezza, che il movimento anarchico da troppo tempo abbia il fiato corto. Mentre accusa di esser rifiutato e non capito, sembra più che altro non voler capire testardamente cosa gli sta capitando attorno. Sembra illudersi che le cose non si muovano, perché le vive legate a schemi non più in grado di interpretarle. Nella sua presunzione teorica, ha cristallizzato un'ipotesi di cambiamento collocato in un certo punto della storia e l'ha eretto ad assioma immutabile, oltre la storia e oltre il tempo, non intaccabile da ciò che poi succede nella realtà. Ha sostituito al dio della metafisica monoteista un dio della metafisica interpretativa della materia. A questo dio, che si è auto-prodotto, ha delegato, con uno spirito di dedizione totale che puzza di misticismo, le sicurezze della sua visione del mondo. Come tutti i mistici, magari senza volerlo, si proietta verso la catarsi e... attende il momento risolutore della liberazione. Intanto, suo malgrado, il mondo continua a procedere e a mutarsi. Al punto in cui siamo, mi sento di sostenere con forza il paradosso, solo apparente, che per conservare un'indipendenza individuale anarchica è ormai impossibile identificarsi nel movimento politico che continua a portare questo nome. Lo scorrere dinamico degli avvenimenti nel tempo, visto dagli esseri umani attraverso l'interpretazione storica, ha praticamente annullato tutta una serie di illusioni strategiche su cui si è fondata la sinistra tradizionale, compresi gli anarchici. Che la rivoluzione insurrezionale sia di per sé in grado di mettere in moto un'evoluzione sociale capace di realizzare libertà, uguaglianza e fraternità. Che il capitalismo, inteso come sistema di produzione e di relazioni economiche, stesse subendo un declino inevitabile ed inarrestabile, mentre si è dimostrato portatore di un vitalismo e una duttilità mai posseduta sinora da nessun altro sistema strutturale. Che la consapevolezza di classe, cioè l'essere consci di appartenere a classi e categorie sociali sottoposte e sfruttate dai vari padroni di turno, fosse per le masse un incentivo sufficiente a rifiutare il loro stato e a porsi, di conseguenza, il problema della necessità di un cambiamento emancipatorio. Mi fermo a questi punti che ritengo fondanti, anche perché l'elenco rischierebbe di risultare eccessivamente lungo. Oltre ogni illusione e sogno, questi postulati, vissuti il più delle volte come veri e propri assiomi, sono inesorabilmente crollati sotto i colpi infallibili degli eventi: con essi sono crollate tutte le ipotesi strategiche che vi si facevano. Per amor di chiarezza, vorrei sottolineare che sono crollate le ipotesi strategiche, non i principi fondati che permettono un'identificazione etica e teorica. In altre parole, sono risultate impraticabili le strade supposte a suo tempo per pervenire all'ipotesi utopica, cioè l'anarchia, mentre, a mio avviso, rimane realistica e auspicabile il tipo di società proposta dalle teorie anarchiche. Si tratta di vedere come e se è possibile e fattibile incamminarsi su una strada capace di portarvici, dal momento che quella finora pensata, di fronte all'evidenza delle cose accadute nel mondo, è risultata del tutto inadatta, se non addirittura deviante. Il problema del movimento, che continua a dirsi anarchico, è che non riesce a muoversi, soprattutto perché non lo vuole. Ufficialmente è ancora portatore dell'ipotesi strategica classica: l'abolizione dello stato attraverso il suo abbattimento per mezzo di rivoluzione insurrezionale condotta dalle masse, in cui gli anarchici farebbero la parte dell'avanguardia cosciente, non politica, per carità, ma "culturale" e incentivante; al posto dello stato, dopo il suo abbattimento, si instaurerebbe, vien da dire per incanto, una situazione sociale completamente autogestita, senza strutture gerarchiche, senza capi, senza potere di preti ecc. ecc... Ripetuta a se stessi, soprattutto se predisposti, la favola è ancora bella. Ma, ahimè!, ha perduto il suo fascino e, quasi sicuramente, ormai non riesce più a incantare se non una piccolissima parte degli stessi anarchici.
Perché allora continuare a riproporla? Il dramma è che, se non da parte di alcuni, non viene neanche più riproposta. Ma non viene neppure abbandonata né negata. Anzi, se qualcuno prova a farlo, è quasi immediato un insorgere di scudi a difesa del sacro, cioè delle verità strategiche messe sul tappeto nell'ottocento. Per il resto non viene proposto nulla, se non negazioni e dinieghi riguardo a qualsiasi cosa. Cosicché il movimento sedicente anarchico si trova nel ridicolo di una situazione per cui sa solo che non vuole niente, se non, forse, la lontanissima anni luce Anarchia, società senza autorità costituita e bla, bla, bla. Ma viene spontaneo il parallelo con i millenaristi, che negavano totalmente la situazione materiale dell'oggi e volevano distruggere tutto in funzione di un domani luminoso che sarebbe piombato addosso dal cielo. Quello che continua a definirsi movimento anarchico, in cui fra l'altro mi sono riconosciuto appassionatamente per vent'anni della mia esistenza, mi sembra oggi più un residuato storico che qualsiasi altra cosa. Un tempo è stato anche glorioso ma ora sta ampiamente agonizzando, incapace sia di morire, come sarebbe nella realtà delle cose, sia di rinnovarsi, come sarebbe indispensabile per continuare a esistere vivendo, palpitando di idee e di operatività. Comunque sia, sono sempre più convinto che il suo trascinarsi non sia funzionale né a se stesso né all'anarchia, la quale non ha certamente bisogno di immobilismo sclerotico per tentare l'agognante realizzazione. Il mondo continua a mutare, a riproporsi, a ridisegnare, in bene o in male, dipendente dall'angolatura prospettica con cui lo si guarda e, è ora di cominciare ad ammetterlo, ogni angolatura è legittima. Le masse, le genti, i popoli, le classi sociali, anche quando si rivoltano, in modo più o meno radicale, non mostrano di volere con la consapevolezza indispensabile una situazione collettiva che in qualche modo possa richiamarsi all'anarchia. C'è sostanziale consenso, o perlomeno assenza di dissenso, alle istituzioni e all'etica vigenti. C'è pure una continua richiesta di maggior giustizia sociale e di maggior uguaglianza, come c'è una crescente insoddisfazione nei confronti dell'operato dello stato e una progressiva delegittimazione nei confronti dei partiti. Ma queste cose sono endemiche, tipiche delle società attuali. Manca del tutto una proposizione anarchica capace di aumentare il livello della coscienza collettiva per desiderare una società del tipo che vorremmo. La continua riproposizione in negativo, all'insegna della pura disfunzione del presente, del suo abbattimento violento, senza il minimo accenno a una possibilità concreta di costruzione alternativa, demandata al poi, come se, eliminate le strutture cattive, quasi per un colpo fatale di bacchetta magica, tutto il bene, dal punto di vista anarchico, si potesse imporre da solo, sa soltanto di ingenuo nichilismo, sorretto fra l'altro da una visione manichea che si collega a concezioni altamente moralistiche.
Per me il movimento sedicente anarchico non è più uno stimolo di appartenenza per gli anarchici che non vogliono sentirsi fossili. Mi rendo conto che le mie affermazioni sono particolarmente forti, anche se non ho intenzione di offendere nessuno. Ma esse sono l'esposizione reale di quello che sento. Non trovo giusto mitigarle perché qualche orecchio potrebbe sentirsi urtato. D'altronde non c'è nessuna acredine e nessun attacco personale verso compagni con cui lavoro da decenni, verso molti dei quali provo profonda stima ed affetto. Mi rendo anche conto che non pongo soluzioni; ma questa è una vecchia storia. Anche il movimento anarchico non pone soluzioni, eppure ugualmente e giustamente tenta di alzare la voce per farsi sentire, per mettere in mostra il negativo che vede e non vorrebbe. Come si può notare, non mi sono ancora liberato da questo vizio di fondo.

Andrea Papi (Bertinoro)