Rivista Anarchica Online
Movimento anarchico addio
Viviamo nel mutamento,
ne siamo all'interno e ne siamo parte. Il mutamento ci esalta e ci
opprime , allo stesso tempo. Vorremmo mutare e contemporaneamente
sentiamo il bisogno di usare cautela. Tutto si muove, ma abbiamo di
frequente la sensazione che nulla muti e le cose tendano a
riproporsi in modo ripetitivo, imponendoci tragicamente una specie
di immobilismo di sostanza, Ma sentiamo anche l'esigenza, che a
volte ci appare impellente, di cambiare alle radici il sistema di
cose presente, oppressivo e soffocante nel suo riproporcisi addosso.
Da più parti si
dice che il mondo sta cambiando velocemente, al punto da far piazza
pulita di tutti i vecchi assetti politici, di tutti gli schemi
consolidati, di tutte le certezze ideologiche. E ciò è
un elemento di verità, anche se è vero solo in
parte. Almeno perché, anche se si sta effettivamente
verificando, non è una novità specifica di questo
determinato periodo. Il mondo, da quando esiste come entità
concettuale, è qualcosa in movimento, la cui caratteristica
fondamentale è quella della non staticità, cioè
del continuo e perpetuo mutamento, all'insegna di un equilibrio che
viene dato dal non esser mai la cosa precedente, bensì
qualcosa di diverso che, anche se ha e conserva caratteristiche di
quelle cose che l'hanno preceduta, ha acquisito nuove e specifiche
peculiarità che la fanno unica e irripetibile. Così il
mutamento in atto va visto e inquadrato all'interno del mutamento
continuo e strutturale che caratterizza l'andamento del mondo, nel
suo esserci e perpetuarsi. La comprensione di questo fatto è
indispensabile, perché il non capirlo e non percepirlo porta
come conseguenza a non essere in sintonia con gli accadimenti. Vuol
dire autoescludersi dalla possibilità di essere presenti, in
modo attivo, all'interno della dinamica degli accadimenti stessi.
Perché gli accadimenti continuano ad avvenire,
indipendentemente che vi siamo presenti oppure no. Per chi si
ritiene anarchico, ai miei occhi, questa mancanza è
particolarmente grave. Che ne sia consapevole o meno, l'anarchico
aderisce a una visione delle cose che, in quanto tale, dovrebbe
esprimere il massimo della dinamicità. Auspica infatti la
realizzazione della maggior apertura e libertà possibile, le
quali, se pur trovano un corrispettivo nella concretezza dell'esser
pratico, poi diventano il massimo dell'astrattezza e della chiusura
mentale. Purtroppo ho la convinzione, in cuor mio divenuta certezza,
che il movimento anarchico da troppo tempo abbia il fiato corto. Mentre accusa di esser
rifiutato e non capito, sembra più che altro non voler capire
testardamente cosa gli sta capitando attorno. Sembra illudersi
che le cose non si muovano, perché le vive legate a schemi
non più in grado di interpretarle. Nella sua presunzione
teorica, ha cristallizzato un'ipotesi di cambiamento collocato in un
certo punto della storia e l'ha eretto ad assioma immutabile, oltre
la storia e oltre il tempo, non intaccabile da ciò che poi
succede nella realtà. Ha sostituito al dio della
metafisica monoteista un dio della metafisica interpretativa della
materia. A questo dio, che si è auto-prodotto, ha delegato,
con uno spirito di dedizione totale che puzza di misticismo, le
sicurezze della sua visione del mondo. Come tutti i mistici, magari
senza volerlo, si proietta verso la catarsi e... attende il momento
risolutore della liberazione. Intanto, suo malgrado, il mondo
continua a procedere e a mutarsi. Al punto in cui siamo, mi sento di
sostenere con forza il paradosso, solo apparente, che per
conservare un'indipendenza individuale anarchica è ormai
impossibile identificarsi nel movimento politico che continua a
portare questo nome. Lo scorrere dinamico degli avvenimenti nel
tempo, visto dagli esseri umani attraverso l'interpretazione
storica, ha praticamente annullato tutta una serie di illusioni
strategiche su cui si è fondata la sinistra tradizionale,
compresi gli anarchici. Che la rivoluzione insurrezionale sia di per
sé in grado di mettere in moto un'evoluzione sociale capace
di realizzare libertà, uguaglianza e fraternità. Che
il capitalismo, inteso come sistema di produzione e di relazioni
economiche, stesse subendo un declino inevitabile ed
inarrestabile, mentre si è dimostrato portatore di un
vitalismo e una duttilità mai posseduta sinora da nessun
altro sistema strutturale. Che la consapevolezza di classe, cioè
l'essere consci di appartenere a classi e categorie sociali
sottoposte e sfruttate dai vari padroni di turno, fosse per le masse
un incentivo sufficiente a rifiutare il loro stato e a porsi, di
conseguenza, il problema della necessità di un cambiamento
emancipatorio. Mi fermo a questi punti che ritengo fondanti, anche
perché l'elenco rischierebbe di risultare eccessivamente
lungo. Oltre ogni illusione e sogno, questi postulati, vissuti il
più delle volte come veri e propri assiomi, sono
inesorabilmente crollati sotto i colpi infallibili degli eventi: con
essi sono crollate tutte le ipotesi strategiche che vi si
facevano. Per amor di chiarezza, vorrei sottolineare che sono
crollate le ipotesi strategiche, non i principi fondati che
permettono un'identificazione etica e teorica. In altre parole, sono
risultate impraticabili le strade supposte a suo tempo per pervenire
all'ipotesi utopica, cioè l'anarchia, mentre, a mio avviso,
rimane realistica e auspicabile il tipo di società proposta
dalle teorie anarchiche. Si tratta di vedere come e se è
possibile e fattibile incamminarsi su una strada capace di
portarvici, dal momento che quella finora pensata, di fronte
all'evidenza delle cose accadute nel mondo, è risultata del
tutto inadatta, se non addirittura deviante. Il problema del
movimento, che continua a dirsi anarchico, è che non riesce a
muoversi, soprattutto perché non lo vuole. Ufficialmente è
ancora portatore dell'ipotesi strategica classica: l'abolizione
dello stato attraverso il suo abbattimento per mezzo di
rivoluzione insurrezionale condotta dalle masse, in cui gli
anarchici farebbero la parte dell'avanguardia cosciente, non
politica, per carità, ma "culturale" e
incentivante; al posto dello stato, dopo il suo abbattimento, si
instaurerebbe, vien da dire per incanto, una situazione sociale
completamente autogestita, senza strutture gerarchiche, senza capi,
senza potere di preti ecc. ecc... Ripetuta a se stessi, soprattutto
se predisposti, la favola è ancora bella. Ma, ahimè!,
ha perduto il suo fascino e, quasi sicuramente, ormai non riesce più
a incantare se non una piccolissima parte degli stessi
anarchici. Perché allora continuare a riproporla? Il
dramma è che, se non da parte di alcuni, non viene neanche
più riproposta. Ma non viene neppure abbandonata né
negata. Anzi, se qualcuno prova a farlo, è quasi immediato un
insorgere di scudi a difesa del sacro, cioè delle verità
strategiche messe sul tappeto nell'ottocento. Per il resto non viene
proposto nulla, se non negazioni e dinieghi riguardo a qualsiasi
cosa. Cosicché il movimento sedicente anarchico si trova nel
ridicolo di una situazione per cui sa solo che non vuole niente, se
non, forse, la lontanissima anni luce Anarchia, società senza
autorità costituita e bla, bla, bla. Ma viene spontaneo il
parallelo con i millenaristi, che negavano totalmente la situazione
materiale dell'oggi e volevano distruggere tutto in funzione di
un domani luminoso che sarebbe piombato addosso dal cielo. Quello
che continua a definirsi movimento anarchico, in cui fra l'altro mi
sono riconosciuto appassionatamente per vent'anni della mia
esistenza, mi sembra oggi più un residuato storico che
qualsiasi altra cosa. Un tempo è stato anche glorioso ma ora
sta ampiamente agonizzando, incapace sia di morire, come sarebbe
nella realtà delle cose, sia di rinnovarsi, come sarebbe
indispensabile per continuare a esistere vivendo, palpitando di idee
e di operatività. Comunque sia, sono sempre più
convinto che il suo trascinarsi non sia funzionale né a se
stesso né all'anarchia, la quale non ha certamente bisogno
di immobilismo sclerotico per tentare l'agognante
realizzazione. Il mondo continua a mutare, a riproporsi, a
ridisegnare, in bene o in male, dipendente dall'angolatura
prospettica con cui lo si guarda e, è ora di cominciare ad
ammetterlo, ogni angolatura è legittima. Le masse, le
genti, i popoli, le classi sociali, anche quando si rivoltano, in
modo più o meno radicale, non mostrano di volere con la
consapevolezza indispensabile una situazione collettiva che in
qualche modo possa richiamarsi all'anarchia. C'è sostanziale
consenso, o perlomeno assenza di dissenso, alle istituzioni e
all'etica vigenti. C'è pure una continua richiesta di maggior
giustizia sociale e di maggior uguaglianza, come c'è una
crescente insoddisfazione nei confronti dell'operato dello stato e
una progressiva delegittimazione nei confronti dei partiti. Ma
queste cose sono endemiche, tipiche delle società attuali.
Manca del tutto una proposizione anarchica capace di aumentare il
livello della coscienza collettiva per desiderare una società
del tipo che vorremmo. La continua riproposizione in negativo,
all'insegna della pura disfunzione del presente, del
suo abbattimento violento, senza il minimo accenno a una
possibilità concreta di costruzione alternativa, demandata al
poi, come se, eliminate le strutture cattive, quasi per un colpo
fatale di bacchetta magica, tutto il bene, dal punto di vista
anarchico, si potesse imporre da solo, sa soltanto di ingenuo
nichilismo, sorretto fra l'altro da una visione manichea che si
collega a concezioni altamente moralistiche. Per me il movimento
sedicente anarchico non è più uno stimolo di
appartenenza per gli anarchici che non vogliono sentirsi fossili. Mi
rendo conto che le mie affermazioni sono particolarmente forti,
anche se non ho intenzione di offendere nessuno. Ma esse sono
l'esposizione reale di quello che sento. Non trovo giusto mitigarle
perché qualche orecchio potrebbe sentirsi urtato. D'altronde
non c'è nessuna acredine e nessun attacco personale verso
compagni con cui lavoro da decenni, verso molti dei quali provo
profonda stima ed affetto. Mi rendo anche conto che non pongo
soluzioni; ma questa è una vecchia storia. Anche il movimento
anarchico non pone soluzioni, eppure ugualmente e giustamente tenta
di alzare la voce per farsi sentire, per mettere in mostra il
negativo che vede e non vorrebbe. Come si può notare, non mi
sono ancora liberato da questo vizio di fondo. Andrea
Papi (Bertinoro)
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