Rivista Anarchica Online
Ombre di verità
di Salvo Vaccaro
"Ciò che la lue ha risparmiato viene
devastato dalla stampa. In futuro sarà possibile stabilire
con certezza la causa dei rammollimenti cerebrali". Lo sferzante aforisma è di Karl Kraus.
Siamo arrivati a questo punto? Il giudizio è
ancora attuale o pecca di "ottimismo"? Sulla sua scia il nostro collaboratore Salvo Vaccaro
mette a nudo il mondo dei "media" soffermandosi sui suoi
elementi costitutivi e le sue finzioni allucinanti.
Chi volesse confutare in un articolo l'esistenza
della libertà di stampa in Italia cadrebbe da solo in un
bel paradosso, poiché la pubblicazione di tale articolo,
supponiamo veementemente critico, sarebbe la migliore prova
contro... la veridicità dell'articolo stesso. Né il
fatto che un tale articolo sia pubblicato, poniamo, su una rivista
dal raggio di diffusione limitato, invece che, mettiamo, su
"L'Espresso" - settimanale a larga tiratura e, nelle
pretese, imbonitore di opinioni "radicali" - mitigherebbe
l'effetto paradossale grazie alla seria obiezione relativa alle
condizioni concrete che rendono possibile una libertà
effettiva di diffusione di pensiero libero e critico; infatti; non è
raro osservare sulle colonne del medesimo settimanale, tra quintali
di piombo sprecati per articoli "rosa effimero" e metri
quadri di carta sfruttati per pubblicità, una rubrica
intelligente di "perle" della stampa cosiddetta libera e
democratica: "Blackout", infatti, collezione di "storture
fisiologiche" nel sistema informativo, fa dubitare pienamente
del grado di libertà, spirito critico e originalità
riflessiva delle idee espresse, confermando quanto asseriva Karl
Kraus ad inizio di secolo: "Non avere un pensiero e saperlo
esprimere - è questo che fa di uno un
giornalista". Informazione e mezzi di comunicazione (di
massa o meno) non sono sinonimi. La prima è una risorsa
astratta, vaga, coestensiva a tutti (tutti possiedono informazioni,
tutti possono informare qualcuno di qualcosa in qualche modo, tutti
possono essere informati di qualcosa); eppure, l'informazione
comunemente intesa è già una elaborazione di
secondo grado, un taglio particolare di cattura e di lettura
di un dato digerito, di un evento affatto "grezzo",
che sono tali se manipolati dall'informazione. Un qualunque evento,
infatti, diventa tale per i media solo se presente nell'elaborazione
datane dal sistema informativo; senza tale manipolazione (ed il
termine adoperato non vuole registrare alcuna connotazione
moralistica in cui entrino considerazioni di buona o mala fede),
l'evento è semplicemente assente, inesistente, irrilevante,
non comunicabile nei canali informativi, talvolta messo in dubbio,
non legittimato ad ottenere la dignità di essere evento
riconosciuto senza bisogno di "imprimatur", inficiato
della sua pregnanza pure presso coloro che ne sono protagonisti o
testimoni diretti. I processi kafkiani ne sono un esempio, e, in
sedi in cui tali dati veritieri subiscono trattamenti particolari,
manipolazioni significative non solo sul loro senso ma anche sulla
loro stessa esistenza (per esempio in sedi giudiziarie e
psichiatriche dove predominano logiche inquisitoriali), la loro
negazione conferma il carattere di sussunzione operato sul dato o
sull'evento all'interno di griglie costitutive del sistema,
provocando presso protagonisti e testimoni diretti traumi psichici e
comportamentali non indifferenti. Ciò mostra come la regola
di adeguazione della realtà con la sua rappresentazione non è
valida neanche nell'informazione: "i giornali hanno con la vita
all'incirca lo stesso rapporto che hanno le cartomanti con la
metafisica". Altra cosa sono i mezzi di comunicazione,
deputati a svolgere il ruolo e la funzione di tale elaborazione
manipolativa: nella loro concretezza, essi hanno il margine di
organizzare tale funzione in gradienti più o meno
differenziati, secondo determinati livelli tecnologici e
organizzativi che presiedono la razionalità di fondo del
funzionamento del sistema informativo (o dis-informativo, come si
vuole).
Unico antidoto
Una riflessione approfondita sui livelli di
razionalità del sistema ci porterebbe su piani di discussione
fuori luogo in questa sede. E' sufficiente suggerire l'ipotesi che
l'informazione diviene, in questo mondo, "mercificata" al
pari di altre risorse, avvertendo che il termine "mercificazione",
oggi e per questo ambito, va ben al di là di ciò che
intendeva affermare Marx, e cioè spoliazione di un bene,
effetto di alienazione, scissione del contenuto di verità ed
eticità, includendo nei fatti strategie di regolamentazione,
di disciplinamento, di controllo indiretto. Ne sono testimonianze le
attenzioni assidue alla materia da parte di settori
finanziario-capitalistici, più dediti alla ricerca di
profitto, per i quali, tuttavia, il controllo dell'informazione è
essenziale non tanto per la propria immagine da promuovere e
salvaguardare, come erroneamente si ritiene, bensì proprio
per il profitto, seppure in maniera obliqua e indiretta, in altri
settori. Sul piano organizzativo, infatti, il mondo dei "media"
è balzato sul podio del quarto potere ormai da tempo, con
ciò dimostrando gli enormi interessi coalizzati e trainati,
l'enorme bacino di utenza raggiunto, l'enorme sfera di influenza
accumulata. Proprio la dismisura del sistema mediatico,
però, sembra essere il migliore antidoto rinvenibile, almeno
sino ad oggi. Contrariamente ai paladini entusiasti del pluralismo e
della concorrenza competitiva quali generatori di diversità e
libertà (sic!), è la dismisura a indebolire
le effettive potenzialità di dominio dei media - quelle
temute ed estremizzate da Orwell nel suo "1984" - vuoi per
via dei miti che si auto-illudono di loro stessi crollando come
miseri castelli di sabbia, vuoi per via della dimensione rarefatta
in cui vengono recitate le "telenovele" dei fatti inerenti
al sistema, vuoi per via dell'insostenibile costo tecnologico per
perseguire e realizzare perpetuamente i sogni di dominio
onnisciente e onnipotente, vuoi per via della paranoia narcisistica
che spesso colpisce i vari dottor Strangelove presenti in esso. Il
dominio del quarto potere non è totalizzante e definitivo,
seppure tutto sembri congiurare per fornire questo trompe l'oeil:
una gigantesca operazione di simulazione preventiva, volta a
dissuadere dal mettere in dubbio l'operatività effettiva del
suo dominio ricercando crepe, ricercando margini esclusi, ricercando
ambiti sottratti alla cappa annichilente, ricercando modalità
comunicative estranee al sistema stesso. In fin dei conti, come
tutti i poteri, il quarto potere dissimula il vero volto di sé
per non confessare squallore, miserie e povertà che
frantumerebbero sogni di delirio di un mondo spettacolare (come la
televisione) e tutto volto alla gloria immortale
dell'intellettuale-opinion maker (sulla stampa) inconsapevolmente
degradato, malgré lui, ad altoparlante di idee
pre-confezionate altrove : "la parola scritta dovrebbe essere
il farsi corpo di un pensiero secondo la necessità
naturale e non l'involucro di un'opinione secondo l'opportunità
sociale".
Invisibile per troppa visibilità
In riferimento al quarto potere, è
sufficiente ricordare come il sistema informativo è uno dei
gangli essenziali, non più però del sistema fiscale
e monetario, o dei sistemi disciplinari (istituzioni in senso lato)
e di controllo (oppressivi e repressivi). E' bene disilludersi,
infatti, dal mito di un conflitto rilevante nel mondo dell'etere e/o
della carta stampata che influenzerebbe corsi e ricorsi di popoli e
di politiche statali. Meglio ipotizzare, invece, l'etere e la
suddetta carta stampata come spazi conflittuali dove vengono
talvolta simulati, talaltra giocati per davvero reali scontri di
potere, in cui, quasi sempre, le poste in palio sfuggono alla
intelligibilità, alla percezione e comprensione dei cronisti
- letteralmente, coloro che rendono conto - senza andare al di là
del proprio naso. E ciò non per incapacità (sebbene
ricordi Kraus: "ci sono imbecilli superficiali e imbecilli
profondi", ma in questo contesto non è rilevante),
quanto perché è 1o spazio in cui agiscono ad essere
opaco in se stesso, e quindi chiuso, ostruito, refrattario,
impermeabile dall'interno a reali operazioni di scavo in profondità
di ciò che avviene, in un linguaggio secondo, sotto le
righe (e non dietro le righe, dove si ritrovano altre righe...).
Difficilmente, chi è talmente vicino ad un elefante, lo vede
nella sua interezza, ma solo in un particolare infimo che per giunta
estrae imprudentemente e generalizza scorrettamente come se quel
piccolo particolare fosse la totalità oppure fosse possibile
ricostruirla globalmente a partire da un particolare qualunque. Non
è infrequente, del resto, il caso che vede il sistema
informativo usato per lanciare oscuri e inquietanti messaggi
privati, per depistare ipotesi di ricerca, per mettersi
istrionicamente in mostra, oppure, come nella "Lettera rubata"
di Edgar Allan Poe, per mettere a fuoco un qualcosa sino a farlo
sfumare o a renderlo invisibile per la troppa visibilità. La
strumentalizzazione dei media, comunque, favorita dalla mania di
protagonismo ridicolo dei suoi partecipanti, quasi sempre è
incontrollabile dagli operatori del sistema, e la soluzione del
paradosso consisterebbe, come suggerito più volte durante il
periodo degli "anni di piombo", nell'auto-negazione del
sistema stesso: il suicidio dell'informazione, ovvero staccare la
spina. Il sistema informativo, anche quando sembra anticipare
eventi o notizie inaccessibili o riservate all'opinione pubblica -
altra grossa astrazione vaga, nonché esito storicamente
borghese della costituzione del quarto potere, come dire che è
questo a creare quella, e non quest'ultima ad essere fedelmente
informata e registrata da quello - in realtà il sistema
posticipa frammenti di senso, ombre di verità,
simulacri di cose reali, compiendo il madornale errore di collegarle
in una linearità di significato (a posteriori,
appunto) che nel migliore dei casi è una banale tautologia,
mentre nel peggiore spaccia il tutto così ricostruito (ad
usum delphini) per verità, mentre avvertivano già
i sociologi critici della scuola di Francoforte, solo nel frammento
è depositato un granello di verità, perché in
questo mondo statual-borghese la verità è finzione, la
totalità è inganno, la salvaguardia del piccolo
tassello di verità è il miglior antidoto
all'omogeneizzazione delle coscienze, e già questo dovrebbe
essere sufficiente per il giudizio critico. Ma scendiamo nel
concreto, presentando alcuni caratteri contingenti, odierni, della
"libertà di stampa".
Sinergia di poteri La concentrazione delle proprietà editoriali
non è un fenomeno inedito, sia nel sistema informativo che
in ambiti economici più in genere. Nuovo casomai è il
contesto, sul quale si innervano effetti devastanti non tanto sul
piano dei grossi profitti accumulati da pochi anziché da
molti, quanto soprattutto per il fatto che quei pochi sono i
"soliti" pochi che detengono posizioni di oligopolio o
monopolio anche in settori non editoriali. Agnelli (Rizzoli-Corriere
della Sera), Berlusconi (Canale 5, Retequattro, Italia 1 e
indirettamente Il Giornale e le prime pay-tv italiane Tele +l, +2 e
+3), De Benedetti (Mondadori, La Repubblica e L'Espresso), Gardini
(Telemontecarlo e Il Messaggero), tanto per citarne quattro tra i
grossi privati (il polo pubblico è la RAI nella
radio-televisione ed i partiti politici nella stampa), sono pure i
detentori di economie smisurate rispetto alla sfera sia
privata che pubblica (rispettivamente, Fiat, monopolista italiano
dell'auto protetto dalle leggi di quello stato bistrattato dalle
invettive di Romiti; Fininvest, vale a dire il più grosso
raccoglitore di pubblicità in Italia; Olivetti, re nostrano
dell'informatica; Ferruzzi, padrone della chimica inquinante). I1
principale effetto è che la sinergia di poteri in vari
ambienti rafforza la capacità economica e tecnologica di
selezione, scrematura e addirittura di accesso al mercato
informativo; in altri termini, la concentrazione alza il costo del
biglietto d'ingresso nel "club dell'informazione", in modo
da spazzare a priori qualsiasi tentativo non gradito e non benedetto
dai padroni. E tale è la parabola che ha segnato la fine dei
circuiti alternativi di radio e cineclub, strozzati dalla
concentrazione tecnologica che ha occupato selvaggiamente l'etere,
nel primo caso, e della concentrazione distributiva, nel secondo. La
connessione pubblicità-informazione è un altro esempio
devastante, sia per le risorse accumulate e trasferite sul piano
tecnologico e organizzativo, sia per gli effetti distorsivi prodotti
sul piano dell'acquisizione di informazioni, sempre meno liberamente
accessibili e sempre più condizionate dal contraccambio
pubblicitario. In pratica, i fringe benefits offerti da
società comprano la tenuta deontologica del professionista
che dovrebbe parlare "obiettivamente" di queste, i confini
di separazione tra informazione e pubblicità inerente ad un
medesimo oggetto (sia esso bene di mercato o personaggio pubblico o
processo economico) si fanno vagamente labili sino a confondersi,
così come la possibilità di trasmettere notizie
autonomamente dall'esterno e vedersele recepite dagli organi di
informazione viene a legarsi alla compravendita di spazi
pubblicitari, ottenendo uno scambio trasversale equivalente allo
scambio politico clientelare del "do ut des". Per non
parlare poi del deprecabile uso di cercare notizie di ordine
economico-imprenditoriali direttamente presso gli addetti e gli
uffici stampa delle imprese medesime... Sul piano più
strettamente legato alla casistica di effetti distorsivi e perversi
della "stampa libera", ciascun lettore può
portare contributi ed esperienze personali, dettate da osservazioni
cui non sfugge nessun organo d'informazione: il gioco ambiguo tra
fatto e commento, laddove risulta, da un lato, inapplicabile la
perfetta scissione propugnata da un mitico modello anglosassone tra
i due poli, poiché ogni fatto, banale in sé, viene
raccontato in quanto filtrato e selezionato, e la selezione è
il migliore commento speciale in relazione al non-detto;
dall'altro, l'analisi, spesso vincolata a schemi e linee editoriali,
contraddice il buonsenso del fatto a danno di quest'ultimo,
dissimulato e diluito in piccole dosi parziali dentro il pezzo o
relegato in spazi non di rilievo. Poi, la strategia dei fondi
editoriali, la distribuzione dello spazio ove collocare notizie e
commenti, riprese e smentite, l'uso dei titoli, occhielli, ecc., la
disinvoltura della notizia non verificata, l'ossequio indecente per
le veline dell'autorità costituita, l'indulgenza per le bugie
palesi di regime, l'adulazione per i potenti, i solenni requiem
funebri per statisti... da quattro soldi, e via continuando su
questa onda.
Disinformazione di regime "Censura e giornale - come potrei non
decidermi in favore della prima? La censura può sopprimere la
verità per un certo tempo, togliendole la parola. Il giornale
sopprime costantemente la verità in quanto le dà delle
parole. La censura non danneggia né la verità né
la parola; il giornale entrambe" (K. Kraus). L'architettura
tramata della disinformazione di regime è uno degli impegni
prediletti dell'impegno politico di Noam Chomsky, che ha
sbugiardato, con messe di fatti a carico, quel giornalismo
statunitense - che pure ha prodotto Watergate e l'impeachment del
presidente Nixon, anche se dietro ad una cordata di potere avversa -
a torto ritenuto il più sano del mondo, come se non fosse
bastata la visione di Citizen's Kane di Orson Wells nel
lontano 1941. Sarebbe sufficiente adottare gli occhiali utilizzati
da Chomsky per la guerra del Vietnam e in genere per la politica
estera statunitense (si veda l'utile La quinta libertà,
Eleuthera, Milano, 1986) in relazione a italiche vicende più
o meno "segrete" che angosciano i benpensanti nostrani
legati nostalgicamente a valori puri costituzionali: peccato che
fingano di dimenticare le reali vicende che diedero luogo
alla Costituzione, o alla adesione italiana alla Nato, con i
protocolli segreti attestanti un sub-legame militare estero oltre
quello pubblicizzato. Va anche considerato come l'inflazione di
informazione facilita l'assenza di memoria storica (pure rivolta
a qualche ora prima): un evento incalza l'altro, lo spettacolo detta
legge e, soprattutto, ritmi all'informazione (guai se un fatto
avviene fuori orario dei telegiornali o delle edizioni dei
quotidiani: il suo impatto informativo perde grande efficacia, al
punto che è stato anche notato come la mafia avesse compiuto
i suoi omicidi, negli anni ottanta durante le sue varie guerre
intestine o nei momenti di conflitto acuto con alcuni esponenti
delle istituzioni, in ore accessibili all'informazione in tempo
quasi reale della televisione, ed in modo tale da poter ottenere il
più ampio risalto nelle prime pagine
dell'indomani). Sorprende l'incapacità di ricordare
ingranaggi, eventi ed effetti sparsi nel tempo, ad opera di un
sistema imbecille e stupido perché incapace di collegare non
ciò che è già collegato di per sé nel
presente - come fanno gli scoop falsamente scandalosi dei
settimanali di opinione progressisti - quanto di rinvenire
concatenazioni non palesi e tautologiche, vale a dire vedere le
stesse cose sotto luce diversa. "Questo, e solo questo, è
il contenuto della nostra civiltà: la rapidità con cui
l'idiozia ci trascina nel suo vortice" (K.
Kraus). L'imbecillità dilagante non riguarda un giudizio
moralistico sul singolo operatore, il quale da operatore è
talmente appiattito sul punto di osservazione del sistema da
risultare enormemente problematico uscirne fuori con un pizzico
d'intelligenza e di dignità. L'operatore, del resto, come
dice già l'espressione presa a prestito dalla matematica,
svolge un ruolo dettato da una formula e da una grammatica che lo
vincola volente o nolente ad una funzione. L'imbecillità
concerne una valutazione dell'intero sistema - se non di un'epoca -
incapace di leggere alcunché se non ricorrendo a stereotipi
omogenei che, va da sé, si rinforzano reciprocamente.
La cappa d'omogeneità di lettura dei fatti,
presso i mezzi di informazione pure diversificati al loro interno, è
significativa dell'imbecillità di cui vanno orgogliosamente e
pomposamente fieri i paladini di questa "stampa libera"
inetta a riflettere criticamente sul loro/nostro
tempo. L'imbecillità si replica dappertutto come un virus
cancerogeno, dilaga, si arrovella infiammandosi quando si sforza
pateticamente di differenziare opinioni intorno a false opzioni, il
cui massimo modello è il tifo calcistico in cui si è o
interisti o milanisti, e questa viene spacciata per libertà
di scelta. Il virus, poi, replicandosi facilmente, come si può
constatare quando i "media" amplificano informazioni già
avviate da altri "media", dilaga investendo tutti i
circuiti, innestando effetti pervasivi e diffusivi di dibattiti,
discussioni, tavole rotonde, processi e opinionismo su opinioni,
degenerando inesorabilmente in una informazione auto-referente,
metastatica, inarrestabile, instancabile, rivoltante per indecenza:
prototipo ne sono i dibattiti sullo sport nazionale per eccellenza,
il football, e i suoi pedestri protagonisti, vicenda Maradona in
testa. "I giornalisti scrivono perché non hanno niente
da dire, e hanno qualcosa da dire perché scrivono" (K.
Kraus).
Per non subire Il sistema informativo divora i propri soggetti
rendendoli oggetti, sia nella loro sfera pubblica che, soprattutto,
in quella privata, dando un color rosa piccante anche a storie
irrimediabilmente tristi (ad esempio, il modello del settimanale
"Cronaca vera"). Al di là del colore, però,
è importante rilevare come più il sistema è
popolare, più si allontana dalle reali vicende, che assumono
contorni fantastici e iperreali, più reali della realtà,
proprio come un detersivo lava più bianco del bianco.
Elemento indispensabile per un sistema informativo, tra gli altri,
è, infatti, la tacitazione del soggetto protagonista
di un evento, che raramente è chiamato a gestire
l'informazione relativa alle vicende in cui è coinvolto, ma
quasi sempre è parlato, narrato, per bocca
altrui, in sua vece dal professionista della notizia che sa come
dare l'informazione. Questa intermediazione non richiesta ha diversi
effetti, anche quando apparentemente corretta: disabitua a
comunicare, rinforza la necessità di intermediazioni e
deleghe, filtra inevitabilmente particolari accentuazioni, tensioni
sovente importanti per la messa a fuoco di una vicenda, talvolta
ammicca o sollecita aspetti "perversi" dell'irrazionalità
della massa, recupera artatamente una dimensione soggettiva con
l'uso sapiente e articolato di virgolettature, citazioni,
interviste, registrazioni nei cui confronti il malcapitato è
inerme e, soprattutto, costretto ad arrancare dietro con smentite o
rettifiche a cose fatte, quando il danno è già
compiuto. Come nota Kraus, "la distorsione della realtà
nel reportage è il veritiero reportage sulla realtà". Una
critica netta al sistema informativo non intende certo essere
regressiva, rimpiangendo il tempo quando vigeva una direzionalità
unica tra colui che informava, identificato in posizioni di potere
e privilegio, e colui che veniva "graziosamente"
informato. Ovviamente non sta qui il punto. Semmai, la libertà
di stampa non è minimamente differente dall'esercizio di una
qualunque libertà in condizioni statuali-borghesi, ove il
diritto è equamente sancito e ammesso, ma l'esercizio è
demandato al gioco dei fattori in campo, il cui organigramma premia
chi è già più forte e più carico di
risorse al banco di partenza. In astratto, sia io che Gianni Agnelli
possiamo fare un quotidiano o una TV, nei fatti i vincoli
tecnologici, economici, giuridici e politici in vigore conformano la
possibilità pre-destinando la libertà concessa sua
e non mia. Le briglie che disciplinano la libertà
di stampa sono ormai intricate da fare invocare ad alta voce una
libertà da stampa, una chance di essere esenti dal diluvio
imbecille di informazioni e commenti ottusi, ridondanti; di trovarci
sottratti e riparati dagli effetti devastanti per l'intelligenza
umana di ciascuno di noi in questa maledizione di regime. E ciò
detto senza demonizzazioni. Come evitare di subire questo morbo è
impossibile a dirsi. Indubbiamente, sarebbe più che opportuno
che altri affrontassero con cognizione di causa lo stato della
stampa cosiddetta alternativa, diversa, andando a riflettere
spassionatamente similitudini e differenze con la stampa ufficiale,
verificandole su alcuni punti nodali tra i quali qui si elencano in
breve per conclusione: - l'accesso all'informazione da parte
dell'utente del sistema informativo non può essere delegato
esclusivamente all'intermediazione di una categoria di
professionisti legati strutturalmente ad un padronato incontrollato,
prevalentemente ricattabili e senza autonomia di iniziativa; - la
possibilità di rompere la circolarità viziosa tra
protagonista dell'evento-elaborazione-trasmissione-ricezione e
fruizione dell'informazione, dovrebbe individuare un modo di
organizzarle un sistema in cui il soggetto parlante non sia il
giornalista, cioè il sistema stesso che così
autolegittima la propria esistenza corporativa, finendo fatalmente
per parlarsi addosso; - il controllo della proprietà
editoriale non può essere affidato soltanto a mitiche leggi
di mercato, dettate, tra l'altro, da realissime normative
contrattate tra partner politici e imprenditoriali; né
tale controllo può essere affidato al mero comportamento
dell'utente, "libero" di controllare penalizzando un
giornale e favorendo un altro concorrente grazie all'uso della
propria capacità di spesa; tale sistema virtuale manca
completamente il bersaglio allorché l'offerta è
omogenea ad un modello dominante, che ne esce comunque rafforzato e
rilegittimato, dalle varianti limitate a ritocchi superficiali e
finzioni che non riguardano nemmeno i dettagli del sistema
informativo (i timidi esempi di "azionariato popolare" non
chiariscono le possibilità di controllo degli "azionisti"
sul "management") ; - il trattamento della notizia
d'informazione non va eluso confidando nella correttezza e nella
dignità del singolo operatore, bensì va resa esplicita
sin nel taglio che caratterizza lo strumento di comunicazione: non
esiste la neutralità dell'informazione; - l'informazione
non può essere un monologo a senso unico, infranto solo nello
spazio circoscritto e vanificato delle rubriche ad hoc delle
"lettere al direttore" (spesso pilotate) e del "riceviamo
e volentieri pubblichiamo" (spesso dietro sollecitazione). Un
sistema informativo deve stipulare un reticolo comunicativo, in cui
gli interventi abbiano uguali opportunità di attivarsi in
tempo reale rispetto ai processi informativi. Andrebbe fatto un
grande sforzo di fantasia per riorganizzare in modo orizzontale le
potenzialità offerte da certe tecnologie che connettono
simultaneamente punti diversificati di una rete senza costituire
centralità di snodo, di direzione e di controllo.
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