Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 179
febbraio 1991


Rivista Anarchica Online

Ombre di verità
di Salvo Vaccaro

"Ciò che la lue ha risparmiato viene devastato dalla stampa. In futuro sarà possibile stabilire con certezza la causa dei rammollimenti cerebrali". Lo sferzante aforisma è di Karl Kraus. Siamo arrivati a questo punto? Il giudizio è ancora attuale o pecca di "ottimismo"? Sulla sua scia il nostro collaboratore Salvo Vaccaro mette a nudo il mondo dei "media" soffermandosi sui suoi elementi costitutivi e le sue finzioni allucinanti.

Chi volesse confutare in un articolo l'esistenza della libertà di stampa in Italia cadrebbe da solo in un bel paradosso, poiché la pubblicazione di tale articolo, supponiamo veementemente critico, sarebbe la migliore prova contro... la veridicità dell'articolo stesso. Né il fatto che un tale articolo sia pubblicato, poniamo, su una rivista dal raggio di diffusione limitato, invece che, mettiamo, su "L'Espresso" - settimanale a larga tiratura e, nelle pretese, imbonitore di opinioni "radicali" - mitigherebbe l'effetto paradossale grazie alla seria obiezione relativa alle condizioni concrete che rendono possibile una libertà effettiva di diffusione di pensiero libero e critico; infatti; non è raro osservare sulle colonne del medesimo settimanale, tra quintali di piombo sprecati per articoli "rosa effimero" e metri quadri di carta sfruttati per pubblicità, una rubrica intelligente di "perle" della stampa cosiddetta libera e democratica: "Blackout", infatti, collezione di "storture fisiologiche" nel sistema informativo, fa dubitare pienamente del grado di libertà, spirito critico e originalità riflessiva delle idee espresse, confermando quanto asseriva Karl Kraus ad inizio di secolo: "Non avere un pensiero e saperlo esprimere - è questo che fa di uno un giornalista".
Informazione e mezzi di comunicazione (di massa o meno) non sono sinonimi. La prima è una risorsa astratta, vaga, coestensiva a tutti (tutti possiedono informazioni, tutti possono informare qualcuno di qualcosa in qualche modo, tutti possono essere informati di qualcosa); eppure, l'informazione comunemente intesa è già una elaborazione di secondo grado, un taglio particolare di cattura e di lettura di un dato digerito, di un evento affatto "grezzo", che sono tali se manipolati dall'informazione. Un qualunque evento, infatti, diventa tale per i media solo se presente nell'elaborazione datane dal sistema informativo; senza tale manipolazione (ed il termine adoperato non vuole registrare alcuna connotazione moralistica in cui entrino considerazioni di buona o mala fede), l'evento è semplicemente assente, inesistente, irrilevante, non comunicabile nei canali informativi, talvolta messo in dubbio, non legittimato ad ottenere la dignità di essere evento riconosciuto senza bisogno di "imprimatur", inficiato della sua pregnanza pure presso coloro che ne sono protagonisti o testimoni diretti. I processi kafkiani ne sono un esempio, e, in sedi in cui tali dati veritieri subiscono trattamenti particolari, manipolazioni significative non solo sul loro senso ma anche sulla loro stessa esistenza (per esempio in sedi giudiziarie e psichiatriche dove predominano logiche inquisitoriali), la loro negazione conferma il carattere di sussunzione operato sul dato o sull'evento all'interno di griglie costitutive del sistema, provocando presso protagonisti e testimoni diretti traumi psichici e comportamentali non indifferenti. Ciò mostra come la regola di adeguazione della realtà con la sua rappresentazione non è valida neanche nell'informazione: "i giornali hanno con la vita all'incirca lo stesso rapporto che hanno le cartomanti con la metafisica".
Altra cosa sono i mezzi di comunicazione, deputati a svolgere il ruolo e la funzione di tale elaborazione manipolativa: nella loro concretezza, essi hanno il margine di organizzare tale funzione in gradienti più o meno differenziati, secondo determinati livelli tecnologici e organizzativi che presiedono la razionalità di fondo del funzionamento del sistema informativo (o dis-informativo, come si vuole).

Unico antidoto
Una riflessione approfondita sui livelli di razionalità del sistema ci porterebbe su piani di discussione fuori luogo in questa sede. E' sufficiente suggerire l'ipotesi che l'informazione diviene, in questo mondo, "mercificata" al pari di altre risorse, avvertendo che il termine "mercificazione", oggi e per questo ambito, va ben al di là di ciò che intendeva affermare Marx, e cioè spoliazione di un bene, effetto di alienazione, scissione del contenuto di verità ed eticità, includendo nei fatti strategie di regolamentazione, di disciplinamento, di controllo indiretto. Ne sono testimonianze le attenzioni assidue alla materia da parte di settori finanziario-capitalistici, più dediti alla ricerca di profitto, per i quali, tuttavia, il controllo dell'informazione è essenziale non tanto per la propria immagine da promuovere e salvaguardare, come erroneamente si ritiene, bensì proprio per il profitto, seppure in maniera obliqua e indiretta, in altri settori.
Sul piano organizzativo, infatti, il mondo dei "media" è balzato sul podio del quarto potere ormai da tempo, con ciò dimostrando gli enormi interessi coalizzati e trainati, l'enorme bacino di utenza raggiunto, l'enorme sfera di influenza accumulata.
Proprio la dismisura del sistema mediatico, però, sembra essere il migliore antidoto rinvenibile, almeno sino ad oggi. Contrariamente ai paladini entusiasti del pluralismo e della concorrenza competitiva quali generatori di diversità e libertà (sic!), è la dismisura a indebolire le effettive potenzialità di dominio dei media - quelle temute ed estremizzate da Orwell nel suo "1984" - vuoi per via dei miti che si auto-illudono di loro stessi crollando come miseri castelli di sabbia, vuoi per via della dimensione rarefatta in cui vengono recitate le "telenovele" dei fatti inerenti al sistema, vuoi per via dell'insostenibile costo tecnologico per perseguire e realizzare perpetuamente i sogni di dominio onnisciente e onnipotente, vuoi per via della paranoia narcisistica che spesso colpisce i vari dottor Strangelove presenti in esso.
Il dominio del quarto potere non è totalizzante e definitivo, seppure tutto sembri congiurare per fornire questo trompe l'oeil: una gigantesca operazione di simulazione preventiva, volta a dissuadere dal mettere in dubbio l'operatività effettiva del suo dominio ricercando crepe, ricercando margini esclusi, ricercando ambiti sottratti alla cappa annichilente, ricercando modalità comunicative estranee al sistema stesso. In fin dei conti, come tutti i poteri, il quarto potere dissimula il vero volto di sé per non confessare squallore, miserie e povertà che frantumerebbero sogni di delirio di un mondo spettacolare (come la televisione) e tutto volto alla gloria immortale dell'intellettuale-opinion maker (sulla stampa) inconsapevolmente degradato, malgré lui, ad altoparlante di idee pre-confezionate altrove : "la parola scritta dovrebbe essere il farsi corpo di un pensiero secondo la necessità naturale e non l'involucro di un'opinione secondo l'opportunità sociale".

Invisibile per troppa visibilità
In riferimento al quarto potere, è sufficiente ricordare come il sistema informativo è uno dei gangli essenziali, non più però del sistema fiscale e monetario, o dei sistemi disciplinari (istituzioni in senso lato) e di controllo (oppressivi e repressivi). E' bene disilludersi, infatti, dal mito di un conflitto rilevante nel mondo dell'etere e/o della carta stampata che influenzerebbe corsi e ricorsi di popoli e di politiche statali. Meglio ipotizzare, invece, l'etere e la suddetta carta stampata come spazi conflittuali dove vengono talvolta simulati, talaltra giocati per davvero reali scontri di potere, in cui, quasi sempre, le poste in palio sfuggono alla intelligibilità, alla percezione e comprensione dei cronisti - letteralmente, coloro che rendono conto - senza andare al di là del proprio naso. E ciò non per incapacità (sebbene ricordi Kraus: "ci sono imbecilli superficiali e imbecilli profondi", ma in questo contesto non è rilevante), quanto perché è 1o spazio in cui agiscono ad essere opaco in se stesso, e quindi chiuso, ostruito, refrattario, impermeabile dall'interno a reali operazioni di scavo in profondità di ciò che avviene, in un linguaggio secondo, sotto le righe (e non dietro le righe, dove si ritrovano altre righe...). Difficilmente, chi è talmente vicino ad un elefante, lo vede nella sua interezza, ma solo in un particolare infimo che per giunta estrae imprudentemente e generalizza scorrettamente come se quel piccolo particolare fosse la totalità oppure fosse possibile ricostruirla globalmente a partire da un particolare qualunque.
Non è infrequente, del resto, il caso che vede il sistema informativo usato per lanciare oscuri e inquietanti messaggi privati, per depistare ipotesi di ricerca, per mettersi istrionicamente in mostra, oppure, come nella "Lettera rubata" di Edgar Allan Poe, per mettere a fuoco un qualcosa sino a farlo sfumare o a renderlo invisibile per la troppa visibilità. La strumentalizzazione dei media, comunque, favorita dalla mania di protagonismo ridicolo dei suoi partecipanti, quasi sempre è incontrollabile dagli operatori del sistema, e la soluzione del paradosso consisterebbe, come suggerito più volte durante il periodo degli "anni di piombo", nell'auto-negazione del sistema stesso: il suicidio dell'informazione, ovvero staccare la spina.
Il sistema informativo, anche quando sembra anticipare eventi o notizie inaccessibili o riservate all'opinione pubblica - altra grossa astrazione vaga, nonché esito storicamente borghese della costituzione del quarto potere, come dire che è questo a creare quella, e non quest'ultima ad essere fedelmente informata e registrata da quello - in realtà il sistema posticipa frammenti di senso, ombre di verità, simulacri di cose reali, compiendo il madornale errore di collegarle in una linearità di significato (a posteriori, appunto) che nel migliore dei casi è una banale tautologia, mentre nel peggiore spaccia il tutto così ricostruito (ad usum delphini) per verità, mentre avvertivano già i sociologi critici della scuola di Francoforte, solo nel frammento è depositato un granello di verità, perché in questo mondo statual-borghese la verità è finzione, la totalità è inganno, la salvaguardia del piccolo tassello di verità è il miglior antidoto all'omogeneizzazione delle coscienze, e già questo dovrebbe essere sufficiente per il giudizio critico.
Ma scendiamo nel concreto, presentando alcuni caratteri contingenti, odierni, della "libertà di stampa".

Sinergia di poteri
La concentrazione delle proprietà editoriali non è un fenomeno inedito, sia nel sistema informativo che in ambiti economici più in genere. Nuovo casomai è il contesto, sul quale si innervano effetti devastanti non tanto sul piano dei grossi profitti accumulati da pochi anziché da molti, quanto soprattutto per il fatto che quei pochi sono i "soliti" pochi che detengono posizioni di oligopolio o monopolio anche in settori non editoriali. Agnelli (Rizzoli-Corriere della Sera), Berlusconi (Canale 5, Retequattro, Italia 1 e indirettamente Il Giornale e le prime pay-tv italiane Tele +l, +2 e +3), De Benedetti (Mondadori, La Repubblica e L'Espresso), Gardini (Telemontecarlo e Il Messaggero), tanto per citarne quattro tra i grossi privati (il polo pubblico è la RAI nella radio-televisione ed i partiti politici nella stampa), sono pure i detentori di economie smisurate rispetto alla sfera sia privata che pubblica (rispettivamente, Fiat, monopolista italiano dell'auto protetto dalle leggi di quello stato bistrattato dalle invettive di Romiti; Fininvest, vale a dire il più grosso raccoglitore di pubblicità in Italia; Olivetti, re nostrano dell'informatica; Ferruzzi, padrone della chimica inquinante).
I1 principale effetto è che la sinergia di poteri in vari ambienti rafforza la capacità economica e tecnologica di selezione, scrematura e addirittura di accesso al mercato informativo; in altri termini, la concentrazione alza il costo del biglietto d'ingresso nel "club dell'informazione", in modo da spazzare a priori qualsiasi tentativo non gradito e non benedetto dai padroni. E tale è la parabola che ha segnato la fine dei circuiti alternativi di radio e cineclub, strozzati dalla concentrazione tecnologica che ha occupato selvaggiamente l'etere, nel primo caso, e della concentrazione distributiva, nel secondo.
La connessione pubblicità-informazione è un altro esempio devastante, sia per le risorse accumulate e trasferite sul piano tecnologico e organizzativo, sia per gli effetti distorsivi prodotti sul piano dell'acquisizione di informazioni, sempre meno liberamente accessibili e sempre più condizionate dal contraccambio pubblicitario. In pratica, i fringe benefits offerti da società comprano la tenuta deontologica del professionista che dovrebbe parlare "obiettivamente" di queste, i confini di separazione tra informazione e pubblicità inerente ad un medesimo oggetto (sia esso bene di mercato o personaggio pubblico o processo economico) si fanno vagamente labili sino a confondersi, così come la possibilità di trasmettere notizie autonomamente dall'esterno e vedersele recepite dagli organi di informazione viene a legarsi alla compravendita di spazi pubblicitari, ottenendo uno scambio trasversale equivalente allo scambio politico clientelare del "do ut des". Per non parlare poi del deprecabile uso di cercare notizie di ordine economico-imprenditoriali direttamente presso gli addetti e gli uffici stampa delle imprese medesime...
Sul piano più strettamente legato alla casistica di effetti distorsivi e perversi della "stampa libera", ciascun lettore può portare contributi ed esperienze personali, dettate da osservazioni cui non sfugge nessun organo d'informazione: il gioco ambiguo tra fatto e commento, laddove risulta, da un lato, inapplicabile la perfetta scissione propugnata da un mitico modello anglosassone tra i due poli, poiché ogni fatto, banale in sé, viene raccontato in quanto filtrato e selezionato, e la selezione è il migliore commento speciale in relazione al non-detto; dall'altro, l'analisi, spesso vincolata a schemi e linee editoriali, contraddice il buonsenso del fatto a danno di quest'ultimo, dissimulato e diluito in piccole dosi parziali dentro il pezzo o relegato in spazi non di rilievo.
Poi, la strategia dei fondi editoriali, la distribuzione dello spazio ove collocare notizie e commenti, riprese e smentite, l'uso dei titoli, occhielli, ecc., la disinvoltura della notizia non verificata, l'ossequio indecente per le veline dell'autorità costituita, l'indulgenza per le bugie palesi di regime, l'adulazione per i potenti, i solenni requiem funebri per statisti... da quattro soldi, e via continuando su questa onda.

Disinformazione di regime
"Censura e giornale - come potrei non decidermi in favore della prima? La censura può sopprimere la verità per un certo tempo, togliendole la parola. Il giornale sopprime costantemente la verità in quanto le dà delle parole. La censura non danneggia né la verità né la parola; il giornale entrambe" (K. Kraus).
L'architettura tramata della disinformazione di regime è uno degli impegni prediletti dell'impegno politico di Noam Chomsky, che ha sbugiardato, con messe di fatti a carico, quel giornalismo statunitense - che pure ha prodotto Watergate e l'impeachment del presidente Nixon, anche se dietro ad una cordata di potere avversa - a torto ritenuto il più sano del mondo, come se non fosse bastata la visione di Citizen's Kane di Orson Wells nel lontano 1941. Sarebbe sufficiente adottare gli occhiali utilizzati da Chomsky per la guerra del Vietnam e in genere per la politica estera statunitense (si veda l'utile La quinta libertà, Eleuthera, Milano, 1986) in relazione a italiche vicende più o meno "segrete" che angosciano i benpensanti nostrani legati nostalgicamente a valori puri costituzionali: peccato che fingano di dimenticare le reali vicende che diedero luogo alla Costituzione, o alla adesione italiana alla Nato, con i protocolli segreti attestanti un sub-legame militare estero oltre quello pubblicizzato.
Va anche considerato come l'inflazione di informazione facilita l'assenza di memoria storica (pure rivolta a qualche ora prima): un evento incalza l'altro, lo spettacolo detta legge e, soprattutto, ritmi all'informazione (guai se un fatto avviene fuori orario dei telegiornali o delle edizioni dei quotidiani: il suo impatto informativo perde grande efficacia, al punto che è stato anche notato come la mafia avesse compiuto i suoi omicidi, negli anni ottanta durante le sue varie guerre intestine o nei momenti di conflitto acuto con alcuni esponenti delle istituzioni, in ore accessibili all'informazione in tempo quasi reale della televisione, ed in modo tale da poter ottenere il più ampio risalto nelle prime pagine dell'indomani).
Sorprende l'incapacità di ricordare ingranaggi, eventi ed effetti sparsi nel tempo, ad opera di un sistema imbecille e stupido perché incapace di collegare non ciò che è già collegato di per sé nel presente - come fanno gli scoop falsamente scandalosi dei settimanali di opinione progressisti - quanto di rinvenire concatenazioni non palesi e tautologiche, vale a dire vedere le stesse cose sotto luce diversa. "Questo, e solo questo, è il contenuto della nostra civiltà: la rapidità con cui l'idiozia ci trascina nel suo vortice" (K. Kraus).
L'imbecillità dilagante non riguarda un giudizio moralistico sul singolo operatore, il quale da operatore è talmente appiattito sul punto di osservazione del sistema da risultare enormemente problematico uscirne fuori con un pizzico d'intelligenza e di dignità. L'operatore, del resto, come dice già l'espressione presa a prestito dalla matematica, svolge un ruolo dettato da una formula e da una grammatica che lo vincola volente o nolente ad una funzione. L'imbecillità concerne una valutazione dell'intero sistema - se non di un'epoca - incapace di leggere alcunché se non ricorrendo a stereotipi omogenei che, va da sé, si rinforzano reciprocamente.
La cappa d'omogeneità di lettura dei fatti, presso i mezzi di informazione pure diversificati al loro interno, è significativa dell'imbecillità di cui vanno orgogliosamente e pomposamente fieri i paladini di questa "stampa libera" inetta a riflettere criticamente sul loro/nostro tempo.
L'imbecillità si replica dappertutto come un virus cancerogeno, dilaga, si arrovella infiammandosi quando si sforza pateticamente di differenziare opinioni intorno a false opzioni, il cui massimo modello è il tifo calcistico in cui si è o interisti o milanisti, e questa viene spacciata per libertà di scelta. Il virus, poi, replicandosi facilmente, come si può constatare quando i "media" amplificano informazioni già avviate da altri "media", dilaga investendo tutti i circuiti, innestando effetti pervasivi e diffusivi di dibattiti, discussioni, tavole rotonde, processi e opinionismo su opinioni, degenerando inesorabilmente in una informazione auto-referente, metastatica, inarrestabile, instancabile, rivoltante per indecenza: prototipo ne sono i dibattiti sullo sport nazionale per eccellenza, il football, e i suoi pedestri protagonisti, vicenda Maradona in testa. "I giornalisti scrivono perché non hanno niente da dire, e hanno qualcosa da dire perché scrivono" (K. Kraus).

Per non subire
Il sistema informativo divora i propri soggetti rendendoli oggetti, sia nella loro sfera pubblica che, soprattutto, in quella privata, dando un color rosa piccante anche a storie irrimediabilmente tristi (ad esempio, il modello del settimanale "Cronaca vera"). Al di là del colore, però, è importante rilevare come più il sistema è popolare, più si allontana dalle reali vicende, che assumono contorni fantastici e iperreali, più reali della realtà, proprio come un detersivo lava più bianco del bianco. Elemento indispensabile per un sistema informativo, tra gli altri, è, infatti, la tacitazione del soggetto protagonista di un evento, che raramente è chiamato a gestire l'informazione relativa alle vicende in cui è coinvolto, ma quasi sempre è parlato, narrato, per bocca altrui, in sua vece dal professionista della notizia che sa come dare l'informazione. Questa intermediazione non richiesta ha diversi effetti, anche quando apparentemente corretta: disabitua a comunicare, rinforza la necessità di intermediazioni e deleghe, filtra inevitabilmente particolari accentuazioni, tensioni sovente importanti per la messa a fuoco di una vicenda, talvolta ammicca o sollecita aspetti "perversi" dell'irrazionalità della massa, recupera artatamente una dimensione soggettiva con l'uso sapiente e articolato di virgolettature, citazioni, interviste, registrazioni nei cui confronti il malcapitato è inerme e, soprattutto, costretto ad arrancare dietro con smentite o rettifiche a cose fatte, quando il danno è già compiuto. Come nota Kraus, "la distorsione della realtà nel reportage è il veritiero reportage sulla realtà".
Una critica netta al sistema informativo non intende certo essere regressiva, rimpiangendo il tempo quando vigeva una direzionalità unica tra colui che informava, identificato in posizioni di potere e privilegio, e colui che veniva "graziosamente" informato. Ovviamente non sta qui il punto.
Semmai, la libertà di stampa non è minimamente differente dall'esercizio di una qualunque libertà in condizioni statuali-borghesi, ove il diritto è equamente sancito e ammesso, ma l'esercizio è demandato al gioco dei fattori in campo, il cui organigramma premia chi è già più forte e più carico di risorse al banco di partenza. In astratto, sia io che Gianni Agnelli possiamo fare un quotidiano o una TV, nei fatti i vincoli tecnologici, economici, giuridici e politici in vigore conformano la possibilità pre-destinando la libertà concessa sua e non mia.
Le briglie che disciplinano la libertà di stampa sono ormai intricate da fare invocare ad alta voce una libertà da stampa, una chance di essere esenti dal diluvio imbecille di informazioni e commenti ottusi, ridondanti; di trovarci sottratti e riparati dagli effetti devastanti per l'intelligenza umana di ciascuno di noi in questa maledizione di regime. E ciò detto senza demonizzazioni.
Come evitare di subire questo morbo è impossibile a dirsi. Indubbiamente, sarebbe più che opportuno che altri affrontassero con cognizione di causa lo stato della stampa cosiddetta alternativa, diversa, andando a riflettere spassionatamente similitudini e differenze con la stampa ufficiale, verificandole su alcuni punti nodali tra i quali qui si elencano in breve per conclusione:
- l'accesso all'informazione da parte dell'utente del sistema informativo non può essere delegato esclusivamente all'intermediazione di una categoria di professionisti legati strutturalmente ad un padronato incontrollato, prevalentemente ricattabili e senza autonomia di iniziativa;
- la possibilità di rompere la circolarità viziosa tra protagonista dell'evento-elaborazione-trasmissione-ricezione e fruizione dell'informazione, dovrebbe individuare un modo di organizzarle un sistema in cui il soggetto parlante non sia il giornalista, cioè il sistema stesso che così autolegittima la propria esistenza corporativa, finendo fatalmente per parlarsi addosso;
- il controllo della proprietà editoriale non può essere affidato soltanto a mitiche leggi di mercato, dettate, tra l'altro, da realissime normative contrattate tra partner politici e imprenditoriali; né tale controllo può essere affidato al mero comportamento dell'utente, "libero" di controllare penalizzando un giornale e favorendo un altro concorrente grazie all'uso della propria capacità di spesa; tale sistema virtuale manca completamente il bersaglio allorché l'offerta è omogenea ad un modello dominante, che ne esce comunque rafforzato e rilegittimato, dalle varianti limitate a ritocchi superficiali e finzioni che non riguardano nemmeno i dettagli del sistema informativo (i timidi esempi di "azionariato popolare" non chiariscono le possibilità di controllo degli "azionisti" sul "management") ;
- il trattamento della notizia d'informazione non va eluso confidando nella correttezza e nella dignità del singolo operatore, bensì va resa esplicita sin nel taglio che caratterizza lo strumento di comunicazione: non esiste la neutralità dell'informazione;
- l'informazione non può essere un monologo a senso unico, infranto solo nello spazio circoscritto e vanificato delle rubriche ad hoc delle "lettere al direttore" (spesso pilotate) e del "riceviamo e volentieri pubblichiamo" (spesso dietro sollecitazione).
Un sistema informativo deve stipulare un reticolo comunicativo, in cui gli interventi abbiano uguali opportunità di attivarsi in tempo reale rispetto ai processi informativi. Andrebbe fatto un grande sforzo di fantasia per riorganizzare in modo orizzontale le potenzialità offerte da certe tecnologie che connettono simultaneamente punti diversificati di una rete senza costituire centralità di snodo, di direzione e di controllo.