Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 177
novembre 1990


Rivista Anarchica Online

Una libera relazione
di Filippo Trasatti

Al termine del suo vasto affresco sulla storia della civiltà occidentale, Lewis Mumford, il grande studioso recentemente scomparso, traccia un breve profilo della persona organica, della personalità ideale dell'uomo nell'epoca della modernità.
Sembrano contrapporsi due poli estremi, tra i quali la personalità umana dovrebbe equilibrarsi in modo dinamico: da una parte la stabilizzazione dall'altra la disgregazione (disumanizzazione). In queste condizioni non c'è rinnovamento possibile per l'umanità ma solo regresso. Alla base di questa concezione sta la convinzione che "in un posto solo può cominciare il rinnovamento immediato, e cioè nell'interno della persona; ed un rifoggiamento della personalità e del super-ego è un primo passo inevitabile verso i grandi cambiamenti che devono essere effettuati in ogni comunità, in ogni parte del mondo" (La condizione dell'uomo Bompiani, Milano 1977, p.512).
In questa posizione, che molti libertari condividerebbero, si cela un problema fondamentale per la pedagogia libertaria: se i bambini sono davvero il nostro futuro e vogliamo che il futuro sia un mondo libero, dobbiamo educarli alla libertà; ma ogni scelta morale etica ideologica fatta per i bambini può essere di impedimento alla libera espressione della loro personalità, alla loro completa realizzazione.
Posto in astratto questo dilemma sembra insolubile e lascia in uno stato di stupore e impotenza. Ciò che manca è una prospettiva storica che mostri le sfumature, le ombre, le possibilità e le realizzazioni concrete di ciò che qui è affermato solo teoricamente.
Smith nel libro Educare per la libertà pubblicato dalla casa editrice Eleuthera (Milano 1990, pagg.192, lire 18.000) offre proprio questa prospettiva necessaria per articolare questo problema di grande importanza.
Chi non conosce gli educatori e i teorici dell'educazione libertaria sarà condotto a vedere non solo la grande attualità delle questioni sollevate a partire dalla metà dell'Ottocento, ma anche come talune pratiche educative proposte allora siano rimaste ancora ricche di valore e potenzialità da sviluppare.
Chi li conosce, invece, potrà riflettere con l'autore sulle questioni teoriche interne al pensiero pedagogico libertario, una tradizione che se per un verso può essere ricondotta ad unità attraverso il riferimento ad alcuni principi, per altro risulta all'analisi estremamente ricca e variegata.
L'autore che fortunatamente non è un accademico segue le questioni che evidentemente gli stanno a cuore con partecipazione, discutendo, dialogando anche criticando le posizioni che presenta con la preoccupazione fondamentale di non appiattirle, mostrando la rete sottile che le tiene insieme nella grande tradizione libertaria.
Questo libro si ricollega ad un altro, L'educazione libertaria di Joel Spring, pubblicato da Eleuthera nel 1987, che trattava di questioni molto vicine ma unificandole nella posizione degli autori libertari. Spring si occupava più di chiarire le posizioni degli autori, mentre Smith, ampliando la visuale vuole cercare attraverso gli autori di far emergere la storia dei concetti e dei principi libertari nell'educazione; se là i protagonisti erano sicuramente i teorici, qui lo sono più le idee: l'educazione integrale, l'educazione politecnica, le scuole libere fino alle posizioni di quelli che impropriamente sono chiamati con uno slogan descolarizzatori.
Non mi è possibile discutere dettagliatamente in una recensione le posizioni che l'autore assume sulle questioni di pedagogia libertaria, tuttavia mi sembra importante mostrare gli intrecci e le avventure di alcuni concetti libertari nella nostra cultura (tenendo presente che ci muoviamo sempre all'interno del quadro concettuale della civiltà occidentale). Partiamo dal concetto di "educazione integrale". Attenzione: oggi tutti parlano di educazione integrale, anche il papa; perciò bisogna prendere le distanze, verificare se e in che misura il concetto nel giro di una generazione o di un secolo si sia usurato e sia stato inglobato in concezioni pedagogiche che nulla hanno a che spartire con i principi libertari. Va notato, ed è abbastanza interessante, che mentre le pedagogie (che brutto termine) "progressiste" di sinistra si sono sempre più allontanate da questo concetto per sposare la bestia trionfante della specializzazione, imposta dalla strutturazione della società capitalistica moderna (e su questo Mumford ha ancora da dirci molte cose), la teoria dell'educazione cattolica ha mantenuto questo concetto come punto di riferimento fondamentale. Ma non solo di questo: il principio che la comunità educa (il motto di molte liste cielline nella scuola è appunto "comunità educante") e il continuo riferimento alla libertà dell'uomo. Ovviamente si sta parlando di cose radicalmente diverse utilizzando le stesse parole. Anche in questo senso il libro di Smith può contribuire a restituire ai libertari quel che è dei libertari; lasciando poi agli altri il compito di dare le proprie coordinate di riferimento. Comunque non si può considerare del tutto casuale questa seppur apparente vicinanza dei concetti di riferimento. E la ragione è, a mio parere, che qualcosa in comune c'è davvero e separa nettamente queste due tradizioni pedagogiche da quelle cosiddette progressiste e marxiste: l'importanza attribuita alle questioni del valore e della scelta, anche se poi i valori e le scelte sono irrimediabilmente lontani, in contrasto con concezioni che fanno della scienza il valore supremo e glorificano la tecnica, anche in campo educativo. E la riprova è che oggi la pedagogia ufficiale, quella per intenderci che sottostà anche ai programmi ministeriali, punta soprattutto alla scientificità nel metodo e al tecnicismo professionale, anche se tenta poi di salvarsi la coscienza (e di ingraziarsi i cattolici) con i riferimenti alla formazione globale dell'uomo.
Ma quale formazione globale, se la tendenza in questi ultimi anni è stata piuttosto quella verso la frammentazione specialistica delle conoscenze e un tecnicismo didattico che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe servire a rendere moderno e scientifico l'insegnamento? Non si pongono mai, o quasi mai, questioni di principio, di vere finalità educative e si preferisce baloccarsi con termini e con pratiche didattiche che non mettano realmente in crisi la realtà istituzionale, e la miseria della pedagogia e della scuola.
Nel libro le questioni di principio sono quelle che contano, ma conta anche la loro traduzione pratica nelle scuole rivoluzionarie, nelle scuole modello che dalla scuola di Cempuis in Francia, fondata da Paul Robin alle scuole libere americane degli anni Sessanta, costituiscono un punto di riferimento obbligato per quanti si pongono concretamente il problema di un'educazione libertaria. Qui, in queste concrete realizzazioni di principi, in questi sogni materializzati, anche se per periodi brevissimi, emergono in primo piano le figure degli educatori, che sperimentano, vivono coi propri dubbi e i propri ideali quasi direi, giorno per giorno le difficoltà e i successi dell'avventura dell'educazione.
Per chiudere vorrei soffermarmi brevemente su quello che considero il problema più importante, tra i tanti che il libro pone e segue nella loro evoluzione storica. Mi riferisco a quello che Smith, seguendo la tradizione libertaria, definisce l'"autenticità dell'incontro" (the reality of encounter), chiave di volta per una concezione davvero libertaria dell'educazione. Smith segue le tracce di questo concetto da Lev Tolstoj sino a Paul Goodman. Si basa su una considerazione che può apparire banale: l'educazione è, prima di tutto, un rapporto tra due esseri umani. Prima di essere trasmissione di contenuti e di ideali è una relazione: ed è da questa relazione libera che può scaturire una vera educazione libertaria. Ora, la struttura della scuola come totalità tende ad impedire l'emergere di relazioni personali autenticamente libere. Ed è abbastanza ovvio il perché: molto più facile trincerarsi dietro un metodo (all'apparenza) scientifico, dietro un vuoto professionismo che mettersi in viaggio per l'avventura dell'educazione.
D'altro canto è vero che nessuno può farlo per obbligo, neppure l'educatore e che la scuola non è certo la struttura che può favorire un tale rapporto libero. Ciò nonostante fa bene, ogni tanto, sfiorare e sentire quali sono i veri problemi, sommersi come siamo dal frastuono delle parole vuote e dalla presunzione che la tecnica possa supplire alla nostra mancanza di umanità.
E qui ritorno a Mumford: "Col tempo noi potremo creare le istituzioni e le abitudini di vita, i riti, le leggi, le arti, la morale che sono essenziali per lo sviluppo dell'intera personalità e della comunità squilibrata. (...) Ma il primo passo è personale: un cambio nella direzione dell'interesse che deve svolgersi verso la persona. Senza questo cambiamento non si avranno grandi miglioramenti nell'ordine sociale. Una volta cominciato quel cambiamento, tutto è possibile" (Ibid., p. 514).