Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 177
novembre 1990


Rivista Anarchica Online

"A" proposito
di AA. VV.

Salgono, con i 5 pubblicati in queste pagine, a 12 gli interventi (senza considerare la tavola-rotonda tra i compagni milanesi apparsa su "A" 175) finora pervenutici per il dibattito che abbiamo aperto a settembre sulla rivista. Le questioni sollevate sono già numerose, non poche mancano all'appello: bando alla pigrizia e (come si diceva un tempo) intervenite numerosi!

Invertire la rotta

Caro Paolo,
il problema principale di "A" è che non è mai stato il giornale degli anarchici di lingua italiana, ma solo di una parte di essi. Il giornale sta diventando sempre più "freddo" ed il fatto che anche dei compagni si siano raffreddati non è certo un buon segno. Invertire la rotta si può, ma è chiaro che urge una sua rifondazione. Senza alcuna presunzione vorrei suggerire alcune idee discutibili.
1) Per riattivare una rete militante di distribuzione e partecipazione capillare alla rivista, bisogna superare la gestione redazionale, che deve svolgere un compito di coordinamento fra le realtà che parteciperanno alla rivista.
2) Smettere la ricerca spasmodica di un lettore medio di sinistra libertaria, che esiste solo nelle fantasie impossibili.
3) Interrompere ogni rapporto con giornali che rifiutano uno scambio paritario sulla pubblicità.
4) Devolvere le spese per la pubblicità alla formazione di un numero speciale da distribuirsi gratuitamente.
5) Creare una rete di centri d'informazione locale, per uscire dal monopolio della cultura metropolitana.
6) Allontanare dalla rivista ogni forma di giornalismo semiprofessionista; ci sono alcuni compagni che hanno rubriche fisse e non sempre producono il meglio di loro stessi negli articoli che scrivono.
In ultimo vorrei dirvi che interrogarsi fa bene, a patto che ci sia la volontà di mettersi veramente in discussione.
Auguri per il futuro, spero di rileggervi con più entusiasmo.

Momo (Bordighera)
P.S. - Riflessioni durante una riunione al CIRCOLO TROBAR CLUS.

Senza stato e senza merce

Cari compagni,
critiche da muovere ad una rivista ce ne sono sempre, ovviamente, e credo che non mancheranno di farsi sentire. Per quello che mi riguarda, ho leggermente spostato l'attenzione verso un punto di vista più ampio che coinvolge un po' tutti gli anarchici ed i libertari, non escludendo né il sottoscritto, né la rivista. Credo di essere nelle condizioni favorevoli per impostare un certo discorso che da qualche tempo mi sta a cuore (parlo in prima persona come si conviene ad un anarchico in divenire, ma al mio fianco stanno altri e non è escluso un loro diretto intervento) provare a superare il mercato, la merce e tutta la miseria costruita intorno a questi. Non è questo un processo dialettico-teorico, bensì l'approccio diverso di chi ha sempre creduto che: "la proprietà è un furto" ed ora si appresta a relazionarsi (almeno nei confronti dei compagni anarchici) senza il crimine della compra-vendita.
La rivista, il movimento anarchico in generale, prestano poca attenzione a questa contraddizione quotidiana tra il proprio intimo sentire e il bisogno di sopravvivere (ammesso che tutti gli anarchici sentano, come me, opprimente e desolante la mercificazione generalizzata e avvertano il sommo disgusto per una compra-vendita fra anarchici!). L'"A" rivista, dicevo, è impantanata anch'essa in mezzo al guado, (forse torna indietro, vedasi INTERMAG) e soffre della medesima inquietudine di tutti. Mi si obietterà che certe iniziative permettono di fare passi in altre direzioni e che certi concetti tardo ottocenteschi, nell'era dei computer e dell'informazione di massa, sono un poco stonati. Può anche darsi, (mi vien da ridere) però preferisco essere considerato comunque un utopista, anche dagli anarchici! Sono quindici anni che in nome della mia Utopia rifiuto alcuni compromessi, e non vedo perché dovrei supinamente accettare che una Banca ci riporti a Lugano, questa volta come clienti!.
Non voglio spararle grosse, non me ne frega niente di fare il botto! Invito solo compagni e rivista a riflettere sulle tendenze dei loro movimenti. Non è la rivista ad essere genericamente di sinistra è un po' tutto l'andazzo del movimento anarchico. Si respira un poco liberamente solo nell'ambito dell'antimilitarismo, il resto compresi i duri fa solo tenerezza. Gli attentati, le rapine, non cambiano nulla, anzi tornano utili alla repressione ed oliano il meccanismo, del resto quando mai le idee si cambiano a cannonate!
Come si vede c'è n'è per tutti i gusti, questo però accade perché si tralascia spesso di inserire il proprio quotidiano nella critica. D'altra parte forse il livello culturale (sic!) dei compagni anarchici non è mai stato così elevato (parlo del livello medio) ed il materiale umano (come suona male) mai così pronto a cogliere le sfumature teoriche! Appare davvero disdicevole che gli anarchici non riflettano sulle proprie potenzialità e soggiacciano alle pressioni dei vari mercati e delle varie merci. Qui ed ora ripeteva il merlo indiano...ci dispiace ora andiamo tutti a lavorare... Detto fra noi, non vi capita mai di sentirvi fottuti?
Bene avete compreso che il sistema mercantile c'è cresciuto dentro e che volenti o dolenti ne fate parte anche voi. Non vi capita mai di ragionar sopra Utopia? Bene avete compreso che la nostra unica speranza è desiderare il più intensamente possibile il mutamento. Desiderare è già porre in atto, non lo sapevate? Muovere i primi passi è già camminare! A chi interessa dare una mano a questa miserabile socialità, in cui tutti ti attendono al varco per inculcarti e fare l'affare buono? Da parte mia senza dio, senza stato e senza merce mi muovo molto meglio...

P.S. - Continuate a discutere sui demeriti e sui meriti (poiché vi sono anche questi) della rivista, vale la pena di farlo, però ricordate che il definirsi anarchico comporta una considerazione notevole del proprio desiderio, che più forte della realtà porterà il mutamento a buon fine. Non abbiate la coda di paglia, tutto lavora contro di noi...

Franco Di Fiore (Negi Crestiai)

Leggo "A" da un mese

Cari amici di "A"
mi presento: mi chiamo Paolo, ho 25 anni e il mese scorso ho acquistato per la prima volta la vostra rivista, restandone ottimamente impressionato. Ho così deciso di dare il mio modesto contributo sul tema dell'anarchismo oggi in Italia, sperando di fare cosa gradita ai più, e certo che "A" da ora in poi sarà anche la mia rivista.
Il mio discorso inizia in un modo un po' strano. Io mi sono sempre definito un anarchico, fuori da ogni schema precostituito e da ogni rigida logica. Se non che, un giorno la mia ragazza mi ha fatto la domanda più semplice e più sconvolgente di questo mondo. "Tu dici che sei un anarchico. Ma anarchia vuol dire che ognuno fa quello che gli pare; significa che non possono esistere leggi e convenzioni, che non può esistere lo Stato. Ma un gruppo di persone se vuole vivere in armonia ha bisogno di leggi, ha bisogno di un'autorità suprema a cui rivolgersi. Allora l'anarchia è irrealizzabile, non ha alcun senso. E poi tu sei un pacifista. Gli anarchici invece predicavano la rivoluzione, perfino quella armata. Come fai allora a conciliare tutto questo con la tua anarchia?".
Al momento amici miei, non sapevo più che pesci pigliare. Gli dissi allora che il tutto per me non era inconciliabile e che avrei cercato di spiegarglielo il prima possibile. Ora questo momento è arrivato. Innanzitutto bisogna a mio avviso fare una distinzione fra anarchia utopistica e anarchia realistica. La prima è quella che ha come finalità obiettivi totalmente irrealizzabili (ad es. una società senza leggi), mentre la seconda si pone come scopo degli obiettivi più terra terra, più realizzabili. Infatti sono pienamente d'accordo che è impossibile pensare ad una società senza leggi, però è possibile riuscire a credere che un domani le leggi si limiteranno al minimo indispensabile e che non saremo continuamente oppressi da autorità che fanno il bello e il cattivo tempo, secondo le direttive impartitegli da chi ci governa.
Perché anarchia per me è sinonimo di libertà. Libertà di fare, di dire, di pensare, di scrivere quello che più mi pare. Libertà di andare dove voglio senza che nessuno ogni tanto mi interroghi su chi sono e dove vado. Libertà di non entrare come un pacco postale nelle innumerevoli banche dati, che ti controllano e ti squadrano 24 ore al giorno. Libertà di non uccidere e di non essere obbligato a servire uno stato per cui non valgo nulla. Libertà di potervi vivere la mia vita privata come cavolo voglio. Libertà di essere informato in modo corretto ed imparziale. Libertà di essere non un italiano, un tedesco, un americano...ma solamente di essere un uomo. Libertà di sognare e di creare con la mia mente quello che più mi pare senza censure e senza reticenze. Libertà di dare ai miei figli un futuro migliore. E un solo obbligo. Quello di non limitare la libertà dei miei altri fratelli. Per me questo è l'anarchia.
Ora però entra in scena il secondo problema. Come realizzarla?
Io sono per portare avanti la strada del pacifismo più esasperato, perché per un vero anarchico la strada della violenza o delle minacce non può assolutamente essere percorribile. E' ovvio però che fino a che non riusciremo ad aprirci maggiormente e a farci ascoltare maggiormente dal mondo esterno, potremmo fare ben poco per cancellare quella etichetta che ormai ci portiamo addosso stabilmente da centinaia di anni.
Eh sì cari amici. Provate a chiedere all'uomo della strada chi sono gli anarchici. O non vi risponderà, oppure vi dirà che sono dei gruppuscoli rivoluzionari di sinistra, alla stregua delle brigate rosse. Per carità questo non vuol affatto dire che dobbiamo rinnegare il nostro passato come fa di questi tempi il Partito Comunista; vuol solo dire che dobbiamo prendere atto del nostro passato, studiarlo ed esaminarlo attentamente, valutare gli errori commessi e cercare di eliminarli alla base della nuova realtà odierna e della nostra nuova sensibilità.
Se invece resteremo dei nostalgici teorici dell'anarchia legati a posizioni rigide e immutabili, a schemi prefissati, penso che quella sarà la nostra fine. Perché è giusto e anzi è doveroso che un movimento come il nostro sia sempre in una continua e costante evoluzione, in un continuo e costante mutamento. Perché è ora che spieghiamo alla gente, quello che noi veramente siamo. Non dei terroristi, non degli sfaccendati, non degli utopistici, ma solo degli uomini per cui la parola libertà ha ancora un valore ben profondo.
Ovviamente io non so la mia anarchia quanto sia simile o quanto sia diversa da quella degli altri amici di "A", però credo che arrivati a questo punto, se veramente vogliamo proseguire per un certo cammino, insieme pur nella nostra diversità, credo che sia obbligatorio definire due cose. Primo chi siamo noi anarchici; secondo, quali obiettivi a breve e a lunga scadenza vogliamo porci. Forse se riusciremo a rispondere a queste brevi domande avremo già fatto un grosso passo avanti verso il nostro lungo cammino. Un cammino che probabilmente durerà ancora centinaia di anni. E durante questo tempo il nostro compito sarà quello di coltivare con amore, le pianticelle della libertà e della pace che i nostri predecessori ci avevano lasciato e che ormai stanno morendo, soffocate dalla gramigna dell'ignoranza e del menefreghismo.
A questo punto credo che un questionario per i lettori di "A" sia non solo utile ma addirittura indispensabile. E al più presto possibile.
Con affetto.

Paolo Valdo (Verona)

Bruttina, e si vede

Mi sono letto con un sorriso sulle labbra le pagine a proposito di "A" perché ho avuto l'impressione che la critica lettera di Salvatore De Cristofaro sia stata la scusante e l'ideale motivazione da parte della redazione per aprire l'ennesimo dibattito sulla rivista. E questo perché, probabilmente, anche i compagni che materialmente mettono assieme la rivista non si sentono poi soddisfatti del prodotto che ne esce, e che pure ai loro occhi viene ad essere bruttino. Ma per giungere a questa constatazione non c'era bisogno né della lettera del De Cristofaro, né dell'assemblea padovana; sarebbe bastato e diciamo, basterebbe, un maggior contatto con l'anarchismo militante e con quello che ancora si muove in questo senso, a Milano come altrove.
Per buttarla lì un po' provocatoriamente, ho l'impressione che "A" soffra della crisi che attraversa il movimento anarchico da cui ha cercato di sganciarsi, per essere meno specifica e più aperta all'esterno, senza peraltro riuscirci ma con il rischio di diventare qualcosa che non è né carne né pesce. E le avvisaglie ci sono.
Mi rendo conto che rischio di riportare le stesse critiche di De Cristofaro ma con una differenza fondamentale: non ritengo che la colpa del tutto sia l'apertura eccessiva verso gruppi e tendenze non specificatamente anarchici, e da articoli riguardanti i più svariati argomenti; in sostanza le cose che ci sono possono anche andare bene, le carenze sono altrove; probabilmente nell'impostazione e nella mancanza di valide collaborazioni. Non per niente nel penultimo numero della rivista il pezzo migliore, che è anche l'unico di un certo spessore, viene ad essere l'articolo di Gianfranco Bertoli che però non era stato scritto espressamente per "A". A scrivere articoli di attualità e se vogliamo di analisi dell'attualità c'è rimasto il solo Carlo Oliva che pur non essendo anarchico (almeno non mi risulta si definisca tale) sa sfornare pezzi dal fragrante sapore antiautoritario, specie quando parla di bandiere al vento (parola di fornaio).
Da un po' di tempo appaiono su "A" troppi servizi fotografici; alcuni interessanti altri meno, a livello di stampa quasi tutti al di sotto della media (e certo ci sarebbe da stabilire una media); in poche parole anche se hanno il merito di rendere scorrevole la rivista al sottoscritto non piacciono per quanto di attualità siano. Sono del parere che fotografie e disegni debbano essere di supporto ad articoli, saggi e servizi scritti e non che quattro righe debbano essere il supporto a ben due servizi fotografici (il riferimento è allo scorso numero). Se si tratta di una scelta mi sembra ci si stia avviando sulla strada per diventare una rivista fotografica, per quanto anarchica, e nessuno potrà mai più accusarvi di mancanza di collocazione politica; se invece viene ad essere un riempitivo per mancanza di pezzi scritti ritengo lo stesso il tutto abbastanza grave. Delle foto a riguardo la posa del monumento a Bresci (sempre su "A" 175) avrebbero dovuto almeno essere corredate da un articolo riassuntivo su tutta la vicenda comprese le spaccature e polemiche che ci sono state e ci sono tutt'ora, non solo fra i non anarchici.
Nelle sue rubriche fisse la rivista viene ad essere ogni numero uguale all'altro. Ripeto, non è che sono contrario che si parli di musica, cinema e teatro, mi piacerebbe soltanto che si variasse di più anche su questi argomenti, un variare anche delle persone che fissamente se ne occupano, così come per gli articoli di attualità. Dico questo ben sapendo che non è semplice e facendo un plauso alle persone, ai compagni e compagne che si impegnano in questo lavoro ma c'è pure bisogno di aria nuova, almeno ogni tanto. Fatti e misfatti dovrebbe essere una miscellanea di brevi notizie messe assieme e curate dalla redazione, invece ai miei occhi è un calderone dove viene messo dentro un po' di tutto, compresi articoli che avrebbero la dignità per un loro spazio autonomo. Ben tre notizie di antimilitarismo sul penultimo numero, compresa la triste notizia della morte del compagno e amico Barbani, che avrebbero potuto benissimo far parte a sé in un servizio comprendente la dichiarazione di rifiuto del servizio militare di Massimo Passamani. Anche questa rubrica andrebbe ad ogni modo ripensata se non eliminata senza per questo trascurare di fare informazione. Il cambio del nome fatto qualche anno fa non è comunque servito, tanto valeva lasciare quello di "Cronache sovversive" che dava alla rivista una maggiore impressione di impegno e di lotta.
Il problema non è che sulla rivista ci sono meno articoli "anarchici", questa è una banalità, né che non abbia più una precisa collocazione. Può, anzi, ancora pubblicare articoli sulla storia del movimento anarchico, sulla prima internazionale, su Bakunin, Kropotkin, Malatesta (i cui libri sono ancora i più richiesti) a patto che ciò venga fatto con spirito diverso tenendo conto del cambiamento dei tempi (per cui non solo la stessa zuppa in altra salsa) ma nello stesso tempo guardare all'attualità senza preconcetti di sorta, perché se il movimento anarchico è in crisi la stessa cosa non si può dire degli anarchici che lavorano e sono impegnati in vari campi.
A proposito dell'anarchismo classico voglio ricordare che le generazioni cambiano e che i nuovi simpatizzanti e le giovani leve non possono andarsi a leggere quanto scriveva "A" negli anni 70 a proposito dei vecchi antenati e della storia dell'anarchismo.
E a questo punto mi vorrei ricollegare con il pezzo di Gianfranco Bertoli che ho definito l'unico di un certo spessore. E non certo e non solo per le quasi sei pagine che occupa ma soprattutto per l'argomento di cui tratta. Sappiamo tutto o quasi riguardo il movimento anarchico, la prima Internazionale, la rivoluzione spagnola, su l'anarchismo di matrice europea, i soliti classici personaggi spesso fin troppo venerati ma ben poco dell'anarchismo indigeno americano e dei suoi personaggi. La stampa anarchica e le case editrici anarchiche non ci hanno dato modo di conoscere a fondo questo pensiero, sicuramente diverso ma che nella sostanza mirava allo stesso fine: una società libera dallo stato e dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Mancanza questa soltanto in minima parte mitigata dall'uscita qualche anno fa per le edizioni Antistato di Pionieri della libertà e di Laboratori d'utopia e per Lacaita editore La sovranità dell'individuo.
Ecco, penso che "A", per sopperire a questa mancanza dovrebbe parlare di questo anarchismo sconosciuto, di personaggi come Henry D. Thoreau, Josiah Warren, di Benjamin R. Tucker, tanto per fare dei nomi la cui opera poco conosco e da cui Emile Armand ha preso spunto per la sua opera monumentale che è L'iniziazione individualista anarchica; presentare dei loro scritti, le loro teorie ma non solo, penso sarebbe utile far conoscere anche il pensiero pedagogico e antiautoritario di un Tolstoj conosciuto in Italia solo per i suoi racconti e romanzi oltre a quello di Stirner il cui libro L'unico e la sua proprietà è continuamente ristampato da diverse case editrici. Insomma una riscoperta del pensiero individualista libertario e antiautoritario senza del quale l'attualità dell'anarchismo resta monca di un apporto indispensabile.
Un'ultima cosa, qualcosa che ho veramente apprezzato in "A". Nel momento in cui la rivista viene accusata di essere poco anarchica o di non avere una chiara collocazione in tal senso, penso di non essere l'unico ad avere notato l'apertura verso le altre pubblicazioni libertarie e antiautoritarie nello scambio della pubblicità (oltre ad altre non anarchiche) e alle case editrici di libri anche se non specificatamente della stessa area di appartenenza.
Questa lettera vuole essere solo di critica, lasciando gli elogi ad altra occasione, non ha voluto giustificare il fatto che comunque i compagni che materialmente fanno la rivista si fanno un culo della madonna per fare un prodotto che sia il meglio possibile e con collaborazioni che non sono mai molte, e con quelle difficoltà personali e di vita quotidiana che sono un po' di noi tutti. Ma ovviamente bisogna tenere conto anche di questo.

P.S. - Compagni, anche le copertine di solito lasciano a desiderare... La quarta di copertina di A 175 l'avrei messa senz'altro al posto della prima.

Franco Pasello (Sesto S. Giovanni)

Un po' come il CIRA

Penso a quel che mi raccontava G. : "Quando finii la scuola dei preti, alla fine dell'anno seguente, cercavo di vederci chiaro tra tutte le correnti politiche. Un giorno ho visto un giornale che non assomigliava per niente ad alcun altro: vecchia tipografia, linguaggio veramente sovversivo - era Umanità Nova. Ed io, che assomigliavo a tutti i ragazzi della mia età, mi sono ritrovato!".
Al Centro Internazionale per le Ricerche sull'Anarchismo (CIRA) riceviamo più di 200 periodici libertari del mondo intero: settimanali (UN, Le Monde Libertaire), riviste-libro (Volontà, The Raven, Our Generation, Trafik),ma anche fanzine e pallidi ciclostilati dalla Polonia.
"A"/Rivista è differente da quelli della propria "categoria" (IRL e Courant alternatif in Francia, Schwarzer Faden in Germania, Comunidad in Svezia/Uruguay,...) - ma perché?
Voi siete un po' un'istituzione, come il CIRA: pesante e appassionante, arricchente e stancante, duratura e diversa... Ci vogliono molte risorse per fare un mensile, ed io vi propongo qualche idea e qualche critica con tanta amicizia. Le critiche sono soprattutto formali. Le copertine, che sono state belle per lungo tempo, sono diventate pesanti e ridondanti (riassunto del sommario + testo che dice le stesse cose) e l'"auto-pubblicità" (che a volte occupa le pagine 2,3,4 della copertina!) troppo importante e poco attraente. Le foto, spesso molto interessanti, sono mal riprodotte: problemi di carta, di pellicole?
Alcune idee: voi avete delle interessanti lettere dai lettori, ma non molte dai collaboratori. Domandate dunque a questi lettori di fare delle loro lettere un articolo, con sottotitoli, note, un lavoro un po' più approfondito: spesso ne varrà la pena. E poi leggete meglio la stampa libertaria internazionale per riprenderne gli articoli: ciò comporta un certo tempo, ma si apprende in fretta a selezionare e vi si scoprono moltissime cose interessanti.
Personalmente amo tutto ciò che parla di esperienze vissute, di tentativi di vita, del presente o del passato. Mi piacciono in genere i vostri dossier (si potrebbe farne un indice a fine anno, utile ai bibliotecari ed agli studenti), i commenti intelligenti alla Carlo Oliva, le belle cronache di Cristina Valenti. Ci sono pagine che io leggo meno, a causa dei miei gusti personali e perché io non vivo quotidianamente la realtà italiana.
Ma per me è una gioia tutte le volte che arriva il pacchetto delle riviste che mi inviate e trovo sempre a chi distribuirle. Non piangiamo su ciò che non c'è più. Voi siete una delle riviste della tendenza libertaria, uno dei veicoli che difendono i valori dell'anarchismo, in tutta la sua diversità. Non saremo certo noi a proporre delle scale gerarchiche.
Amore e anarchia.

Marianne Enckell (Losanna)
(traduzione di Paolo Finzi)