Rivista Anarchica Online
"A" proposito
di AA. VV.
Salgono, con i 5 pubblicati in queste pagine, a 12 gli interventi (senza considerare la tavola-rotonda tra i
compagni milanesi apparsa su "A" 175) finora pervenutici per il dibattito che abbiamo aperto a
settembre sulla rivista. Le questioni sollevate sono già numerose, non poche mancano all'appello: bando
alla pigrizia e (come si diceva un tempo) intervenite numerosi!
Invertire la rotta
Caro Paolo,
il problema principale di "A" è che non è
mai stato il giornale degli anarchici di lingua italiana, ma solo di
una parte di essi. Il giornale sta diventando sempre più
"freddo" ed il fatto che anche dei compagni si siano
raffreddati non è certo un buon segno. Invertire la rotta si
può, ma è chiaro che urge una sua rifondazione. Senza
alcuna presunzione vorrei suggerire alcune idee discutibili.
1) Per riattivare una rete militante di distribuzione e
partecipazione capillare alla rivista, bisogna superare la gestione
redazionale, che deve svolgere un compito di coordinamento fra le
realtà che parteciperanno alla rivista.
2) Smettere la ricerca spasmodica di un lettore medio di sinistra
libertaria, che esiste solo nelle fantasie impossibili.
3) Interrompere ogni rapporto con giornali che rifiutano uno
scambio paritario sulla pubblicità.
4) Devolvere le spese per la pubblicità alla formazione di un
numero speciale da distribuirsi gratuitamente.
5) Creare una rete di centri d'informazione locale, per uscire dal
monopolio della cultura metropolitana.
6) Allontanare dalla rivista ogni forma di giornalismo
semiprofessionista; ci sono alcuni compagni che hanno rubriche fisse
e non sempre producono il meglio di loro stessi negli articoli che
scrivono.
In ultimo vorrei dirvi che interrogarsi fa bene, a patto che ci sia
la volontà di mettersi veramente in discussione.
Auguri per il futuro, spero di rileggervi con più entusiasmo.
Momo (Bordighera)
P.S. - Riflessioni durante una riunione al CIRCOLO TROBAR CLUS.
Senza stato e senza merce
Cari compagni,
critiche da muovere ad una rivista ce ne sono sempre,
ovviamente, e credo che non mancheranno di farsi sentire. Per quello
che mi riguarda, ho leggermente spostato l'attenzione verso un punto
di vista più ampio che coinvolge un po' tutti gli anarchici
ed i libertari, non escludendo né il sottoscritto, né
la rivista. Credo di essere nelle condizioni favorevoli per impostare un
certo discorso che da qualche tempo mi sta a cuore (parlo in prima
persona come si conviene ad un anarchico in divenire, ma al mio
fianco stanno altri e non è escluso un loro diretto
intervento) provare a superare il mercato, la merce e tutta la
miseria costruita intorno a questi. Non è questo un processo
dialettico-teorico, bensì l'approccio diverso di chi ha
sempre creduto che: "la proprietà è un furto"
ed ora si appresta a relazionarsi (almeno nei confronti dei compagni
anarchici) senza il crimine della compra-vendita.
La rivista, il movimento anarchico in generale, prestano poca
attenzione a questa contraddizione quotidiana tra il proprio intimo
sentire e il bisogno di sopravvivere (ammesso che tutti gli
anarchici sentano, come me, opprimente e desolante la mercificazione
generalizzata e avvertano il sommo disgusto per una compra-vendita
fra anarchici!). L'"A" rivista, dicevo, è impantanata anch'essa
in mezzo al guado, (forse torna indietro, vedasi INTERMAG) e soffre
della medesima inquietudine di tutti. Mi si obietterà che
certe iniziative permettono di fare passi in altre direzioni e che
certi concetti tardo ottocenteschi, nell'era dei computer e
dell'informazione di massa, sono un poco stonati. Può anche darsi, (mi vien da ridere)
però
preferisco essere considerato comunque un utopista, anche dagli
anarchici! Sono quindici anni che in nome della mia Utopia rifiuto
alcuni compromessi, e non vedo perché dovrei supinamente
accettare che una Banca ci riporti a Lugano, questa volta come
clienti!.
Non voglio spararle grosse, non me ne frega niente di fare il
botto! Invito solo compagni e rivista a riflettere sulle tendenze
dei loro movimenti. Non è la rivista ad essere genericamente
di sinistra è un po' tutto l'andazzo del movimento anarchico.
Si respira un poco liberamente solo nell'ambito
dell'antimilitarismo, il resto compresi i duri fa solo tenerezza.
Gli attentati, le rapine, non cambiano nulla, anzi tornano utili
alla repressione ed oliano il meccanismo, del resto quando mai le
idee si cambiano a cannonate!
Come si vede c'è n'è per tutti i gusti, questo
però accade perché si tralascia spesso di inserire il
proprio quotidiano nella critica. D'altra parte forse il livello culturale (sic!) dei compagni
anarchici non è mai stato così elevato (parlo del
livello medio) ed il materiale umano (come suona male) mai così
pronto a cogliere le sfumature teoriche! Appare davvero disdicevole che gli anarchici non riflettano
sulle proprie potenzialità e soggiacciano alle pressioni dei
vari mercati e delle varie merci. Qui ed ora ripeteva il merlo indiano...ci dispiace ora andiamo
tutti a lavorare... Detto fra noi, non vi capita mai di sentirvi fottuti?
Bene avete compreso che il sistema mercantile c'è
cresciuto dentro e che volenti o dolenti ne fate parte anche voi.
Non vi capita mai di ragionar sopra Utopia? Bene avete compreso che
la nostra unica speranza è desiderare il più
intensamente possibile il mutamento. Desiderare è già
porre in atto, non lo sapevate? Muovere i primi passi è già
camminare! A chi interessa dare una mano a questa miserabile
socialità, in cui tutti ti attendono al varco per inculcarti
e fare l'affare buono? Da parte mia senza dio, senza stato e senza
merce mi muovo molto meglio...
P.S. - Continuate a discutere sui demeriti e sui meriti (poiché
vi sono anche questi) della rivista, vale la pena di farlo, però
ricordate che il definirsi anarchico comporta una considerazione
notevole del proprio desiderio, che più forte della realtà
porterà il mutamento a buon fine. Non abbiate la coda di paglia, tutto lavora contro di noi...
Franco Di Fiore (Negi Crestiai)
Leggo "A" da un mese
Cari amici di "A"
mi presento: mi chiamo Paolo, ho 25 anni e il mese scorso ho
acquistato per la prima volta la vostra rivista, restandone
ottimamente impressionato. Ho così deciso di dare il mio modesto contributo sul tema
dell'anarchismo oggi in Italia, sperando di fare cosa gradita ai
più, e certo che "A" da ora in poi sarà
anche la mia rivista.
Il mio discorso inizia in un modo un po' strano. Io mi sono
sempre definito un anarchico, fuori da ogni schema precostituito e
da ogni rigida logica. Se non che, un giorno la mia ragazza mi ha
fatto la domanda più semplice e più sconvolgente di
questo mondo. "Tu dici che sei un anarchico. Ma anarchia vuol dire che
ognuno fa quello che gli pare; significa che non possono esistere
leggi e convenzioni, che non può esistere lo Stato. Ma un
gruppo di persone se vuole vivere in armonia ha bisogno di leggi, ha
bisogno di un'autorità suprema a cui rivolgersi. Allora
l'anarchia è irrealizzabile, non ha alcun senso. E poi tu sei un pacifista. Gli anarchici invece
predicavano la
rivoluzione, perfino quella armata. Come fai allora a conciliare
tutto questo con la tua anarchia?".
Al momento amici miei, non sapevo più che pesci pigliare.
Gli dissi allora che il tutto per me non era inconciliabile e che
avrei cercato di spiegarglielo il prima possibile. Ora questo
momento è arrivato. Innanzitutto bisogna a mio avviso fare una distinzione fra anarchia
utopistica e anarchia realistica. La prima è quella che ha
come finalità obiettivi totalmente irrealizzabili (ad es. una
società senza leggi), mentre la seconda si pone come scopo
degli obiettivi più terra terra, più realizzabili.
Infatti sono pienamente d'accordo che è impossibile pensare
ad una società senza leggi, però è possibile
riuscire a credere che un domani le leggi si limiteranno al minimo
indispensabile e che non saremo continuamente oppressi da autorità
che fanno il bello e il cattivo tempo, secondo le direttive
impartitegli da chi ci governa.
Perché anarchia per me è sinonimo di libertà.
Libertà di fare, di dire, di pensare, di scrivere quello che
più mi pare. Libertà di andare dove voglio senza che
nessuno ogni tanto mi interroghi su chi sono e dove vado. Libertà
di non entrare come un pacco postale nelle innumerevoli banche dati,
che ti controllano e ti squadrano 24 ore al giorno. Libertà
di non uccidere e di non essere obbligato a servire uno stato per
cui non valgo nulla. Libertà di potervi vivere la mia vita
privata come cavolo voglio. Libertà di essere informato in
modo corretto ed imparziale. Libertà di essere non un
italiano, un tedesco, un americano...ma solamente di essere un uomo.
Libertà di sognare e di creare con la mia mente quello che
più mi pare senza censure e senza reticenze. Libertà
di dare ai miei figli un futuro migliore. E un solo obbligo. Quello di non limitare la libertà dei
miei altri fratelli. Per me questo è l'anarchia.
Ora però entra in scena il secondo problema. Come realizzarla?
Io sono per portare avanti la strada del pacifismo più
esasperato, perché per un vero anarchico la strada della
violenza o delle minacce non può assolutamente essere
percorribile. E' ovvio però che fino a che non riusciremo ad aprirci
maggiormente e a farci ascoltare maggiormente dal mondo esterno,
potremmo fare ben poco per cancellare quella etichetta che ormai ci
portiamo addosso stabilmente da centinaia di anni.
Eh sì cari amici. Provate a chiedere all'uomo della
strada chi sono gli anarchici. O non vi risponderà, oppure vi dirà che sono dei
gruppuscoli rivoluzionari di sinistra, alla stregua delle brigate
rosse. Per carità questo non vuol affatto dire che dobbiamo
rinnegare il nostro passato come fa di questi tempi il Partito
Comunista; vuol solo dire che dobbiamo prendere atto del nostro
passato, studiarlo ed esaminarlo attentamente, valutare gli errori
commessi e cercare di eliminarli alla base della nuova realtà
odierna e della nostra nuova sensibilità.
Se invece resteremo dei nostalgici teorici dell'anarchia legati
a posizioni rigide e immutabili, a schemi prefissati, penso che
quella sarà la nostra fine. Perché è giusto e anzi è doveroso che un
movimento come il nostro sia sempre in una continua e costante
evoluzione, in un continuo e costante mutamento. Perché è ora che spieghiamo alla
gente, quello che
noi veramente siamo. Non dei terroristi, non degli sfaccendati, non
degli utopistici, ma solo degli uomini per cui la parola libertà
ha ancora un valore ben profondo.
Ovviamente io non so la mia anarchia quanto sia simile o quanto
sia diversa da quella degli altri amici di "A", però
credo che arrivati a questo punto, se veramente vogliamo proseguire
per un certo cammino, insieme pur nella nostra diversità,
credo che sia obbligatorio definire due cose. Primo chi siamo noi
anarchici; secondo, quali obiettivi a breve e a lunga scadenza
vogliamo porci. Forse se riusciremo a rispondere a queste brevi domande avremo
già fatto un grosso passo avanti verso il nostro lungo
cammino. Un cammino che probabilmente durerà ancora centinaia di
anni. E durante questo tempo il nostro compito sarà quello di
coltivare con amore, le pianticelle della libertà e della
pace che i nostri predecessori ci avevano lasciato e che ormai
stanno morendo, soffocate dalla gramigna dell'ignoranza e del
menefreghismo.
A questo punto credo che un questionario per i lettori di "A"
sia non solo utile ma addirittura indispensabile. E al più presto possibile.
Con affetto.
Paolo Valdo (Verona)
Bruttina, e si vede
Mi sono letto con un sorriso sulle labbra le pagine a proposito
di "A" perché ho avuto l'impressione che la critica
lettera di Salvatore De Cristofaro sia stata la scusante e l'ideale
motivazione da parte della redazione per aprire l'ennesimo dibattito
sulla rivista. E questo perché, probabilmente, anche i
compagni che materialmente mettono assieme la rivista non si sentono
poi soddisfatti del prodotto che ne esce, e che pure ai loro occhi
viene ad essere bruttino. Ma per giungere a questa constatazione non c'era bisogno né
della lettera del De Cristofaro, né dell'assemblea padovana;
sarebbe bastato e diciamo, basterebbe, un maggior contatto con
l'anarchismo militante e con quello che ancora si muove in questo
senso, a Milano come altrove.
Per buttarla lì un po' provocatoriamente, ho
l'impressione che "A" soffra della crisi che attraversa il
movimento anarchico da cui ha cercato di sganciarsi, per essere meno
specifica e più aperta all'esterno, senza peraltro riuscirci
ma con il rischio di diventare qualcosa che non è né
carne né pesce. E le avvisaglie ci sono.
Mi rendo conto che rischio di riportare le stesse critiche di De
Cristofaro ma con una differenza fondamentale: non ritengo che la
colpa del tutto sia l'apertura eccessiva verso gruppi e tendenze non
specificatamente anarchici, e da articoli riguardanti i più
svariati argomenti; in sostanza le cose che ci sono possono anche
andare bene, le carenze sono altrove; probabilmente
nell'impostazione e nella mancanza di valide collaborazioni. Non per niente nel penultimo numero della
rivista il pezzo
migliore, che è anche l'unico di un certo spessore, viene ad
essere l'articolo di Gianfranco Bertoli che però non era
stato scritto espressamente per "A". A scrivere articoli
di attualità e se vogliamo di analisi dell'attualità
c'è rimasto il solo Carlo Oliva che pur non essendo anarchico
(almeno non mi risulta si definisca tale) sa sfornare pezzi dal
fragrante sapore antiautoritario, specie quando parla di bandiere al
vento (parola di fornaio).
Da un po' di tempo appaiono su "A" troppi servizi
fotografici; alcuni interessanti altri meno, a livello di stampa
quasi tutti al di sotto della media (e certo ci sarebbe da stabilire
una media); in poche parole anche se hanno il merito di rendere
scorrevole la rivista al sottoscritto non piacciono per quanto di
attualità siano. Sono del parere che fotografie e disegni
debbano essere di supporto ad articoli, saggi e servizi scritti e
non che quattro righe debbano essere il supporto a ben due servizi
fotografici (il riferimento è allo scorso numero). Se si tratta di una scelta mi sembra ci si stia
avviando sulla
strada per diventare una rivista fotografica, per quanto anarchica,
e nessuno potrà mai più accusarvi di mancanza di
collocazione politica; se invece viene ad essere un riempitivo per
mancanza di pezzi scritti ritengo lo stesso il tutto abbastanza
grave. Delle foto a riguardo la posa del monumento a Bresci (sempre
su "A" 175) avrebbero dovuto almeno essere corredate da un
articolo riassuntivo su tutta la vicenda comprese le spaccature e
polemiche che ci sono state e ci sono tutt'ora, non solo fra i non
anarchici.
Nelle sue rubriche fisse la rivista viene ad essere ogni numero
uguale all'altro. Ripeto, non è che sono contrario che si
parli di musica, cinema e teatro, mi piacerebbe soltanto che si
variasse di più anche su questi argomenti, un variare anche
delle persone che fissamente se ne occupano, così come per
gli articoli di attualità. Dico questo ben sapendo che non è
semplice e facendo un plauso alle persone, ai compagni e compagne
che si impegnano in questo lavoro ma c'è pure bisogno di aria
nuova, almeno ogni tanto. Fatti e misfatti dovrebbe essere una miscellanea di brevi
notizie messe assieme e curate dalla redazione, invece ai miei occhi
è un calderone dove viene messo dentro un po' di tutto,
compresi articoli che avrebbero la dignità per un loro spazio
autonomo. Ben tre notizie di antimilitarismo sul penultimo numero,
compresa la triste notizia della morte del compagno e amico Barbani,
che avrebbero potuto benissimo far parte a sé in un servizio
comprendente la dichiarazione di rifiuto del servizio militare di
Massimo Passamani. Anche questa rubrica andrebbe ad ogni modo ripensata se non
eliminata senza per questo trascurare di fare informazione. Il cambio del nome fatto qualche anno fa non
è comunque
servito, tanto valeva lasciare quello di "Cronache sovversive"
che dava alla rivista una maggiore impressione di impegno e di
lotta.
Il problema non è che sulla rivista ci sono meno articoli
"anarchici", questa è una banalità, né
che non abbia più una precisa collocazione. Può, anzi,
ancora pubblicare articoli sulla storia del movimento anarchico,
sulla prima internazionale, su Bakunin, Kropotkin, Malatesta (i cui
libri sono ancora i più richiesti) a patto che ciò
venga fatto con spirito diverso tenendo conto del cambiamento dei
tempi (per cui non solo la stessa zuppa in altra salsa) ma nello
stesso tempo guardare all'attualità senza preconcetti di
sorta, perché se il movimento anarchico è in crisi la
stessa cosa non si può dire degli anarchici che lavorano e
sono impegnati in vari campi.
A proposito dell'anarchismo classico voglio ricordare che le
generazioni cambiano e che i nuovi simpatizzanti e le giovani leve
non possono andarsi a leggere quanto scriveva "A" negli
anni 70 a proposito dei vecchi antenati e della storia
dell'anarchismo.
E a questo punto mi vorrei ricollegare con il pezzo di
Gianfranco Bertoli che ho definito l'unico di un certo spessore. E
non certo e non solo per le quasi sei pagine che occupa ma
soprattutto per l'argomento di cui tratta. Sappiamo tutto o quasi riguardo il movimento anarchico, la
prima
Internazionale, la rivoluzione spagnola, su l'anarchismo di matrice
europea, i soliti classici personaggi spesso fin troppo venerati ma
ben poco dell'anarchismo indigeno americano e dei suoi personaggi.
La stampa anarchica e le case editrici anarchiche non ci hanno dato
modo di conoscere a fondo questo pensiero, sicuramente diverso ma
che nella sostanza mirava allo stesso fine: una società
libera dallo stato e dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Mancanza questa soltanto in minima parte mitigata dall'uscita
qualche anno fa per le edizioni Antistato di Pionieri della
libertà e di Laboratori d'utopia e per Lacaita
editore La sovranità dell'individuo.
Ecco, penso che "A", per sopperire a questa mancanza
dovrebbe parlare di questo anarchismo sconosciuto, di personaggi
come Henry D. Thoreau, Josiah Warren, di Benjamin R. Tucker, tanto
per fare dei nomi la cui opera poco conosco e da cui Emile Armand ha
preso spunto per la sua opera monumentale che è L'iniziazione
individualista anarchica; presentare dei loro scritti, le loro
teorie ma non solo, penso sarebbe utile far conoscere anche il
pensiero pedagogico e antiautoritario di un Tolstoj conosciuto in
Italia solo per i suoi racconti e romanzi oltre a quello di Stirner
il cui libro L'unico e la sua proprietà è
continuamente ristampato da diverse case editrici. Insomma una riscoperta del pensiero individualista
libertario e
antiautoritario senza del quale l'attualità dell'anarchismo
resta monca di un apporto indispensabile.
Un'ultima cosa, qualcosa che ho veramente apprezzato in "A".
Nel momento in cui la rivista viene accusata di essere poco
anarchica o di non avere una chiara collocazione in tal senso, penso
di non essere l'unico ad avere notato l'apertura verso le altre
pubblicazioni libertarie e antiautoritarie nello scambio della
pubblicità (oltre ad altre non anarchiche) e alle case
editrici di libri anche se non specificatamente della stessa area di
appartenenza.
Questa lettera vuole essere solo di critica, lasciando gli elogi
ad altra occasione, non ha voluto giustificare il fatto che comunque
i compagni che materialmente fanno la rivista si fanno un culo della
madonna per fare un prodotto che sia il meglio possibile e con
collaborazioni che non sono mai molte, e con quelle difficoltà
personali e di vita quotidiana che sono un po' di noi tutti. Ma ovviamente bisogna tenere conto anche
di questo.
P.S. - Compagni, anche le copertine di solito lasciano a
desiderare... La quarta di copertina di A 175 l'avrei messa
senz'altro al posto della prima.
Franco Pasello (Sesto S. Giovanni)
Un po' come il CIRA
Penso a quel che mi raccontava G. : "Quando finii la
scuola dei preti, alla fine dell'anno seguente, cercavo di vederci
chiaro tra tutte le correnti politiche. Un giorno ho visto un
giornale che non assomigliava per niente ad alcun altro: vecchia
tipografia, linguaggio veramente sovversivo - era Umanità
Nova. Ed io, che assomigliavo a tutti i ragazzi della mia età,
mi sono ritrovato!".
Al Centro Internazionale per le Ricerche sull'Anarchismo (CIRA)
riceviamo più di 200 periodici libertari del mondo intero:
settimanali (UN, Le Monde Libertaire), riviste-libro
(Volontà, The Raven, Our Generation, Trafik),ma anche
fanzine e pallidi ciclostilati dalla Polonia.
"A"/Rivista è differente da quelli della
propria "categoria" (IRL e Courant alternatif in
Francia, Schwarzer Faden in Germania, Comunidad in
Svezia/Uruguay,...) - ma perché?
Voi siete un po' un'istituzione, come il CIRA: pesante e
appassionante, arricchente e stancante, duratura e diversa... Ci
vogliono molte risorse per fare un mensile, ed io vi propongo
qualche idea e qualche critica con tanta amicizia. Le critiche sono soprattutto formali. Le copertine, che
sono state belle per lungo tempo, sono
diventate pesanti e ridondanti (riassunto del sommario + testo che
dice le stesse cose) e l'"auto-pubblicità" (che a
volte occupa le pagine 2,3,4 della copertina!) troppo importante e
poco attraente. Le foto, spesso molto interessanti, sono mal
riprodotte: problemi di carta, di pellicole?
Alcune idee: voi avete delle interessanti lettere dai lettori,
ma non molte dai collaboratori. Domandate dunque a questi lettori di
fare delle loro lettere un articolo, con sottotitoli, note, un
lavoro un po' più approfondito: spesso ne varrà la
pena. E poi leggete meglio la stampa libertaria internazionale per
riprenderne gli articoli: ciò comporta un certo tempo, ma si
apprende in fretta a selezionare e vi si scoprono moltissime cose
interessanti.
Personalmente amo tutto ciò che parla di esperienze
vissute, di tentativi di vita, del presente o del passato. Mi
piacciono in genere i vostri dossier (si potrebbe farne un indice a
fine anno, utile ai bibliotecari ed agli studenti), i commenti
intelligenti alla Carlo Oliva, le belle cronache di Cristina
Valenti. Ci sono pagine che io leggo meno, a causa dei miei gusti
personali e perché io non vivo quotidianamente la realtà
italiana.
Ma per me è una gioia tutte le volte che arriva il
pacchetto delle riviste che mi inviate e trovo sempre a chi
distribuirle. Non piangiamo su ciò che non c'è più. Voi
siete una delle riviste della tendenza libertaria, uno dei veicoli
che difendono i valori dell'anarchismo, in tutta la sua diversità. Non saremo certo noi a proporre
delle scale gerarchiche.
Amore e anarchia.
Marianne Enckell (Losanna)
(traduzione di Paolo Finzi)
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