Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 177
novembre 1990


Rivista Anarchica Online

Più chiaro di così
di Carlo Oliva

Permettetemi, per una volta, di spararla grossa: io del caso Moro (l'affaire Moro, come credo più propriamente si dica) non ho mai capito niente.
M'illudo di non essere del tutto sprovveduto sulle vicende politiche nazionali, seguo sempre con cura e diligenza i resoconti di stampa, ho letto e riletto Giorgio Bocca e Leonardo Sciascia, non mi sono perso un fondo del Manifesto o un corsivo di Giuliano Zincone, e non ho mai capito niente di niente. Mi spiego. Credo (spero) di aver capito benissimo che cosa sia successo in quei brutti giorni della primavera del '78. Non capisco solo perché si ostinino tutti a dire che ci sia stato o ci sia tuttora un mistero.
Se c'è qualcosa che mi sembra ragionevolmente chiaro, è quale fosse allora la posta in gioco e quali pedine le forze in campo abbiano o non abbiano mosso per assicurarsela. Sì, qualche mossa può essere stata compiuta senza renderne conto all'opinione pubblica, e di qualche altra può non essere facilissimo decifrare la ratio (che so: tutto il capitolo del Lago della Duchessa, per quanto ci si sia speculato sopra), ma nel complesso non si può negare che il caso Moro sia stato tutto giocato in diretta, attraverso uno scambio di messaggi in gran parte pubblici.

Nessuna sorpresa
Intenzioni e obiettivi dei protagonisti erano anch'essi ragionevolmente pubblici. Nessuno poteva nutrire troppi dubbi su che cosa volessero le brigate rosse e che cosa intendessero fare. E anche gli obiettivi del cosiddetto partito della fermezza, come a dire della coalizione politica allora al potere (era composta, si ricorderà, della DC e dei suoi tradizionali alleati minori, con i socialisti un po' defilati e il pieno sostegno dell'allora PCI, ed è inutile che il buon Occhetto oggi faccia finta di non ricordarselo) erano stati dichiarati fin dall'inizio con chiarezza ammirevole. Avendo deciso, non senza motivo, dal loro punto di vista, che accondiscendere alle richieste dei terroristi sarebbe stato dannosissimo, esiziale alle sorti della democrazia come la intendevano loro, e sembrando altamente improbabile che le forze dell'ordine trovassero e liberassero il prigioniero, costoro s'erano rassegnati in anticipo all'evenienza, pur dolorosa, dell'assassinio dell'onorevole Moro da parte dei suoi rapitori. E Moro, naturalmente, non era d'accordo e riuscì a combattere, nei limiti che la sua condizione gli permetteva, una battaglia disperata, invocando solidarietà, vantando benemerenze e cercando di suscitare contraddizioni, con il fine dichiarato di far modificare quel punto di vista. Come si sa, invano.
Una brutta storia, certo. Dolorosa, antipatica, persino tragica, se vogliamo, ma chiara. Di una chiarezza che gli anni non hanno intaccato: nessuno dei sostenitori della fermezza, per quel che ne so, ha mai messo in dubbio la validità di quella scelta. Evoluzioni ce ne sono state, e parecchie, all'interno dell'altro schieramento, dell'area della trattativa, o semplicemente di chi (come me, come voi, immagino) giudicava esecrabile una fermezza giocata sulla pelle altrui, e prevedeva che le conseguenze di quella fermezza sarebbero state più nocive per la democrazia italiana (e in particolare per tutta la sinistra, comunisti compresi) più di qualsiasi cedimento. Molti, all'interno di questo campo, hanno cambiato idea. Ma chi se ne frega, in fondo: il partito della trattativa, allora, è stato sconfitto e la sconfitta, se non altro, esonera da certe responsabilità.
E allora, dov'è il caso? Dove mai è l'affaire? Perché una nuova scoperta dovrebbe mutare qualcosa nel faticoso equilibrio politico del regime attuale? Le nuove lettere di Moro sono un documento sconvolgente, come le vecchie, ma non rappresentano una sorpresa per nessuno. Evidenziano una contraddizione fin troppo nota, quella tra un sistema politico che aveva deciso di sacrificare, se del caso, la vita di uno dei suoi esponenti più prestigiosi e un uomo che non si sentiva disposto a lasciarsi sacrificare, quali che fossero in merito le motivazioni altrui. Mi rendo conto che si tratta di documenti capaci di turbare la coscienza di alcuni (anche se dubito che la coscienza dei nostri politici possa essere turbata da checché): tutti loro avrebbero preferito un Moro serenamente disposto al sacrificio, che offriva la testa in nome dell'ideale come un Oreste o un Pilade di fronte al re dei Tauri. Ma questa è una situazione letteraria: se andate a leggere Euripide vedrete che anche lui nutriva in merito qualche dubbio, e comunque Shakespeare l'ha demistificata una volte per tutte in quel capolavoro di cinismo che è Misura per misura.

Dramma del potere
Io non so (non lo saprò mai, come tutti voi) se il rinvenimento di via Monte Nevoso sia stato casuale o pilotato. Al limite, non m'interessa. Polizia, magistratura ed esecutivo (i tre pilastri della fermezza) ne escono male comunque. O quella scoperta è frutto di un basso intrigo ad alto livello, o è una prova d'incompetenza (sempre ad alto livello) e qualcuno, ad alto livello, ne dovrebbe rispondere in un caso o nell'altro. Sappiamo benissimo che non ne risponderà nessuno, per cui, di che preoccuparci?
Intendiamoci. L'idea dell'intrigo, dell'affaire, della losca trama organizzata da chissà chi per mettere nei guai chissà chi altro è affascinante. Significherebbe, comunque, seguire una logica pilotata, decifrare una consequenzialità d'indizi che qualcuno ha disposto e preparato perché li seguissimo (quella dell'intrigo organizzato con la speranza che tutti credessero davvero a una scoperta per caso mi sembra l'unica ipotesi davvero assurda. A tutto c'è un limite). Invece la lezione, il significato, se vogliamo, del caso Moro in sé è evidentissima e non dobbiamo lasciare che qualche furbastro ce la nasconda. È la contraddizione tra l'astrattezza dei valori in nome dei quali si decide che qualche povero Cristo debba farsi accoppare e la concretezza della situazione di chi questa decisione subisce e vede avvicinarsi la propria fine. E' il dramma del potere, e la sua ignominia: vergogna di chi, per difendere il proprio concretissimo potere si ammanta di principi e non vuole che al di là di quei principi qualcuno mostri, o vada a vedere, le sofferenze e la morte dei singoli. In questo senso, non è nulla di diverso dell'indifferenza del generale per cui i morti ammazzati in battaglia sono solo dei "caduti" o del cinismo dell'industriale che vede nei licenziamenti una asettica "riduzione di mano d'opera".
Le lettere di Aldo Moro fanno tanta impressione perché esprimono l'angoscia di chi subisce nelle parole di un uomo che è stato a lungo al potere, e non riesce a capire come da un momento all'altro del suo potere si trovi privo. E' fin troppo naturale che chi al potere ci sta (ci era allora, c'è oggi e non concepisce neanche l'idea di non esserci domani) cerchi disperatamente di esorcizzarle, ne neghi la credibilità, l'autenticità, l'esistenza. Ma il significato di quella contraddizione resta al di sopra di queste bassezze.